coMMeMorazione di lenin a cavriago

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Transcript coMMeMorazione di lenin a cavriago

Nuova serie - Anno XLI - N. 1 - 12 gennaio 2017
Fondato il 15 dicembre 1969
Settimanale
Tratto dal discorso “Da Marx a Mao” pronunciato dal Segretario generale del PMLI a Firenze l’11 settembre 2016
in occasione della Commemorazione per il 40° Anniversario della scomparsa di Mao
Continuiamo gli sforzi per risvegliare
alla lotta rivoluzionaria il proletariato e
per dare al PMLI un corpo da Gigante Rosso
di Giovanni Scuderi
Domenica 22 gennaio
commemorazione
di Lenin a Cavriago
PAG. 12
PAGG. 2-3
L’Organizzazione di Ischia
denuncia il silenzio della stampa
nazionale sul PMLI
Elogiato invece il comportamento dei media dell’Isola
verso i comunicati del Partito
PAG. 13
Per assolvere il capitalismo e i suoi governi che li condannano alla disoccupazione
cronica, al supersfruttamento e al precariato
Poletti insulta i giovani
e esulta se emigrano
Ecco la ricetta del ministro-negriero del Lavoro per porre rimedio alla devastazione
economica e sociale provocata dal Jobs Act e dalle politiche liberiste di questi anni
DIALOGO
LETTORI
“Perche’ avete
ignorato la morte di
Fidel Castro?” PAG. 8
Deve dimettersi
Questa rubrica è aperta a tutti i lettori de Il Bolscevico, con l’esclusione dei fascisti. Può essere sollevata qualsiasi questione inerente
la linea politica del PMLI e la vita e le lotte delle masse. Le lettere non
devono superare le 50 righe dattiloscritte, 3000 battute spazi inclusi.
Dopo il fallimento della ricapitalizzazione
privata di Mps voluta da JP Morgan e da Renzi
Paracadute pubblico
da 20 miliardi
per le banche
Nazionalizzare Montepaschi
e le altre banche in crisi
PAG. 4
PAG. 7
Referendum Fiom-Fim-Uilm sul contratto dei metalmeccanici
Vince il Sì ma il dissenso è forte
Il NO al 20% ma in molte grandi aziende ottiene la maggioranza dei
votanti. Alto l’astensionismo
PAG. 4
Al call center più grande d’Italia
Licenziati 1.666 lavoratori
di Almaviva
Dopo il NO della RSU romana un referendum ottiene un risicato Sì (55%) all’accordo, l’azienda conferma la chiusura delle trattative
Almaviva come la Fiat di Pomigliano: o si riducono salari e
diritti o si licenzia
PAG. 5
Conto corrente postale 85842383 intestato a:
PMLI - Via Antonio del Pollaiolo, 172a - 50142 Firenze
L’Onu dichiara illegali le colonie
di Israele
Per la prima volta gli Usa si astengono
PAG. 15
2 il bolscevico / PMLI
Tratto dal discorso
“Da Marx a Mao”
pronunciato dal
Segretario generale
del PMLI a Firenze
l’11 settembre 2016
in occasione della
Commemorazione
per il 40° Anniversario
della scomparsa
di Mao
N. 1 - 12 gennaio 2017
Continuiamo gli sforzi per
risvegliare alla lotta
rivoluzionaria il proletariato
e per dare al PMLI un corpo
da Gigante Rosso di Giovanni Scuderi
Studiare, capire e agire in base al paragrafo
Il Partito del discorso di Scuderi “Da Marx a Mao”
Pensando all’attuale situazione del Partito, alle
iniziative politiche-organizzative in atto da parte di
vecchi e nuovi volponi riformisti e alla necessità di risvegliare alla lotta rivoluzionaria il proletariato e l’intero
popolo italiano, riteniamo
utile ripubblicare il paragrafo sul Partito dello storico discorso del compagno
Giovanni Scuderi “Da Marx
a Mao”.
All’inizio del nuovo anno
Il Partito
Per combattere e sconfiggere il capitalismo e i suoi
governi, occorre un forte,
radicato e legato alle masse partito autenticamente
proletario, rivoluzionario e
marxista-leninista. Mao ha
rilevato che “nell’epoca
del capitalismo e dell’imperialismo è necessario
un partito rivoluzionario
come il partito comunista.
Senza un tale partito il popolo non può assolutamente rovesciare i nemici
che l’opprimono”1. Lenin,
occupandosi delle contraddizioni esistenti nel partito
socialista italiano nel 1920,
ha scritto: “Attualmente la cosa più importante
e assolutamente necessaria per la vittoria della rivoluzione in Italia è
questa: che l’avanguar-
e a quattro mesi dal discorso, è opportuno che ogni
membro del PMLI, compresi chi è impegnato ai più alti
livelli, faccia un primo bilancio per verificare quanto la
propria opera sia coerente
con il messaggio del Segretario generale del Partito e per adottare le eventuali misure necessarie per
agire in piena sintonia con
esso.
Nessuno è esente dal
fare questo bilancio, e tut-
ti, ai vari livelli, dobbiamo
impegnarci a produrre sforzi concreti e senza soluzione di continuità per mettere
in pratica le indicazioni del
compagno Scuderi sul Partito. Con la consapevolezza che se si sta con le mani
in mano o se ci muoviamo
saltuariamente e svogliatamente, solo per la propaganda generale e senza
affrontare i problemi locali,
non riusciremo mai a risvegliare la coscienza rivolu-
zionaria delle masse di cui
facciamo parte e a radicare
e sviluppare il nostro amato Partito nel territorio in cui
viviamo.
Parliamone nelle proprie istanze del Partito, nelle Commissioni centrali di
lavoro e nella Redazione
centrale de “Il Bolscevico”
affinché tutto il PMLI studi
e capisca tali indicazioni e
agisca di conseguenza.
Anche i nuovi militanti
del Partito devono studia-
re a fondo il paragrafo sul
Partito, soffermandosi a riflettere su ogni punto, sia
per ripulirsi totalmente dalle influenze non marxisteleniniste ricevute prima di
entrare nel PMLI, sia per
conformare la propria ideologia e i propri punti di vista con quelli del Partito,
sia per capire che cosa devono fare in concreto per
concorrere alla realizzazione dell’attuale obiettivo
strategico a medio termine
dia effettiva del proletariato rivoluzionario italiano costituisca un partito
completamente comunista, incapace di oscillare
e dar prova di debolezza
nel momento decisivo, un
partito che riunisca in sé
il massimo di entusiasmo,
la dedizione della causa
rivoluzionaria, un’energia,
una fermezza e un’audacia illimitata”2.
Marx ed Engels nel “Manifesto del Partito comunista” pubblicato nel 1848
hanno gettato le fondamenta del partito del proletariato. Lenin in particolare con il
“Che fare?”, Stalin con i già
citati “Principi del leninismo”
e “Questioni del leninismo”,
Mao con “Rettificare lo stile
di lavoro del Partito”, “Come
correggere le idee errate”,
“Contro il liberalismo” hanno sviluppato la concezione proletaria del Partito,
specialmente per quanto riguarda la struttura, la composizione, il centralismo democratico e la risoluzione
delle contraddizioni al suo
interno.
Noi ci siamo ispirati a tali
opere per fondare il PMLI di
cui il prossimo anno ricorre
il 40° Anniversario della nascita. Ne abbiamo fatta tanta di strada, e tutta in salita,
per costruire il Partito. Ma
abbiamo le energie per scalare le prossime vette ancora più alte, che richiedono
durissimi sforzi e un impegno più qualificato. Anche
perché abbiamo pochissimi mezzi e risorse economiche e siamo oggetto di un
assordante silenzio stampa.
La nostra è la tipica situazione in cui si trovano i pionieri che aprono una nuova
strada nell’incredulità e nello scetticismo degli osservatori.
Come dice Mao “il risveglio politico del popolo
non è una cosa facile. Per
eliminare le idee errate
diffuse fra il popolo, dobbiamo fare seri e considerevoli sforzi”3. Una verità
che noi verifichiamo quotidianamente che non ci deve
scoraggiare, anzi ci deve
spronare a continuare a fare
“seri e considerevoli sforzi”
per risvegliare alla lotta rivoluzionaria il proletariato e
l’intero popolo italiano. Tenendo ferma la nostra missione storica; migliorando il
nostro lavoro giorno dopo
giorno, esperienza dopo
esperienza, azione dopo
azione, analisi dopo analisi,
discorso dopo discorso, articolo dopo articolo, studio
dopo studio; occupandoci
dei problemi quotidiani delle
masse; applicando la parola
d’ordine “Studiare, concentrarsi sulle priorità, radicarsi;
radicarsi concentrarsi sulle priorità, studiare”; il tutto
sulla base della linea, delle indicazioni e delle misure
del 5° Congresso nazionale del PMLI e dei documenti successivi del Comitato
centrale e dell’Ufficio politico del Partito. Consapevoli, come dice Mao, che “fin
dai tempi antichi nessuna
cosa avanzata è stata ben
accolta sin dall’inizio: tutte si sono attirate ingiurie.
Così è stato fin dall’inizio
per il marxismo e i partiti
comunisti. Anche tra diecimila anni le cose avanzate all’inizio attireranno
ingiurie su di sé”4.
Nel 1957 Mao ha detto: “’Chi non ha paura di
morire di mille ferite, osa
disarcionare l’imperatore’ - questo è l’indomabile spirito necessario nella
nostra lotta per il socialismo e il comunismo”. In
del Partito, che è quello di
dare al PMLI un corpo di
Gigante Rosso radicandolo
ed estendendolo nei propri
ambienti di lavoro, di studio
e di vita.
In quest’anno 2017 si
celebra il Centenario della
Grande Rivoluzione Socialista d’Ottobre. Facciamola
rivivere nel nostro impegno
quotidiano
rivoluzionario
per fare avanzare la titanica
impresa di dare al PMLI un
corpo da Gigante Rosso.
genere i militanti del PMLI
hanno questo spirito rivoluzionario e resistono, salvo i pentiti della scelta marxista-leninista, alle sirene
della borghesia che ci invitano, direttamente o indirettamente anche tramite i
partner e i familiari, a desistere dalla militanza marxista-leninista e a passare nel
campo del riformismo e del
parlamentarismo. Comunque tutti quanti, nessuno
escluso, compreso i più forti
e determinati tra di noi, dobbiamo rafforzare lo spirito rivoluzionario e la militanza di
Partito facendo continui bagni di marxismo-leninismopensiero di Mao e bagni di
massa, cercando di incarnare quanto più ci è possibile le dieci indicazioni di Mao
sui militanti marxisti-leninisti
che sono state pubblicate
con grande rilievo sul numero 27 del 2015 de “Il Bolsce-
PMLI / il bolscevico 3
N. 1 - 12 gennaio 2017
vico”. La prima delle quali
prescrive che “un comunista deve essere franco, leale e attivo, deve mettere
gli interessi della rivoluzione al di sopra della sua
stessa vita e subordinare gli interessi personali
a quelli della rivoluzione;
sempre e ovunque, deve
essere fedele ai principi giusti e condurre una
lotta instancabile contro
ogni idea e azione errata,
in modo da consolidare la
vita collettiva del Partito e
rafforzare i legami del Partito con le masse; deve
pensare più al Partito che
agli individui, più agli altri
che a se stesso. Solo così
può essere considerato
un comunista”5.
Ai nuovi militanti, fin dal
primi giorni in cui entrano
nel Partito, dobbiamo spiegare a fondo tali indicazioni affinché essi siano pienamente coscienti della scelta
ideologica, politica e organizzativa fatta, che non può
non comportare una svolta
radicale della propria vita.
Essi vanno presi per mano
per tutto il periodo della loro
candidatura, e lasciandogliela solo quando siamo
sicuri che sono in grado di
camminare ideologicamente, politicamente e organizzativamente con le proprie
gambe.
Non a tutti è concesso di
essere marxisti-leninisti, anche se tutti i membri del proletariato, del popolo e delle
masse giovanili possono diventarlo. Ci vuole la stoffa
di Marx, Engels, Lenin, Stalin e Mao, dei martiri comunisti italiani e dei vari paesi,
dei fondatori del PMLI fedeli
alla causa. Ciò che ha detto
Stalin, commemorando Lenin nel 1924, per i membri
del suo Partito, vale anche
per i membri del nostro Partito. Ricordiamoci queste
sue parole: “Noi comunisti
siamo gente di una fattura
particolare. Siamo fatti di
una materia speciale. Siamo coloro che formano
l’esercito del grande stratega proletario, l’esercito
del compagno Lenin. Nulla è più elevato dell’onore di appartenere a questo
esercito. Nulla è più elevato dell’appellativo di membro del partito che è stato
fondato e diretto dal compagno Lenin. Non a tutti
è dato essere membri di
un tale partito. Non a tutti
è dato sopportare i rovesci e le tempeste che l’appartenenza a un tale partito comporta. I figli della
classe operaia, i figli del
bisogno e della lotta, i figli
delle privazioni inimmaginabili e degli sforzi eroici:
ecco coloro che innanzitutto, debbono appartenere a un tale partito. Ecco
perché il partito dei leninisti, il partito dei comunisti, si chiama al tempo
stesso partito della classe
operaia”6.
La nostra stessa esperienza dimostra che solo
coloro che vogliono veramente e nei fatti trasformare l’Italia e se stessi, costi
quel che costi, sono capaci di affrontare e superare
tutte le avversità e le prove della lotta di classe, nonché quelle della propria vita
personale:
disoccupazione, licenziamenti, malattia,
vecchiaia, problemi familiari. Il che non significa che
non possa sopraggiungere, come accade specie tra
i militanti più deboli ideologicamente e più sensibili alla
propaganda borghese e dei
falsi comunisti, un momento
di scoramento, di pessimismo, constatando la lentezza della crescita numerica
del Partito, la lontananza
dell’avvento del socialismo
e le difficoltà per ottenere il
consenso e l’appoggio delle
masse che già ci conoscono. Ma la nostra militanza
non può e non deve dipendere dall’uno o dall’altro fattore, che pure esistono nella realtà. Perché a monte
di ogni altra considerazione sta la nostra scelta di
vita rivoluzionaria e marxista-leninista, che non deve
essere condizionata dai risultati immediati auspicati.
Dobbiamo fare tutto quello
che siamo in grado di fare
con assoluta tranquillità, sicuri che il nostro lavoro sarà
proseguito da nostri successori prossimi e futuri, che si
passeranno la fiaccola rivoluzionaria e marxista-leninista del PMLI fino a raggiungere la vittoria.
I più anziani tra di noi
hanno dato e continuano a
dare, con lo spirito rivoluzionario del primo giorno della
loro militanza, tutto se stessi alla nobile causa del socialismo, il nostro auspicio è
che i giovani militanti facciano altrettanto e portino ancora più in alto e più avanti il PMLI. Noi abbiamo una
grande fiducia nei loro confronti, a loro affidiamo l’avvenire del PMLI. Lavoriamo
affinché tanti altri ragazze e
ragazzi anticapitalisti e antimperialisti che vogliono il
socialismo prendano esempio da loro e si uniscano al
PMLI come militanti o simpatizzanti. Insieme abbiamo
un nuovo mondo da conquistare. La cosa più bella cui
possa aspirare un vero rivoluzionario.
Oggi più che preoccuparci di quando arriverà il socialismo, di quando avverrà
la svolta rivoluzionaria della
lotta di classe, di quando il
proletariato si schiererà con
noi, dobbiamo preoccuparci di dare al PMLI un corpo
da Gigante Rosso radicandolo ed estendendolo nelle
città e regioni dove siamo
presenti, in modo da ricavarne le forze per espanderlo in tutta Italia. Questo
deve essere il nostro obiettivo strategico a medio termine. Questo è quello che
ci è richiesto dall’attuale lotta di classe e dall’attuale situazione del nostro Paese. Se non ce la facciamo a
raggiungere tale obiettivo a
medio termine, non ci resta
che rilanciarlo una o più volte fino a conquistarlo. Non
tutto dipende da noi, cioè
dalle nostre capacità e dal
nostro impegno. Noi abbiamo in mano solo metà della
chiave del problema, l’altra
metà l’hanno la lotta di clas-
se, il proletariato e le nuove
generazioni.
La piazza è il nostro ambiente ideale e naturale di
lotta, assieme a quello delle fabbriche, dei campi, delle scuole e delle università.
Frequentiamola il più possibile per diffondere i messaggi del Partito, per raccogliere le rivendicazioni, le idee,
le proposte e le informazioni delle masse e per stringerci sempre più ad esse.
Gli ambienti in cui operiamo
devono essere conosciuti a
fondo e studiati in maniera
sistematica e tale da aiutar-
Il nostro Partito cresce, si
rafforza, diventa più saggio,
più esperto e più maturo attraverso la lotta ideologica
attiva tra le idee, le opinioni, le proposte e le iniziative giuste e quelle sbagliate. È un processo dialettico
del tutto naturale perché,
come dice Mao, “contrapposizione e lotta tra idee
diverse sorgono costantemente nel Partito: ciò è
il riflesso nel Partito delle contraddizioni di classe esistenti nella società
e della contraddizione tra
il nuovo e il vecchio”7.
non è il caso di prendersela sul piano personale, di
drammatizzare o rompere
col Partito. Bisogna sempre saper aspettare che i
nuovi avvenimenti e i fatti ci
diano ragione. Se ogni militante o simpatizzante attivo rompesse col Partito per
una qualsiasi questione, anche se importante e rilevante, alla fine il PMLI cesserebbe di esistere. Chi se ne
avvantaggerebbe allora? Il
proletariato o la borghesia,
l’antimperialismo o l’imperialismo? Rimaniamo uniti
e in cordata, aiutandoci l’un
Firenze 11 settembre 2016. 40° Anniversario della scomparsa di Mao. Il compagno Giovanni Scuderi, Segretario generale del PMLI, risponde agli applausi della sala al termine del suo discorso
ci a intervenire con volantini, documenti, comunicati
stampa, articoli ben calibrati
e fondati sulla realtà concreta. Come è stato fatto in occasione delle ultime elezioni comunali, esemplare in
questo caso il programma
e gli articoli elettorali della
Cellula “Mao” di Milano. Nei
nostri interventi orali e scritti teniamo sempre presente
tre cose: massima dialettica, argomentazione e documentazione. Prima di scrivere un pezzo (documento,
articolo, volantino, discorso, comunicato stampa) su
un qualsiasi tema, bisogna
leggere l’ultimo pezzo che
è stato scritto dalle istanze
o dalle Commissioni centrali del Partito o da “Il Bolscevico” e chiedersi se è giusto
o sbagliato. Se è sbagliato,
è necessario correggerlo attraverso il pezzo che stiamo
scrivendo; se è giusto, occorre attualizzarlo e vedere
se è possibile aggiungervi
qualcos’altro.
segnato. Con tranquillità e
serenità,senza affanni, un
passo per volta, imparando
e insegnando gli uni dagli
altri, dando il meglio di noi
stessi, tenendo ben alte le
bandiere dei grandi maestri
del proletariato internazionale, del socialismo, dell’anticapitalismo, dell’antimperialismo, dell’antifascismo,
dell’antirazzismo, dell’internazionalismo proletario e
del PMLI.
