Quadrare il cerchio: Donald Trump e il nodo dei rapporti

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Quadrare il cerchio: Donald Trump e il nodo dei rapporti Stati
Uniti-Russia | 1
giovedì 05 gennaio 2017, 14:30
Quadrare il cerchio: Donald Trump e il nodo dei
rapporti Stati Uniti-Russia
Bluff elettorale o reale intesa? Obama non aiuta, e in gioco c'è la credibilità di Donald
di Gianluca Pastori
L’espulsione di trentacinque funzionari diplomatici russi disposta dall’Amministrazione Obama a causa del loro
presunto coinvolgimento negli altrettanto presunti tentativi di condizionare le recenti elezioni presidenziali statunitensi
rappresenta il punto più basso raggiunto delle relazioni fra Mosca e Washington da molti anni a questa parte.
Anche se la reazione del Cremlino è stata ‘di basso profilo’ è fuori di dubbio che Donald Trump – che si insedierà
ufficialmente alla Casa Bianca il prossimo 20 gennaio – dovrà lavorare parecchio per riportare in carreggiata un
rapporto che con lo scoppio della crisi ucraina si è deteriorato in modo sempre più chiaro. Dall’Europa alla Siria,
quella fra Stati Uniti e Russia si presenta oggi come una contrapposizione ‘a tutto campo’, che se da un lato manca della
dimensione ideologica che aveva caratterizzato la ‘vecchia’ guerra fredda, dall’altro trova nella contrapposizione fra le
personalità antitetiche di Barack Obama e Vladimir Putin un catalizzatore forte in un’epoca di politica sempre più
personalizzata. La postura ‘muscolare’ di Mosca accentua, oggi, in una maniera plateale la (presunta?) debolezza di
Washington e di un Presidente ritenuto da più parti non capace di tenere il passo del suo avversario. L’imminente passaggio
di consegne da Obama a Trump porterà effettivi cambiamenti in questo scenario? Nei mesi scorsi, fra Trump e Putin non
sono mancate le attestazioni di simpatia reciproca. La stessa vicenda che ha portato all’espulsione dei funzionari russi
dagli Stati Uniti si lega all’assunto del favore con cui il Cremlino avrebbe guardato alla vittoria di Trump sulla sua rivale
democratica, Hillary Clinton. Eccessive simpatie filo-russe sono state imputate, da ultimo, al Segretario di Stato in pectore,
Rex Tillerson, già amministratore delegato del colosso petrolifero ExxonMobil, compagnia che nel settore energetico
russo ha pesanti interessi. Le affermazioni di Trump sull’obsolescenza della NATO e sulla volontà di ridurre il contributo
USA alla sicurezza europea sono state lette da più parti come un’implicita accettazione delle ambizioni ‘neo-imperiali’ di
Mosca e di quella che si configurerebbe come una sua rinnovata ‘sfera d’influenza’ nel Vecchio Continente. Egualmente,
come segnale di una pericolosa volontà di appeasement sono state lette – anche all’interno del Partito repubblicano – le
critiche che Trump ha mosso alle sanzioni adottate contro Mosca dall’amministrazione uscente e il suo favore per la
Estratto ad uso rassegna stampa dalla pubblicazione online integrale e ufficiale, reperibile su
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‘brillante’ risposta di Putin. Tutto per il meglio, quindi? Apparentemente sì. A guardare meglio, però, il quadro non appare
così roseo. Anzitutto, la détente trumpiana si scontra con l’ostilità di larga parte del Congresso e dello stesso
Partito repubblicano. La recente visita in Ucraina, Georgia e nelle repubbliche baltiche di una figura influente come l’ex
candidato alla presidenza John McCain e le sue affermazioni sulla necessità per gli Stati Uniti di ‘opporsi’ (‘stand up’) a
Vladimir Putin dicono molto su quanto profonda sia la spaccatura esistente fra il Presidente eletto e la sua (teorica)
maggioranza parlamentare. Sul tema della politica da seguire nei confronti della Russia pare addirittura affiorare una
convergenza trasversale fra Congressmen democratici e repubblicani in prospettiva anti-Trump. Se è vero che, a
livello di opinione pubblica, recenti sondaggi hanno portato alla luce una polarizzazione crescente fra elettori democratici e
repubblicani sul tema dei rapporti con Mosca, questa polarizzazione fatica, infatti, a trovare espressione in un Congresso nel
quale le tensioni degli ultimi anni (che giustificano e sostengono la contrarietà del Partito democratico al tentativo trumpiano
di ‘restart’) si legano alla tradizionale diffidenza repubblicana verso una Russia troppo potente. Ogni tentativo di rilanciare il
dialogo con la Russia non può, inoltre, non tenere in conto la necessità di riaffermare l’importanza degli Stati Uniti sulla
scena internazionale. Ciò alla luce non solo delle ambizioni del Presidente eletto di ‘fare l’America nuovamente grande’, ma
anche della crisi che, negli anni dell’amministrazione Obama, l’immagine degli Stati Uniti nel mondo ha sperimentato. Da
questo punto di vista, il rilancio delle relazioni con la Russia non può tradursi in un ‘compromesso al ribasso’, che
confermi l’impressione di debolezza che affligge l’attuale politica estera USA. In una fase in cui l’accordo fra
Russia, Turchia e Iran sembra avere riaffermato l’irrilevanza del ruolo di Washington nella composizione della crisi siriana,
Donald Trump ha bisogno di inviare un segnale forte ai suoi interlocutori dentro e fuori gli Stati Uniti, anche per mettere a
tacere le polemiche degli ultimi gironi e per riaffermare la sua posizione di Presidente ‘legittimamente eletto’. Di tutto ciò,
sia lui sia Putin sono ben consapevoli. Si tratta, a questo punto, di vedere se l’uno e l’altro sapranno (e, soprattutto,
vorranno) accettare i compromessi che la situazione impone o se anche la luna di miele degli ultimi mesi si infrangerà
sugli scogli delle priorità geopolitiche come accaduto a suo tempo al ‘reset’ del 2009.
di Gianluca Pastori
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