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Original Work
Original Characters
Steampunk, original - Freeform, Originale - Freeform, Storia a
capitoli, Italiano, personaggi originali - Freeform, relazioni romantiche
secondarie, molto secondarie, estremamente secondarie,
Imprecazioni, ubriachezza, dirigibili
Published: 2016-12-30 Updated: 2017-01-05 Chapters: 2/? Words:
3610
Le mirabolanti avventure aeree del Lead Zeppelin
by Frostales
Summary
"C’erano solo due modi per sopravvivere a bordo di un dirigibile per più di qualche ora:
Abituarsi al costante rumore o scendere al primo attracco e non tornare mai più."
~
Dirigibili che solcano il cielo delle capitali di tardo '800, capitani irascibili e ragazzini
tuttofare dalla lingua più sciolta di quanto non sia opportuno per compensare al silenzio di
meccanici perennemente infuriati e navigatori con un'eccessiva passione per il Rum.
Questo e molto altro nelle mirabolanti avventure aeree del Lead Zeppelin, un racconto
Steampunk in più capitoli!
Notes
See the end of the work for notes
Il capitano Harrington
C’erano solo due modi per sopravvivere a bordo di un dirigibile per più di qualche ora: Abituarsi
al costante rumore o scendere al primo attracco e non tornare mai più.
Il rombare basso e cupo dei motori poteva essere sentito in ogni angolo della struttura, ogni
singolo passo produceva rumore persino nelle cabine più lussuose il cui pavimento era ricoperto
da uno strato di parquet e ricchi tappeti, il soffio del vento era un sottofondo costante, così come i
continui richiami dei membri dell’equipaggio, abituati a parlare a voce molto più alta del normale
per essere sicuri di essere sentiti.
Per anni i dirigibili erano stati incaricati di trasportare unicamente merci, e nessuno aveva mai
avuto problemi. Ogni tanto qualche pallone scoppiava e precipitava, ma erano comunque meno
delle navi che si inabissavano in alto mare o delle carovane che venivano saccheggiate dai
briganti.
Poi qualcuno, nel 1889, aveva avuto la brillante idea di adibire i dirigibili al trasporto di
passeggeri. Ecco quando le cose avevano cominciato ad andare male.
Innanzitutto era stato necessario rinnovare gli interni della zona di carico per creare delle cabine
per i passeggeri e delle sale in cui permettere alle persone di passare il tempo durante le
interminabili ore di volo, perdendo così spazio per immagazzinare i carichi di merce. Poi erano
state create delle grandi cucine, quando prima l’equipaggio si accontentava di cibo freddo, e
persino delle stanze da bagno. In breve le dimensioni dei mezzi erano aumentate del doppio,
richiedendo quindi una maggiore potenza e una maggiore manutenzione.
I dirigibili erano il mezzo di trasporto più veloce, ma con il vento contrario o le brutte bufere
atlantiche impiegavano comunque almeno tre giorni per giungere in America dall’Inghilterra, ma
apparentemente questo alla ricca borghesia non importava fintanto che potevano vantarsi di aver
viaggiato in volo sopra l’oceano.
Il Lead Zeppelin era stato uno dei primi dirigibili ad essere trasformato in un mezzo per
passeggeri. Più per fortuna che per abilità il suo equipaggio era sopravvissuto per intero alla
bonifica effettuata dalle compagnie di spedizioni. Quando dovevi solo spostare scatole e tenere in
volo un pallone non ti interessava se a far volare il dirigibile erano un branco di bestemmiatori
senza rispetto né educazione, ma quando dovevi ospitare a bordo donne e bambini dell’alta società
era necessario sapere di avere a che fare con persone affabili, o quantomeno affidabili.
Il numero di passeggeri che avevano costantemente bisogno di conferire col capitano era talmente
alto che la pazienza dello stesso veniva messa alla prova nelle maniere più bizzarre, a tutte le ore
del giorno e della notte. Era quindi ovvio che una persona in grado di mantenere la calma e un
linguaggio appropriato fosse fondamentale per ricoprire quel ruolo.
Robert Harrington non era né un uomo particolarmente colto né un uomo particolarmente
paziente, ma era un uomo estremamente furbo. Aveva capito subito cosa sarebbe stato necessario
per mantenere il suo posto come capitano del Lead Zeppelin e aveva fatto del suo meglio per
dimostrare alla compagnia per cui lavorava che era l’uomo più educato e rispettoso che avessero
mai visto. Il fatto che fosse riuscito a convincerli aveva fatto perdere una somma incredibile di
denaro ai membri dell’equipaggio che, conoscendolo, avevano scommesso contro di lui.
