Obama: un bye-bye in mezzo alla tempesta

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giovedì 05 gennaio 2017, 18:15
Esteri: il Punto
Obama: un bye-bye in mezzo alla tempesta
Turchia attacca Obama corteggia Trump, autobomba a Smirne; Obama agli americani: lascio Paese migliore
di Redazione
Turchia nuovamente sotto attacco. Mentre l’intelligence è ancora al lavoro per tentare di assicurare alla giustizia
l’attentatore di Capodanno -all’alba la Polizia aveva eseguito altri arresti, i sospetti apparterrebbero alla comunità uiguri e
sarebbero accusati di essere complici del killer della strage, ancora latitante -, oggi un'autobomba è esplosa davanti al
tribunale di Smirne, città turca sull'Egeo, ferendo almeno undici persone, mentre due terroristi sono stati uccisi
nello scontro a fuoco con le forze dell'ordine che è seguito, il terzo attentatore si è dato alla fuga. Ancora nessuna
rivendicazione, le fonti ufficiali sembrano addossare la responsabilità al Pkk curdo. In giornata, intanto, nel Paese erano
proseguite le ‘purghe’. La procura di Ankara ha emesso un mandato di arresto per 105 mogli di militari sospettati
di aver avuto un ruolo nel fallito golpe dello scorso 15 luglio e di far parte della rete che fa capo all'imam Fethullah
Gulen, ritenuto dal Governo la mente del colpo di Stato. Il Governo ha auspicato che Washington conceda il via libera
all'estradizione dell'imam Fethullah Gulen, ritenuto da Ankara la mente del fallito golpe di luglio. E a questo proposito il
Governo si è detto ottimista su un miglioramento delle relazioni con gli Usa sotto la presidenza di Donald
Trump, ha sottolineato il vice Primo Ministro di Ankara Numan Kurtulmus, all'indomani delle dichiarazioni del Ministro
degli Esteri turco, Mevlut Cavusoglu, che ha parlato di una "crisi nel rapporto di fiducia" tra la Turchia e gli Stati
Uniti. "Attualmente abbiamo un rapporto teso con gli Stati Uniti ma non penso che sarà così a lungo. Credo che questa
tensione presto si allenterà", ha affermato Kurtulmus in un'intervista al quotidiano 'Hurriyet', riferendosi all'insediamento del
presidente eletto Trump previsto il 20 gennaio. E in concomitanza con l’auspicio, l’attacco all’Amministrazione uscente.
Dietro la strage del Reina di Istanbul ci sarebbe la 'mano' degli Stati Uniti. Ne sono convinti alcuni giornali e politici
turchi vicini al Presidente, Recep Tayyip Erdogan, che hanno tirato in ballo Washington per il massacro di Capodanno così
come avevano fatto per il fallito golpe in Turchia del 15 luglio e l'omicidio dell'ambasciatore russo ad Ankara. A puntare i
riflettori su questa convinzione dei vertici turchi è il ‘New York Times’ in una analisi dei titoli dei media e del clima sui social
turchi. 'L'America è la prima sospettata', ha titolato un quotidiano filogovernativo che accusa esplicitamente gli Usa di
essere gli artefici della strage. "Chiunque sia il killer, l'attacco al Reina è un atto della Cia. Punto", gli ha fatto eco un
deputato su Twitter. Come non bastasse, oggi Ankara ha fatto sapere che si riserva il diritto di chiudere la base
aerea di Incirlik usata dalla coalizione per attaccare i jihadisti in Siria. Lo ha detto oggi il portavoce del presidente
Recep Tayyip Erdogan, sullo sfondo di tensioni fra Ankara e Washington. Il portavoce ha aggiunto che la questione non si
pone attualmente in maniera ‘urgente’. Profonde divergenze oppongono Ankara e Washington sulla crisi siriana, soprattutto
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in merito al sostegno americano alle milizie curde siriane che la Turchia considera gruppi terroristi legati al Partito dei
Lavoratori del Kurdistan. Clima tesissimo negli Stati Uniti. Le agenzie di intelligence degli Stati Uniti hanno
ottenuto quella che considerano la prova conclusiva sul fatto che la Russia abbia fornito a Wikileaks, attraverso
una terza parte, materiale hackerato dal Democratic National Committee. Lo hanno rivelato tre funzionari a ‘Reuters’
che ha diffuso la notizia nella nottata americana di ieri. Già mesi prima l'intelligence Usa aveva sostenuto che i servizi
segreti russi avevano diretto l'attacco informatico ma era stata meno sicura nel dimostrare che la Russia avesse controllato
le informazioni relative alla candidata democratica Hillary Clinton. Il rapporto, secondo queste fonti, è stato presentato
oggi a Obama e domani sarà presentato a Trump. Mentre si diffondevano le anticipazioni di questi funzionari, il team
di Donald Trump ha fatto sapere di essere al lavoro per ristrutturare le Agenzie di intelligence degli Stati Uniti.
