ipotesi di estinzione del reato: le condotte riparatorie nel d.d.l. Orlando

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“Nuove” ipotesi di estinzione del reato: le condotte
riparatorie nel d.d.l. Orlando
Ottavia Murro
Sommario : 1. Premessa. – 2. La proposta normativa: inquadramento generale. – 3. I primi vuoti di tutela
e alcuni profili di incostituzionalità. – 4. Il requisito (problematico) dell’integralità della riparazione. – 5.
Il ruolo labile della persona offesa. – 6. Le criticità di un istituto che non ha disciplina processuale. – 7.
Problematiche di coordinamento e rischio di “impunità reiterata”.
1. Premessa.
La necessità di recuperare la durata ragionevole del processo e di limitare, ad un contenzioso selezionato, il ricorso al rito ordinario, ha comportato in questi ultimi anni l’introduzione di istituti già sperimentati in altri procedimenti, quali la messa alla prova per
adulti (l. 67/2014) e la non procedibilità per tenuità del fatto (d.l. 28/2015). A completare
l’esigenza di diversificare la risposta penale, in modo da prevedere per reati meno gravi
una risposta alternativa sia al processo che alla pena, è anche la nuova proposta presentata nell’art. 1 del disegno di legge A.C. 2798/20141 (meglio noto come d.d.l. Orlando)2 che
prevede l’introduzione – all’art. 162 ter c.p. – di condotte riparatorie idonee ad estinguere
il reato.
La proposta normativa recita al primo comma: Nei casi di procedibilità a querela soggetta a remissione, il giudice dichiara estinto il reato, sentite le parti e la persona offesa,
quando l’imputato ha riparato interamente, entro il termine massimo della dichiarazione
di apertura del dibattimento di primo grado, il danno cagionato dal reato, mediante le
restituzioni o il risarcimento, e ha eliminato le conseguenze dannose o pericolose del reato.
La causa di estinzione del reato per riparazione rappresenterebbe un vero e proprio
istituto premiale/deflattivo da aggiungere a quelli preesistenti, diventando di fatto una
“nuova” scelta processuale per l’imputato che, nell’esercitare il suo diritto di difesa, può
optare per tale diversa soluzione della vicenda penale.
1
2
In Atti Parlamentari - Disegni di legge e relazioni al d.d.l. n. 2798 del 23 dicembre 2014, in www.camera.it.
Per un’analisi del disegno di legge e delle recenti novelle, A. Marandola, K. La Regina, R. Aprati (a cura di), Verso un processo penale
accelerato. Riflessioni introno alla L. 67/14, al D.Lgs. 28/15 e al d.l. 2798/14, Roma, 2015.
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Tuttavia il quadro normativo che accingiamo ad analizzare presenta numerose insidie,
determinate soprattutto da un vulnus di disciplina che apre non poche problematiche.
2. La proposta normativa: inquadramento generale.
Nell’analizzare in maniera succinta la disciplina delineata dall’art. 162 ter c.p., si rileva
sin da subito l’assonanza (seppure parziale) con l’art. 35 del d.lgs. n. 274/20003.
A destare qualche perplessità è, prima facie, l’ambito di applicazione (reati a querela
soggetta a remissione) in considerazione del fatto che per tali tipologie di reati può operare l’istituto di cui all’art. 152 c.p., pertanto, la causa di estinzione in esame residuerebbe
nelle sole ipotesi in cui alla riparazione del danno non segua la remissione di querela
da parte dell’offeso. L’originaria proposta normativa prevedeva, attraverso l’introduzione
dell’art. 649 bis c.p., l’estensione del beneficio in esame anche ad alcuni reati contro il
patrimonio procedibili d’ufficio, quali quelli rubricati dagli artt. 624 c.p., nei casi aggravati
dal primo comma dell’art. 625 c.p. ai numeri 2,4,6,8 bis; nonché ai delitti di cui agli artt.
636 e 638 c.p; tuttavia, nel corso dei lavori parlamentari l’art. 649 bis c.p. è stato soppresso.
Seppure la previsione del beneficio estintivo limitato solo ad alcuni delitti contro il patrimonio e precedibili d’ufficio lasciava perplessi4, non si può ignorare che tale tipologia di
illeciti appariva particolarmente adeguata all’istituto in esame.