Forse, se avesse saputo cosa lo aspettava da quel momento in poi, non si sarebbe impegnato così
tanto -arrivando al punto di radersi la sua amatissima barba fulva pur di non sembrare un
selvaggio- ma l’amore per il suo dirigibile, di cui si era preso cura fin da quando era solo un
progetto su carta, l’aveva spinto fino a quel punto.
Adesso era costretto a fare il bagno almeno una volta ogni due giorni, a indossare abiti consoni al
suo ruolo e a curare il suo aspetto quanto bastava per non sembrare un selvaggio. Passava più
tempo a conversare con i passeggeri nella sala da the allestita sul livello più basso della struttura che vantava una stupenda vetrata panoramica- di argomenti che riteneva estremamente noiosi
invece che in sala comandi a controllare la rotta e sbraitare ordini agli altri uomini, oppure in sala
motori a spalare carbone per aumentare la potenza delle turbine.
Raramente capitava qualche passeggero meno noioso di altri, ma tutto terminava comunque in un
paio di giorni quando raggiungevano la loro destinazione e tutti scendevano per non tornare mai
più.
I pochi che non trovavano estremamente stressante il continuo rumore dei motori scoprivano di
soffrire di una tremenda nausea non appena il dirigibile prendeva quota, oppure di essere
terrorizzati dalle altezze, e si affrettavano a prenotare un più lento ritorno in nave, e al capitano
andava benissimo così. C’era un numero limitato di complimenti che era in grado di rivolgere alle
signore che accompagnavano i mariti nei loro viaggi, e un numero limitato di minuti per cui
riusciva a sopportare i bambini curiosi prima di desiderare di lanciarli di sotto insieme ai rifiuti
delle latrine.
I veri passeggeri abituali erano pochissimi. Tra quelli c’era Lady Emma Chapman, vedova ormai
avanti con gli anni che puntualmente ogni tre mesi si imbarcava sul Lead Zeppelin per andare da
Londra, dove viveva il maggiore dei suoi figli, a Nuova York, dove il minore aveva fatto fortuna
con le fabbriche di tessuti, e poi di nuovo a Londra.
L’anziana donna aveva un’energia che molte donne più giovani le invidiavano. Viaggiava da sola
e continuava imperterrita ad usare i dirigibili nonostante il costante rumore le impedisse di chiudere
occhio la notte. Sosteneva che non aveva intenzione di lasciare quel mondo troppo presto, e che
affogare a bordo di una bagnarola che affondava non era suo desiderio. In più, non sembrava
sconvolgersi quando il capitano si lanciava sfuggire qualche parola non troppo lusinghiera nei
confronti di qualche membro dell’equipaggio, anzi cercava spesso la sua compagnia nelle
interminabili ore notturne che passava sveglia in quanto, secondo lei, un giovane vigoroso era la
compagnia migliore per una signora che ormai tutti trattavano come se avesse già un piede nella
fossa.
Robert ricambiava la schiettezza della signora Chapman accompagnandola personalmente in
lunghe passeggiate lungo gli stretti corridoi del dirigibile, mostrandole come funzionava il Lead
Zeppelin e di cosa si occupavano i vari membri dell’equipaggio.
La Lady era ormai una presenza conosciuta nella sala di comando, così quando tornò nuovamente
a bordo del dirigibile nel loro volo di ritorno a Londra il capitano decise di accompagnarla a
vedere il ponte superiore.
Il terzo ponte -o ponte superiore- era il ponte più in alto, dove oltre agli alloggi dei garzoni e dei
manovali si trovavano la sala macchine, la cisterna dell’acqua e il deposito di carbone. Lì l’aria era
resa più pesante per la vicinanza col pallone aerostatico e per i fumi di scarico dei forni che
bruciavano incessantemente, ma la signora aveva espresso la sua curiosità nonostante gli
avvertimenti ricevuti e ora avanzava con sguardo ammirato nel corridoio sporco di fuliggine,
incurante del suo vestito che si sporcava ad ogni passo.