Marx all’età di 17 anni,
nel tema di tedesco per la licenza liceale ha scritto delle
parole che ci toccano ancora la mente e il cuore. Basta
sostituire alla scelta professionale la scelta marxistaleninista, all’umanesimo e
all’idealismo il materialismo.
Ecco quando ci ha detto:
“Quando abbiamo scelto
la professione nella quale
possiamo maggiormente
operare per l’umanità, allora gli oneri non possono più schiacciarci, perché essi sono soltanto
un sacrificio per il bene di
tutti; allora non gustiamo
una gioia povera, limitata ed egoistica, ma la nostra felicità appartiene a
milioni, le nostre imprese vivono silenziose, ma
eternamente operanti, e le
nostre ceneri saranno bagnate dalle lacrime ardenti di uomini nobili”8.
Viva, viva, viva i grandi
Maestri del proletariato internazionale!
Prendiamo esempio da
Marx, Engels, Lenin, Stalin
e Mao per trasformare l’Italia e noi stessi!
Viva il marxismo-leninismo-pensiero di Mao!
Gloria eterna a Marx, Engels, Lenin, Stalin e Mao!
Con Marx, Engels, Lenin, Stalin e Mao per sempre contro il capitalismo per
il socialismo!
Cacciamo il nuovo duce
Renzi!
Tutto per il PMLI, il proletariato e il socialismo!
Avanti, avanti, avanti con
forza e fiducia verso l’Italia
unita, rossa e socialista!
Con i Maestri e il PMLI
vinceremo!
Le contraddizioni in seno
al popolo e le contraddizioni antagonistiche, fin qui il
nostro Partito le ha affrontate in maniera corretta attraverso la critica e l’autocritica in modo franco, leale,
sincero e con spirito unitario. Dobbiamo continuare a
fare così anche in futuro. È
la nostra forza.
Quando le nostre opinioni non vengono condivise,
l’altro a scalare le montagne
che ci attendono nella nostra Lunga Marcia politica e
organizzativa.
Marx, Engels, Lenin, Stalin e Mao ci hanno lasciato in eredità un grande patrimonio ideologico, politico
e organizzativo, facciamolo
fruttare. Ciascuno in base
alle proprie possibilità e capacità e secondo il posto e il
ruolo che il Partito ci ha as-
(Tratto dal discorso “Da
Marx a Mao” pronunciato da
Giovanni Scuderi, Segretario generale del PMLI, a Firenze l’11 settembre 2016
in occasione della Commemorazione per il 40° Anniversario della scomparsa di Mao, pubblicato sul
n. 34 anche in forma cartacea de “Il Bolscevico” e
sul sito http://www.pmli.it/
articoli/2016/20160914_34a
_discorsoScuderiMarxMao.
html)
NOTE
agosto 1945, opere scelte,
Casa editrice in lingue estere-Pechino, vol. IV, pp. 1516
4 - Mao, Discorsi alla Conferenza dei segretari dei Comitati di partito delle province,
municipalità e regioni autonome, 27 gennaio 1957, in
Mao Zedong “Rivoluzione e
costruzione, scritti e discorsi 1949-1957”, Einaudi editore, p. 504
5 - Mao, Contro il liberalismo, 7
settembre 1937, opere scelte, Casa editrice in lingue
estere-Pechino, vol. II, p. 27
6 - Stalin, Lenin è morto, discorso pronunciato al II Congresso dei soviet dell’Urss
il 26 gennaio 1924, opere
scelte, Edizioni Rinascita,
vol. 6, p. 65
7 -Mao, Sulla contraddizione,
agosto 1937, ibidem, vol. I,
p. 336
8 -Marx, Considerazioni di un
giovane in occasione della scelta d una professione,
12 agosto 1835, opere Marx
Engels, Editori Riuniti, vol. I,
p. 7
1 - Mao, Rettificare lo stile di lavoro del Partito, 1° febbraio 1942, opere scelte Casa
editrice in lingue estere-Pechino, vol. III, p. 31
2 - Lenin, A proposito della lotta
in seno al partito socialista
italiano, 4 novembre 1920,
opere scelte, Editori Riuniti,
vol. 31, p. 365
3 -Mao, La situazione e la nostra politica dopo la vittoria nella guerra di resistenza contro il Giappone, 13
4 il bolscevico / interni
N. 1 - 12 gennaio 2017
Per assolvere il capitalismo e i suoi governi che li condannano alla disoccupazione cronica, al supersfruttamento e al precariato
Poletti insulta i giovani
e esulta se emigrano
Ecco la ricetta del ministro-negriero del Lavoro per porre rimedio alla devastazione
economica e sociale provocata dal Jobs Act e dalle politiche liberiste di questi anni
Le vergognose affermazioni di Giuliano Poletti dello
scorso 19 dicembre sui giovani italiani costretti a emigrare
hanno suscitato una forte indignazione di massa. “Conosco
gente che è andata via e che
è bene che stia dove è andata, perché sicuramente questo
Paese non soffrirà a non averli più tra i piedi”, aveva detto,
con sprezzante arroganza per
insultare i giovani che lasciano il loro Paese perché non
riescono a trovare un lavoro
dignitoso che gli permetta di
costruirsi un futuro.
Il ministro del Lavoro di
Renzi, già boss delle Coop
“rosse”, è stato confermato il
mese scorso nella compagine
governativa da Gentiloni per
rimarcare la perfetta continuità con le politiche filo-padronali sul lavoro del nuovo duce
Renzi, nonostante la disoccupazione in aumento, anche
giovanile, e l’evidente fallimento del Jobs Act nel ridurla. Anzi, per Poletti, “è bene
che i nostri giovani abbiano
l’opportunità di andare in giro
per l’Europa e per il mondo. È
un’opportunità per fare la loro
Deve dimettersi
esperienza”. Come se dietro
questa visione idilliaca dell’emigrazione giovanile dall’Italia
in cerca di migliori condizioni
di lavoro si potesse nascondere lo sfascio causato dal
suo Jobs Act e da anni di politiche liberiste che hanno devastato e precarizzato il lavoro in Italia.
Le scuse forzate e posticce di Poletti (“mi sono espresso male”), oltre a essere palesemente false visto che il
governo di cui faceva parte ha
enormemente peggiorato le
condizioni del lavoro giovanile in Italia, non hanno convinto nessuno. Di certo non i tantissimi giovani indignati che
si sono espressi in vari modi,
anche con vere e proprie contestazioni, contro il ministro.
È il caso per esempio della giovane ricercatrice Marta Fana, residente a Parigi, che in una lettera aperta
pubblicata sull’“Espresso” del
20 dicembre ha radicalmente smontato tutta la politica
governativa in tema di lavoro, concludendo: “Il problema,
ministro Poletti, è che lei e il
suo governo state decretan-
do che la nostra generazione,
quella precedente e le future
siano i camerieri d’Europa, i
babysitter dei turisti stranieri,
quelli che dovranno un giorno farsi la guerra con gli immigrati che oggi fate lavorare
a gratis”.
Un’altra lettera aperta gli
è stata inviata da numerosi
esponenti locali dei Giovani
Democratici, la giovanile del
PD, per chiedere le dimissioni
di Poletti, poiché “quello che
lei ha detto è per noi come
sale su una ferita aperta”. Richiesta alla quale il gruppo
dirigente del PD e il governo
sono rimasti ostinatamente
sordi, anzi hanno fatto quadrato attorno al ministro-negriero
e l’hanno definitivamente assolto con Gentiloni che, alla
conferenza stampa del 29 dicembre, dichiarava “chiusa” la
vicenda. Sotto sotto, evidentemente, condividono la linea
e le dichiarazioni del loro “degno” rappresentante.
Assolti il capitalismo
e i suoi governi
Ma di quale “lavoro” è mi-
nistro, Poletti? Non certo di
un lavoro stabile e dignitoso,
bensì di un lavoro precarizzato, sottopagato, supersfruttato, pressoché privo di protezione sindacale e con ancor
meno garanzie di stabilità e
continuità, dal quale vasti numeri di giovani non riescono a trarre il sostentamento
necessario a crearsi una famiglia, o a progettarsi un futuro, visto che non gli è nemmeno garantita la pensione,
spesso decisamente negata.
Senza contare le percentuali di disoccupati e cosiddetti inattivi. Un lavoro distrutto
da anni di controriforme per
renderlo sempre più precario
e meno tutelato, sempre più
fondato su ricatti e regalie filo-padronali come i “voucher”
e addirittura il lavoro gratuito mascherato da “volontariato” o “servizio civile”. Tutto
istituzionalizzato ed esacerbato dal Jobs Act di Renzi e
Poletti, i quali – in perfetta linea coi governi che li hanno
preceduti e ai quali Gentiloni
ha garantito continuità – hanno sempre agito per salvare i
profitti astronomici del grande
Cascina (Pisa), 18 dicembre 2014. La contestazione al ministro Poletti
durante la sua visita al Polo tecnologico di Navacchio
capitale industriale e finanziario, sforbiciando diritti, servizi pubblici e dignità dei lavoratori.
Sono queste le condizioni da cui sempre più giovani scappano, sperando di trovare migliore fortuna in Paesi
dove la crisi non ha ancora
affondato i denti tanto in profondità come in Italia. E sono
sempre queste le condizioni a
cui l’81% dei giovani ha detto NO al referendum costituzionale.
Si tratta di responsabilità
enormi che ricadono sul sistema capitalista nella sua
interezza e sui governi che
ne curano gli affari, che Poletti, esaltando l’emigrazione
giovanile, ha voluto assolvere.
Comunque la vicenda è
l’ennesima e la più lampante
dimostrazione del fatto che ormai il PD è un partito di destra
completamente ed entusiasticamente al servizio del sistema capitalista e della classe
dominante borghese, in grado
di produrre nemici dei lavoratori identici quando non peggiori dei vari Brunetta, Fornero e compagnia brutta. Ed è la
conferma che il governo Gentiloni continua sulla falsariga di
quello di Renzi. Le vergognose dichiarazioni di Poletti non
sono tollerabili. Costui si deve
dimettere. Se non lo farà, allora sia braccato e sommerso dalle contestazioni di piazza dai giovani e dai lavoratori
che ha così sprezzantemente
insultato.
Referendum Fiom-Fim-Uilm sul contratto dei metalmeccanici
Vince il Sì ma il dissenso è forte
Il NO al 20% ma in molte grandi aziende ottiene la maggioranza dei votanti. Alto l’astensionismo
Le organizzazioni di categoria di Cgil, Cisl e Uil, stavolta unite, hanno ottenuto
quello che volevano, il via libera all’accordo firmato il 25
novembre scorso. Un accordo che smantella il contratto
nazionale, consente aumenti
salariali solo in caso di maggiore produttività, lega i lavoratori all’azienda rendendoli clienti attraverso il dilagare
del welfare aziendale. Un accordo che per la prima volta
calcolerà eventuali aumenti non in previsione ma solo
dopo l’uscita dei dati Istat. Di
fatto instaura una scala mobile al contrario, un meccanismo automatico che non servirà più a mantenere il potere
d’acquisto dei lavoratori bensì
a salvaguardare i padroni che
in questo modo potranno concedere aumenti solo al di sotto dell’inflazione.
Una vertenza durata più di
un anno, con manifestazioni
e scioperi generali, liquidata
con un referendum svoltosi il
19, 20 e 21 dicembre a ridosso delle feste natalizie e con
pochissime assemblee per illustrare l’intesa raggiunta. O
meglio, i tre sindacati confe-
derali si sono adoperati per
far accettare l’accordo evitando il dibattito e preoccupandosi solo di ottenere la maggioranza dei voti. Cosa piuttosto
scontata visto la perfetta sintonia tra i segretari Landini,
Bentivogli e Palombella. Se
pensiamo che solo la pattuglia de il Sindacato è un’altra
cosa, una piccola minoranza
della Fiom-Cgil, si era schierata ufficialmente per il NO al
contratto quel 20% di lavoratori che ha sfiduciato l’intesa
firmata da Cgil-Cisl-Uil e Federmeccanica assume un significato che va al di là dei
numeri e dimostra che, quantomeno nella Fiom, non tutti accettano il nuovo modello
contrattuale voluto da Confindustria.
Il gruppo dirigente della
Fiom ha invece firmato la resa
incondizionata a quel modello
cogestionario, neocorporativo
e aziendalista che accetta di
farsi carico delle esigenze padronali abbandonando il conflitto e le rivendicazioni dei lavoratori. Un tipo di sindacato
da sempre portato avanti dalla Cisl e che a livello padronale ha la sua espressione
più aggressiva nel cosiddetto
“modello Marchionne” instaurato per la prima volta a Pomigliano e contro cui la Fiom
si era opposta lasciando Cisl
e Uil da soli a firmare accordi separati ed entrando in conflitto anche con la Camusso e
la segreteria confederale. La
capitolazione di Landini è incondizionata e appaiono patetiche le sue affermazioni
che narrano di un accordo in
cui non c’è stato “alcun tipo
di scambio improprio” e di un
contratto che “allarga i diritti e
struttura il percorso democratico nel contrattato nazionale”.
La decantata certificazione del contratto è avvenuta
tramite un referendum dove
le ragioni del NO non hanno
trovato spazio salvo casi rari.
Ma non era proprio la Fiom
che rivendicava alla Cgil il diritto di illustrare tutte e due le
posizioni (favorevole e contraria) nella vicenda della consultazione sul Testo Unico del
10 gennaio? Ma Landini ci ha
oramai abituato a due pesi e
due misure: chiede democra-
zia quando deve sbrigare le
sue beghe personali, sfidare
la Camusso o portare avanti
i suoi progetti (vedi ex Coalizione Sociale) ma si dimostra
intollerante con chi dissente
dalle sue decisioni, vedi ad
esempio la vicenda Bellavita e i delegati FCA sanzionati
per essersi opposti agli straordinari obbligatori e all’aumento dei ritmi.
I risultati hanno dato l’80%
ai Sì e il 20% al NO, i votanti
sono stati circa il 63% perciò
una buona fetta di lavoratori
evidentemente ha espresso
il suo dissenso anche con l’astensionismo. Oltretutto l’alto
numero degli astenuti mette in
dubbio il regolare svolgimento della consultazione poiché,
guarda caso, nelle aziende
più piccole, dove di norma c’è
meno sindacalizzazione e organizzazione e nessuno a sostenere pubblicamente il NO,
quasi ovunque c’è il 100% dei
votanti e di voti per il Sì, luoghi
di lavoro dove il verbale viene
compilato dal funzionario sindacale senza alcun controllo.
Il dissenso vince nelle grandi
fabbriche, nelle aziende dove
si sciopera, dove si trova l’os-
satura portante degli operai
metalmeccanici e anche dove
risulta minoritario spesso il
NO contende la vittoria al Sì.
Alla Same in provincia di
Bergamo il NO ha superato il
90% come alla GKN di Firenze e alla Marcegaglia di Forlì, altissime percentuali all’Ilva di Genova, alla Fincantieri
sempre di Genova, di Sestri e
di Marghera, all’ABB di Milano, in tutto il gruppo Electrolux, alla Microelectronics di
Catania, alla Piaggio e alla
Continental in provincia di
Pisa, vince il NO anche alla
Finmeccanica di Milano, all’Avio di Pomigliano, alla Dalmine di Bergamo, alla DEMA di
Napoli, alla Tyssenkrupp di
Terni e in tantissime altre realtà metalmeccaniche del Paese, in particolare là dove il
NO ha avuto la possibilità, attraverso la voce dei delegati,
di poter spiegare le proprie ragioni. Pur con forti dubbi sulla regolarità del referendum
il Si ha vinto ma quel 20% di
NO, un lavoratore su 5, dimostrano che il dissenso c’è ed
è molto forte, specie nelle fabbriche più grandi e sindacalizzate.
vertenza almaviva / il bolscevico 5
N. 1 - 12 gennaio 2017
Al call center più grande d’Italia
Licenziati 1.666 lavoratori
di Almaviva
Dopo il NO della RSU romana un referendum ottiene un risicato Sì (55%) all’accordo, l’azienda conferma la chiusura delle trattative
Almaviva come la Fiat di Pomigliano:
o si riducono salari e diritti o si licenzia
Sta giungendo alle battute finali la vertenza Almaviva, il call
center di proprietà della famiglia
Tripi che chiede ai lavoratori inaccettabili tagli ai propri stipendi e
ai propri diritti. Solo così l’azienda aveva ventilato la possibilità
di mantenere operative le sedi di
Roma e Napoli che assieme occupano più di 2.500 dipendenti.
Promesse tra l’altro molto vaghe che non assicurano in alcun
modo la stabilità futura di questi
posti di lavoro, ma al massimo un
“congelamento” dei licenziamenti. La strategia del gruppo, come
di tutti gli operatori del settore,
sembra molto chiara ed è il trasferimento all’estero, in particolare Albania e Romania, alla ricerca
del salario più basso.
Una vertenza molto dura che
oramai da un anno tiene sulla corda migliaia di lavoratori e le loro
famiglie. Nel mirino sopratutto
le sedi di Roma, Napoli e Palermo, oltre 5.000 tagli su un totale
di 13mila occupati in tutta Italia.
