La verità sull`evoluzione e l`origine dell`uomo

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PIER CARLO LANDUCCI
La verità sull'evoluzione e l'origine dell'uomo
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INDICE
IMPARZIALITA' E PRECONCETTI
FALSIFICAZIONI ED EQUIVOCI
DUE DISTINTI PROBLEMI
ANATOMIA COMPARATA
PALEONTOLOGIA
EMBRIOLOGIA
GENETICA
I PRESUNTI FATTORI EVOLUTIVI
IMPOSSIBILITA' DELL'EVOLUZIONE SPONTANEA
GRANDE PROVA SPERIMENTALE CONTRO LA EVOLUZIONE
L'INTERVENTO DIVINO
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Nella grande Esposizione internazionale di Parigi, dopo la prima guerra europea, un
vasto salone fu dedicato al radicale evoluzionismo. Una enorme scritta lo additava
all'ammirazione del pubblico, ammonendo che riallacciare l'uomo a tutta la catena degli
animali inferiori, mentre sconvolgeva la fantasia, era l'unica ipotesi che appagava la
ragione.
Dopo circa mezzo secolo di insistenza e divulgazione sull'origine totalmente evolutiva
delle specie e dell'uomo, la fantasia non è più sconvolta e trova, in genere, la cosa
assolutamente naturale. Ma è appagata la verità scientifica e la ragione? O, rispetto a
quella scritta, si sono invertite le parti?
Di fronte ai grossi ed eruditi volumi sull'argomento, questo libretto mira al solo
vantaggio di presentare in modo concentrato la problematica essenziale, per facilitare
l'orientamento del lettore.
PIER CARLO LANDUCCI
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IMPARZIALITA' E PRECONCETTI
Imparzialità critica cattolica
La Bibbia narra, nel primo libro (chiamato appunto Genesi) cioè origine, nascita),
l'origine del mondo e dell'uomo. Esso presenta tutto l'universo come creato da Dio in sei
giorni, nell'ultimo dei quali fu creata la prima coppia umana, Adamo ed Eva. Vi si
narrano anche le susseguenti genealogie di patriarchi e di popoli che sembrerebbero
indicare un'antichità del genere umano di nemmeno 10.000 anni. Ciò sembra in flagrante
contrasto con i dati scientifici circa l'antichità dell'universo in evoluzione, che sarebbe
dell'ordine dei 10 miliardi di anni e circa l'antichità dell'uomo che si calcola a milioni di
anni. Ma, quanto ai tempi, è un contrasto solo apparente. Circa l'antichità dell'universo e
dell'uomo non si poteva attendere infatti dalla rivelazione della Scrittura un trattato
scientifico che sarebbe stato intempestivo, incomprensibile e inutile, prima dello
sviluppo della diretta ricerca scientifica.
Quei "giorni" del Genesi simboleggiano il succedersi degli sterminati tempi
dell'evoluzione cosmica (dando un ordine di successione corrispondente, secondo vari
studiosi - quali il grande astronomo Giuseppe Armellini, 1887-1958 - a quello
dell'evoluzione naturale), secondo le leggi naturali preordinate dal Creatore, integrate,
all'occorrenza, dai suoi saltuari interventi diretti. E quelle "genealogie", pur essendo
vere, includono lunghissimi salti di anelli intermedi. (Come, per esempio, se dicessimo
di essere stati generati dal bisnonno, omettendo le due generazioni intermedie, e così
via.)
Nessuna inconciliabilità quindi tra scienza e Bibbia, quanto alla durata dei tempi.
Ma, a parte i tempi, è da chiedersi ora se l'evoluzionismo, patrocinato da gran parte
della scienza moderna, ossia la spontanea e continua trasformazione della natura dal più
semplice e meno perfetto al più complesso e più perfetto, fino alla comparsa dell'uomo,
sia conciliabile con l'intervento del Creatore, quale è rivendicato da una buona filosofia e
soprattutto dalla narrazione biblica. E' da chiedersi cioè se siano tra loro conciliabili filosoficamente e biblicamente - un qualche vero evoluzionismo e un qualche vero
creazionismo.
Una conciliazione teorica è effettivamente possibile: e senza alcuna stiracchiatura.
Niente logicamente può opporre la scienza all'affermazione della filosofia classica,
confermata dalla narrazione biblica, dell'iniziale creazione dal nulla dell'universo da
parte di Dio (1). L'oggetto diretto della scienza infatti è il mondo, in quanto già
esistente, non la causa del suo primo esistere (come "proto-materia", cioè iniziale
ammasso di materia, forse idrogeno).