Il capitano aveva insistito per darle il braccio così da aiutarla a scavalcare le grosse tubature che
attraversavano il pavimento ma i due dovevano avanzare camminando di fianco, dato che la
maggior parte del corridoio era occupato da sacchi e grossi cavi che andavano da una parte
all’altra per favorire le comunicazioni e il trasporto di vapore.
Lady Chapman non riuscì a reprimere un grido quando qualcosa di piccolo e sporco le sgattaiolò
davanti, filando verso la porta del deposito di carbone, e il capitano Harrington fu veloce ad
afferrare la suddetta cosa per il bavero.
“Cosa ti salta in mente, cervello di topo!” Esclamò con voce rauca, strattonando in piedi un
ragazzino smilzo col volto interamente macchiato di fuliggine. “Hai spaventato Lady Chapman.
Chiedi scusa!”
“Mi dispiace di avervi spaventata, Lady Chapman.” Rispose lesto il ragazzino, abbassando gli
occhi con sguardo colpevole. “Ma alle fornaci serve un sacco di carbone molto urgentemente,
vado di fretta.” Spiegò, liberandosi con agilità dalla presa del capitano e sgattaiolando via.
“Oh cielo, quel ragazzino è davvero veloce!” Commentò la signora, ripresasi subito dallo
spavento.
“Quello è Jon. Lo teniamo a bordo perché è piccolo e veloce, riesce ad infilarsi ovunque quel
ragazzino!” Spiegò il capitano, la fronte ancora aggrottata per il comportamento del garzone. “Non
che riesca a sollevare molto peso, ma si rende utile.”
“Direi che è la qualità più importante!” Sentenziò Lady Chapman, tornando a posare la mano
sull’avambraccio del capitano. “E cosa si trova dietro quella porta?” Chiese, incuriosita, mentre
Jon passava nuovamente loro davanti con un sacco di carbone in spalla, diretto giusto verso la
porta che la donna aveva appena indicato.
“Quella, mia cara Lady Chapman, è la sala macchine. Non è il luogo adatto a una donna, temo.”
Rispose il capitano, lanciando un ultimo sguardo ammonitore al ragazzino che sostenne lo sguardo
con espressione illeggibile prima di varcare la soglia e chiudere la pesante porta di metallo.
“Tutto questo rumore viene da lì?” Chiese incuriosita la donna, lasciandosi condurre attraverso
quello che restava del corridoio.
“Esattamente, non spegniamo mai i motori, neanche quando il dirigibile è fermo in porto, o i forni
si raffredderebbero e ci vorrebbero giorni per riportarli alla temperatura giusta.” Rispose lui,
aiutandola a scendere le strette scale che portavano al secondo livello, dove oltre alla sala comandi
e le cabine del capitano e degli ufficiali si trovavano le cucine e i depositi per la merce. “Solo due
volte all’anno spegniamo tutto e facciamo una grossa pulizia, così da assicurarci che sia tutto in
condizioni perfette.”
“E non avete mai avuto problemi di alcun genere?” Domandò Lady Chapman, lasciandosi
condurre verso la porta del suo alloggio.
“Sul mio onore, Lady Chapman, mai nessun problema. Il Lead Zeppelin è il miglior dirigibile che
troverà mai in cielo e in terra, glielo posso assicurare.” Robert Harrington gonfiò il petto
inorgoglito dal suo dirigibile e lanciò un sorriso tutto denti anneriti dal tabacco che la signora
ricambiò senza esitare.
“Lo spero davvero, capitano. Lo spero davvero.”
Il meccanico Hopkins
Chapter Notes
See the end of the chapter for notes
Che il Lead Zeppelin non avesse mai avuto alcun problema non era del tutto la verità. Che fosse il
miglior dirigibile in circolazione nemmeno, ma questo ovviamente la buona signora Chapman non
poteva saperlo, e forse era meglio così.
Chi lo sapeva fin troppo bene era invece James Hopkins, colui che aveva immaginato il Lead
Zeppelin, lo aveva disegnato su un pezzo di carta nei minimi dettagli e lo aveva poi presentato a
Robert Harrington e ai proprietari della compagnia di spedizioni che aveva indetto il concorso per
il miglior progetto di un dirigibile da trasporto merci.
James aveva visto oltre quello e aveva realizzato un progetto per un dirigibile con navicella a tre
ponti in grado di imbarcare quantità notevoli di carico, almeno il doppio rispetto agli altri dirigibili
dell’epoca.