Solo il sito siciliano si è in seguito momentaneamente salvato,
“grazie” all’ennesimo sacrificio
imposto ai lavoratori e ai trasferimenti in Calabria con un accordo
firmato circa un paio di mesi fa.
Maggiore produttività, maggiore controllo, salari da fame sono
una costante dell’atteggiamento
di Almaviva che chiede ai suoi
dipendenti sempre maggiori sacrifici.
Ma questo braccio di ferro ha
trovato l’opposizione, che forse
l’azienda non si aspettava, dei lavoratori costituiti in larga parte da
giovani e donne che stanno conducendo da molti mesi una lotta
che ha avuto momenti di grande
mobilitazione. Un esempio è stato il referendum sul piano proposto da Almaviva ad inizio 2016
che proponeva una ricetta con
i soliti ingredienti: licenziamenti,
trasferimenti, tagli ai salari. Nonostante le minacce nella consultazione svoltasi tra aprile e maggio
si era registrato un netto rifiuto
alle pretese dell’azienda: in tutte
le sedi italiane i lavoratori avevano votato NO con percentuali al
di sopra del 90%.
Ma la storia di Almaviva è cronicamente segnata da ricatti e
minacce, nonostante fin dalla sua
nascita abbia sempre usufruito di
agevolazioni e vantaggi, ottenuti
grazie anche alle potenti amicizie
che il suo padre padrone, Alberto Tripi, stringe con i maggiori
politici borghesi italiani, tra tutte
quella con il democristiano ed ex
Presidente del Consiglio Romano
Prodi. Si narra che nella stanza
a fianco al suo studio sia nato
Una delle numerose manifestazioni delle lavoratrici e dei lavoratori di Almaviva in difesa del posto di lavoro, contro i licenziamenti e la chiusura
vano utilizzati per coprire forme
l’Ulivo nel 1996. È lui stesso in
di vero e proprio lavoro subordiuna intervista a La Repubblica di
nato. Grande vittoria dei lavoraqualche anno fa a confermare la
tori, ma il governo Prodi correrà
frequentazione della sua azienda:
in soccorso della famiglia Tripi
“quando il mio amico Prodi aveva
consentendo all’azienda di non
bisogno di un posto tranquillo per
pagare il pregresso che avrebbe
lavorare al nuovo progetto”.
dovuto dare ai suoi dipendenti. I
In pochi anni Almaviva è divenlavoratori assunti sono così cotata leader nel suo campo, aggiustretti a firmare una liberatoria per
dicandosi le commesse di azienrinunciare a ciò che gli spetta pride come Enel, Vodafone, Alitalia,
ma della data dell’assunzione e,
Sky, Telecom, Wind, Poste Italiacome se non bastasse, Almaviva,
ne, le quali, piuttosto che manper tali regolarizzazioni alle quali
tenere all’interno costi e responera stata costretta, intasca pure
sabilità di alcuni dei loro servizi,
degli incentivi.
in particolare quelli di assistenza
Lo sfruttamento intensivo dei
ai clienti e il procacciamento
Roma, 22 dicembre 2016. Il presidio di protesta dei lavoratori sotto
lavoratori e gli incentivi pubblici
di nuovi contratti, preferiscono
il MISE (Ministero Infrastrutture e Sviluppo Economico) durante l’inpermettono all’azienda di espanesternalizzarli, con la pratica decontro tra le parti per evitare i licenziamenti
dersi all’estero, dalla Tunisia al
finita outsourcing, affidandoli ad
dicembre si è svolto l’incontro
calmente attivi, e trasferimenti di
Brasile, ottenendo ulteriori enoraziende che sgomitano tra loro in
decisivo tra l’azienda, i rapprecommesse per mettere in cattiva
mi guadagni. Anche la stabilizzagare al massimo ribasso (spesso
sentanti sindacali e il governo nel
luce alcune sedi e giustificarne la
zione dei lavoratori con contratto
per commesse proveniente dallo
tentativo d’impedire ad Almavichiusura o il ridimensionamento
di somministrazione che avviene
stesso settore pubblico) in grado
va di gettare sul lastrico alcune
che in realtà viene deciso in base
a Napoli e Catania, ma con indi garantire i profitti sia dei commigliaia di persone. Sostanzialalle agevolazioni.
quadramento professionale infemittenti che delle aziende di sermente è passata la proposta del
Così arriviamo ai giorni noriore alle altre sedi, tra il 2010 e
vizi alle imprese.
governo per cui il colosso dei
stri quando l’azienda annuncia
il 2012, è determinata dalla posGià nel 2000 Almaviva usufrucall-center accetta solo un temla chiusura delle sedi di Roma
sibilità per Almaviva di intascare
isce di sgravi contributivi dati alle
poraneo congelamento dei licen(1.666 addetti) e Napoli (850).
incentivi statali e, nel caso di Naaziende che assumevano nelle
ziamenti basato sul rinvio e sulla
Ancora una volta la reazione dei
poli, anche regionali. Una politiregioni considerate svantaggiate
proroga di altri 3 mesi delle tratlavoratori è dura e decisa e si
ca a dir poco spregiudicata che,
(Leggi 407/90 e 388/2000) aprentative. In questo periodo entrerà
susseguono gli scioperi, volantiassieme al fiume di soldi pubblici
do sedi a Napoli, Palermo, Cain campo la cassa integrazione: a
naggi, picchetti, blocchi stradali,
si è sempre caratterizzata per i
tania entrando prepotentemente
zero ore per il mese di gennaio, al
l’ultimo sciopero in ordine di temcontinui trasferimenti di personanel mercato grazie a soldi pub75% per il mese di febbraio e al
po è stato fatto il 19 dicembre,
le al fine di neutralizzare e isolare i
blici e ampliandosi sul territorio
50% per marzo.
ferme tutte le sedi italiane. Il 21
lavoratori più combattivi e sindaitaliano negli anni seguenti anche
attraverso alcune acquisizioni.
Più tardi nel 2007, a seguito della forte battaglia dei lavoratori,
Almaviva stabilizza circa 4.000
precari, dopo che l’Ispettorato
del Lavoro dichiarò illegittimi i
contratti di collaborazione coordinata e continuativa che veni-
Direttrice responsabile: MONICA MARTENGHI
e-mail [email protected]
sito Internet http://www.pmli.it
Redazione centrale: via A. del Pollaiolo, 172/a - 50142 Firenze - Tel. e fax 055.5123164
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murale al n. 2820 del Registro della stampa del Tribunale di Firenze
Editore: PMLI
chiuso il 4/1/2017
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ore 16,00
COSA FARE
PER ENTRARE NEL PMLI
Secondo l’art. 12 dello Statuto, per essere membro del PMLI occorre accettare il Programma e lo Statuto del Partito, militare e lavorare attivamente in una istanza del Partito,
applicare le direttive del Partito e versare regolarmente le quote mensili, le quali ammontano: lavoratori euro 12,00; disoccupati e casalinghe euro 1,50; pensionati sociali e studenti euro 3,00.
Lo stesso articolo dello Statuto specifica che “può essere membro del Partito qualunque elemento avanzato del proletariato industriale e agricolo, qualunque elemento avanzato dei contadini poveri e qualunque sincero rivoluzionario sulle posizioni della classe
operaia... Non può essere membro del Partito chi sfrutta lavoro altrui, chi ha e professa
una religione o una filosofia non marxista”.
Oltre a ciò occorre accettare la linea elettorale astensionista del Partito.
L’ingresso al PMLI avviene dopo l’accettazione della domanda di ammissione il cui
modulo va richiesto al Partito.
Nonostante i lavoratori si fossero espressi in modo fermo e
inequivocabile contro qualsiasi
intesa che avesse previsto un
maggiore controllo sui dipendenti
e un taglio ai salari Cgil, Cisl e Uil
hanno firmato un accordo che va
nella direzione opposta. Inasprimento del controllo a distanza
sulla prestazione lavorativa del
singolo operatore, riduzione del
salario abbassando di un livello
l’attuale inquadramento, licenziamenti volontari e, in caso di
mancato cedimento al ricatto su
salario e controllo, gli esuberi saranno trattati con il licenziamento
collettivo entro 15 gg, in più Almaviva pretende un immediato
quanto generico aumento della
produttività nelle due sedi.
Di fronte a questo diktat la RSU
della sede di Napoli decideva a
maggioranza per il Sì all’accordo
mentre quella di Roma rispondeva
all’unanimità di NO. Dopo di che si
scatenava un vergognoso attacco
ai rappresentanti sindacali aziendali romani tacciati di essere “irresponsabili” per non aver fatto altro
che rispettare il mandato avuto dai
lavoratori, rischiando loro stessi il
posto di lavoro. A questo punto
l’unica vertenza è stata scissa in
due distinte con la sede di Napoli,
tenuta momentaneamente in sospeso, mentre per tutti i 1.666 dipendenti di Roma sono state spedite le lettere di licenziamento.
Cercando in extremis di far
convergere tutti sulla sua proposta il governo ha fatto propria
l’idea della Cgil di far votare i lavoratori romani e il 27 dicembre,
con le lettere di licenziamento
già in mano in quasi 1.100 hanno votato sull’accordo nella sede
romana della Cgil, dove il Sì ha
vinto seppur di poco, 590 rispetto
ai 473 NO. Sia per l’accordo del
23 dicembre che per la consultazione del 27 si è ricreato quel
clima instaurato a Pomigliano per
il piano imposto da Marchionne
dove la scelta è stata: o accettate
il peggioramento delle condizioni
di lavoro, o il vostro posto semplicemente sparisce o emigra
all’estero. Almaviva comunque
non ha fatto marcia indietro confermando i licenziamenti, intanto
Roma ma anche Napoli rimane
nel mirino. Separando la vertenza
il governo ha vergognosamente
diviso i lavoratori e fatto ricadere
la colpa sulla RSU romana che si
è coraggiosamente opposta alle
minacce e ai ricatti di Almaviva.
La colpa è dell’azienda che si
garantisce i profitti e poi scarica
sui lavoratori le difficoltà. Ma anche del governo. Una legislazione
che fa acqua da tutte le parti offre
alle aziende del settore ampia libertà di manovra nella delocalizzazione esterna alle ditte “madri”
che subappaltano parte dei loro
servizi, a questa si aggiunge quella interna all’Italia, oggi ampliata
dall’entrata in vigore del Jobs Act
che permette licenziamenti e demansionamenti, e quella esterna
con lo spostamento all’estero di
sedi che lavorano comunque per
l’Italia e infine con le stesse commesse pubbliche fatte al ribasso
e già sotto il livello dei contratti
nazionali che in qualche modo
“costringono” le aziende a cercare Paesi dove il costo della vita e
i salari sono più bassi.
in particolare per garantire la manutenzione dei mezzi e l’addestramento del
personale. Nel Documenti Programmatico Pluriennale della Difesa 2014-201632
leggiamo:
6 il bolscevico / imperialismo italiano
N. 1 - 12 gennaio 2017
«Le attività destinate all’addestramento avanzato, alla preparazione e alla
prontezza del sulle
personale
e delle
unità saranno
sostenute, pressoché nella
Lo certifica l’Osservatorio
spese
militari
italiane
L’Italia imperialista e interventista
E’ sempre piu’ armata
loro totalità, con le risorse allocate per le missioni internazionali e
potranno, pertanto, assicurare la necessaria prontezza operativa delle
sole unità destinate a tali attività»
Una situazione paradossale per cui senza le missioni all’estero, e il !relativo
Þnanziamento MEF, la Difesa non avrebbe soldi per mantenere operativo lo
Per il 2017 le spese militari
ammontano
miliardi
400
milioni
La terza scelta
metodologicaa - 23
la più
rilevanteedal
punto
di vista non solo
strumento militare.
economico ma anche politico - riguarda l’inclusione nel ricalcolo delle spese
64 milioni al giorno
per caccia, portaerei e missili
militari dei sempre più massicci contributi Þnanziari del Ministero dello Sviluppo
Mentre miloni di famiglie
versano in condizioni di povertà assoluta, le spese militari per sostenere la politica
neocolonialista imperialista e
interventista dei governi Renzi
e Gentiloni continuano ad aumentare.
A certificarlo sono le anticipazioni dello studio elaborato dall’Osservatorio sulle
spese militari italiane Mil€x
(www.milex.org) presentate il
23 novembre alla Camera dai
due promotori del progetto ed
esperti in materia: il giornalista
de Il Fatto Quotidiano, Enrico Piovesana, e il ricercatore
Francesco Vignarca.
Lo studio completo sarà
pubblicato a gennaio, dopo
l’approvazione degli stanziamenti definitivi nella legge di
bilancio; ma già da queste
anticipazioni si possono trarre
alcune conclusioni sui fondi
stanziati prendendo in esame
non solo il bilancio della Difesa ma anche tutti i capitoli
di spesa “militari” in capo al
ministero dello Sviluppo economico, come le aggressioni
imperialiste all’estero e i programmi di “ammodernamento
e acquisto” di armamenti utili
a foraggiare le aziende belliche nostrane a cominciare
dalla Leonardo, ossia l’ex Finmeccanica, Fincantieri e Iveco
che nel corso degli ultimi anni
si sono spartiti commesse per
oltre 50 miliardi di euro.
Basti pensare che il riarmo
militare italiano costa alle masse popolari oltre l’1,4% del Pil
nazionale. A tutto vantaggio
delle 112 industrie armiere (12
grandi e cento piccole e medie)
beneficiarie delle commesse
statali. In cantiere ci sono una
nuova portaerei, sette fregate
e decine di nuovi carri armati
Centauro 2 e elicotteri d’attacco Mangusta 2. In Turchia
i Mangusta italiani, rinominati
T129 Atak, sono già da tempo
utilizzati contro i kurdi.
Lo studio stima infatti che
per il 2017 l’esborso complessivo per armamenti e personale militare si aggira intorno ai
23 miliardi e 400 milioni, ossia
64 milioni di euro al giorno: un
aumento dello 0,7 per cento rispetto alla dotazione del 2016
e di quasi il 2,3 per cento in più
rispetto alle previsioni. Il criterio di calcolo elaborato dall’Osservatorio Mil€x - lo stesso che
viene usato dagli organismi
internazionali più accreditati –
sbugiarda tra l’altro la ministra
della guerra Pinotti sui presunti tagli alla Difesa: i fondi reali
invece sarebbero aumentati
del 21 per cento nell’ultimo
decennio. Così nel 2017 solo
per l’acquisto di strumenti e
armamenti per le forze di cielo,
di terra e di mare si impiegheranno 5,6 miliardi di euro, ossia
15 milioni al giorno.
La prima analisi dettagliata
dell’andamento della spesa
militare parte dal 2006 (annobase perché il primo con dati
comparabili) per arrivare al bilancio previsionale del 2017.
Mentre per quanto riguarda
la speciale classifica dei ministri più guerrafondai che più
hanno speso in questo settore
dal 1993 a oggi, al primo posto spicca l’ex segretario del
PD Pier Luigi Bersani che ha
varato finanziamenti per oltre
27 miliardi, seguito da Federica Guidi con 8 miliardi, Claudio Scajola con 6,5 miliardi ed
Enrico Letta con quasi 4. Dunque, nonostante sia rimasta al
potere per meno anni, il centro
“sinistra” ha finanziato più di
chiunque altro governo l’industria bellica.
Emblematico in tal senso
è l’acquisto più oneroso della
storia, ossia quello relativo ai
caccia Joint Strike Fighter F35
della Lockheed Martin. 131
esemplari ordinati nel 2009
poi ridotti a 90 nel 2012 per un
budget complessivo già rilievitato a 13,5 miliardi che il governo si è impegnato a pagare
attraverso l’accensione di mutui con interessi stellari (circa il
30 per cento del capitale, dice
il rapporto di Mil€x), contrattati
con vari istituti di credito tra cui
Intesa, Bbva. Sulla mega commessa degli F35 l’Osservatorio
esprime tra l’altro grossi dubbi
non solo per quanto riguarda
l’impegno a dimezzare la spesa votato dalle Camere, ma
segnala anche come siano già
stati stati firmati ordini per otto
supercaccia e versati acconti
per altri sette. Inoltre è già previsto che una parte degli F-35
- secondo il Rapporto - prima
o poi salperà a bordo della
Trieste, la nuova supernave da
1.100 milioni della Marina mascherata da “unità di sostegno
agli sbarchi di migranti e soccorsi umanitari” ma che in realtà sarà destinata a diventare
il nuovo fiore all’occhiello delle
portaerei italiane.
Infine c’è una voce nel bilancio 2017 che letteralmente
decolla: quella dei voli di Stato,
con un 50 per cento in più. Serviranno infatti ben 23 milioni e
mezzo per il noleggio del nuovo Airbus presidenziale voluto
a suo tempo da Matteo Renzi. “Non è il mio aereo”, aveva
detto l’allora premier: “È un jet
in leasing, usato, che serve a
portare gli imprenditori a fare
missioni all’estero”. Finora se
ne ricorda una sola, forse la più
costosa trasvolata della storia
italiana.
E pensare che la ministra Pinotti, lo scorso settembre aveva
dichiarato che “Sulla difesa non
si può più tagliare, dopo che negli ultimi dieci anni le risorse a
disposizione sono state ridotte
del 27 per cento. Tutto quello
che si doveva tagliare si è tagliato, ma ora su questo capitolo è
venuto il momento di tornare ad
investire”.
In realtà l’Italia interventista e
guerrafondaia del nuovo duce
Renzi vuole mostrare i muscoli
nel Mediterraneo e ambisce a
svolgere un ruolo di superpotenza nello scacchiere internazionale. La riprova sta nel fatto
che, con l’acquisto di questi
sette nuovi “pattugliatori”, la
Marina italiana schiererà due
portaerei e diciannove unità di
primo rango superando la Marina francese e ponendosi al pari
della potenza navale inglese.
!
