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Il cittadino dimezzato
di Beppe Bovo
L’uragano referendum è passato, ha mostrato con chiarezza la volontà dei cittadini, ha
lasciato sul campo feriti e morti e tante macerie.
E dentro le macerie anche un’idea di cittadino.
Siamo stati chiamati (dalla Costituzione, non da un politico estroso) a esprimere il
nostro parere su una questione fondamentale della nostra come di ogni altra
democrazia. E cioè: nel delineare, problema per problema, lo sviluppo e
l’organizzazione della società, quanto spazio assegnare al momento del confronto e
quanto al momento della decisione e dell’azione normativa e di governo. Questo era il
tema.
È chiaro a chiunque che una democrazia non esiste senza, da una parte, il confronto e la
valutazione pubblica delle posizioni di ognuno e senza, dall’altra, il passaggio
conseguente alle decisioni, vincolanti per tutti. Equilibrio tra le due fasi sempre delicato
e mai tradotto una volta per tutte in norme capaci di garantire i due momenti, ambedue
indispensabili.
A parere di molti la Costituzione italiana del 1948 sembrava dare uno spazio eccessivo,
per le esigenze dell’oggi, alla rappresentazione delle diverse posizioni
nell’approfondimento di specifici problemi a scapito della capacità di arrivare ad
assunzioni di responsabilità e a governare.
Su questa valutazione era stata impostata una modifica della Costituzione vigente che
rispondeva alla necessità di una più precisa individuazione di chi doveva decidere e di
una maggiore velocità nelle decisioni.
I cittadini su questo si sono espressi in modo inequivocabile, quella proposta è stata
bocciata. Questione chiusa.
Ma i cittadini sono stati invitati a esprimersi su questo? Cioè è stato posto con questa
chiarezza e con questa essenzialità il problema?
Non si è fatta invece una incredibile, assurda gazzarra di idee e di suggestioni tirando in
campo ragionamenti, motivazioni, malcontenti che non avevano niente a che fare con
quella semplice sostanziale domanda?
A me sembra si sia mancata un’occasione di trattare il cittadino come un soggetto
pensante, capace di valutare e decidere. Che sia stato trattato da molti come un mezzo
imbecille da convincere con scorciatoie meschine fatte di mezze verità e di falsità
roboanti, di ragionamenti grossolani e di tecnicismi furbeschi, di sogni a buon mercato.
Ricordate? Casa Pound e dintorni oltre che marxisti di stretta osservanza manifestare
nelle piazze la loro preoccupazione per una Costituzione che avrebbe portato l’Italia
verso una “deriva autoritaria”!
Cosa si è fatto per presentare la questione nella sua essenzialità e valutarne pregi e
difetti rispetto ai problemi che moltissimi (a parole la stragrande maggioranza dei
cittadini) e da molto tempo affermavano come urgenti e scandalosi?
A me sembra si sia bistrattata ancora una volta l’intelligenza del cittadino, si sia
dubitato della sua capacità di ragionare o forse se ne sia avuta paura.
Di fatto si è preferito parlare alla sua pancia piuttosto che alla sua testa, arrivando (per
la prima volta, se non sbaglio) a invitarlo esplicitamente, positivamente,
orgogliosamente a questo: “Votate con la pancia!”.
L’accusa, ovviamente, non è al cittadino. In discussione non è il suo voto e il risultato
del referendum.
La denuncia è nei confronti di tanti che sui giornali, nelle televisioni, sui social, nelle
piazze lo hanno pensato e trattato come un cittadino dimezzato.
A quando un confronto con il cittadino maturo, consapevole, finalmente compiuto che è
in ciascuno di noi?