dicembre - La casa sull`albero

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Newsletter dell’associazione La Casa sull’Albero, anno VI, mese di dicembre 2016
Ci vuole tutta una città per......
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...accudire ascoltando.
Amiche e amici carissimi,
il calore del Natale sta per avvolgerci e la sua meraviglia può offrirci molto, non di quello che troviamo nel caos commerciale, ma nel dono di una
storia. Di una storia di storie Nella foresta veramente scura.
Abbiamo chiesto a Cristina Bellemo, amica scrittrice che ha avuto cura di questo libro speciale, di
rispondere ad alcune nostre domande su questo
progetto, al quale ha collaborato.
I pensieri sono molti quando si riflette sui bambini
chirurgici. Le domande sul senso della loro sofferenza sono rimbombanti e riempiono la nostra
testa. Chi di noi ha accudito bambini all’ospedale,
avrà certamente messo mano a tutta la propria
forza e a tutta la proprio fantasia per dare vita a
giochi, attività, passatempi vari. Ma alla fine si sarà
sempre trovato di fronte alle parole e ai gesti dei
piccoli assetati di verità sul loro dolore.
Il tempo natalizio ci presenta ogni anno molti
aspetti pronti a toccare il nostro cuore. Questo
progetto pensiamo sia uno di questi.
Accogliamolo come una grazia per stare lontani dal
pericolo di non provare più ciò che ci fa sentire
umani. Per andare oltre alle nostre paure. Per fare
dell’ascolto reciproco l’attenzione che ci salva.
Buon Natale a voi e alle vostre famiglie,
LLaa redazione de “La Casa sull’Albero”
Newsletter dell’associazione La Casa sull’Albero, anno VI, mese di dicembre 2016
Cara Cristina,
ci puoi raccontare che cos’è Nella foresta veramente scura?
«Nella foresta veramente scura è stato il modo per festeggiare nel 2015 i dieci anni di attività di
A.B.C., acronimo per Associazione per i Bambini Chirurgici dell’ospedale pediatrico Burlo Garofolo di Trieste, con cui collaboro sin quasi dalle origini (in particolare per la redazione del notiziario
L’AbBeCedario).
A.B.C. è una cosa grande nata dalla storia piccola di una mamma e di un papà, Giusi Battain e
Luca Alberti, e di Riccardo, il loro primo figlio: appena venuto alla luce, Richi ha dovuto affrontare
un lungo cammino chirurgico, che si sapeva necessario già dalla pancia. Con lui mamma e papà.
È stato doloroso, e anche spaventoso, per tutti. Le esperienze possono essere fertili in molti modi.
E Giusi e Luca hanno pensato che dalla loro esperienza potesse nascere qualcosa per le famiglie
che devono entrare in certe foreste veramente scure.
Così è nata A.B.C. Ha fatto (e continua a fare, con passione e generosità) molte cose, in questi
anni: ha messo a disposizione delle famiglie una psicologa e psicoterapeuta, la dottoressa Rosella
Giuliani; ha ristrutturato e offerto appartamenti in cui le famiglie che provengono da fuori Trieste, e
accompagnano i bambini per periodi anche molto lunghi, possono stare gratuitamente (il sentirsi a
casa che ha a che fare con l’accettare di abitare una storia da cui talvolta si vorrebbe solo scappare); ha finanziato borse di studio per giovani medici e sostenuto la ricerca scientifica; ha contribuito all’acquisto di strumentazione medica all’avanguardia; ha finanziato lavori di ristrutturazione.
E tante altre cose, sempre con quell’attenzione prudente e misurata che viene dal sapere che
cosa significa la necessità di entrare in sala operatoria per le malattie dei propri figli.
Per sottolineare dunque il traguardo importante dei dieci anni, la squadra di A.B.C. ha deciso di
fare qualcosa di altrettanto importante: un libro! E così, grazie all’impegno e all’entusiasmo di un
gruppo di professionisti, delle famiglie e dei bambini, è nato Nella foresta veramente scura.
Un libro, dunque. E che libro?
Il germoglio dell’idea è venuto proprio da Giusi e Riccardo. Mamma e figlio.
Come si raccontano le cicatrici che la sala operatoria ha lasciato sul corpo, sulla pelle, nella vita?
Giocando una storia, proprio al modo dei bambini.
Questo è il cuore del progetto, colto nel suo germoglio da Matteo de Mayda, che poi ne è stato il
direttore artistico.
I bambini e le loro famiglie a cui è stato proposto il coinvolgimento hanno deciso con libertà e
franchezza: sapevano che libro sarebbe stato. Qualcuno ha detto no.
Hanno incontrato Rosella, che conoscono e di cui si fidano, perché accanto a loro ha attraversato
certe foreste. Nel suo studio hanno trovato tanti giochi. Hanno scelto. E hanno giocato la loro
storia. Dinosauri, leoni, leopardi, cani, pasta con le cape, automobili con le strisce e carri attrezzi,
strane fattorie, ponti, cavalli leggendari, maiali, macchine stracariche, meccanici, bruchi, farfalle,
rane rosse, pozioni magiche color ciliegia, peluche, puzzette, proprio tantissime puzzette, e anche
puzzone. Mondi variamente popolati come solo i bambini sanno. E ospedali e cicatrici e interminabili viaggi. E teste che si perdono. E corpi. E l’essere corpi.
