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PRIMO PIANO
Venerdì 6 Gennaio 2017
Il leader delle coop sociali bianche: «Quello di Cona è un lager, non è il nostro modello»
Le coop sono un capro espiatorio
Parla il presidente di Federsolidarietà Giuseppe Guerini
DI
GIOVANNI BUCCHI
N
on nega gli scandali nella gestione dei
profughi da parte
delle cooperative, dalle inchieste su Mafia Capitale
a quanto emerso nei Cara di
Mineo e Foggia fino al centro
di Cona nel veneziano.
Però Giuseppe Guerini
non ci sta a immolare l’intera
cooperazione sociale sull’altare dello scaricabarile, come
se tutti i problemi legati alla
gestione dei migranti fossero imputabili alle coop. «Le
nostre cooperative sociali
sono il bersaglio più facile
da colpire, quello più esposto
e vittima di un persistente
pregiudizio ideologico», dice
il presidente nazionale di
Federsolidarietà, organizzazione legata all’associazione
delle coop bianche Confcooperative, che riunisce 6.200
coop sociali in tutta Italia, di
cui 300 lavorano nell’accoglienza profughi.
Domanda. Presidente
Guerini, ormai non passa
giorno che le coop sociali
non siano nell’occhio del
ciclone. Cosa sta succedendo?
Risposta. Su 180mila richiedenti asilo accolti nel
nostro Paese, soltanto un
terzo sono gestiti dalla cooperazione sociale. Ci sono
anche alberghi, imprese private, associazioni di volontariato o istituti religiosi che
lo fanno. C’è anche il caso
di un ex sindaco della Lega
Nord, originario delle valli
bergamasche, titolare di una
azienda Srl, attiva
in questo settore.
Eppure siamo noi
il capro espiatorio
per i giornali.
D. Forse perché
avete fornito più
di un pretesto...
R Purtroppo non
sono mancati i casi
in cui cooperative
hanno prestato
il fianco, rendendosi protagoniste
di pessime operazioni di gestione.
Però vanno fatte
distinzioni, non si
può generalizzare.
Così come va considerato il fatto che
le cooperative danno risposta a un
problema annoso che lo Stato
non ha mai saputo risolvere.
Sono 20 anni che in Italia ci
troviamo a gestire l’afflusso
di immigrati e richiedenti asilo con un approccio di
emergenza, come se si trattasse di fenomeni sporadici.
Ancora non abbiamo capito
che è una grande questione
strutturale, che nei prossimi
10-15 anni avremo milioni
di profughi che dall’Africa
all’Asia si riverseranno in
Europa. Dobbiamo smettere
di trattare questo problema
come un’emergenza, altrimenti trasformiamo il sistema di accoglienza in una
fabbrica di irregolarità.
D. Cosa intende?
R. Facciamo un esempio:
un richiedente asilo sbarca
a Lampedusa, dopo alcuni
mesi arriva in un centro di
Giuseppe Guerini
accoglienza nel nord e prima
di avere una risposta sulla richiesta di asilo attende
circa 6-8 mesi. Nel frattempo
le coop lo accolgono, lo educano, lo formano, cercano di
professionalizzarlo. Poi nella
maggioranza dei casi, oltre
l’80%, gli viene negata la domanda; non è più un profugo, va rimpatriato, cosa che
il nostro Stato non fa. Quindi
lui rimane in quel limbo che
alimenta la delinquenza o
devianza, con persone che
facilmente diventano schiavi
dei racket dello spaccio, della prostituzione o dell’accatonaggio. E così il nostro Paese
di fatto si trova a fabbricare
schiere di irregolari.
D. Torniamo alle cooperative. Qual è il modello di
accoglienza che voi proponete?
R. Quello previsto
dal protocollo sottoscritto con Anci e Viminale nel 2016, al quale
hanno aderito circa 250
delle 300 nostre coop
sociali che lavorano
nell’accoglienza dei richiedenti asilo. È stata
la nostra principale risposta dopo gli scandali
di Mafia Capitale in cui
anche alcune nostre cooperative sono rimaste
coinvolte. Sosteniamo
un’accoglienza diffusa nel territorio, che
non passa dai grandi
centri di aggregazione
di immigrati, dove gli
ospiti vengono formati con l’insegnamento
dell’italiano e di alcuni
mestieri, si mettono al servizio
della comunità locale perché
la collaborazione con il territorio diventa fondamentale. Le
coop sociali hanno il compito
di costruire progetti di integrazione tra immigrati e comunità locali, per questo non
possono gestire numeri troppo
elevati di persone.
D. Nel centro di Cona
gestito dalla coop Ecofficina ci sono però 1500 richiedenti asilo. Come la
mettiamo?
R. Lo dico chiaramente:
quel centro, i Cara di Mineo e
di Foggia, sono dei lager, non
hanno nulla a che vedere con
il nostro modello, tant’è che
Ecofficina, la coop sociale che
gestisce il centro di Cona e
prima si occupava di raccolta
rifiuti, è stata estromessa da
Confcooperative Veneto già da
diverso tempo.