"Il mondo dell'intelligence è completamente politicizzato. E ha bisogno di essere snellito. La riforma è volta ad una profonda
ristrutturazione delle Agenzie e delle modalità con le quale interagiscono fra loro" scrive il ‘Wall Street Journal’ citando una
fonte dello staff di Trump. Secondo il quotidiano la modernizzazione della Cia comporterà una riduzione del personale
nella sede centrale dell'Agenzia e l'aumento del numero degli agenti in tutto il mondo. Ieri il vice di Trump, Mike
Pence aveva espresso un "sano e sincero" scetticismo sulle presunte interferenze della Russia rispetto alle
presidenziali Usa. La Cia ha sostenuto che la Russia abbia svolto un ruolo di primo piano negli attacchi informatici alle
istituzioni politiche statunitensi. Cosa che avrebbe favorito l'elezione di Trump. E dello stesso segno è un rapporto
presentato la scorsa settimana dal Federal Bureau of Investigation e Department of Homeland Security (DHS). Le
rivelazioni riguardo questa riorganizzazione arrivano, dunque, mentre è in corso lo scontro pubblico tra il Presidente eletto e
la Cia. La Cia ha rifiutato di commentare con il ‘Wall Street Journal’ i piani del Presidente eletto, ma l'intelligence
americana è sempre più preoccupata dagli attacchi di Donald Trump, arrivati spesso via Twitter. In vista del faccia a
faccia previsto domani, quando il Presidente eletto riceverà aggiornamenti sull'interferenza della Russia nelle elezioni
presidenziali dello scorso 8 novembre, la comunità americana che custodisce informazioni top secret è nervosa anche
perché sembra esserci un divario tra la posizione di Trump in pubblico e il suo comportamento in incontri a
porte chiuse. In questi ultimi - nei quali il quadro completo sull'hacking russo non è ancora stato presentato - il miliardario
di New York sembra professionale, rispettoso ed educato, riferiscono alcuni funzionari alla Cnn; ma è quanto sbandierato a
colpi di cinguettii che stona. "Nessuno vuole iniziare nel peggiore dei modi (una relazione) con il nuovo capo. Ci stiamo
avviando verso un'era di ostilità", ha detto una fonte al canale tv. Trump continua avere problemi anche con il suo
partito. Potrebbe emergere la spaccatura in seno ai repubblicani americani quando, nelle prossime ore, al
Congresso americano, la Commissione dei Servizi Armati del Senato terrà la sua prima audizione pubblica sul tema dei
possibili cyber-attack russi prima del voto dell'8 novembre. Un'avvisaglia sono le parole del senatore repubblicano, John
McCain, bestia nera di Mosca, che mercoledì ha definito "un atto di guerra" gli attacchi di pirateria informatica
attribuiti dai servizi di sicurezza americani a Mosca. "Non dico che sia un attacco atomico", ha detto McCain, "dico
semplicemente che attaccare la struttura fondamentale di una Nazione, come stanno facendo (i russi), è un atto di
guerra". Molti repubblicani in Congresso hanno mantenuto la loro dura posizione contro Mosca, nonostante la conclamata
ammirazione di Trump per il Presidente russo Putin. Intanto l’Amministrazione Obama sta facendo gli scatoloni. Con
una lettera indirizzata al popolo degli Stati Uniti, e resa pubblica dalla Casa Bianca, Barack Obama ha esaltato i
risultati raggiunti dall'Amministrazione da lui guidata, e ha difeso il retaggio di otto anni di mandato che il successore
Donald Trump e il Partito Repubblicano vogliono cancellare, quanto meno in larga misura. “Lascio un Paese migliore e
sarebbe sbagliato smontare le tante riforme realizzate nel corso dei miei due mandati”, sostiene in sintesi il
Presidente. Contemporaneamente al messaggio del futuro 'privato cittadino', ciascuno dei Ministri facenti parte del suo
gabinetto ha diffuso una relazione in cui descrive i progressi compiuti, per quanto di rispettiva competenza. Il Segretario