Per anni aveva lavorato come apprendista in fonderia, spronato dalle parole del padre e dalle
cinghiate della madre che, con quattro figlie femmine, vedeva nell’unico figlio maschio la
speranza di qualche penny in più alla fine del mese. Questo gli aveva fornito una conoscenza dei
metalli non indifferente, per cui era stato in grado di progettare un dirigibile rigido molto più forte
e resistente, in grado di sollevare carichi notevolmente più pesanti grazie a due elementi:
Un’intelaiatura ricoperta di stagno e degli strati di cuscinetti d’elio tra i tre ponti della navicella.
Nella sua mente di giovane di belle speranze si vedeva promosso a capo cantiere e incaricato di
supervisionare i lavori invece che sgobbare, ma preso dalla foga non aveva esaminato nel dettaglio
il bando del concorso e si era trovato imbarcato sul Lead Zeppelin come meccanico. Fino alla fine
dei suoi giorni su questa terra, citava il contratto.
I lati positivi non mancavano. La madre era diventata la donna più affettuosa del mondo quando
aveva ricevuto parte del suo primo stipendio, la compagnia a bordo era piacevole e la vita del
marinaio, sempre in volo tra una città e l’altra, non era malaccio. Tuttavia James -o Jimmy,
com’era diventato dopo appena due giorni a bordo- era un giovane uomo che amava la routine, e
di quella non ne vedeva molta nonostante avesse perfino provato a stabilire degli orari di lavoro.
Non passava giorno senza che quella maledetta scatola volante non avesse qualche problema a
tutte le ore del giorno e della notte, soprattutto da quando era stata adibita al trasporto passeggeri.
Il punto saliente della questione, però, era che James non era un meccanico.
Aveva lavorato i metalli e studiato i funzionamenti dei macchinari che facevano muovere i
dirigibili con avidità su tutti i libri illustrati che riusciva a trovare, al punto da riuscire a creare un
progetto incredibile completamente da solo, ma la prima volta che Robert gli aveva messo in mano
una chiave inglese chiedendogli di sistemare un portellone che aveva perso aderenza lui non aveva
saputo neanche da che parte cominciare.
“Leggi un libro!” Gli aveva urlato dietro il capitano.
Ma lui non sapeva leggere.
Si era procurato dei libri illustrati al loro primo atterraggio di emergenza, si era fatto insegnare
come leggere le parole che trovava più comunemente e si era rimboccato le maniche. Ma tutto
quello non era servito a migliorare in alcun modo la sua indole da manovale degli slums londinesi.
Quando il dirigibile era stato convertito al trasporto dei passeggeri tutti, lui compreso, erano stati
convinti che sarebbe stato il primo a restare a terra, ma sfortunatamente per i dirigenti della
compagnia quel “Fino alla fine dei suoi giorni su questa terra.” gli si era ritorto contro. Non
potendolo mandare via avevano quindi aggiunto una clausola al contratto che gli vietava
categoricamente di parlare davanti ai passeggeri.
Tutti coloro che avevano messo piede sul Lead Zeppelin erano fermamente convinti che il
meccanico con lo sguardo perennemente infuriato avesse perso la lingua in seguito a un incidente
coi macchinari, ma la realtà era molto più semplice: Jimmy Hopkins era incapace di pronunciare
più di cinque parole senza intramezzarle con le peggiori oscenità che riuscivano a venirgli in
mente.
Il capitano e tutto l’equipaggio lo tolleravano senza alcun problema, ma una volta una lady
capitata per sbaglio a portata della sua voce era svenuta e si era ripresa solo dopo svariati minuti e
una cospicua inalazione di sali.
Da allora il meccanico preferiva restare il più possibile in sala comandi se non era impegnato a
lavorare, cercava di evitare la sala macchine per il calore insopportabile che sprigionavano i forni e
il clangore dei macchinari che ormai, volente o nolente, conosceva come le sue tasche al punto di
rendersi conto solo ascoltandoli se qualcosa non andava.
Ogni mattina l’uomo si svegliava nella speranza che quella volta filasse tutto liscio, e ogni giorno
prima o dopo qualcuno correva nella sala di comando chiamando il suo nome e scatenando una
serie di improperi che lo precedevano fino alla fonte del problema.
Quel giorno, apparentemente, c’era qualcosa che non andava nei serbatoi dell’acqua, perché nelle
cabine dei passeggeri, così come nelle cucine, non arrivava l’acqua calda.