Diversamente, altra proposta di articolato sulla revisione del sistema penale (non coronata da successo), del 23 aprile 2013, prevedeva di estendere la causa di estinzione del
reato per riparazione a tutti i delitti contro il patrimonio procedibili d’ufficio, fatta eccezione delle ipotesi più gravi disciplinate dagli artt. 628, 629, 630, 644, 648 bis, 648 ter, nonché
nei casi di delitti contro il patrimonio commessi con violenza sulle persone.
Appare evidente che la condotta riparatoria debba essere adempiuta personalmente
dall’imputato5, entro un termine perentorio, con evidente inapplicabilità del beneficio al
correo inadempiente6.
A differenza di quanto verificatosi con l’introduzione dell’istituto della messa alla prova
per l’imputato adulto, l’art. 2 del suddetto disegno di legge prevede la disposizione transitoria che consente di applicare l’istituto premiale ai processi in corso: l’imputato nella
prima udienza successiva all’entrata in vigore della legge, fatta eccezione per il giudizio
3
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Per un approfondimento sulla causa di estinzione per riparazione sia generale che speciale, volendo, O. Murro, Riparazione del
danno ed estinzione del reato, Milano - Padova, 2016, 37 e ss.
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La previsione di cui all’art. 649 bis, così come strutturata, andava a determinare una disparità di trattamento tra imputati di reati che
prevedono un medesimo trattamento sanzionatorio: si pensi ad esempio all’applicabilità della causa estintiva al delitto di furto nei
casi aggravati, ma non alle ipotesi di usurpazione, deviazione di acque, invasione di terreni aggravate dall’art. 639 bis c.p.
5
Per un’analisi della giurisprudenza di legittimità sul requisito della soggettività della condotta riparatoria si rimanda agli orientamenti
formatisi in tema di circostanza attenuante ex art. 62 n. 6 c.p.: Cass. Pen. Sez. V, 25 febbraio 2008, n. 996, in Cass. pen., 2001, 1468;
Cass. Pen Sez. II, 26 giugno 1979, n. 1161, in Giust. pen., 1980, II, 415.
6
Per la circostanza attenuate di cui all’art.62 n. 6 c.p. si segnala, Cass. Pen. Sez. Un., 22 gennaio 2009, n. 5941, in Dir. pen. proc. 2010,
173, con nota di A. Scarcella Attenuante del risarcimento del danno ed estensibilità condizionata al compartecipe.
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di legittimità, può chiedere la fissazione di un termine, non superiore a sessanta giorni,
per provvedere alla riparazione. Tuttavia, sarebbe stato opportuno prevedere un lasso di
tempo maggiore, in quanto alcuni reati potrebbero richiedere, ai fini della declaratoria di
estinzione, un elevato risarcimento e, in tali ipotesi, il termine di sessanta giorni potrebbe
non essere sufficiente. Viepiù che non è comprensibile se, relativamente ai processi in
corso, possa trovare applicazione la proroga del termine, di cui al secondo comma dell’art.
162 bis c.p.
La proposta normativa reca in sé un evidente vulnus normativo serbando inspiegabilmente il silenzio sui di criteri valutativi che consentano al giudice di valutare la condotta
riparatoria ai fini della declaratoria di estinzione.
È noto che l’art. 35 del d.lgs. 274/2000 prevede, quale presupposto alla dichiarazione
di estinzione, una valutazione sull’idoneità della condotta a soddisfare le esigenze di prevenzione e riprovazione nel reato. Tale previsione consente di bilanciare la riparazione al
grado di colpa, al fatto di reato e alle esigenze sia rieducative sia preventive, precludendo
così una automaticità tra la riparazione e il beneficio dell’estinzione. In altre parole, nella
norma in esame manca una “griglia” sulla scorta della quale commisurare l’adeguatezza
della riparazione al fine di ottenere il beneficio della declaratoria di estinzione, con il
concreto pericolo di aver creato un istituto premiale sottratto ad un vaglio del giudicante.
Viepiù che manca qualsiasi richiamo anche ai parametri del 133 c.p.