Una volta ammesso, d'altra parte, questo iniziale atto creativo, non può creare
logicamente difficoltà qualche ulteriore, integrativo, intervento diretto del Creatore, che
appaia necessario per spiegare, per esempio, lungo il naturale processo evolutivo, il salto
al piano della vita, poi a quello della sensitività animale e infine a quello della
razionalità umana. Quest'ultimo intervento divino per la comparsa dell'uomo costituisce
un punto fondamentale della narrazione del Genesi.
L'evoluzione si potrebbe pertanto concepire inserita nelle leggi della natura, secondo la
preordinazione divina. Dio stesso avrebbe dato alla materia un iniziale impulso
evolutivo, cioè un dinamismo iniziale (sulle cui qualità ora non mi soffermo), capace di
attualizzare, via via - opportunamente integrato dai suddetti diretti interventi creativi tutte le successive crescenti perfezioni. Questa concezione risolverebbe la fondamentale
obiezione filosofica contro l'evoluzione: che cioè dal meno non può sgorgare il più. La
causa proporzionata di tale "più" sarebbe quell'impulso iniziale, congiuntamente a quegli
interventi integrativi. Sotto certi aspetti anzi risulterebbe esaltata la necessità e la
meravigliosa potenza del Creatore. Anche la stessa creazione diretta dell'uomo, secondo
la descrizione e Genesi, potrebbe essere interpretata come risultato della preordinata
evoluzione in quanto al corpo, eccetto qualche opportuna integrazione, e dell'immediata
creazione e infusione dell'anima razionale.
Eliminato quindi il contrasto con la fede, il pensiero cattolico si trova libero e
imparziale nella sua valutazione dell'evoluzionismo, così inteso. L'accusa al pensiero
cattolico di antievoluzionismo preconcetto, è dunque falsa, come del resto è comprovato
dai non pochi illustri cattolici evoluzionisti.
E' con questa imparzialità critica che scrivo queste pagine.
Impossibile imparzialità miscredente
Opposta è la situazione per gli studiosi e scienziati materialisti, i quali, pur non essendo
la maggioranza, hanno posizioni privilegiate nel campo pubblicitario e finiscono per
dare il tono all'opinione pubblica. Ai miscredenti, in senso radicale, quali sono gli atei,
vanno aggiunti gli scienziati che, pur non essendo atei, escludono per principio
l'intervento di Dio nelle cose naturali. Per i più coerenti di essi tutte le cose sono
sgorgate da evoluzione spontanea, guidata cioè puramente dal caso. Ed è questo
l'evoluzionismo comunemente insegnato come certo nei testi, nelle riviste, nelle scuole,
alla radio. Quanto all'origine della materia primordiale qualche astronomo ha pensato
addirittura a una sua continua creazione dal nulla, che avvenne e proseguirebbe ad
avvenire da sé, senza Creatore: così, per esempio, Fred Hoyle, della Università di
Cambridge, che ne fece clamorosa propaganda intorno al 1950. Ma su quest'ultimo
argomento e su tale assurda ipotesi gli evoluzionisti, di solito, preferiscono tacere.
Siccome tali scienziati mostrano molta precisione e rigorosa imparzialità in tutte le loro
ricerche sperimentali, così da farsi guidare in esse soltanto dai fatti, danno l'impressione
di essere ugualmente imparziali e obiettivi e guidati soltanto dalla verità delle cose
quando proclamano e diffondono questo evoluzionismo spontaneo della natura: "Se lo
affermano tali scienziati - pensa la gente - vuol dire che è vero, vuol dire che i fatti
hanno parlato chiaro".
Ma è un grande equivoco. Su questo punto, in realtà, l'autorità di tali scienziati sfuma.
Manca il suo fondamento principale che è l'imparzialità ed obiettività delle
affermazioni, in quanto dedotte veramente dai fatti. Essi, a riprova dell'evoluzionismo,
adducono bensì dei fatti (di cui valuteremo in seguito la poca consistenza). Ma lo fanno
a difesa di una tesi preconcetta, abbracciata a priori, per necessità, mancando loro la
alternativa critica che hanno invece i credenti. Esclusa infatti materialisticamente, per
principio, l'esistenza o comunque l'intervento di Dio nella creazione e nella guida
dell'universo, tali scienziati non hanno altra possibilità per spiegare la comparsa
successiva di tutti gli esseri che supporre uno spontaneo processo evolutivo, puramente
guidato dal caso. Prima cioè della ricerca dei fatti con cui tentano di convalidare
l'evoluzionismo, questo è da essi necessariamente postulato in conseguenza
dell'aprioristica esclusione dell'intervento o della esistenza stessa del divino Creatore.