L’acqua calda era stata una delle sue tante idee brillanti. Proveniva da un serbatoio secondario
circondato dai tubi che trasportavano all’esterno il vapore incandescente. Era limitata e non
arrivava in ogni punto dei tre ponti alla stessa temperatura, ma i passeggeri sembravano apprezzare
il lusso e nessuno si era mai lamentato. Finché, ovviamente, tutto aveva funzionato a dovere.
Jimmy aveva capito che quella sarebbe stata una pessima giornata nel momento in cui, alzandosi,
aveva messo per primo a terra il piede sinistro invece del destro. Sua madre gli aveva sempre detto
di non perdere tempo con quelle inutili superstizioni, ma gli aveva anche sempre detto di non
imprecare. Apparentemente alla signora Hopkins piaceva combattere battaglie perse in partenza.
Quando una coppia di uomini con indosso dei grembiuli da cucina arrivò a chiamarlo fu quasi con
sguardo pacifico che li accolse, tanto era preparato all’ennesimo imprevisto.
Per il primo minuto ascoltò con una calma surreale.
Poi uno di loro disse che non riuscivano a capire dove fosse il problema, ma che andava risolto il
prima possibile.
“Come non sapete dov’è il problema?” Intorno a Jimmy tutti smisero di respirare, per poi
riprendere un attimo dopo quando la tanto familiare esplosione di rabbia fece scappare i cuochi
dalla sala comandi, seguiti poco dopo da un meccanico furente che si affrettava a raggiungere il
piano superiore.
Vedendolo arrivare tutti si fecero da parte lasciandogli libero il passaggio, e lui avanzò
appoggiando l’orecchio contro le pareti metalliche ogni cinque passi, per poi passare a strisciare
carponi sul pavimento fino a che non individuò un’irregolarità nei tanto familiari rumori del
velivolo, procedendo quindi a rimuovere uno dei pannelli del pavimento.
Veloci un paio di uomini si affrettarono a portargli una fune con una lanterna legata alla fine, così
da poterla calare per vedere dove fosse il problema, ma un primo esame non rivelò nulla di
sbagliato, e così anche un secondo e un terzo.
“Come possiamo fare?” Si chiese uno dei due uomini ad alta voce.
“Lo so io come possiamo fare.” Grugnì Jimmy, asciugandosi il sudore dalla fronte. “Chiamate
Jon.”
“Jon? Perché il ragazzino?”
Ma lui ignorò completamente la domanda.
“Jon! JON! Piccolo figlio di una scrofa vieni qui! Guadagnati il pane che mangi lurido
scroccone!”
Come se fosse rimasto tutto il tempo dietro un angolo ad osservare la scena -ed in effetti era cosìJon arrivò correndo, tenendosi in cappello calcato in testa con una mano.
“Eccomi, signore!” Esclamò il ragazzino.
“Prendi la corda e legatela bene intorno alla vita. Poi afferra la dannata lanterna e vedi di capire da
dove viene questo maledetto fischio.” Sbottò Jimmy, lanciandogli letteralmente la corda addosso.
Dopo qualche minuto di silenziosa preparazione il ragazzino venne calato lentamente dentro il
pavimento, in mezzo ai tubi che trasportavano vapore bollente e quelli che portavano l’elio, per
mantenere il dirigibile più leggero.
Nonostante fosse estremamente pericoloso il ragazzino non fece una piega, e anzi fu con un
sorriso divertito che si avventurò in mezzo ai tubi, cercando la fonte del rumore che il capo
meccanico gli aveva descritto come simile alla scoreggia di un maiale con la diarrea. Secondo lui
assomigliava più a un fischio, ma non si era azzardato a farglielo presente.
Tendendo la lanterna con cautela si lasciò calare finché il fischio non divenne più forte, quindi
cominciò a muoversi tra i tubi fino a trovare quello fallato. Un soffio di aria fredda lo colpì in
piena faccia facendo vacillare la fiamma della lanterna, e solo allora tirò la fune.
“C’è una falla in un tubo che porta aria fredda.” Spiegò, massaggiandosi il braccio dove una
vistosa bruciatura faceva capolino. Risalendo aveva urtato uno dei tubi più caldi ma non aveva
fatto storie abituato com’era a ustioni e lividi di ogni genere.