La norma in esame non prevede neanche una previa valutazione – preliminare alla
dichiarazione di estinzione per riparazione – circa l’esistenza di una causa di proscioglimento ex art. 129 c.p.p.
Ad essere lacunosa è anche la previsione del termine, infatti, nulla si dispone nell’ipotesi in cui sia stato emesso un decreto penale di condanna; si apre, quindi, la questione
circa la possibilità di ricorrere all’istituto della riparazione estintiva con l’atto di opposizione. L’imputato e la difesa si trovano, quindi, sprovvisti di disciplina normativa: manca
il termine (perentorio) entro cui adempire la condotta, manca altresì un’integrazione alla
disciplina degli avvisi ex art. 460 lett. e, c.p.p., con evidenti profili di incostituzionalità –
per violazione degli artt. 3 e 24 Cost. – determinati da tali lacune.
Inoltre, il comma secondo dell’art. 162 ter prevede che se l’imputato non abbia potuto
adempiere la condotta, per fatto a lui non addebitabile, può chiedere al giudice la fissazione di un ulteriore termine, non superiore a sei mesi, con sospensione del termine di
prescrizione. La previsione appare emblematica nella parte in cui prevede che, in caso
di proroga, il giudice possa imporre, se necessario, «specifiche prescrizioni». La disposizione sembra richiamare sia l’art. 28 comma 2 D.P.R. 448/88, sia l’art. 35 comma 3 d.lgs.
274/2000, sia l’art. 464 bis comma 5 c.p.p.
Va rilevato, però, che l’art. 162 ter c.p. non specifica in che cosa si debbano estrinsecare
le prescrizioni imposte dal giudice e tale vulnus impone qualche breve riflessione. Preliminarmente va osservato che la prescrizione riparatoria è una libera e volontaria scelta
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3. I primi vuoti di tutela e alcuni profili di incostituzionalità.
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dell’imputato, non imposta da alcuna decisione del giudice; pertanto, non ha i requisiti
della sanzione, ma costituisce un comportamento spontaneo post factum. Di converso, le
prescrizioni imposte dal giudice, di cui al comma 2 dell’art. 162 bis c.p., non sembrano
connesse a scelte spontanee dell’interessato, pertanto, oltre a lasciare al giudicante un
ampio spazio discrezionale e ad alterare la natura dell’istituto riparatorio, appaiono generiche ed indeterminate, andando a stridere con il principio di tassatività (art. 25, comma 2,
Cost.), qualora si riconosca a tali prescrizioni la natura di “cripto-pena”.
4. Il requisito (problematico) dell’integralità della
riparazione.
La proposta normativa si distingue dall’art. 35 d.lgs. 274/2000 nel prevedere, in ordine
alle caratteristiche della condotta, una riparazione integrale del danno. Tale requisito apre
un interrogativo: la riparazione deve essere integrale rispetto al danno criminale e al grado
di colpa, ovvero al danno civile?
La giurisprudenza di legittimità si è già espressa – relativamente alla condotta prevista
nella giurisdizione di pace – ritenendo sussistente una proporzione tra comportamento
post factum e grado di colpa, dando così rilevanza a tutte quelle condotte idonee a sanare
il c.d. danno criminale ed escludendo tra i presupposti per la declaratoria di estinzione
quello di una riparazione integrale del danno civile. Il Supremo Collegio, intervenuto sulla
specifica questione, ha ribadito, altresì, che la sentenza di estinzione per riparazione non
fa stato nel giudizio civile, lasciando così impregiudicati i diritti della persona offesa ad
agire al fine di valutare l’esistenza e l’entità del danno civile7.
La proposta normativa in esame, nel prevedere l’integralità del risarcimento, riapre la
questione circa l’effettivo oggetto della condotta, lasciando intravedere non poche problematiche, infatti, ci si chiede se il giudice penale verrà chiamato a quantificare interamente
il danno civile, con tutte le criticità che tale vaglio comporta. Inoltre si segnala l’assenza
di una norma che precluda alla persona offesa (integralmente risarcita) di agire nell’eventuale giudizio civile.
Infine, sotteso al requisito dell’integralità del danno, vi è il rischio di aver creato un
istituto premiale riservato al solo imputato benestante e con reali dubbi di legittimità costituzionale dell’istituto in esame.