Tabella 3 — Finanziamenti MEF alle missioni e operazioni militari (milioni di ")
Economico ai più onerosi programmi di acquisizione e ammodernamento di
2006 2007 2008 2009 2010 2011 2012 2013 2014 2015 2016 2017
armamenti della
Difesa (programma F-35 escluso). Cifre che, tra stanziamenti
La decisione di destinare al comparto difesa gran parte delle risorse pubbliche a
Missionie contributi pluriennali, superano ormai i 3 miliardi l’anno, cioè gran parte
diretti
1.030,3 1.050,5 1.171,5 1.505,7 1.521,8 1.498,7 1.403,4 1.201,3 1.072,5 1.225,2 1.308,2 1.308,2
internazionali
sostengo budget
della politica
industriale
nazionale
risale all’epoca
con
dell’intero
annuo del
MISE destinato
alla principale
missionedi
delCraxi,
ministero,
Operazione
-
-
31,2
58,9
67,2
67,0
67,0
67,0
40,0
80,7
81,0
120,5
Strade Sicure
ovvero
gli investimenti
a sostegno
“Competitività
e sviluppo
delle imprese”
l’approvazione
della legge
808 deldella
1985
per lo sviluppo
e l'accrescimento
della
1030,3
1.202,7
1.589,0 1.565,7 1.470,4 1.268,3 1.112,5
1.389,2 1.428,7
TOTALE (tabella
italiane
4 e1050,5
Þgura
1). 1.564,6
competitività
delle
industrie
operanti
nel settore aeronautico45. 1.305,9
Da allora,
quello
Elaborazione MIL!X su dati contenuti nei Decreti di proroga delle missioni internazionali 33 e nelle Leggi di Bilancio34
che all’epoca si chiamava Ministero dell’Industria, del Commercio e dell’Artigianato
Tabella 4 — Finanziamenti MISE al comparto difesa (milioni di ")
(retto
in quegli
anni militare
dal liberale
Renato Altissimo),
poi Ministero
delle Attività
Produttive e
Altra voce
di spesa
extra-bilancio
a carico del
dell’Economia
e
2008
2009
2010
2011
2012
2013
2014
2015
2016
2017
2.583,9
2.911,7
2.671,9
2.663,3
2.676,4
3.306,1
3.828,2
3.774,7
4.110,6
3.903,5
oggi
Sviluppo
Economico,
regolarmente
sovvenzionato
militare
delle dello
Finanze
(nell’ambito
del ha
programma
“Fondi
di riserva l’industria
e speciali”
della
Budget competitività
sviluppo imprese
missione
“Fondi
da solo
ripartire”)
è quellainriferita
al costo
dell’impiego
di
nazionale,
non più
aeronautica,
virtù di
nuovi annuale
Þnanziamenti
decisi da
Finanziamenti
1.851,0
2.268,7
2.306,5
2.253,8
2.725,1
2.845,8
2.819,4
3.363,7
4.800
uomini
centinaia
di mezzi
blindati
dell’Esercito
sul territorio
nazionale
governi
di ogniecolore
a2.154,8
partire
dai primi
anni
’90 per
un totale
di
oltre3.089,6
50
miliardi
comparto difesa
35 avviata (e quindi conteggiata) dal
nell’ambito
dell’operazione
“Strade Sicure”
Quota
% considerando
di
euro,
i programmi
principali
5).74,3
71,6 solo
74,0
84,9
86,6
84,2 (tabella
82,4
74,7
75,2
86,2
comparto difesa
2008 per fronteggiare terrorismo e criminalità organizzata.
Elaborazione MIL!X su dati Ministero dello Sviluppo Economico36
Tabella
5 Ñ Programmi dÕacquisizione armamenti Þnanziati dal MICA/MAP/MISE (milioni di ")
31
Ex articolo 1, comma 200, della legge 23 dicembre 2014, n. 190.
http://www.difesa.it/Content/Documents/nota_aggiuntiva/01_DPP_2014_2016.pdf
33
http://www.parlamento.it/523?area_tematica=17Costo
Programmi
Anno
Governo
4.500
Figura
1 — Finanziamenti MISE al comparto difesa (milioni di ")
32
MICA/MAP/ Ministro
MISE
Difesa
34 http://www.rgs.mef.gov.it/VERSIONE-I/Attivit--i/Bilancio_di_previsione/Bilancio_Þnanziario/2017/Disegno-di-Legge-diBudget competitività sviluppo imprese
Bilancio/
comparto difesa
24
elicotteri Finanziamenti
EH-101 imbarcati
1993
Amato I
Guarino
1.155
http://www.esercito.difesa.it/operazioni/operazioni_nazionali/Pagine/Operazione-Strade-Sicure.aspx
Andò
35
21.000
1998
Prodi I
Bersani
Andreatta
Portaerei Cavour
1.390
1998
Prodi I
Bersani
Andreatta
Ammod. 40 cacciabombardieri Tornado
1.200
1999
D’Alema I
Bersani
Scognamiglio
116 elicotteri Nh-90 per EI e MM
3.995
2000
Amato II
Letta
Mattarella
Satelliti spia COSMO-SKYMED
687
2002
Berlusconi II
Marzano
Martino
Elicotteri AW-149
325
2004
Berlusconi II
Marzano
Martino
12 aerei da trasporto C-27J Spartan
580
2005
Berlusconi III
Scajola
Martino
Berlusconi III
Scajola
Berlusconi III
Scajola
96 cacciabombardieri EuroÞghter
3.000
Anticipazione Rapporto MIL!X 2017
1.500
Prototipo drone UCAV Neuron
2008
10 fregate FREMM
2009
2010
2011
88
5.973
2012
2005
2006
2013
2014
Martino
2015
2016
Martino
8
!
2017
blindati
da combattimento
- T1 stanziamenti,
2006riportato
Prodi II nelle Note
Bersani Integrative
Parisi
1.540
Il 249
dato
complessivo
diFRECCIA
questi
alla
18 caccia di
da addestramento
M-346ilMaster
II
Bersani
Parisin. 133
Legge
Bilancio per
MISE, è 660
quello 2007
riferitoProdi
allÕobiettivo
strutturale
Satelliti spia SICRAL 2
2007
Prodi II
Bersani
Parisi
300
“Partecipazione al Patto Atlantico e ai Programmi europei aeronautici, !navali,
15 elicotteri HH-101 Merlin CSAR
1.050
2008
Prodi II
Bersani
Parisi
360
2009
Berlusconi IV
Romani
La Russa
aerospaziali e di elettronica professionale” comprendente “lo sviluppo e la
Digitalizzazione Forza NEC
2009
Berlusconi IV
Romani
La Russa
InÞne
il dato più signiÞcativo, quello940
riguardante
la spesa in armamenti.
Non 2017
Pattugliatore ATR-72 SW
abbiamo un aumento rispetto al 2016 sia dello stanziamento previsionale a
Convertiplano
AW-609
2009
Berlusconi IV
Romani
La Russa
148
http://www.rgs.mef.gov.it/_Documenti/VERSIONE-I/Attivit--i/Bilancio_di_previsione/Note_integrative/Note-preli/2016/n-ibilancio
Difesa
per
i
programmi
di
acquisizione
e
ammodernamento
di
LB/30.pdf
381 blindati da combattimento FRECCIA - T2
2014
Renzi
Guidi
Pinotti
2.650
36
57
armamenti
dei contributi
che il Ministero
delloPinotti
Sviluppo
Portaerei Trieste e 7(+11
fregate per
PPA cento), sia5.428
2014
Renzi
Guidi
Anticipazione
Rapporto
2017
45 caccia addestramento/PAN
M-345
HET
Economico
destinaMIL!X
allo
stesso
9
!
546,8 (+8,9
2016 perRenzi
Calenda
scopo
cento). Sommando
lePinotti
due voci
237,4
Missili terra-aria ASTER B1NT
2016
Renzi
Calenda
Pinotti
(tabella
9 e Þgura 5), la spesa annua
complessiva
in armamenti
nel 2017
supera i
50 carri da combattimento CENTAURO 2
571
2016
Renzi
Calenda
Pinotti
3 prototipi nuovo elicottero da attacco
487
2016
Renzi
Calenda
Pinotti
5,6 miliardi (pari a otre 15 milioni di euro al giorno), con un aumento di quasi il 10
per cento sul 2016, arrivando a rappresentare quasi un quarto della spesa militare
TOTALE
complessiva.
51.311,2
Note: cliccando sui singoli programmi si accede ai relativi documenti ufÞciali; in grassetto i costi dei programmi integralmente a carico del
MICA/MAP/MISE, gli altri prevalentemente a carico del MISE
Tabella 9 — Spese Difesa e MISE relative agli armamenti (milioni di ")
2006 2007 2008 2009 2010 2011 2012 2013 2014 2015 2016 2017
45Armamenti
1.396,1 3.161,0 3.294,1 2.561,5 2.821,4 3.134,6 2.280,5
http://www.normattiva.it/uri-res/N2Ls?urn:nir:stato:legge:1985;808
Difesa
Armamenti
MISE
1.643,1
TOTALE
3.039,2
3.181,1 3.027,1 2.228,7 2.043,9 2.275,9
996,1 1.851,0 2.154,8 2.268,7 2.306,5 2.253,8 2.725,1 2.845,8 2.819,4 3.089,6 3.363,7
Anticipazione Rapporto MIL!X 2017
Var. % annua
4.157,1
5.145,1
4.716,3
5.090,1
5.441,1
4.534,3
5.906,2
5.872,9
5.048,1
5.133,5
5.639,6
36,8
23,8
-8,3
7,9
6,9
-16,7
30,3
-0,6
-14,0
1,7
9,9
Elaborazione MIL!X su dati Ministero della Difesa 58 e MISE59
Figura 5 — Le due componenti della spesa relativa agli armamenti (milioni di ")!
Var.%
’06-‘17
63,0
104,7
!11
85,6
interni / il bolscevico 7
N. 1 - 12 gennaio 2017
Dopo il fallimento della ricapitalizzazione privata di Mps voluta da JP Morgan e da Renzi
Paracadute pubblico da 20 miliardi
per le banche
Nazionalizzare Montepaschi e le altre banche in crisi
Il 23 dicembre, preso atto del
fallimento più che prevedibile
dell’operazione di ricapitalizzazione per 5 miliardi attraverso
il mercato, il vertice del Monte
dei Paschi di Siena ha chiesto
ufficialmente l’intervento “preventivo” del Tesoro per salvare
la banca dal fallimento. Il decreto del governo che stanziava
20 miliardi per salvare il Mps,
ma anche altre banche minori
in difficoltà, come le due venete
sull’orlo del fallimento, Carivicenza e Venetobanca, ma anche
Carige, le Casse di risparmio di
Rimini, Cesena e San Miniato e
le quattro banche del decreto
“salvabanche” dell’anno scorso, era già stato approvato da
governo e autorizzato dal parlamento secondo la procedura del
nuovo articolo 81 della Costitu-
zione sul pareggio di bilancio,
ed aveva anche il consenso di
massima delle autorità europee.
In realtà il decreto era pronto
da mesi, dato che la situazione
disperata del Mps, zavorrato
da ben 27 miliardi di crediti non
riscuotibili era ben nota, e la
Commissione europea lo aveva
già esaminato e approvato, ma
Renzi ha preferito tenerselo nel
cassetto fino al referendum, sia
per poter agitare lo spauracchio del fallimento della banca
senese in caso di vittoria del
NO, sia per dare tempo ai suoi
amici della JP Morgan e all’amministratore delegato di Mps,
Morelli, di tentare di reperire i
finanziamenti per 5 miliardi necessari per la ricapitalizzazione
sul mercato privato.
JP Morgan, alla testa di un
pool di banche tra cui Mediobanca, era già advisor di Mps per
l’operazione di ricapitalizzazione
avviata dal precedente vertice. Il
piano del suo presidente James
Dimon, concordato con Renzi in
un incontro a Palazzo Chigi nel
luglio scorso, era quello di utilizzare l’operazione di ricapitalizzazione sul mercato per comprarsi
l’istituto senese a prezzi stracciati insieme ad altri investitori
stranieri suoi amici. Si parlava
allora di un fondo del Quatar e
degli hedge fund del finanziere
americano Soros, che poi però
si sono tirati indietro. Per mandare avanti questa operazione
Dimon aveva preteso e ottenuto
da Renzi la testa dell’allora ad
di Montepaschi, Fabrizio Viola, e la sua sostituzione con un
uomo di provenienza JP Morgan
come Marco Morelli, già vice di
Giuseppe Mussari mentre con
le sue operazioni spericolate
costui scavava il baratro sotto
l’allora terza banca italiana.
Sta di fatto che l’operazione
di ricapitalizzazione per 5 miliardi
di fine dicembre è miseramente
fallita, come era facilmente prevedibile, e nel frattempo, mese
dopo mese, non si arrestava la
fuga dei correntisti spaventati
dall’incertezza sull’intervento del
governo, tanto che da giugno
scorso se ne sono andati via ben
14 miliardi (l’11% dei depositi),
di cui 6 miliardi negli ultimi tre
mesi, mentre il titolo Mps continuava a crollare in Borsa, tanto
che a fine operazione il capitale
della banca si era ridotto a soli
500 milioni, poco sopra la ricca
parcella pretesa da JP Morgan e
Il Consiglio di Stato boccia la legge
che obbliga la banche popolari
a trasformarsi in spa
La circolare di Bankitalia sulla trasformazione delle Popolari
in spa presenta “profili di non
manifesta infondatezza” di legittimità costituzionale e “appare
affetta da vizi derivati nella parte in cui disciplina l’esclusione
del diritto al rimborso”. Inoltre
“I provvedimenti impugnati (e
la disciplina legislativa sulla cui
base sono stati adottati) incidono direttamente su prerogative
relative allo status di socio della
banca popolare, così presentando profili di immediata lesività“.
Così il Consiglio di Stato ha
sospeso in via cautelare la circolare della Banca d’Italia che
contiene le misure attuative per
la trasformazione delle banche
popolari in società per azioni, prevista dalla riforma varata
dal governo Renzi nel gennaio
2015.
I giudici amministrativi hanno
accolto in parte il ricorso presentato dai soci di un istituto e
rinviato a una prossima camera di consiglio la trattazione nel
merito della questione, dopo
che la Corte costituzionale (cui
il Tar del Lazio ha rimesso gli atti
nell’ottobre dello scorso anno) si
sarà pronunciata sulla legittimità
della riforma stessa.
Il decreto di riforma prevede
che via Nazionale può impedire ai soci di uscire dal capitale
– opzione garantita dal codice
civile in caso di “trasformazione
della società” – nel caso ciò fosse necessario per scongiurare
una riduzione del capitale sotto
l’asticella fissata dalla Vigilanza
bancaria unica esercitata dalla
Bce.
A seguito delle proteste la norma approvata dalla maggioranza PD
è stata nel frattempo rimandata in Commissione
De Luca regala vitalizi
ai consiglieri regionali
Ne avrebbero usufruito anche pluricondannati
ed ex parlamentari nazionali ed europei
‡‡Redazione di Napoli
“Quella dei vitalizi è una palla,
cioè una notizia falsa, che poi diventa mongolfiera e prende il volo.
E uno deve perdere un mese o
due per sgonfiare la ‘palla’. Quella dei vitalizi è un falso clamoroso
costruito a tavolino, senza verifica dei fatti”. Con queste parole
il governatore plurinquisito Vincenzo De Luca ha voluto smentire l’annuncio dell’inserimento
dei vitalizi a metà dicembre nella
legge di stabilità del governo regionale della Campania del 2017
che intendeva far ritornare sotto
mentite spoglie questo ignobile
privilegio borghese, soppresso
nel 2012.
Infatti, la “nuova pensione”
per i consiglieri regionali avrebbe dovuto essere regolamentata
con un sistema di calcolo contributivo secondo la medesima
disciplina prevista per i compo-
nenti della Camera dei deputati. L’inserimento nella legge di
questa sorta di “clausola vitalizio” era nata dalla discussione
in consiglio regionale relativa
al versamento dei contributi
ai consiglieri regionali dopo la
decisione di optare per il meccanismo contributivo aumentando l’età pensionabile a 65
anni. Pertanto i consiglieri che,
ad oggi, siedono tra i banchi del
parlamentino campano dovranno, dunque, versare i contributi
a fini pensionistici. Il tutto era
nato per un interpello da parte
della direzione centrale dell’Inps
campano dove si affermava che
“per il solo fatto di aver stabilito
l’introduzione del sistema contributivo nella precedente legge
regionale 1 del 2012 il direttore
centrale Inps, con risposta a
mezzo Pec a un interpello del
20 luglio scorso, ha chiarito che
i versamenti a carico del consigliere neoeletto sono dovuti
e irrevocabili, perché non rileva
la mancata applicazione della
norma, che, per l’appunto, con
questa legge in discussione, potrà essere attuata”.
Nei mesi successivi si erano
alternati i dubbi relativamente
a chi dovesse versare i contributi ai consiglieri regionali: loro
stessi oppure le masse popolari
attraverso l’abolizione del provvedimento regionale n. 1/2012?
Travolto dalle polemiche il già sindaco di Salerno si è affidato ad
una “nota” che nasconde un clamoroso dietrofront: “la norma in
corso di discussione e approvazione, sulla legge di stabilità per
il 2017 – viene precisato – non
introduce quindi nessuna novità.
Il vitalizio resta soppresso e i consiglieri eletti da questa legislatura
non avranno alcun appannaggio
a tale titolo”. In altre parole, i consiglieri che sono stati eletti nella
tornata elettorale del 2015, non
otterranno alcun vitalizio: per i
nuovi componenti del parlamentino campano è prevista la pensione contributiva.
Al tardivo dietrofront dell’esecutivo antipopolare di De Luca
non possiamo non sottolineare
l’opportunismo del M5S che nonostante fosse a conoscenza fin
da luglio di questa nuova mossa del governatore campano
ha reso pubblica soltanto a dicembre la polemica non denunciando tempestivamente l’inserimento dei vitalizi nella legge
regionale di stabilità; il che la
dice lunga su quale opposizione
sta facendo dentro il consiglio
regionale il M5S atteso che è ormai scomparso dalle piazze della Campania da diverso tempo,
referendum incluso.
dagli altri advisor per la ricapitalizzazione, quantunque fallita.