(Esclusione aprioristica perché non se ne dà alcuna prova: è noto che nessun ateo è mai
riuscito a provare che Dio non esiste.)
Tipica è una aprioristica e ristretta giustificazione di questi scienziati: dicono di
escludere, nell'evoluzione della natura, un ipotetico intervento da fuori del mondo
perché non sarebbe sperimentabile. Ma non tengono conto che ciò che non è
sperimentabile direttamente lo può essere indirettamente, attraverso gli effetti. Dalla
realtà sperimentale di questi si risale alla realtà della loro causa.
Ecco la leale confessione, ad esempio, di uno dei maggiori biologi moderni, Jean
Rostand (1894-1977), accademico di Francia. Egli riconosce che l'evoluzionismo "lascia
deliberatamente senza risposta la formidabile questione dell'ordine della vita" e propone
delle soluzioni illusorie al problema non meno formidabile della natura (cioè del modo
di attuazione) delle trasformazioni evolutive"; dichiara che ci troviamo, a questo
riguardo, "forse in una situazione peggiore del 1859 [quando fu pubblicato il famoso
libro di Darwin sulla origine evolutiva delle specie]" e che la natura vivente apparisce
come ancora più stabile, più fissa, più ribelle alle trasformazioni". Ciò nonostante egli
proclama l'evoluzionismo quale "unica ipotesi razionale", perché esclude la "creazione
diretta", che egli non vuole assolutamente ammettere; e dichiara di crederci fermamente,
non vedendo il mezzo di fare altrimenti" (dal Figaro Litteraire, 20 aprile 1957).
Ed ecco il biochimico, premio Nobel, Jacques Monod (1910-1976) nel suo libro Il caso
e la necessità (1970), che ha tatto tanto chiasso: "La pietra angolare del metodo
scientifico è il postulato della obiettività della natura", "postulato indimostrabile, ma
consustanziale alla scienza", il quale consiste nell'esclusione di qualsiasi "finalità" o
"progetto", antecedente al puro risultato del caso", qualsiasi progetto cioè impresso dal
di fuori, dal Creatore. Con che egli esclude, in nome della obiettività, la elementare
obiettività della esigenza di un sapientissimo Artefice di quelle strutture naturali che
l'analisi sperimentale ha mostrato così mirabilmente organizzate da non poter derivare
dal puro caso: la solita esclusione preconcetta, che egli riconosce infatti
"indimostrabile".
Per l'Enciclopedia Treccani, similmente, l'evoluzione va ammesso soprattutto per non
cadere, altrimenti, nella "creazione diretta" (D. Rosa). Tale posizione è sostanzialmente
confermata nella II Appendice della stessa Enciclopedia da G. Montalenti. Questi ha
ribadito anche in una recente polemica (1976) di dovere aderire all'evoluzionismo per
non cadere in ipotesi "miracolistiche" (come egli chiama, inesattamente, il necessario
intervento del Creatore); e ciò ha ripetuto anche in un dibattito organizzato dall'Istituto
Internazionale di Genetica e Biofisica di Napoli del C.N.R. (24 giugno 1977). Sulla
stessa linea è il prof P. Brignoli di Aquila, il quale, in uno sdegnoso articolo, dopo aver
tacciato l'Italia d'ignoranza di "stampo medievale" circa le "scienze naturali", oppone
all'antidarwinista, professore di Genetica, G. Sermonti, a modo di "dilemma": "Che il
mondo si sia sviluppato, così come é, da solo" è l'unica alternativa al "creazionismo" il
quale non deve prendersi ovviamente nemmeno in considerazione (Il Tempo, 22 luglio
1977; si vedano anche 17 marzo, 6 luglio 1977).
Non per niente nel succitato dibattito di Napoli un ascoltatore, professore di filosofia,
rilevò le soggiacenti pregiudiziali "ideologiche" e perfino "religiose" della discussione.
Un altro affermò esplicitamente che l'evoluzionismo, puramente regolato dal caso, più
che essere una dottrina derivata dai fatti è - viceversa ­ una preconcetta ideologia
filosofica e ideologica che va alla ricerca di fatti naturali su cui sostenersi (di quale
consistenza vedremo in seguito).
Mentre dunque, come ho detto sopra, di fronte all'evoluzionismo adeguatamente
integrato, il credente è libero nella scelta, il materialista no. Vere o false che siano le
prove, questi deve necessariamente prenderle per vere, volendo escludere a priori la
trascendenza della vita - nei suoi vari gradi - e l'intervento del Creatore.