5. Il ruolo labile della persona offesa.
L’istituto delineato dalla proposta normativa riserva un ruolo marginale alla vittima del
reato, analogamente a quanto accade nelle ipotesi di messa alla prova per adulti e di non
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Sul punto, Sez. Un. del 23 aprile 2015, n. 33864, in C.e.d. Cass. n. 264238
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punibilità per tenuità del fatto. Questa comune caratteristica sottintende una specifica
finalità dei suddetti istituti: questi, pensati per l’imputato, hanno lo scopo di individuare
percorsi rieducativi, ovvero di lasciare “impuniti” alcuni reati perché tenui, allo scopo di
deflazionare, diversificare ovvero introdurre nuovi opzioni premiali per l’interessato. La
persona offesa, depotenziata nel processo penale, non perde i suoi diritti risarcitori, anzi
in alcune ipotesi, come quella in esame, vede celermente ristorato il danno subito.
Nel passare rapidamente in rassegna i poteri della persona offesa, si riscontra che questa deve essere sentita se compare, tuttavia, dal dettato normativo emerge che tale ascolto
non sia finalizzato a raccogliere un consenso, né a conferire alla vittima un potere di veto.
Si deve desumere, quindi, che sussista, in capo al giudice, un vero e proprio potere di
scavalcamento della volontà punitiva dell’offeso, che svincola il beneficio dell’estinzione
del reato dal dissenso della vittima.
L’assenza di un potere di veto implica che l’imputato viene tutelato da «un’indebita volontà punitiva del querelante, nei confronti del quale siano state efficacemente poste in
essere le condotte riparatorie»8.
Ulteriore aspetto problematico attiene alla rubricazione di tale istituto nel solo codice
penale.
A ben vedere, appare evidente che tale causa di estinzione si pone in chiave alternativa
e deflattiva del processo, diventando, a tutti gli effetti, una scelta difensiva dell’imputato.
Pertanto, seppure l’istituto non sia attivabile su richiesta dell’interessato e non integri un’ipotesi di procedimento speciale, meriterebbe – in considerazione delle sue caratteristiche
e dei suoi effetti – una disciplina tanto sostanziale quanto procedurale.
Oltre alle criticità già segnalate si riscontra che l’art. 162 ter comma 1, nel prevedere
l’audizione delle parti e della persona offesa, non specifica la modalità di ascolto (art. 162
ter comma 1 c.p.). Questo, infatti, sembrerebbe avvenire in maniera del tutto informale,
non dovendo seguire le regole, per l’imputato, dell’esame ovvero delle spontanee dichiarazioni; né, per la persona offesa, dell’esame testimoniale. Viene da chiedersi se l’audizione possa avvenire a mezzo di difensore, il quale può interloquire sul risarcimento, ovvero,
se l’imputato e la persona offesa debbano necessariamente essere ascoltati personalmente.
In tal caso ci si chiede se pubblica accusa e difesa possano fare delle domande. Soprattutto appare doveroso chiedersi se tali dichiarazione saranno utilizzabili qualora la condotta
riparatoria non sia stata reputata integrale, ovvero sufficiente ai fini della dichiarazione di
estinzione.
8
Si veda anche la Relazione governativa al Decreto Legislativo 28 agosto 2000, n. 274, cit., 37.
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6. Le criticità di un istituto che non ha disciplina
processuale.
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Inoltre, la persona offesa ha il diritto di interloquire, ma non un dovere; di conseguenza
se vuole essere sentita, deve comparire; ci si chiede, pertanto, se la mancata audizione
della persona offesa, presente in udienza, possa costituire motivo di impugnazione, alla
stregua di quanto è espressamente previsto nella disciplina della messa alla prova per
adulti (art. 464 quater comma 7 c.p.p.).
Da segnalare anche l’assenza di una disciplina che legittimi il giudice a prendere visione degli atti contenuti nel fascicolo del pubblico ministero, al fine di bilanciare la condotta
riparatoria con il fatto contestato e di valutare se sia stato rispettato il requisito dell’integralità della riparazione.
Manca, altresì, una previsione di incompatibilità del giudice nelle ipotesi in cui la
condotta riparatoria non sia stata reputata integrale, ovvero sufficiente a legittimare una
dichiarazione di estinzione del reato.