Renzi è dunque direttamente
responsabile per questo ulteriore disastro finale caduto sull’istituto già in ginocchio, e che ha
reso molto più pesante il conto
che ora la collettività deve pagare per salvarlo. Adesso infatti
non solo lo Stato deve destinare al salvataggio di Mps tutti i 5
miliardi della mancata ricapitalizzazione e anche qualcosa di
più (si parla di 5,5-6 miliardi),
ma addirittura pare che non bastino neanche questi, visto che
la Banca centrale europea (che
con Deutsche Bank non è stata altrettanto rigida, mentre con
Montepaschi pretende che si
applichino le regole già imposte
nel 2015 alle banche greche),
chiede che i miliardi stanziati
a garanzia della sua solvibilità
siano almeno 8,8.
Nonostante questo fiume di
miliardi pubblici, comunque, anche se l’intervento del Tesoro è
denominato “salva risparmi”, in
realtà non è affatto certo che i
40 mila piccoli risparmiatori in
possesso di obbligazioni subordinate Mps per 4,3 miliardi non
siano chiamati a pagare almeno
una parte del salatissimo conto. Ci dovrebbe essere infatti
una conversione forzata delle
obbligazioni in azioni (che non
valgono ormai più nulla), con un
rimborso si dice all’80% della
perdita subita da parte del Tesoro, che al termine dell’operazione, dall’attuale 4% diventerà
l’azionista di maggioranza della
banca senese: con una quota, a
seconda degli analisti, che potrà essere intorno al 50% se non
addirittura al 75%.
E le autorità europee, in primis quelle vicine al governo
tedesco, premono proprio in
questa direzione, affinché cioè i
costi del salvataggio di Montepaschi e delle altre banche italiane siano scaricati anche sui loro
“creditori”, senza distinzione
tra istituzionali e piccoli risparmiatori, secondo la logica del
“burden sharing”, ovvero della
conversione forzata delle obbligazioni subordinate in azioni.
Resta comunque una disparità
di trattamento con le migliaia di
risparmiatori di Banca Etruria e
le altre tre banche popolari a cui
l’anno scorso sono state invece
applicate le più penalizzanti regole del “bail-in”, e che di colpo
si sono visti azzerare del tutto il
valore delle loro obbligazioni subordinate e solo in minima parte
sono stati parzialmente rimborsati.
A pagare il conto saranno anche i dipendenti di Montepaschi,
che secondo il piano industriale
che la banca sta preparando per
avere il via libera della Bce agli
aiuti di Stato, prevede un taglio
del costo del lavoro del 3,2%,
2.900 esuberi e la chiusura di
500 filiali. La cosa ancor più assurda e intollerabile è che nonostante il massiccio intervento
dello Stato e il fiume di miliardi
stanziato per tenerla in piedi
(che la collettività dovrà pagare sotto forma di ulteriori tasse
e tagli alla spesa sociale per
essere reperiti), Montepaschi
continua a rimanere una banca privata a tutti gli effetti, una
Spa quotata in Borsa come una
qualsiasi società privata, mentre
il suo capitale è di fatto quasi
tutto pubblico.
Non soltanto, quindi, adesso
il popolo italiano è chiamato a
pagare il conto della decisione
del 1999 (governo D’Alema) di
toglierla dal controllo pubblico
e quotarla in Borsa, a cui poi è
seguita la scellerata gestione
Mussari, con l’intreccio affaristico-politico-massonico
che
l’ha portata al tracollo finanziario, ma come avviene sempre in
questi casi una volta “risanata”
con soldi pubblici Mps sarà rivenduta (si prevede tra due anni)
sul mercato a prezzi da saldo:
almeno la sua parte “sana”, perché quella indebitata rimarrà accollata come al solito allo Stato.
A questo punto non c’è che
una strada affinché questo intervento pubblico non si traduca
nell’ennesimo regalo alla speculazione privata a spese di decine
di migliaia di piccoli risparmiatori, di migliaia di lavoratori bancari e delle masse popolari in
generale: quella della nazionalizzazione. Solo in questo modo
i miliardi stanziati per il salvataggio di Mps e delle altre banche
in crisi potranno ritornare alla
collettività, attraverso la difesa
dei livelli di occupazione e il credito agevolato alle famiglie e alle
piccole e medie imprese garantiti dal controllo pubblico.
Richiedete
o
“Il Bol
scevico” cartace
sulla Commemorazione
di Mao
8 il bolscevico / dialogo coi lettori
DIALOGO
LETTORI
N. 1 - 12 gennaio 2017
Questa rubrica è aperta a tutti i lettori de Il Bolscevico, con l’esclusione dei fascisti. Può essere sollevata qualsiasi questione inerente
la linea politica del PMLI e la vita e le lotte delle masse. Le lettere non
devono superare le 50 righe dattiloscritte, 3000 battute spazi inclusi.
“Perche’ avete ignorato
la morte di Fidel Castro?”
In qualità di attempato sessantottino (avevo allora 18
anni) desidero sottoporvi un
mio breve commento, se non
vi sono preclusioni, relativo
a fatti di cronaca quali sono
quelli riportati sul sito del PMLI
che leggo con estremo interesse e con grande frequenza. Al
riguardo posso dire di condividere la vostra linea al 70/80%
ma non condivido talune scelte
strategiche che approfondirò
in una successiva occasione.
Vorrei provare a mettere a fuoco le scelte editoriali redazionali e della Segreteria del partito. Nulla da dire sulle vostre
scelte politiche ed ideologiche
ma non riesco proprio a capire
la decisione di ignorare un fatto
che appartiene alla Storia; alludo alla morte di Fidel Castro.
So che il Partito non ama,
o meglio non condivide nulla di Castro e di Ernesto Che
Guevara. Mi chiedo però che
significato possa avere il silenzio assoluto su tale fatto che
comunque è stato agli onori
della cronaca del mondo intero; se Guevara e Castro erano
assimilabili al cosiddetto trotzkismo non per questo vanno
ignorati visto che sono stati
protagonisti di una rivoluzione
armata nata su basi popolari
e senza nessun aiuto esterno
(URSS, Cina). Anzi proprio il
dissenso da quel tipo di socialismo poteva essere la sede per
un dibattito o, meglio, per un
bilancio di questo segmento di
storia politica che, comunque,
ha tentato di opporsi all’imperialismo americano.
Ho visitato anche di recente Cuba ed ho visto un popolo
di grande dignità, che difende
il socialismo, che soffre certamente ma non scappa per
raggiungere il miraggio di una
vita borghese magari a Miami
tra faccendieri, speculatori,
delinquenti, spie anticastriste. E dunque perché lasciare
nell’oblio questo leader che è
morto povero e sulla trincea
antimperialista fino alla fine?
Né sarebbe logico o credibile sostenere che la morte del
Comandante Fidel sia un fatto
privato o estraneo agli interessi
popolari. Il suo popolo lo piange e lo ha pianto e questo è un
dato incontrovertibile. La sua
morte e la sua vita non appartengono alle masse popolari ed
ai suoi interessi? A chi tocca
un giudizio del genere? Sono
forse nemici degli operai e dei
contadini? Non lo credo. Certo quel processo rivoluzionario
– si legge sempre nel suddetto libro-intervista - l’appoggio
dell’Urss fu fondamentale. Sarebbe andata in modo diverso
nel 1953 (cioè se avesse avuto
successo il suo primo tentativo insurrezionale dell’assalto
alla caserma Moncada, ndr).
nell’Urss prevalevano lo spirito
e la politica stalinisti e benché
Stalin fosse già morto da qualche mese, nel marzo 1953 si
era ancora nell’era staliniana.
E Stalin non era Kruscev”.
È un dato di fatto che Castro non credeva al socialismo
realizzato nell’Urss di Stalin e
nella Cina di Mao, mentre è andato a braccetto, persino con
Gorbaciov, con gli autori della
restaurazione del capitalismo
in quei Paesi.
non è stato scevro da errori e
deviazioni, ma ha resistito agli
assalti dei circoli reazionari e
imperialisti.
Ho letto in queste settimane altri commenti (le vicende
grilline della giunta Raggi, la
legge del cognome materno,
ecc.), tutte questioni che non
scaldano il cuore. Persino la
nomenklatura della Corea del
Nord e della Russia hanno ritenuto di celebrare con dichiarazioni (di facciata) dei loro leader
la figura di un protagonista degli ultimi 60 anni che non può
essere cancellata con un tratto
di penna.
Buon lavoro.
V. Rossi, via e-mail
Il fatto che non abbiamo
parlato della morte di Castro
non sostiene automaticamente
la tesi, che appare implicita nella tua critica, di “ignorare Guevara e Castro” e di voler evitare “un dibattito e un bilancio”
sulla rivoluzione cubana. Basta
digitare su un motore di ricerca
le parole “Cuba, PMLI” per accedere a tutta una serie di articoli de “Il Bolscevico”, anche
se non completa, con cui abbiamo espresso approfonditamente le nostre posizioni sui
due leader e sulla situazione
cubana, dai congressi del PC
di Cuba al criminale embargo
imperialista sull’isola, dalle “riforme” economiche ai recenti
sviluppi dei rapporti con la UE
e gli USA, e così via. Tra questi articoli puoi trovare, se non
l’hai già letto, anche il fondamentale documento del Segretario generale del PMLI, scritto
nel 1995, dal titolo “Dove porta
la bandiera di Guevara”, che
sintetizza in maniera approfondita ed esaustiva l’analisi e
il giudizio del Partito sul castrismo, sul guevarismo che ne è
parte integrante e sulla rivoluzione cubana.
A meno che con la tua critica tu non volessi rimproverarci
in realtà di non aver parlato di
Castro per farne un’apologia
come ha fatto per esempio il
falso Partito Comunista di Rizzo, che ha inviato una delegazione ai funerali e per il quale
Castro è stato “un grande dirigente marxista-leninista” (da
“Senza tregua”, organo della
FGC) e “Il dirigente comunista che ha saputo mantenere
ferma la costruzione della società socialista dopo gli eventi
controrivoluzionari in URSS
e nell’est Europa”; il leader il
Richiedete
Giovanni Scuderi - Opuscolo n. 7
“Dove porta la bandiera di Guevara”
Le richieste vanno indirizzate a:
[email protected]
PMLI - via A. del Pollaiolo, 172/a
50142 Firenze
Tel. e fax 055 5123164
Mosca, 1961. Krusciov esalta Fidel Castro, durante il viaggio di questi in URSS per stipulare accordi commerciali e di sostegno
cui nome “resterà scritto nelle
pagine della storia accanto a
quello dei grandi rivoluzionari
di ieri, e ne siamo convinti, a
quelli di domani. Nel tuo nome
compagno Fidel continuiamo
la nostra lotta. Hasta siempre
Comandante!” (dal sito del
PC). Lo stesso opportunista e
imbroglione trotzkista Rizzo,
bada bene, che in un’intervista
del 28 aprile 2008 a “Il Giornale” della famiglia Berlusconi,
alla domanda di quale fosse la
sua idea di socialismo da realizzare in Italia, così svelava il
suo vero pensiero: “Cuba, per
la passione che c’è laggiù. Ma
solo per la passione. Se mi
chiedi se si sta meglio a Cuba
o in Italia, dico in Italia. Sono
comunista, mica scemo”.
Noi che non siamo ipocriti e non abbiamo due facce
come Rizzo, una per ingannare
i sinceri comunisti e l’altra per
rassicurare i lettori de “Il Giornale” e gli spettatori delle tv
Mediaset, dove è sempre ben
accetto in veste di rivoluzionario da salotto, ribadiamo tutto
il nostro sostegno alla rivoluzione cubana, in quanto diretta
a difendere l’indipendenza nazionale e ad opporsi all’imperialismo e al blocco affamatore
imposto dagli Stati Uniti. Ma
allo stesso tempo ribadiamo
anche di non considerare Cuba
uno Stato socialista, né Fidel
Castro un marxista-leninista,
né la rivoluzione antifascista
e antimperialista del 1959 un
modello universale per il proletariato, come lo sono invece
la Rivoluzione d’Ottobre diretta
da Lenin e Stalin e la Rivoluzione cinese diretta da Mao.
Castro vassallo del
socialimperialismo
sovietico
Cuba non è un Paese socialista, è un Paese antimperialista
governato da un’élite burocratica borghese revisionista che
solo a parole e in maniera strumentale si richiama al socialismo. Non lo è mai stata, perché fin da subito questa élite,
che pure aveva condotto vittoriosamente la guerrigli contro
il dittatore fascista Batista, asservito all’imperialismo americano, la svendette all’URSS
revisionista di Krusciov, facendola diventare una sorta di
sua colonia, con un’economia
basata sulla monocultura della
canna da zucchero, e una sua
base militare, con l’installazione avventuristica e fallimentare
dei missili dei revisionisti sovietici sull’isola.
Successivamente il governo cubano ha continuato a
svolgere un ruolo di vassallo
dell’URSS revisionista anche
quando questa si è trasformata nello Stato socialimperialista
e aggressivo di Breznev, fino al
punto di servirgli da “legione
straniera” per le sue avventure
militari in altri Paesi, come ad
esempio in Angola, Mozambico ed Etiopia. In America Latina il castrismo, una variante
cubana del trotzkismo, affine
alla “rivoluzione permanente” di Trotzki, ha teorizzato e
tentato di mettere in pratica,
con esiti peraltro fallimentari
e spesso disastrosi, l’esportazione della rivoluzione basata
sul “fuoco guerrigliero”.
Esperienza vincente nella
rivoluzione del 1959, ma solo
per le circostanze del tutto
particolari ma irripetibili, come
ha dimostrato la tragica vicenda di Guevara, che dopo il fallimento del suo primo tentativo
di esportare la rivoluzione in
Congo si intestardì di ripetere
questa esperienza individualista e avventurista in Bolivia
andando incontro alla morte
del tutto isolato ed estraneo
alle masse che voleva idealisticamente coinvolgere col
suo semplice esempio. Come
ha detto il compagno Scuderi
nel su citato documento “Dove
porta la bandiera di Guevara”:
“Non è sufficiente morire per
una causa in cui si crede. Per
essere definiti internazionalisti
proletari occorre che questa
causa sia giusta, ma anche la
linea che si persegue e le azioni che si compiono devono essere giuste”.
E la linea di Guevara, così
come quella di Castro era
tutt’altro che marxista-leninista, ispirata ai Grandi Maestri
del proletariato internazionale,
bensì aveva come modello il rivoluzionario nazionalista José
Marti’, e nello scontro mondiale che allora opponeva i veri
marxisti-leninisti, guidati da
Mao, e i revisionisti kruscioviani e brezneviani, si schierarono
decisamente con questi ultimi,
contribuendo ad isolare la Cina
e Mao nel movimento comunista internazionale e arrecando
così un grave danno alla causa
della rivoluzione e dell’antimperialismo.
Attacchi a Mao e
Stalin
A parole Castro e Guevara
proclamavano la loro equidistanza tra i due schieramenti
inconciliabili, ma di fatto e con
ciò stesso isolavano Mao e
servivano il gioco dei revisionisti. A questo proposito, nel
libro-intervista “Fidel Castro,
autobiografia a due voci”, del
direttore di “Le monde diplomatique” Ignacio Ramonet, il
leader cubano ammette infatti: “Mi sarebbe piaciuto conoscere Mao. Non fu possibile
perché quasi subito sorsero
problemi e divergenze a causa
del conflitto cino-sovietico...
non dimentico la lettera in cui
chiedevo alla Cina e all’Urss di
unirsi, di superare le rivalità”.
Vi compaiono inoltre numerosi attacchi di Castro a Mao,
che “commise gravi errori politici” a causa dell’“eccessivo culto della personalità che
gli veniva tributato” e che tra
l’altro avrebbe fatto la Lunga
Marcia “solo per dimostrare
che tutto era possibile”; così
come alla Grande Rivoluzione
Culturale Proletaria e anche
a Stalin, da Castro accusato
perfino di non appoggio postumo alla rivoluzione cubana: “Dopo il trionfo del 1959
Verso la piena
restaurazione del
capitalismo
Dopo il crollo del socialimperialismo sovietico e dei suoi
paesi satelliti, e la restaurazione in detti paesi e in Cina del
capitalismo, anche Cuba, pur
continuando a proclamarsi
socialista, si è gradualmente
aperta alla proprietà privata e
al mercato capitalistici, soprattutto a partire dal VI Congresso del PCC del 2011, che ha
abolito la tessera egualitaria in
vigore dal 1962, reintrodotto la
piccola proprietà privata della
terra, delle case e della piccola
impresa, aperto agli investimenti stranieri e programmato
il licenziamento di oltre un milione di dipendenti pubblici in
cinque anni. Per non parlare
della clamorosa marcia indietro ideologica di Castro della
svendita di Cuba alla chiesa
cattolica, a partire dalla trionfale visita nell’isola del papa
nero Wojtyla.
Col VII Congresso del 2016
questa linea revisionista è stata ulteriormente portata avanti
con la parola d’ordine significativa del “socialismo prospero e
sostenibile”, o in altre parole
“meno Stato e più mercato”,
basata sulla reintroduzione
della regola della domanda e
dell’offerta che, come ha detto Raul Castro, “non è nemica
del principio di pianificazione”.
Una decisa svolta capitalistica che ha aperto la strada alla
firma di un cospicuo accordo
economico con la UE imperialista (dopo quello già operante
da tempo con la Spagna) e al
recente disgelo con l’imperialismo USA.
Il quale già si prepara a
sbarcare in forze sull’isola con
tutta la potenza dei dollari per
trasformarla di nuovo in una
sua semicolonia come nel
passato, se il popolo cubano
non lo sventerà sconfessando
la politica dei suoi leader borghesi, revisionisti e opportunisti e impugnando con forza
la bandiera dell’indipendenza
nazionale, dell’antimperialismo
e del socialismo.
Immaginiamo che a questo
punto avrai capito perché non
abbiamo parlato di Castro alla
sua morte. Quello che avevamo da dire su di lui l’abbiamo detto quando era in vita.
È questo l’atteggiamento che
teniamo quando muoiono dei
leader falsi comunisti.