di Stato uscente John Kerry in ventuno pagine ha tracciato il bilancio del suo mandato a Foggy Bottom per difendere i
successi di politica estera del secondo mandato di Barack Obama e per indicare quelli che dovrebbero essere due dei
capisaldi della prossima amministrazione: l'accoglienza ai rifugiati in arrivo dal Medio Oriente e la lotta ai cambiamenti
climatici. "Mentre mi preparo a passare il testimone, e quindi a fare la mia parte da privato cittadino, sono orgoglioso e
fiero di affermare che abbiamo posto nuove fondamenta per l'America", scrive Obama. Segue l'elenco di quanto
realizzato: dalla svolta in economia, che all'epoca del primo insediamento nel 2009 stava precipitando verso la depressione,
e dalla creazione di nuovi posti di lavoro alla drastica riduzione della dipendenza dalle importazioni di idrocarburi dall'estero;
dal graduale disimpegno militare in Iraq e in Afghanistan all'Accordo di Parigi del 2015 sul Clima, obiettivo perseguito con
tenacia dal presidente Usa uscente, fino a quello che lui stesso considera il proprio fiore all'occhiello, la riforma sanitaria
chiamata comunemente Obamacare, mentre per Trump e' uno dei primi bersagli su cui dirigere il tiro. Una missione per
niente compiuta di Obama è la Sira. L'inviato speciale delle Nazioni unite per la Siria, Staffan de Mistura, ha fatto sapere
oggi di sperare che i colloqui di pace di Astana, in Kazakistan, contribuiranno a rafforzare il cessate il fuoco e sostenere i
colloqui a Ginevra a febbraio. E oggi nel Paese si è registrato un nuovo attacco. Una esplosione nella città di Jableh,
nella provincia di Laodicea, che ha provocato 9 morti e 25 feriti. Secondo un'indagine preliminare si è trattato di un
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attentato terroristico. L'esplosione di autobomba avvenuta nei pressi dello stadio locale ha danneggiato auto e negozi.
L’altra missione non conclusa di Obama è sicuramente l’Iraq. Le forze irachene hanno lanciato oggi una nuova
offensiva militare per riprendere il controllo delle città in mano ai jihadisti dello Stato islamico nell'Ovest
dell'Iraq, vicino al confine con la Siria. "Un'azione militare ha avuto inizio nelle aree occidentali di Al Anbar per liberarle da
Daesh", ha affermato l'ufficiale Qassem Mohammedi, uno dei comandanti delle operazioni. L'offensiva è guidata dalla
Settima divisione dell'Esercito, da unità della Polizia e da combattenti di tribù locali, con il sostegno aereo della coalizione
internazionale sotto comando americano. Il primo obiettivo dell'operazione è la località di Aanah: le forze dirigeranno
poi verso Rawa e Al Qaim, le più ad Ovest del Paese, sulle rive dell'Eufrate. Haditha, 200 chilometri a Nord-Ovest di
Baghdad, è la terza città della vasta provincia di Al Anbar e si trova presso la seconda più grande diga idroelettrica del
Paese. "E' arrivato il momento di liberare le zone occidentali", ha affermato Nadhom al Jughaifi, comandante delle tribù di
Haditha. Sebbene infatti negli ultimi mesi le forze irachene abbiano strappato all'Isis il controllo di vaste zone della provincia,
in particolare il suo capoluogo Ramadi e la città di Falluja, la sicurezza di questa regione desertica al confine con la Siria, la
Giordania e l'Arabia saudita resta precaria e la presenza di sacche di jihadisti dell'Isis rimane consistente. Le forze
paramilitari filogovernative in Iraq accusate di crimini di guerra usano armi che sono prodotte in 16 Paesi, tra
cui anche Stati Uniti, Iran e diversi Paesi Ue, tra cui l'Italia, la Germania e la Gran Bretagna. Si legge nel rapporto
pubblicato da Amnesty International. Tra gli altri fornitori anche Austria, Bulgaria, Cina, Croazia, Ungheria, lo stesso Iraq,
la Corea del Nord, la Polonia, Serbia, Sudafrica e Svizzera.
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