A ben vedere i vuoti di tutela coinvolgono anche altri aspetti, infatti, non è previsto se,
«fallita» la condotta riparatoria, l’imputato possa opzionare per i riti premiali (patteggiamento, giudizio abbreviato, messa alla prova, ecc.). Nello specifico, la problematica attiene
alla coincidenza tra il termine finale per adempiere alla riparazione e quelli entro i quali
possono essere richiesti gli altri riti premiali. Infatti, non è dato comprendere se l’intento
del legislatore sia quello di prevedere alternatività, ovvero incompatibilità, tra riti strettamente connessi a scelte dell’imputato.
Inoltre, se il giudice ritenga non congrua la riparazione, non si comprende quale sia
la forma del provvedimento (ordinanza ovvero decreto), né se questo debba avere dei
requisiti motivazionali.
Gli aspetti procedurali che sollevano criticità e dubbi attengono anche all’assenza di
una disciplina in tema di acquisizione di prove durante il periodo di sospensione; infatti,
nel caso in cui il processo venga sospeso per consentire la riparazione (sospensione che
può durare fino sei mesi), l’art. 162 ter c.p. non disciplina alcuna ipotesi di acquisizione
delle prove non rinviabili. Medesima lacuna era stata riscontrata nei lavori preparatori
dell’istituto della messa alla prova per adulti, lacuna che, con la l. n. 67/2014, veniva colmata dall’introduzione dell’art. 464 sexies c.p.p. (acquisizione di prove durante la sospensione del procedimento con messa alla prova). Nell’ipotesi delineata dall’art. 162 ter c.p.,
la sospensione del processo è discretamente ampia, pertanto, non sembra che il legislatore
possa esimersi dall’introdurre una disciplina per le prove non rinviabili.
7. Problematiche di coordinamento e rischio di “impunità
reiterata”.
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Una lacuna che si riscontra è data dall’assenza di un coordinamento tra la proposta normativa e le cause di estinzione per riparazione preesistenti. La principale criticità attiene
alla coesistenza con l’art. 35 d.lgs. n. 274/2000: ci si chiede, infatti, se nella giurisdizione
di pace si potrà applicare l’art. 162 ter c.p., ovvero se la nuova norma, ai sensi dell’art. 2
d.lgs. 274/2000, sarebbe preclusa. La problematica dipende dal fatto che le due norme,
“Nuove” ipotesi di estinzione del reato: le condotte riparatorie nel d.d.l. Orlando
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per quanto simili, non sono sovrapponibili, stante la sussistenza di alcune difformità (il
termine perentorio, i termini di proroga, la previsione di integralità della condotta nel solo
art. 162 ter c.p., i parametri valutativi del giudice).
L’assenza di un coordinamento produce problematiche anche di più ampio respiro.
Si rileva, infatti, che sono state recentemente introdotte diverse ipotesi di non punibilità,
da aggiungere a quelle preesistenti: non punibilità per tenuità del fatto; estinzione del reato messa alla prova per adulti. A queste bisogna aggiungere le ipotesi preesistenti di oblazione (sia obbligatoria che facoltativa), nonché il beneficio della sospensione della pena.
Sul punto bisogna anche considerare che non è previsto alcun limite alla possibilità di
estinguere, a mezzo di condotta riparatoria, i reati indicati dall’art. 162 ter c.p. L’imputato può, pertanto, usufruire illimitatamente di tale beneficio, non incontrando né il limite
previsto per la messa alla prova (una sola volta), né quello previsto per l’ipotesi di non
punibilità per particolare tenuità del fatto (ossia l’occasionalità).
Evidente appare il pericolo di impunità e i rischi sottesi sia al mancato coordinamento
con gli istituti premiali preesistenti, sia all’assenza di una previsione che limiti il ricorso al
beneficio estintivo in esame.
In conclusione, gli spunti di integrazione e le problematiche segnalate non rendono l’istituto meno appetibile, stante la sua auspicabile introduzione; tuttavia quello che emerge
è la necessità di una più attenta riflessione, avendo riguardo soprattutto alla necessità di
evitare il pericolo di impunità e di conferire alla causa di estinzione in esame anche un
inquadramento normativo nel codice di rito.
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