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STUDIARE
LE 5 OPERE MARXISTE-LENINISTE FONDAMENTALI
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vanno indirizzate a:
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50142 FIRENZE
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10 il bolscevico / interni
N. 1 - 12 gennaio 2017
Infischiandosi dell’opposizione delle popolazioni attraversate e persino del voto contrario della Camera
La Snam costruirà un gasdotto
nell’area italiana a più alta sismicità
Il tracciato attraverserà la zona terremotata che va da Sulmona, a L’Aquila a Norcia
Gasdotto Snam, il
tracciato
Il nuovo gasdotto non ancora completato, denominato “Rete Adriatica”, è una tubatura di 687 km, divisa in 5
tronconi, che attraversa dieci regioni italiane partendo
da Massafra in Puglia, dove
arriva la Trans Adriatic Pipeline (TAP), per finire a Minerbio in Emilia; un’opera che
secondo Ministero, costruttori e gestori, dovrebbe fare
dell’Italia uno degli “hub” europei del gas. Il fatto più grave è che uno dei cinque tratti attraverserà l’Appennino
sotto L’Aquila, Onna e Paganica, devastate dal terremoto del 2009, poi salirà verso nord sfiorando Amatrice
e Norcia e poi Ussita e Visso, dove le scosse sismiche
proseguono praticamente
ogni giorno. In pratica, i 168
chilometri del metanodotto
tra Sulmona e Foligno attraversano la zona a più alto rischio sismico d’Italia; nessuna considerazione quindi del
fatto che dal 2005, anno del
progetto originale già disgraziato, ad oggi, in questo territorio i terremoti hanno spostato montagne e devastato
città, senza però riuscire a
far cambiare i piani speculativi né di Snam, né dei governi che si sono succeduti.
In questo tratto non sarebbe
problematico solo il gasdotto; intorno alla linea è infatti prevista la realizzazione di
centrali di stoccaggio (una
quindicina) e di una centrale
di compressione a Sulmona,
cioè di un impianto per dare
la spinta al gas, proprio vicino a una faglia silente. Per
questa sola centrale, è allarmante la stima delle associazioni sui danni che vanno
dall’inquinamento ambientale, a quello acustico, passando per centinaia di ulivi
abbattuti e per la cementificazione di una superficie
grande come sedici campi di
calcio e mezzo. Come ciliegina sulla torta, è certo che
la condotta passerebbe nella zona da picco sismico del
monte Morrone incrociando
anche fiumi e torrenti, compreso il Pescara, come ha
spiegato il presidente del
WWF Abruzzo Augusto De
Sanctis.
L’inganno della
valutazione
d’impatto ambientale
Il “Gruppo di intervento giuridico”, un’associazione ecologista, ha contestato
per prima la procedura che
ha portato all’approvazione
del progetto poiché Snam ha
chiesto una Valutazione di
impatto ambientale (VIA) divisa in cinque parti, una per
ciascun lotto; è chiaro che la
Snam segue questa strada
nel tentativo di evitare la Valutazione ambientale strategica (VAS) e la Valutazione
di impatto ambientale unica,
in palese violazione delle disposizioni comunitarie e nazionali, che avrebbe quantomeno complicato il buon
esito finale. È indicativo, per
comprendere il decisionismo
e l’arroganza antidemocratica e addirittura anti istituzionale di Snam e Ministero, che anche la risoluzione
votata all’unanimità nel 2011
dalla commissione Ambiente della Camera con la quale si impegnava il governo a
disporre la modifica del tracciato escludendo la fascia
appenninica proprio a causa dell’elevato pericolo per
la sicurezza delle popolazioni dovuto al rischio sismico,
sia stata totalmente ignorata
da tutti i governi che si sono
succeduti fino ad oggi, proprio come se non fosse mai
stata redatta.
Le bugie del
Ministero e gli
interessi di Snam
In Italia Snam può contare su 32.500 km di condutture, di cui 1.000 in Abruzzo. Secondo fonti qualificate
vicine al governo, sarebbe
noto che i tre quinti dell’opera sono già avviati e che
ogni tratto è indipendente
dall’altro; motivo per il quale anche se dovessero saltare i 170 km da Sulmona a
Foligno, il gasdotto potrebbe comunque funzionare utilizzando la rete già esistente. Ora, a parte il diniego
espresso dalla commissione
della Camera completamente ignorato, qual è il motivo
dell’ostinazione di Ministero
e Snam nel costruire nel tratto in questione? La multinazionale Snam è una società
quotata in borsa che detiene
il monopolio della gestione
della rete del gas italiano. È
un gigante da oltre 3 miliardi
e mezzo di fatturato e 1,2 miliardi di utili netti nel 2015. Le
autorizzazioni che consentono all’azienda di continuare ad essere quella miniera d’oro privato che è, sono
sostanzialmente delle autocertificazioni sull’attività che
sono sufficienti a dimostrare legalmente che i percorsi
(compreso quello in oggetto) delle condutture vengono definiti scegliendo i lineamenti morfologici e geologici
più sicuri. Sul “lotto sismico” abruzzese-umbro, Snam
rassicura che le dimensioni
del progetto sono adatte e
che la condotta, unitamente
alle caratteristiche di duttilità e di flessibilità delle tubazioni in acciaio, permette di
sopportare agevolmente le
deformazioni prodotte dall’eventuale sisma. In particolare la società, con il sostegno
del Ministero, si vanta che il
test sui tubi (shaking) abbiano superato l’ipotesi dei peggiori terremoti degli ultimi 40
anni, nei quali non si sono rilevati incidenti. L’azienda ha
sempre avuto l’appoggio incondizionato di tutti gli esecutivi degli ultimi dieci anni
e, nonostante il calo nei consumi di gas in Italia, l’opera
è considerata “strategica” ed
i profitti sono stimati in circa
26,5 milioni di euro all’anno
e saranno tutti privati, mentre il denaro investito è anche pubblico poiché, già nel
2009, la Banca Europea per
gli investimenti ha versato
a Snam oltre 300 milioni di
euro per coprire parte delle
spese del tratto Massafra-Bicari e per un altro gasdotto in
Lombardia. In realtà è facile
smentire Snam poiché dal
2004 ad oggi sono già 8 gli
Il percorso (evidenziato in bianco) del progettato gasdotto della SNAM. In evidenza (con i cerchietti rossi) i
paesi a forte rischio sismico
Una delle proteste a L’Aquila contro la Snam e il gasdotto
incidenti avvenuti ai gasdotti,
ultimo dei quali l’esplosione
del metanodotto a Mutignano, in Abruzzo, nel marzo
del 2015.
I comitati in lotta
Le rassicurazioni che sistematicamente
vengono
date, non tranquillizzano affatto le popolazioni locali per
le quali non è ammissibile
che gli interessi della multinazionale del gas possano
prevalere sul diritto a veder
tutelata la propria sicurezza
e la propria salute. Nessuna
opera può essere anteposta
alla incolumità delle persone.
Le faglie non hanno ancora
smesso di muoversi, dicono i
sismologi e, in questo contesto, Sulmona e la Valle Peligna, dove oltre al gasdotto la
Snam vuole insediare anche
la centrale di compressione,
dovrebbero stare tranquille? Gli esperti non si stancano di ricordare che uno dei
principali pericoli dell’area
è rappresentato dalla faglia
del Morrone, silente da oltre
1900 anni, ma che potrebbe
attivarsi in ogni momento con
un terremoto che potrebbe
raggiungere una magnitudo
di 6.5, tale da ridurre in pol-
vere tutti gli abitati circostanti. Figuriamoci le condutture.
Fra l’altro, come affermato
anche dal responsabile del
comitato No-Tubo marchigiano-umbro Aldo Cucchiarini, per posare una condotta di 120 centimetri a 5 metri
di profondità, bisogna aprire uno sterrato largo 40 metri sui fianchi delle montagne
e sarà necessario costruire
strade e piste per lo spostamento dei mezzi di cantiere;
ciò significa che è assolutamente falsa l’affermazione
di Snam e del Ministero che,
siccome i tubi vanno sotto terra, l’impatto ambien-
tale sia pressoché nullo. La
cecità e la spregiudicatezza
assassina del progetto creano qualche disagio anche
all’interno del PD. Contrario
al progetto si è detto il consigliere abruzzese PD Pietrucci che ha dichiarato: “Non
bastano i tetti che ci crollano
in testa, ci mettono pure una
bomba sotto i piedi. Così uccidono l’Appennino che si sta
già spopolando”. Significative sono le parole di Giovanna Margadonna, membro del
Comitato per l’Ambiente di
Sulmona: “Sono venuti qui
perché pensavano che gli
abruzzesi fossero docili, che
non avrebbero opposto alcuna resistenza. E invece questi quattro contadini gli danno ancor filo da torcere.” Noi
auspichiamo che la popolazione umbra ed abruzzese
intera, oltre a mobilitarsi per
richiedere una rapida e totale ricostruzione delle zone
terremotate ed una nuova
casa per tutti, sappia unirsi ai
“quattro contadini” con giovani, disoccupati, donne ed
operai, affinché si scongiuri la costruzione, sciagurata,
del nuovo gasdotto in zona
sismica. Solo la speculazione e gli interessi del governo e di Snam possono giustificare un progetto insensato
ed altamente rischioso per le
popolazioni interessate e per
l’ambiente.
Conto corrente postale 85842383 intestato a:
PMLI - Via Antonio del Pollaiolo, 172a - 50142 Firenze
12 il bolscevico / PMLI
N. 1 - 12 gennaio 2017
Domenica 22 gennaio davanti al busto del grande Maestro del proletariato internazionale
Rilanciato da
“Luminoso
Futuro” l’opuscolo
di Giovanni Scuderi
“Dove porta la
bandiera di Guevara”
“Luminoso Futuro”, blog del Partito Comunista (marxista leninista)
di Panama, ha pubblicato in data 19 dicembre 2016 in lingua catalano lo scritto di Giovanni Scuderi, Segretario generale del PMLI,
“Dove porta la bandiera di Guevara”
CALENDARIO
DELLE MANIFESTAZIONI
E DEGLI SCIOPERI
GENNAIO
4
FlmUniti-Cub – Telecomunicazioni – Sciopero lavoratori
Telecom Italia Spa
8-25
Cgil, Cisl, Uil, Ugl e Orsa Trasporti – Sciopero dei
lavoratori Trenitalia con modalità regionali diversificate
9-11
Ost, Filt-Cgil, Fit-Cisl, Uilt-Uil, Faisa-Cisal, RSU,
Faisa-Confail, Orsa, Tpl, Sul-Ct, Usb lavoro privato,
Utl - Sciopero lavoratori trasporto pubblico locale con
modalità diversificate sul territorio
13
Filctem-Cgil, Flaei-Cisl, Uiltec - Sciopero lavoratori aziende
Elettricità, Assoelettrica, Utilitalia, Energia Concorrente, Terna,
Gse, Sogin, Terna-dispacciamento Rete Nazionale - Sciopero
straordinario lavoratori dal 17/12 al 16/1/2017 escluso il
periodo di franchigia
PMLI e PCI commemorano assieme
Lenin a Cavriago
Domenica 22 gennaio
2017 in piazza Lenin a
Cavriago (Reggio Emilia),
commemorazione pubblica organizzata dal PMLI.
Emilia-Romagna e dalla Federazione di Reggio
Emilia del PCI in occasione del 93º Anniversario della scomparsa del
grande Maestro del proletariato internazionale.
Partecipiamo numerosi per rendere omaggio a
Lenin.
Con Lenin per sempre!
Piazza Lenin, Cavriago (Reggio Emilia). 24 gennaio 2016.
Partecipanti alla commemorazione di Lenin nel 92° anniversario della scomparsa
sventolano le bandiere rosse al termine della manifestazione. Dietro i manifesti
di Lenin e Stalin, i compagni
Federico Picerni e Denis
Branzanti del PMLI e il compagno Alessandro Fontanesi
del PCDI (foto Il Bolscevico)
Mao ci insegna il ruolo della lotta di classe nella storia
di Eugen Galasso – Firenze
Per Mao, come ci ricorda il
compagno Segretario generale Giovanni Scuderi, il socialismo “consiste nella distruzione della proprietà privata
capitalista e nella sua trasformazione in proprietà socialista di tutto il popolo, nella
distruzione della proprietà individuale e nella sua trasformazione in proprietà collettiva socialista” (Mao, Bisogna
aver fiducia nella maggioranza
delle masse, 13 ottobre 1937,
in Opere Scelte, vol. V, cit. in
G. Scuderi, “Mao e la Rivoluzione in Italia”, in “Mao e la lotta
del PMLI per il socialismo”, Firenze, Commissione per il lavoro di stampa e propaganda
del PMLI, 1993, pag. 119). Ed è
per questo (conseguenza logica) che: “Il marxismo è duro,
senza pietà, quello che vuole
è annientare l’imperialismo, il
feudalesimo (in Cina, ancora a
metà anni Cinquanta del 1900,
c’erano recrudescenze di feudalesimo con parte della popo-
lazione legata alla reazione feudale, con il confucianesimo e il
“sistema degli esami” per accedere alle carriere amministrative. Mao lottò incessantemente
contro tutto ciò con la Grande
Rivoluzione Culturale), il capitalismo e anche la piccola
produzione. In questo campo
è meglio non essere troppo
indulgenti. Alcuni nostri compagni sono troppo benevoli,
non duri, in altre parole non
completamente marxisti... Il
nostro scopo è di estirpare il
capitalismo, di estirparlo su
tutto il globo, di farlo diventare un oggetto storico. Tutto
quello che appare nel corso
della storia dovrà sempre essere eliminato. Non c’è cosa
o fenomeno nel mondo che
non sia prodotto della storia; alla vita succede sempre
la morte. Il capitalismo è un
prodotto della storia, deve,
dunque, morire, c’è un ottimo
posto sottoterra per ‘dormire’
che lo aspetta” (Mao, Il dibattito sulla cooperazione agricola e
l’odierna lotta di classe, 11 ottobre 1955, Opere scelte, vol, V).
Chiarissima in tutta l’opera,
teorica come pratica di Mao, la
coscienza della necessità della
lotta di classe, che non si esaurisce mai, come dimostrano,
nella storia del socialismo e delle rivoluzioni socialiste, i continui tentativi di ritornare indietro,
dal revisionismo di destra (nella Rivoluzione russa, la controrivoluzione esplicita di Kornilov
e Denikin, quella ambigua e sedicente “di sinistra”, altrettanto
pericolosa di Machno, per non
dire dei revisionismi successivi, da Kruscev a Gorbaciov,
in quella cinese di Lin Biao e
Deng arrivando all’attuale dirigenza cinese) a quello di sinistra (la “banda dei quattro”), ma
in realtà gli esempi si sprecherebbero in tutto il mondo. Pensiamo al “movimentismo” degli
anni Sessanta e Settanta, ma
anche degli anni Duemila e oltre.
Come ci dice sempre Mao
“La Grande rivoluzione cultu-
La piazza è il nostro ambiente ideale e naturale di lotta e di propaganda,
assieme a quello delle fabbriche,
dei campi, delle scuole e
delle università.
STARE
IN PIAZZA
Frequentiamola
il più possibile per diffondere i messaggi del
Partito, per raccogliere le rivendicazioni, le idee, le proposte
e le informazioni delle masse e per stringerci sempre più a esse.
rale in corso non è che la prima di questo genere; sarà necessario intraprenderne delle
altre. Nella rivoluzione la questione di sapere di chi sarà la
vittoria non sarà risolta che al
termine di un lungo periodo
storico. Se non agiamo come
si deve, la restaurazione del
capitalismo può prodursi in
ogni momento. I membri del
Partito e il popolo intero non
devono credere che tutto andrà bene dopo una, o due o
anche tre o quattro grandi rivoluzioni culturali. Restiamo
in guardia e non allentiamo
mai la nostra vigilanza” (Mao,
Un faro per la grande rivoluzione culturale, articolo del “Quotidiano del popolo”, 23 maggio
1967).
Un concetto giustamente ribadito da Mao molte volte, in
contesti diversi: la “ruota della
storia” può sempre girare/essere girata nel senso che non
vorremmo: “Il nemico non morirà da solo. Né i reazionari
cinesi, né le forze aggressive
dell’imperialismo si ritireranno di loro volontà dalla scena della storia” (Mao, Condurre la rivoluzione fino in fondo,
30 dicembre 1948, anche nel
“Libro delle guardie rosse”, Milano, 1967, pag.15) o ancora:
“Gli imperialisti e i reazionari
del nostro paese non si rassegneranno mai alla disfatta;
si dibatteranno fino alla fine”
(Mao, Discorso d’apertura alla
prima sessione plenaria della
Conferenza consultiva politica
del popolo cinese, 21 settembre 1949, op. cit., pag.18).
Considerazioni di valore
eterno: se consideriamo quanto sta avvenendo in tutta Europa, con operazioni economicofinanziarie “iperspregiudicate”,
miranti a rafforzare il neoliberismo ad ogni livello, in Italia con
il tentativo di silenziare l’esito
del recente referendum del 4
dicembre scorso, a livello mondiale con manovre di imperialismo esplicito come anche
“sottotraccia”, ne abbiamo una
riprova continua e per nulla bisognosa di conferme ulteriori.
cronache locali / il bolscevico 13
N. 1 - 12 gennaio 2017
Comunicato dell’Organizzazione
d’Ischia del PMLI
La stampa nazionale
settaria
e antidemocratica
vive solo per sorreggere
i governi piduisti
di ieri e di oggi
Mentre le testate locali offrono
ampi spazi al PMLI
Il comportamento antidemocratico e settario di gran parte
della stampa nazionale è a dir
poco, disgustoso. Come se non
bastassero le norme antidemocratiche dei governi fascisti
e piduisti di ieri e di oggi, che
hanno perfino vietato al PMLI di
affiggere i propri manifesti, alla
faccia delle libertà di espressione, sancite dalla Costituzione,
nessuna testata nazionale ha
mai avvertito il dovere civile di
pubblicare comunicati stampa
del PMLI, sulle numerose situazioni italiane e internazionali.
Sul Partito è calato il silenzio
stampa, come in una delle tante
dittature fasciste nel mondo.
Sono invece da registrare le
esemplari e democratiche iniziative di varie testate locali, fra
cui in primo luogo, quelle isolane, di dare spazio a documenti,
comunicati, interventi e posizioni espresse dal PMLI e dalle sue
organizzazioni locali come l’Organizzazione dell’isola d’Ischia.