È dal 2014 che vado ripetendo questo concetto: le coop
sociali non possono gestire
queste maxi strutture che si
trasformano in lager, devono
lavorare sul loro territorio con
numeri più bassi, seguendo il
modello dell’accoglienza diffusa. Casi come quelli di Ecofficina che ha messo a posto
i suoi bilanci con il business
dell’accoglienza non ci rappresentano. Io non li difendo, così
come non difendo la coop 29
Giugno di Salvatore Buzzi o
chi gestisce i Cara di Mineo e
Foggia; sono solo degli approfittatori che sfruttano lo strumento della cooperazione per
organizzare imprese che non
hanno nulla a che vedere con
la solidarietà.
D. Peccato che questo
vostro messaggio non sia
percepito nell’opinione
pubblica.
R. Ne siamo ben coscienti
e stiamo lavorando per migliorare la nostra percezione. Mi lasci però dire una
cosa: quando c’è stato il crac
Parmalat con i risparmiatori
che hanno perso tutto, non
si è messa in discussione la
forma della società per azioni. E ancora: davanti alla crisi
di Monte dei Paschi, non ci si
scaglia contro la forma spa di
una banca, ma – giustamente
- contro quella banca e come è
stata gestita. Ecco, nella cooperazione questo non accade,
quando è una coop a comportarsi male si critica l’intero
sistema con generalizzazioni
sbagliate e dannose.
© Riproduzione riservata
IL CDM HA CEDUTO ALLA REGIONE TRENTINO LA DELEGA SUL PERSONALE E SUGLI UFFICI GIUDIZIARI
Anche la giustizia è sempre più autonoma
Per lo Stato si tratta di una svolta destinata a lasciare il segno
DI
U
FILIPPO MERLI
na giustizia a Statuto speciale. La Regione
Trentino Alto Adige ha
ricevuto dal Consiglio dei
ministri la delega all’amministrazione degli uffici giudiziari. D’ora
in avanti, le questioni logistiche
della giustizia e il personale, a eccezione dei magistrati e di quattro
dirigenti, non dipenderanno più da
Roma, ma dalle Province autonome
di Trento e Bolzano. È una svolta
rivoluzionaria, un provvedimento
che non ha precedenti in Italia e
che è stato accolto con grande soddisfazione sia dal mondo politico
trentino, sia dagli avvocati locali.
La delega è scattata l’1 gennaio, ma avrà effetto a partire
dalla seconda metà del 2017, in
modo da consentire ai dipendenti
di esercitare il proprio diritto di
opzione tra le due amministrazioni
coinvolte e di avviare le procedure
contrattuali e l’eventuale conver-
sione degli stipendi.
«Una buona amministrazione
della giustizia è uno dei parametri fondamentali per i cittadini,
ma anche per le imprese che devono investire su un territorio»,
ha spiegato il governatore del
Trentino, Ugo Rossi, esponente
del Partito autonomista trentino
tirolese (Patt). «Con questa delega
avremo la possibilità di garantire
nelle nostre province i servizi di
qualità cui i nostri cittadini sono
già abituati».
Gli oneri della delega ricevuta da Roma, che si trovava
nell’agenda del Trentino da una
decina d’anni, saranno a carico
delle Province di Trento e Bolzano
tramite una riduzione del concorso delle stesse al risanamento del
bilancio dello Stato. Dal punto di
vista economico, l’operazione vale
circa 22 milioni di euro l’anno e
riguarda 400 dipendenti statali.
Nella trattativa col Cdm, il
ruolo chiave l’ha avuto il de-
putato del Centro democratico,
Lorenzo Dellai, presidente della Commissione paritetica per le
norme di attuazione dello Statuto
speciale, detta anche Commissione
dei Dodici.
«Si tratta di un’ottima notizia
per la nostra autonomia, che ne
esce rafforzata, ma, in realtà, anche per tutto il Paese», ha sottolineato il parlamentare sull’edizione locale del Corriere delle Alpi. «È
la prima volta che lo Stato delega
una parte rilevante delle funzioni
operative e amministrative in un
settore considerato, per definizione, di assoluta riserva statale».
«La Commissione dei Dodici, su input della Regione e delle
Province di Trento e Bolzano, s’è
impegnata moltissimo per questa
norma, che ha più volte subito modifiche e affinamenti tecnici e che
ora, finalmente, diventa operativa. L’auspicio», ha proseguito Dellai, «è che adesso si lavori con la
collaborazione di tutti a definire i
passaggi operativi, indubbiamente
complessi, che la norma comporta». «In particolare, mi auguro che
riprenda, con senso di responsabilità e reciproca apertura, il confronto tra la Regione e i sindacati
dei dipendenti interessati al trasferimento nei ruoli regionali. Per
quanto si può capire, non sembrano esserci ostacoli insormontabili
per definire buoni accordi, aspetto fondamentale per garantire un
percorso sereno e costruttivo».
Per i sindacati, è stata la Uil
ad augurarsi «maggior efficienza
dei servizi di giustizia per la cittadinanza e per le imprese della
Regione Trentino Alto Adige, ma
anche nell’amministrazione del
personale che transiterà dallo
Stato all’ente territoriale. Si dovrà
attivare immediatamente il tavolo
tecnico per la definizione dell’assetto dei dipendenti e del diritto
d’opzione di chi vorrà restare nei
ruoli statali».
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