“I tubi di aerazione?” Jimmy rimase in silenzio per dei lunghi attimi mentre la sua mente cercava di
trovare una soluzione. Visualizzò la mappa del Lead Zeppelin che aveva in testa, con la posizione
di ogni singolo cavo, tubo e leva, quindi si alzò di scatto, imprecando sonoramente per abitudine.
Il sistema di aerazione che permetteva alle persone di respirare sul dirigibile era molto delicato e
complesso. Aspirava aria dall’esterno, per poi riscaldarla passando in dei tubi che costeggiavano
quelli più caldi e rilasciarla nei tre ponti, ma data l’alta quota l’aria che veniva aspirata era gelida,
quindi ci voleva parecchio tempo per scaldarla, col risultato che i tubi che trasportavano l’aria
erano lunghi almeno il doppio di quelli che portavano il vapore e quelli che contenevano l’elio.
Un danno a uno di quelli non era da sottovalutare. Presto il livello di ossigeno all’interno del Lead
Zeppelin sarebbe calato, e dato che la perdita era grande abbastanza da raffreddare la cisterna,
sarebbe calato velocemente. Bisognava ripararlo in maniera provvisoria per poi saldarlo una volta
atterrati, a fornaci spente, per evitare che una scintilla facesse saltare tutto per aria.
“Sai ritrovare il tubo rotto, moccioso?” Chiese Jimmy, con lo sguardo di un uomo che aveva solo
voglia di collassare ubriaco all’angolo di una strada.
“Certamente signore!” Rispose pronto Jon. “Si trova quindici piedi più in basso e una decina più a
destra!”
Senza neanche guardarlo, il meccanico gli rifilò uno scappellotto.
“Non usiamo i piedi. Non siamo su una maledetta barchetta. Usa i pollici, sciagurato figlio di una
scrofa!” Lo sgridò, prima di avviarsi verso la sala comandi.
Fu di ritorno pochi minuti dopo con mezza dozzina di membri dell’equipaggio, il capitano in
persona e una cassetta degli attrezzi.
In breve fece rimuovere tre placche dal pavimento per poter trovare un punto da cui anche lui
potesse calarsi, e indossata una maschera che gli copriva il viso per intero collegata a una bombola
di ossigeno si fece calare lentamente in mezzo ai tubi fino ad arrivare all’altezza della falla.
I minuti passarono inesorabili mentre tutti i presenti tendevano il collo per vedere cosa stesse
succedendo, ma tutto quello che arrivava fino a loro era qualche sporadica imprecazione soffocata
e la tenue luce della lanterna del meccanico.
Poi uno strattone alla corda fece trasalire tutti. Gli uomini si affrettarono a tirare su il capo
meccanico, e fu proprio allora che un boato scosse l’intero dirigibile da capo a piedi.
Le urla del meccanico, finito contro un tubo che trasportava vapore, vennero sommerse -o
possiamo dire censurate- dal suono della sirena di emergenza. Il piccolo Jon schizzò veloce verso
il ponte inferiore e il capitano si catapultò al più vicino comunicatore.
“Sala comandi? Qui ponte numero tre. È il capitano che parla!” Sbraitò, nonostante gli avessero
detto più volte che alzare troppo la voce quando parlava nei comunicatori rischiava di fare male a
chi ascoltava. “Cosa diavolo sta succedendo??”
“Qui sala comandi.” Rispose la voce del navigatore, suonando vagamente metallica. “Capitano,
temo ci sia un problema.”
Chapter End Notes
Non pensavo che scrivere questa storia potesse divertirmi tanto! Ho dovuto andare a
studiare il funzionamento dei dirigibili oltre che a divorare ogni storia steampunk che
sono riuscita a recuperare (molte delle quali in inglese quindi la terminologia è frutto
di una traduzione mia più o meno accurata) ma ne è valsa la pena! Grazie a tutti
coloro che hanno scelto di seguire la storia, come sempre commenti e critiche sono
sempre accettatissimi! Alla prossima!
End Notes
Grazie per aver letto fin qui! Da un po' di tempo a questa parte mi sono molto appassionata
al genere steampunk e sto cercando di renderlo al meglio documentandomi con tutto quello
che riesco a trovare in circolazione. Spero che la storia sia di vostro gradimento e che
continuerete a seguirla! Come al solito commenti o anche critiche sono assolutamente ben
accetti!
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