Newsletter dell’associazione La Casa sull’Albero, anno VI, mese di dicembre 2016
Cose belle e cose brutte, cose facili, e difficilissime.
Sono storie in cui le cicatrici diventano marchi di possibilità, di identità, di fiducia, di
coraggio anche. Il coraggio è una delle vie possibili, ce ne sono altre, e i bambini le
sanno nominare, senza giudicare.
Rosella, d’accordo con loro, annotava sui fogli con una matita. Niente registratore.
Niente telecamere. Solo la matita. E l’attenzione di Rosella, il suo impegno a farsi custode delle storie.»
Puoi dirci il valore delle «storie dette» in bambini che affrontano il così duro cammino
nella foresta scura?
«Quando le cose possono essere dette, significa che le sentiamo parte della nostra
storia, le abbiamo accolte in noi. Le cose, quando possono essere dette, sono meno
pericolose, meno minacciose, fanno meno paura. Il non detto che resta talvolta chiuso
ermeticamente dentro di noi può diventare così pesante, così doloroso, così difficile da
sopportare da soli, che può arrivare a toglierci equilibrio, e anche a spezzarci.»
Che cosa significa «custodire il dire bambino prima di tutto»?
«Dopo tanti anni di incontri con i bambini, ma anche con gli adulti (genitori, educatori,
appassionati di storie), mi rendo conto di quanto siano sempre più angusti, quando non
assenti del tutto, gli spazi dell’ascolto: non ci ascoltiamo più, non ascoltiamo più i bambini. Siamo sempre presi dalla fretta, dalla necessità della performance, dalle nostre
preoccupazioni, dalle nostre incombenze. Io credo che la possibilità di narrare se stessi
sia vitale, necessaria, talvolta anche salvifica. Ma vedo sempre meno spazi in cui la
narrazione di sé trovi un’accoglienza autentica: in cui una persona possa sentire che la
sua storia ha un valore, un significato, e che può essere raccontata a qualcuno che ha
un desiderio sincero di ascoltare. Con i bambini pensiamo di poter essere ancora più
sbrigativi, di poterli mettere a tacere facilmente liquidandoli senza appello. E invece le
loro parole dicono tanto, talvolta tutto, con la potenza straordinaria della purezza, e della
limpidezza. Andrebbero custodite, e curate, per il loro valore prezioso e insostituibile:
sono come semi che, una volta depositati, piano piano possono trasformarci, e trasformare. Davvero sono convinta che la pratica dell’ascolto risolverebbe, o perlomeno,
attenuerebbe tanti disagi personali, e anche certi problemi sociali.»
Tu dici che i poeti e i bambini hanno una capacità in comune. Ce ne puoi parlare?
«La prima volta che ho incontrato le storie dei bambini, che sono state poi inserite nel
libro, sono rimasta senza fiato. Le ho lette negli appunti di Rosella: la prima che mi
capitò tra le mani aveva un titolo di una potenza inaudita, La bambina che perdeva la
testa. L’ha raccontata una bambina che ha subito un particolare tipo di intervento alla
schiena, che dà proprio la sensazione fisica della testa che si stacca dal corpo. Nella
storia per lei perdere la testa simboleggia la paura.
Sono stata travolta, sopraffatta dall’abilità narrativa, dalla forza disarmante delle figurazioni, dalla precisione affilata dei dettagli. Dall’intensità. Dall’emozione.
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Non smettono mai di sorprendere, i bambini, sono capaci di far ri-suonare ogni
volta nuove le loro parole. Di farci nuovi di fronte a esse. Sono capaci di dire
mondi, e universi, in tre vocaboli, che noi ci metteremmo dieci libri e sette seminari, per dire, e senza la stessa qualità, e senza la stessa luce cristallina.
La capacità di dire che è propria dei poeti, e dei bambini. E dei poeti bambini.
La capacità della parola che ti attraversa dritta e diretta, e va a toccare il tuo
dentro, in fondo in fondo nel profondo. Lì dove quasi nessuno riesce a raggiungerti. Con la naturalezza anche un po’ indiscreta della verità senza filtri, che i filtri si
sanno solo dopo, quando si diventa grandi, e si bada bene a non dirsi troppo, e a
non dirsi tutti. Quasi che il non dire facesse che certe cose scomode non sono, e
non ci sono.»
Puoi condividere qualche immagine che hai dei bambini che hai incontrato
prendendoti cura delle loro storie e che cosa vale la pena di ricordare più di
tutto di questo progetto a cui ti sei dedicata?
«Non ho mai incontrato i bambini prima della pubblicazione del libro: sarei probabilmente stata percepita da loro come un’estranea (non mi conoscevano) in una
situazione proprio intima. Con Rosella, che aveva accompagnato loro e le loro
famiglie per i sentieri faticosi, hanno invece una relazione forte e speciale. Non
volevo che sentissero la creazione delle loro storie come una prestazione, ma che
la vivessero con autonomia.