Un plauso va in particolare,
alle testate presenti sull’isola
d’Ischia che, in ogni occasione,
hanno messo a disposizione
spazi adeguati per gli interventi
dei marxisti-leninisti. Una lezione di democrazia e di deontologia per i vari giornaloni al servizio vergognoso dei padroni e
del regime.
Grazie a questa disponibilità, l’Organizzazione isolana del
PMLI coglie l’occasione per offrire ancora una volta, ai lettori
ischitani, ampi stralci dell’ultimo
documento dell’Ufficio politico
del Partito, sull’attuale situazione politica emersa dopo la
nomina di Gentiloni al servizio
di Renzi.
Il PMLI chiede una
ferma opposizione
al governo Gentiloni
di matrice renziana,
antipopolare,
piduista e fascista
Il PMLI chiede una ferma opposizione al governo Gentiloni
“di matrice renziana, antipopolare, piduista e fascista”. Il documento apre con una battuta
efficace: “Se non è zuppa è pan
bagnato, con acqua putrida.
Che schifo!” E continua: “Il nuovo duce Renzi non poteva non
lasciare Palazzo Chigi dopo la
disfatta referendaria. Ne ha preso il posto per volere di Renzi,
con l’avallo di Mattarella, Paolo
Gentiloni, ancora una volta premiato dalla classe dominante
borghese per aver abbandonato a suo tempo la militanza “marxista-leninista”. Il suo
compito vero è quello di tenere
il seggiolone caldo a Renzi, che
è già all’opera per riprenderselo
con le prossime elezioni politiche. Intanto Gentiloni, avendo
il nuovo governo la stessa matrice, natura, ispirazione, composizione e programma del go-
La pagina web de “Il dispari” che rilancia il documento
dell’Ufficio stampa del PMLI
sull’attentato di Berlino
verno del suo burattinaio, non
potrà che praticare una politica
di lacrime e sangue all’interno e
di interventismo e colonialismo
all’esterno. Conformemente al
diktat dell’imperialismo italiano
e dell’Unione europea interventista e alle necessità della lotta
tra i vari paesi imperialisti per
avere più spazio e più potere
nello scacchiere mondiale, in
particolare nel Medio Oriente”.
L’Ufficio politico del PMLI
continua scrivendo che “Nemmeno la sovranità popolare,
pur sancita dalla Costituzione,
è stata rispettata, quantunque il
popolo italiano con una valanga
di NO abbia bocciato il governo Renzi e la sua controriforma
costituzionale. Addirittura sono
stati promossi nel nuovo governo Maria Elena Boschi, Luca
Lotti e Anna Finocchiaro che
sono stati i principali promotori,
autori e sostenitori di tale controriforma. Una provocazione
assolutamente intollerabile!”
Che tipo di governo è questo? I marxisti-leninisti ritengono che sia un governo incapace
di coinvolgere il proletariato, le
masse sfruttate, i giovani senza
futuro. Tra l’altro, “non ci potrà
mai essere un governo borghese e capitalista che tuteli i loro
interessi… e che tenga fuori
l’Italia dalle guerre imperialistiche”.
E allora qual è la proposta
del PMLI? “Bisogna invece
guardare da tutt’altra parte,
verso il socialismo e il potere
politico del proletariato. Abbandonando ogni illusione elettorale, parlamentare, governativa,
costituzionale, riformista e pacifista, armandosi del marxismoleninismo-pensiero di Mao e
facendo affidamento solo sulla
lotta di classe.
È questa la proposta che
rinnoviamo in questo momento storico di grande difficoltà e
scompiglio in cui versa la classe
dominante borghese che richiede di scegliere: capitalismo o
socialismo”.
Ischia, 21 dicembre 2016
_______
Il comunicato è stato ripreso
da “Il Dispari quotidiano”, da “Geosnews”. “Il Dispari quotidiano”
ha rilanciato anche il comunicato dell’Ufficio stampa del PMLI
sull’attentato di Berlino.
Comunicato dell’Organizzazione di Rufina del PMLI
Solidarieta’ ai lavoratori
della “Belfiore” di Sieci
Il padrone senza preavviso consegna le lettere di licenziamento assieme al “pacco
di natale”. La Fiom: “metodi lesivi anche della stessa dignità umana”
L’Organizzazione di Rufina del
Partito marxista-leninista italiano esprime profonda solidarietà
ai 7 lavoratori della ditta Belfiore
S.a.s. di Sieci e alle loro famiglie
per il vergognoso licenziamento
dei quali sono stati oggetto.
La Belfiore è una storica fabbrica di argenteria e oreficeria
fondata a Firenze nel 1948; da
allora, grazie alla professionalità
e al lavoro dei suoi dipendenti, ha
prodotto articoli decorativi e accessori per grandi firme di moda
che fino ad oggi ha esportato in
tutto il mondo conseguendo per
tanti anni alti profitti.
Ciò nonostante, nemmeno un
recente incontro con i delegati
della FIOM nei quali si rassicurava la prosecuzione dell’attività
testimoniata dall’inizio della campionatura per il 2017, ha impedito
ai padroni di consegnare ai lavoratori la lettera di licenziamento per cessazione dell’attività a
partire dal 29 dicembre, assieme
al pacco natalizio, senza alcun
preavviso.
L’azienda, fra l’altro, negli ultimi anni non ha accusato par-
Lo stabilimento Belfiore a Sieci (Firenze)
ticolari difficoltà, se non quelle
generali riconducibili alla crisi del
settore orafo-argentiero, e non
ha attivato alcun “ammortizzatore sociale” poiché non ne aveva
bisogno.
Condividiamo le parole usate
dal sindacato dei metalmeccanici FIOM CGIL che, per mezzo
del suo delegato, nell’annunciare
iniziative in merito, ha espresso
“stupore, sdegno e rabbia” denunciando questi metodi come
“lesivi anche della stessa dignità
umana”.
Una misura che si giustifica
quindi esclusivamente con lo
spirito stesso del capitalismo:
sfruttare i lavoratori fino a quando fa profitto e comodo, per poi
lasciarli senza lavoro dall’oggi
al domani infischiandosene del
loro futuro. Oltre al danno dunque, anche la beffa nella tragedia
economica nella quale saranno
costrette altre sette famiglie della
Valdisieve, che si uniscono alle
altre che hanno subìto la chiusura
di tante grandi fabbriche negli ultimi decenni, dall’ex Merinangora
all’ex Italcementi di San Francesco a Pelago, passando per la
Brunelleschi e per una miriade di
altri piccoli o medi esercizi, in una
emorragia occupazionale che
non pare avere fine.
I lavoratori però non devono
darsi per vinti; occorre lottare con
coraggio per difendere il diritto al
lavoro, cercando di sensibilizzare
tutta la popolazione per averla al
proprio fianco.
Non esistono padroni “buoni”;
esistono i padroni che perseguono profitti, così come esistono i
lavoratori che hanno bisogno di
lavoro. Noi saremo fianco di questi ultimi sempre e con tutte le
nostre forze.
L’Organizzazione di Rufina
del PMLI
Rufina, 28 dicembre 2016
Squanci e Tani coinvolti in due diverse inchieste
Due amministratori renziani indagati a Firenze
‡‡Redazione di Firenze
Il 20 dicembre, in contemporanea a perquisizioni nelle case degli indagati, è stato resa pubblica
un’inchiesta giudiziaria che investe Palazzo Vecchio e in particolare uomini legati in vario modo a
Matteo Renzi. L’ipotesi di reato è
turbativa d’asta sull’appalto per
la valorizzazione dell’ippodromo
fiorentino Le Mulina. Nel mirino
dei magistrati il renziano Simone Tani, assessore della giunta
PD di Leonardo Domenici dal
2000 e 2004 e poi nominato da
Renzi, quando era sindaco di Firenze, quale responsabile dell’ufficio (creato appositamente per
lui) “Attuazione del programma
di mandato”. Nel gennaio scorso sempre Renzi gli ha affidato
anche un incarico nel Comitato
Sono un giovane studente
abruzzese e vorrei entrare
nel PMLI
Salve,
sono un giovane studente
abruzzese volevo sapere se era
possibile entrare a far parte del
PMLI. Sono fortemente convinto
della mia scelta e ho fiducia in
questo Partito. Non ho mai avuto
esperienze politiche fino ad ora.
Ho conosciuto il PMLI imbattendomi per caso nel vostro sito internet e condivido le vostre idee
staliniste e maoiste.
Sono ancora convinto in un
avvento del socialismo in Italia.
Ludovico – provincia di Teramo
Fraterni e sinceri auguri al
PMLI dal Partito Comunista
(Marxista Leninista) di
Panama
Per l’arrivo del 2017, anno del
interministeriale per la programmazione economica (Cipe).
Nel 2012 l’amministrazione
comunale ha indetto una prima
gara d’appalto che fu vinta dalla
Pegaso srl, un raggruppamento
concorrente sconfitto, la Rti, presentò ricorso al Tar che sospese
l’aggiudicazione, tempo dopo il
Comune decise di annullare la
gara ma anche questa decisione
fu impugnata dalle ditte escluse.
Nei mesi successivi, secondo gli
inquirenti, prima che il Comune
bandisse una nuova gara, due
soci del raggruppamento di imprese avrebbero ricevuto pressioni
dalla Pegaso per ritirare il ricorso e
non partecipare ad una eventuale
seconda gara. Il tutto in cambio di
un subappalto per gestire, nell’ippodromo, un’area di 400 metri da
primo centenario della Grande rivoluzione socialista d’Ottobre, rivolgo al caro compagno Giovanni
Scuderi, al Comitato centrale e a
tutti e ciascuno dei suoi coraggiosi e devoti quadri e militanti i nostri fraterni saluti e sinceri auguri
per il conseguimento di successi
nel vostro lavoro politico per fare
del PMLI un forte, grande e radicato partito in seno alla classe
operaia e al popolo italiano.
Con i cinque Maestri vinceremo!
Quibian Gaytan, Portavoce del
Comitato Centrale del Partito
Comunista (Marxista Leninista)
di Panama
Un nuovo anno di lotta
contro il governo Gentiloni
Buon anno rosso 2017 a tutti i
compagni del PMLI e a tutti i lettori del glorioso “Il Bolscevico”!
Sarà un anno di lotta contro
il governo Gentiloni di matrice
adibire ad attività da ballo.
Anche la seconda gara fu vinta dalla Pegaso srl, società amministrata da Guo Sheng Zheng,
il quale è stato socio di Stefano
Bovoli, zio di Renzi, di Oliviero
Fani e Luisa Chiavai, tutti indagati per turbativa d’asta insieme
a Massimo Cortini, uno dei soci
del raggruppamento di imprese
Rti. Il quinto indagato, il renziano
Simone Tani, è coinvolto nell’inchiesta sull’ippodromo in qualità
di presidente della commissione
che assegnò la gara alla Pegaso.
Un’altra indagine della magistratura riguarda alcuni lavori
stradali effettuati nel centro fiorentino, in via dei Serragli. Tra i tre
indagati il presidente PD del quartiere 1 Maurizio Sguanci. Durante
l’esame del materiale raccolto per
l’inchiesta sull’ippodromo sono
emersi degli incontri riservati di
Sguanci con Luca Giancaterino
e Antonio Dell’Agata, dipendenti
della ditta Sof, che si occupa di
impiantistica e manutenzione.
L’ipotesi di reato per i tre sarebbe
“turbata libertà del procedimento
di incanto”.
Sull’inchiesta della Procura il
sindaco di Firenze Dario Nardella, renziano di ferro, ha detto:
“siamo tranquilli e fiduciosi“. In
realtà questa inchiesta contribuisce a mettere in luce il metodo
di governo di Renzi e Nardella,
tutto finalizzato a favorire i gruppi
“amici”, privatizzando e utilizzando arbitrariamente il centro cittadino, a discapito della popolazione e dei suoi bisogni.
renziana, antipopolare, piduista e
fascista e per proseguire nell’acquisizione di un corpo da Gigante
Rosso per il PMLI (la testa è già
rossa e forte), obiettivo strategico
e a medio termine su cui è concentrato tutto il Partito.
Avanti con forza e fiducia verso
l’Italia unita, rossa e socialista!
Uniti, coi Maestri e il PMLI vinceremo!
Giordano – Paola (Cosenza)
Finché perdura
l’imperialismo non si vedrà
la fine del terrorismo
Auguri di un Buon Anno
Rosso
Cari compagni,
a voi tutti auguri di un Buon
Anno Rosso! Sempre al vostro
fianco !
Saluti marxisti-leninisti.
Coi Maestri e il PMLI vinceremo!
Liliana, Anna, Maria – Cuneo
Un contributo economico
e un augurio per un rosso
2017
Compagni,
un augurio di un rosso 2017,
anno del centenario dell’immensa Rivoluzione bolscevica!
Vi ho inviato un contributo
economico.
Saluti marxisti-leninisti.
Marcello – Francia
Compagne e compagni, qui
vale il detto “Chi semina vento
(l’imperialismo) raccoglie tempesta (attentati)”. La continua
aggressione imperialistica che
ormai dura (riferendosi solo a
quelle realtà geografiche) dagli
anni Novanta è la causa strutturale di quanto appunto accade.
Con la fine dell’imperialismo e del
capitalismo, di cui l’imperialismo
è fase suprema (Lenin), anche il
terrorismo non avrà più ragion
d’essere, ma finché l’imperialismo perdura, non si vedrà la fine
di un processo a spirale continuo
e per ora inarrestabile.
Le vittime sono sempre incolpevoli, appunto, non i governi
imperialisti che li fanno massacrare impunemente per perseguire i loro loschi interessi. Tutte
le “guerre del Golfo”, in Libia, in
Siria, in Africa, non hanno altro
scopo che quello di assicurare un
dominio in primis economico sulle materie prime. Il materialismo
storico dei Maestri ce lo insegna,
del resto, continuamente.
Eugen Galasso – Firenze
14 il bolscevico / esteri
N. 1 - 12 gennaio 2017
Avallato dal Consiglio di sicurezza dell’Onu
Accordo tra Russia,
Turchia e Iran sulla Siria
Riaffermata la comune decisione di combattere lo Stato islamico
La dichiarazione congiunta che chiudeva il vertice del
20 dicembre a Mosca dei Ministri degli Esteri della Repubblica Islamica dell’Iran, della Federazione Russa e della
Repubblica di Turchia “sui
passi concordati per rivitalizzare il processo politico per
porre fine al conflitto siriano”
registrava l’accordo tra i tre
paesi sul futuro della Siria che
sarà messo in pratica nei giorni successivi con la conquista
di Aleppo da parte dell’esercito
del regime di Bashar al Assad
e l’accordo di evacuazione
delle milizie delle opposizioni che controllavano la parte
est della città, l’intesa del 29
dicembre per il cessate il fuoco tra le parti siriane e la convocazione degli incontri per la
conferenza di pace a Astana,
in Kazakhstan. Sul piano metteva il suo timbro il Consiglio
di sicurezza dell’Onu con l’approvazione all’unanimità della
risoluzione n. 2336 del 31 dicembre 2016.
La dichiarazione dell’incontro del 20 dicembre sottolineava anzitutto che “Iran, Russia
e Turchia ribadiscono il loro
pieno rispetto della sovranità,
l’indipendenza, l’unità e l’integrità territoriale della Repubblica araba siriana come Stato
multietnico, multireligioso, non
settario, democratico e laico”;
sosteneva che “Iran, Russia
e Turchia accolgono gli sforzi comuni a Aleppo Orientale consentendo l’evacuazione
volontaria dei civili e partenza
organizzata di opposizione armata” annunciando la fine per
i tre vittoriosa della battaglia
per il controllo di Aleppo.
A cementare l’unione tra i
tre paesi veniva riaffermata la
comune decisione di combattere lo Stato islamico, l’ultimo
ostacolo ai loro progetti imperialisti: “l’Iran, Russia e Turchia
ribadiscono la loro determinazione a lottare congiuntamente contro ISIL / DAESH e AlNusra e di separare da loro
gruppi armati dell’opposizione”.
Le diplomazie dei tre paesi sottolineavano tra l’altro
che “questo accordo sarà strumentale per creare lo slancio
necessario per la ripresa del
processo politico in Siria in
base alla risoluzione del Consiglio di sicurezza 2254”, quella approvata il 19 dicembre del
2015 che prevedeva la proclamazione della tregua, l’avvio
di negoziati nel gennaio 2016,
l’elaborazione di una nuova Costituzione entro 6 mesi,
lo svolgimento di elezioni en-
tro 18 mesi per fare in modo
che “il popolo siriano deciderà
il futuro della Siria”. Nessuno
dei paesi interessati pensava
di far decidere il popolo siriano, quella era la formulazione che lasciava in sospeso il
destino del presidente Assad,
che allora Usa e Turchia che
conducevano le danze nella crisi siriana volevano fuori
gioco. A un anno di distanza
è l’imperialismo russo a guidare le danze, una volta che con
l’intervento militare diretto ha
reso un po’ più solido il regime
di Assad e dopo che è riuscito
a spingere Erdogan a ribaltare le alleanze visto che gli Usa
avevano intensificato la collaborazione coi curdi siriani. Putin si propone come garante
della realizzazione di un percorso identico a quello dell’Onu dello scorso anno, alla guida della nuova alleanza con
Turchia e Iran, per rimettere in
primo piano l’imperialismo russo nel gioco mediorientale. Un
passaggio della dichiarazione
congiunta di Mosca sottolineava che “Iran, Russia e Turchia
esprimono la loro disponibilità
a facilitare e diventare i garanti del futuro accordo, in fase di
negoziazione, tra il governo
siriano e l’opposizione. Hanno invitato tutti gli altri paesi
con l’influenza sulla situazione sul terreno di fare lo stesso”. Come dire noi dirigiamo le
danze, gli altri paesi se vogliono si accodino.