Da parte mia sentivo invece il bisogno di una distanza, per non lasciar prevalere
l’emotività, e per consentirmi di mantenere il mio ruolo professionale con equilibrio
e consapevolezza, rispettando la preziosità dei materiali elaborati dai bambini e
dando ad essi, per quanto era nelle mie possibilità, tutto il nitore e il respiro perché
potessero arrivare, intatti nel loro valore, nelle mani di tanti lettori.
A Trieste, alla prima presentazione ufficiale del libro, ho poi incontrato alcuni dei
bambini: Giulia, in prima fila, stringeva con fierezza il libro come a dire: è cosa mia.
Nel libro, a dire di Giulia, c’è anche la parola quarantadue. A nove anni e mezzo,
quarantadue sono gli interventi chirurgici che Giulia ha subito. E Orazio si era
messo elegante, giacca e cravatta, per dire quanto era importante. E una mamma,
che mi ha fermato, per dire grazie di come sono le storie nel libro. “Io c’ero quando
mio figlio ha raccontato la sua, ed era così come voi l’avete custodita”.
Ci sono tante cose da ricordare, per me, di questo progetto: il lavoro di squadra,
che è sempre straordinariamente arricchente, pur nella complessità del confronto
tra stili di lavoro molto differenti.
Le parole dei bambini nel libro. Ogni singola parola. Tra le altre:
“una di quelle puzze che, quando la senti, ti resta incollata dentro il naso”.
“Questa cicatrice sotto il pelo della tua pancia è la conferma che tu sei proprio mio
figlio Leo.”
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“Sa che può fidarsi di quel meccanico.”
“Farsi dipingere il pezzetto che ancora non c’è.”
“La fatica e l’impegno che ogni animale ci metteva a essere proprio lui.”
“Non ci capivo niente.”
“Le stanze dell’ospedale: è solamente una sottile parete che le separa dalle stanze della
casa della festa.”
“I cuccioli crescevano imparando a fare i dinosauri.”
“Per tutto quel brillare, i suoi genitori lo chiamarono Tesoro.”
“Agli animali però le puzzette non facevano male, solo un po’ male al naso.”
Le stesse parole del titolo sono attinte da una delle storie, ancora una volta sono parole
bambine: un frammento di puro cristallo.
L’apporto straordinario degli illustratori, che hanno disegnato ciascuno una tavola per una
storia: hanno detto le storie a modo loro, con l’espressività sintetica e incisiva dell’arte.
Mostrando di aver colto in pieno il significato, e il sentire dei bambini, segretamente complici del loro immaginario.
La copertina, bellissima, di Violeta Lopiz dice la foresta intorno, in prima di copertina. La
foresta dentro, in quarta. Dopo essere passati attraverso le storie. Un poco delle foreste
che attraversiamo rimane sempre dentro di noi, ci costituisce.
E soprattutto: in queste pagine i bambini ci chiamano, chiamano ognuno di noi lettori a
entrare nella foresta, a starci dentro. Ci mostrano, proprio loro che noi spesso sappiamo
pensare solo come destinatari di protezione, che a volte si devono raccontare anche
storie difficili, dove tutto va diversamente da come abbiamo immaginato e desiderato.
Le loro narrazioni, pur strenuamente illuminandosi di amore alla vita, sono capaci al contempo di riservare rispetto e di dare voce anche ai bambini che dalla foresta non sono
ancora usciti.
E a quelli che non ne usciranno mai più.
Per ultimo, ma non ultimo per importanza, anzi, fondamentale, questo libro e la voce dei
bambini ci richiamano all’urgenza di una comunità accudente da cui nessuno può sentirsi
esonerato.
A noi lettori, buone avventure in questa foresta veramente scura, dentro la quale brilla,
intera e intatta, la bellezza bambina. E questo deve darci speranza.»
Newsletter dell’associazione La Casa sull’Albero, anno VI, mese di dicembre 2016
Per prenotare una copia di
Nella foresta veramente scura.
Storie di avventure, cicatrici e coraggio
potete visitare il sito di A.B.C.
(http://www.abcburlo.it/nella-foresta-veramentescura.asp) o scrivere a [email protected].
Violeta Lopiz ha illustrato la copertina,
Felicia Hoshino, Guido Scarabottolo, Giorgio Cavazzano,
Francesco Altan, Michiko Tachimoto, Philip Giordano,
Nicoletta Costa, Gabriella Giandelli, Roberto La Forgia ed
Elisa Fabris hanno illustrato le storie di Benedetta, Francesco, Gabriele, Giulia, Laura, Matilda, Mattia, Nina,
Orazio e Valentina.
Direzione artistica: Matteo de Mayda
Psicoterapeuta infantile e custode delle storie: Rosella
Giuliani
Cura dei testi: Cristina Bellemo
Design: bruno
Formato: 24 x 16,5 cm, copertina rigida, 96 pagine
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