Rispetto a un anno fa sono
fuorigioco gli Usa, alle prese
con la delicata fase di transizione alla Casa Bianca tra Barack Obama e Donald Trump
anche se è difficile pensare
che dopo i primi segnali di convergenza tra Vladimir Putin e
Trump, compreso il via libera
americano alla sopravvivenza
politica di Assad, l’intesa sulla
Siria sia solo un colpo di mano
di Mosca; sembrano fuorigioco i paesi arabi reazionari uniti nella cordata imperialista
guidata dagli Usa, dall’Arabia
saudita al Qatar, come sono
alla finestra i paesi imperialisti
europei a partire dalle ex potenze coloniali Francia e Gran
Bretagna. Diventa difficile la
situazione dei curdi siriani, sostenuti dagli Usa, che tentano
di resistere nella situazione diversa che si prospetta cominciando col cambiare il nome
della Rojava, che in curdo significa Kurdistan occidentale,
in Federazione della Siria del
Nord che potrebbe comprendere anche le regioni a maggioranza araba ancora sotto il
controllo dello Stato islamico
Il non ancora insediato
presidente americano Donald
Trump ha da precisare tanti punti della politica interna e
estera della sua amministrazione ma una cosa da fare
l’ha chiara ed è quella di annientare lo Stato islamico, di
“sradicare l’ISIS dalla faccia
della terra, una missione che
eseguiremo con tutti i partner
che amano la libertà”, come
ha affermato lo scorso 19 dicembre a commento dell’attentato terroristico di Berlino.
Trump si appresta quindi a continuare quella “guerra infinita” al terrorismo di-
chiarata dall’amministrazione
Bush e proseguita da quella
Obama; l’imperialismo americano,
indipendentemente
da chi siede alla Casa Bianca, ha generato e continua
a alimentare la spirale guerra imperialista-terrorismo coi
crimini dei suoi interventi mi-
litari dall’Afghanistan alla Libia, alla Siria assieme agli alleati imperialisti occidentali e
al concorrente imperialismo
russo. Una spirale che è impossibile spezzare se l’imperialismo non se ne va da tali
Paesi. Trump va nella direzione opposta.
di Raqqa e Deir ez-Zur, all’interno di una Siria democratica
e federale. Ipotesi che un ringalluzzito regime di Damasco
respingeva come “azione illegale” che “mette a rischio l’integrità territoriale del Paese”,
quella indicata come un faro
da seguire dal documento del
vertice di Mosca del 20 dicembre alla risoluzione Onu del 31
dicembre.
Il piano sulla Siria viaggiava
a grandi passi. Il 29 dicembre
l’agenzia russa Tass comunicava il “successo” delle diplomazie di Mosca e Ankara con
la firma di tre documenti fra le
parti in causa comprendenti il
cessate il fuoco dal 30 dicembre in tutto il paese fra il governo siriano e l’opposizione
armata, la definizione di un sistema di misure per controllare il rispetto della tregua e una
dichiarazione sull’immediato
avvio delle trattative sulla soluzione del conflitto. Alla tregua
con il regime di Assad erano
i gruppi di Faylaq Al-Sham,
Ahrar Al-Sham, Jaysh AlIslam, Suwar Agi Sham, Jaysh
Al-Mujahideen, Jaysh Idlib e
Jabhat Al-Shamiyah, che rappresenterebbero 60 mila armati sul terreno. La conferen-
za di pace dovrebbe partire
con i primi incontri a fine gennaio a Astana, in Kazakhstan.
Putin avvisava personalmente
della firma dei tre documenti il
presidente iraniano Rohani e
ne raccoglieva l’adesione.
I tre documenti diventeranno gli allegati alla risoluzione
2336 del Consiglio di sicurezza dell’Onu che “apprezzerà
gli sforzi di mediazione intrapresi dalla Federazione Russa e la Repubblica di Turchia
a favorire la creazione di un
cessate il fuoco nella Repubblica araba siriana” e attenderà “con interesse l’incontro
che si terrà ad Astana fra i rappresentanti del governo della Repubblica araba siriana e
dell’opposizione, considerandolo una parte importante del
processo politico siriano, e un
‘passo avanti’ della ripresa dei
negoziati sotto gli auspici delle Nazioni Unite a Ginevra l’8
febbraio 2017”. Un tavolo attorno al quale i paesi imperialisti occidentali e i paesi arabi
reazionari assenti oggi potranno dire la loro oppure potranno
soltanto ratificare quanto già
definito sotto la regia di Mosca, Ankara e Teheran.
Auguri al Partito
Trump: “Sradicare l’ISIS dalla
Comunista
faccia della terra”
Rivoluzionario
dell’Uruguay
Il PMLI e “Il Bolscevico”,
con due messaggi separati, hanno inviato gli auguri
al Partito comunista rivoluzionario dell’Uruguay in oc-
casione del 44° Anniversario della sua fondazione.
I compagni uruguaiani
hanno ringraziato per il “fraterno saluto”.
esteri / il bolscevico 15
N. 1 - 12 gennaio 2017
L’Onu dichiara
illegali le colonie di Israele
Per la prima volta gli Usa si astengono
Il Consiglio di Sicurezza
delle Nazioni Unite approvava
il 23 dicembre la risoluzione n.
2334 che condanna degli insediamenti coloniali israeliani definiti “illegali” e chiedeva a Tel
Aviv di non costruire altre colonie in Cisgiordania e a Gerusalemme est. Una condanna che
mai era stata pronunciata in
questa sede Onu e che è stata resa possibile per la prima
volta solo grazie all’astensione degli Usa che come di consueto non hanno fatto ricorso
al loro potere di veto per bloccare la risoluzione votata dagli
altri 14 membri del Consiglio.
La condanna dell’Onu è importante anche se è nata dalla constatazione che il continuo sviluppo delle colonie
renderebbe vana la soluzione dei due Stati, la soluzione
scelta dall’imperialismo seppur
osteggiata dai sionisti imperialisti di Tel Aviv. Che comunque
non realizzerebbe i diritti dei
palestinesi come invece quella
di un solo Stato e due popoli.
La risoluzione affermava
che “ la costruzione da parte di Israele di insediamenti
nei territori palestinesi occupati dal 1967, compresa Gerusalemme est, non ha validità legale e costituisce una
flagrante violazione del diritto
internazionale e un gravissimo
ostacolo per il raggiungimento della soluzione dei due Stati”. Il Consiglio dell’Onu ribadiva che non riconoscerà alcuna
modifica alle linee tracciate nel
1967 salvo diverso accordo tra
le due parti attraverso i negoziati e quindi condannava “tutte le misure volte ad alterare la
composizione demografica, le
caratteristiche e lo status del
territorio palestinese occupato
dal 1967, compresa Gerusalemme est, incluse, tra le altre
cose, la costruzione e espansione degli insediamenti, il trasferimento di coloni israeliani,
la confisca di terre, la demolizione di case e lo spostamento forzato di civili palestinesi,
in violazione delle leggi umanitarie internazionali e delle risoluzioni pertinenti”. Ribadiva
quindi “la richiesta che Israele
interrompa immediatamente e
completamente ogni attività di
colonizzazione nei territori palestinesi occupati, compresa
Gerusalemme est, e che rispetti totalmente tutti i propri
obblighi a questo proposito”.
Finora il veto dell’imperialismo americano aveva bloccato proposte di risoluzioni di condanna di questo tipo
e l’amministrazione Obama,
solo a un passo dal fare le valige dalla Casa Bianca, ha cambiato posizione per tentare di
salvare la faccia. L’ambasciatrice Usa all’Onu, Samantha
Power, spiegando l’astensione sulla mozione affermava
che “gli Stati Uniti hanno inviato sia privatamente che pubblicamente per quasi cinque
decenni il messaggio che le
colonie devono cessare di esistere. Non si può simultaneamente difendere l’espansione
degli insediamenti e difendere la soluzione praticabile dei
due popoli, due Stati per arrivare alla fine del conflitto”. A
giudicare dallo sviluppo delle
colonie in Cisgiordania si può
affermare che le “pressioni”
di Washington non hanno ottenuto alcun risultato, ovvero l’imperialismo americano è
stato complice per quasi cinque decenni, compresi gli ultimi due dell’amministrazione
Obama, della negazione dei
diritti dei palestinesi e del genocidio attuati dal regime imperialista sionista di Tel Aviv.
E quando la Power affermava che Israele sarebbe “l’unica
democrazia in Medio Oriente”,
quella che discrimina financo
le minoranze arabe al suo interno, risulta evidente l’ipocri-
sia imperialista che nega persino l’evidenza. Altrimenti la
Casa Bianca non avrebbe dovuto firmare il 14 settembre
scorso l’accordo per un piano
di aiuti militari a Israele del valore di 40 miliardi di dollari nei
prossimi dieci anni.
Obama fin dal 2009 aveva definito i negoziati tra israeliani e palestinesi la sua priorità in politica estera e aveva
dato carta bianca al segretario
di Stato John Kerry per portare a casa una storica pace. La
sua “svolta” nella politica mediorientale degli Usa non è mai
avvenuta, si è dimostrata un
bluff come tante altre e l’occupazione sionista della Palestina si è ampliata.
La risoluzione Onu faceva infuriare i sionisti. L’ambasciatore israeliano presso il
Palazzo di Vetro denunciava
la “risoluzione scandalosa” affermando che “né il Consiglio
di sicurezza dell’Onu né l’U-
nesco possono spezzare il legame fra il popolo di Israele e
la terra di Israele” che Tel Aviv
rinsalda con la pulizia etnica e
la cacciata dei palestinesi dalle
loro case. L’ambasciatore criticava la posizione di astensione dell’amministrazione Obama e lanciava un appello alla
prossima: “non ho dubbi sul
fatto che la nuova amministrazione americana e il nuovo
segretario generale dell’Onu
apriranno una nuova era in termini di relazioni dell’Onu con
Israele”. Gioco facile col nuovo
presidente americano Donald
Trump che ha già dichiarato
di voler spostare l’ambasciata americana in Israele da Tel
Aviv a Gerusalemme e quindi
riconoscere di fatto quella che
anche per l’Onu è una illegale
occupazione della città.
Il socialista e cattolico ex
premier portoghese Antonio
Guterres, dall’1° gennaio segretario generale delle Nazio-
Assassinato l’ambasciatore russo
ad Ankara
L’attentato non intacca l’alleanza tra Russia e Turchia
L’ambasciatore russo in
Turchia, Andrey Karlov, è stato ucciso il 19 dicembre mentre stava parlando a una mostra fotografica al Centro di
Arti Moderne di Ankara. L’aggressore prima di essere ucciso dagli agenti ha tra l’altro
gridato “vendetta per Aleppo”
la città siriana investita dall’offensiva delle forze del regime
di Assad col contributo determinante dei criminali bombar-
damenti dell’aviazione russa.
L’attentato avveniva alla vigilia del vertice a Mosca tra i
ministri degli Esteri di Russia,
Turchia e Iran che porrà le
basi per il successivo accordo
di spartizione del paese mediorientale. Un negoziato che
sancirà una via di uscita diversa da quella ipotizzata da Erdogan con la sua discesa in
campo in Siria per abbattere il
regime di Assad. Assad resta
Il Mali dopo la Turchia per
fermare i migranti
Gentiloni. Sono infatti Italia e
Germania le due potenze imperialiste della Ue maggiormente impegnate nella ricerca di accordi con le ex-colonie
francesi, in particolare con
il Mali e il Niger, per fermare
l’immigrazione “clandestina”
verso l’Europa.
Un risultato di questa attività diplomatica è stato certamente l’accordo che il 12 dicembre nella capitale del Mali,
Bamako, ha firmato il ministro
degli Esteri olandese Bert Koenders per conto di Federica
Mogherini, l’Alto rappresentante dell’Unione Europea per
gli Affari Esteri, per rimpatriare i migranti “irregolari” prove-
Il primo ministro israeliano Netanyahu telefonava tra
gli altri al Ministro degli Esteri
della Nuova Zelanda, Murray
McCully, per avvertirlo che la
risoluzione delle Nazioni Unite cosponsorizzata dal suo paese era considerata da Israele come una “dichiarazione di
guerra. Sarà rottura delle relazioni e ci saranno conseguenze”. La Nuova Zelanda non
faceva marcia indietro e Israele ritirava il suo ambasciatore dal paese, come dagli altri
Stati presentatori della risoluzione, e cacciava quello neozelandese.
La risoluzione passava con
14 voti e l’astensione degli
Usa mentre il regime sionista
rispondeva arrogantemente il
26 dicembre con la decisione
del Comune di Gerusalemme
di dare il via ad un piano per
la costruzione di altre 618 case
nella parte est della città, quella a prevalenza araba.
“Una vendetta per Aleppo”
L’accordo permetterà ai paesi della Ue di respingere e rimpatriare i migranti
Il Consiglio europeo del 12
dicembre sottolineava “i progressi compiuti nell’attuazione
dei patti conclusi con cinque
paesi africani di origine o di
transito” dei migranti per tentare di chiudere le tre vie percorse da migranti e profughi
sul continente africano che alimentano il flusso fino alla rotta
libica del Mediterraneo centrale. I cinque paesi sono Etiopia,
Niger, Nigeria, Senegal e Mali
visitati nei mesi scorsi da numerose delegazioni europee,
da quella tedesca in ottobre
guidata dalla cancelliera Angela Merkel a quella italiana
a novembre guidata dall’allora ministro degli Esteri Paolo
ni Unite al posto del sudcoreano Ban Ki-moon, non ha
ancora detto la sua. Trump, via
Twitter, avvertiva l’Onu che “le
cose cambieranno dopo il 20
gennaio” quando sarà in carica. Già era intervenuto con
successo, assieme al sionista Benyamin Netanyahu, sul
presidente egiziano al Sisi che
aveva presentato la risoluzione originaria per fargliela ritirare. Il testo era però riproposto
dai rappresentanti di Malesia,
Nuova Zelanda, Senegal e Venezuela; l’ambasciatore della
Malesia spiegava poco prima
della votazione che i quattro Paesi consideravano importante “cogliere l’opportunità del crescente consenso” in
seno al Consiglio di una presa
di posizione a fronte anche del
progetto di legge che era in discussione al Parlamento israeliano per legalizzare in modo
retroattivo le colonie ebraiche
in Cisgiordania.
nienti dal Paese.
Nella primavera scorsa Koendeers, sotto la presidenza di
turno olandese della Ue, aveva avviato i negoziati in Mali,
Ghana e Costa d’Avorio. Quello col Mali è il primo degli accordi firmato dalla Ue con l’obiettivo di fermare i migranti
alla partenza e di poterli respingere e rimpatriare. Sulla
falsariga dell’ignobile accordo
modello siglato con la Turchia.
L’accordo prevede una
spesa da parte della Ue pari a
145 milioni di euro per rafforzare le capacità dei servizi di
sicurezza del Mali, per pagare
“operatori” del paese africano
che avranno il compito di iden-
tificare sul suolo europeo i loro
connazionali per poi avviare le
pratiche di rimpatrio.
“Soltanto attraverso questo tipo di cooperazione possiamo affrontare il problema
alla radice” ha sostenuto Koenders tentando di camuffare
sotto la voce della “cooperazione internazionale” attività
come quelle dei respingimenti e dei rimpatri di migranti che
anzitutto sono pratiche di violazione di trattati e convenzioni internazionali sull’asilo. Una
cooperazione a delinquere
che dovrebbe diventare “legale” con semplici accordi bilaterali con governi locali compiacenti.
al momento al suo posto e Erdogan doveva abbandonare
le mire su Aleppo in cambio di
mano libera nel nord della Siria, contro i curdi del nord della Siria invisi pure a Assad.
L’alleanza tra Russia e Turchia non era intaccata dall’attentato. Anzi il regime di Ankara puntava il dito contro il
movimento Hizmet dell’imam
Gulen, rifugiato negli Usa e
accusato da Erdogan di aver
organizzato anche il fallito golpe del 15 luglio scorso. La pista gulenista era sostenuta
dal ministro degli Esteri turco Cavusoglu nell’incontro del
21 dicembre col segretario di
Stato Usa Kerry.
Lo stesso giorno l’uccisione
dell’ambasciatore russo era rivendicata da Jaysh al-Fatah,
l’Esercito della Conquista, ossia dalla federazione nata nel
2015 di vari gruppi armati di
opposizione siriani creata per
volere di al-Nusra, l’organizzazione di al Qaeda in Siria,
con una forte presenza a Idlib
e Hama. Fra i gruppi federati ci sono formazioni che con
la Turchia hanno avuto un legame speciale come quello di
Ahrar al-Sham, che ha partecipato ai primi negoziati a Ginevra, Nour al-Din al-Zenki e il
Turkistan Islamic Party. Nella
rivendicazione apparsa online
e ripresa dall’agenzia iraniana
Isna si affermava che “uno degli eroi di Jaysh al-Fatah, Mert
Altintas, ha giustiziato l’ambasciatore russo Andrey Karlov
ad Ankara”, primo atto di vendetta per le donne, i bambini
e gli anziani uccisi ad Aleppo.
Una “vendetta” per il voltafaccia di Erdogan su Aleppo.
Successivamente uno dei
portavoce dell’ex al-Nusra
smentiva legami con l’assassinio dell’ambasciatore russo a Ankara. Tutto è possibile nel complicato puzzle
siriano dove tra l’altro alcuni
dei gruppi della federazione
Jaysh al-Fatah negoziavano
e si apprestavano a firmare l’accordo di tregua in Siria
costruito da Mosca e Ankara.
Un accordo che lasciava fuori
al Nusra.
La vicenda si chiudeva con
le dichiarazioni del presidente turco Erdogan che presentava le condoglianze ufficiali
“al presidente russo Putin e al
popolo russo” e Putin ringraziava e precisava che “il crimine che è stato commesso è
senza dubbio una provocazione volta a deviare i rapporti tra
Russia e Turchia e il processo
di pace in Siria”.
Il processo della pace imperialista definito dall’alleanza guidata da Mosca permetteva a Erdogan di proseguire
in Siria l’operazione “Scudo
dell’Eufrate” con la quale Ankara, l’Esercito Libero Siriano
e le formazioni evacuate da
Aleppo consolidavano l’occupazione di una zona per impedire la costituzione di una
federazione nel nord della Siria.
Opponiamoci
al governo
Gentiloni
di matrice
renziana
antipopolare
piduista e
fascista
Stampato in proprio
Lottiamo per aprire
la strada al socialismo
e al potere politico
del proletariato
PARTITO MARXISTA-LENINISTA ITALIANO
Sede centrale: Via Antonio del Pollaiolo, 172a - 50142 FIRENZE Tel. e fax 055.5123164
e-mail: [email protected] -- www.pmli.it