Noncuranza evoluzionista di ogni critica
La mancanza d'imparzialità critica dell'evoluzionismo materialista è sottolineata dalla
passionalità e dal dogmatismo con cui si contrappone all’antievoluzionismo (più o meno
tacciato di arretratezza scientifica e morale e di "oscurantismo medievale") e dalla
noncuranza di ogni critica. Eppure questa viene da scienziati antievoluzionisti di grande
valore.
A niente valgono, in realtà, per questi evoluzionisti, oltre la smentita dei fatti (che
vedremo), i giudizi contrarie ampiamente motivati degli scienziati antievoluzionisti. E' la
classica ostinazione delle idee preconcette. Basterebbe ricordare tra gli oppositori
dell'evoluzionismo materialista il celebre biologo Louis Vialleton (1859-1929), il cui
volume L'origine degli esseri viventi - L'illusione trasformista (1929) fu un colpo di
fulmine nel campo evoluzionista: "Il trasformismo meccanicista - egli dice - è
assolutamente incapace di spiegare la formazione del mondo vivente"; "la parola
creazione ch'era stata bandita dal linguaggio biologico deve ritrovarvi posto"; "l'illusione
trasformista ha resistito a molti attacchi. Oggi ancora essa persiste sull'ammasso di
rovine del Lamarckismo e del darwinismo". (Prevedeva egli che non solo avrebbe
persistito fino ad oggi, ma si sarebbe universalmente diffusa?) Recentemente il genetista
Giuseppe Sermonti ha potuto intitolare un suo articolo: Requiem per Darwin (Il Tempo,
17 marzo 1976). Il paleontologo Roberto Fondi dell'Università di Siena ha reagito al
"piatto e insulso conformismo all'ideologia accademica ufficiale" e ha potuto scrivere, a
seguito di un incontro a due (col Sermonti) sul tema: L'evoluzione è in crisi?, dietro
invito del "Centro Internazionale di Comparazione e Sintesi" (12 marzo 1977), che "la
concezione evoluzionistica della vita deve essere considerata come scientificamente
fallita" e deve essere "collocata a riposo nel museo delle ipotesi cadute" (Il Tempo) 22
luglio 1977); in una conferenza, all'Università di S. Tommaso in Roma, ha ribadito tutto
ciò (5 febbraio 1978). W. H. Thompson, nel centenario del celebre libro di Darwin, ha
denunciato gli evoluzionisti che "difendono una dottrina che non sono capaci di definire
scientificamente e ancor meno di dimostrare con rigore scientifico, cercando di
mantenere il credito davanti al pubblico con la soppressione della critica e la
eliminazione delle difficoltà". R. Poliss ha lamentato il "rischio di ricevere l'ostracismo
scientifico per chi assuma una posizione polemica [contraria] sul tema dell’evoluzione".
Gli evoluzionisti non mollano, anche se qualcuno fa delle oneste ammissioni. D. Rosa
riconosce bensì, nell'Enciclopedia Treccani la "insufficienza delle prove dirette"; vari
anni dopo G. Montalenti, nella II Appendice della stessa Enciclopedia, riconosce
l'esistenza di una certa "opinione diffusa" che "la biologia moderna abbia in qualche
modo sconfessato la teoria della evoluzione"; il succitato Rostand ha potuto parlare come abbiamo visto - di "situazione peggiore di quella del 1859 (data del libro di
Darwin)". Tutti restano però combattivamente evoluzionisti, per la preconcetta
esclusione dell'intervento creatore.
E sentenziamo dogmaticamente. Per Juliam Huxley (1887-1963) (2), scrittore e biologo,
primo direttore generale della UNESCO, l'evoluzionismo non è più una teoria, ma un
fatto. G. de Beer del British Museum chiama "ignorante e sfrontato" chi cerchi
impugnare le conclusioni di Darwin. G. Hardin del California Institute of Technology
giudica soggetti da psichiatra chi non onori Darwin. Il premio Nobel P. Crick riferendosi
a una nota personalità che era scettica sulla "importanza decisiva della selezione
naturale" spiega tale scetticismo come riflesso di "difficoltà logiche e filosofiche di ogni
specie". Dirò, tra poco, di Teilhard de Chardin.
Il martellamento evoluzionista a tappeto
Dogmatismo pieno in tutte le opere più o meno divulgative, televisive, ecc. Per
esempio, secondo la Enciclopedia delle scienze De Agostini, "l'idea evoluzionista è
sostenuta da ampie prove; i risultati della genetica inoltre la confermano al di là di ogni
dubbio". Secondo l'Enciclopedia delle scienze e della tecnica, Mondadori, "la teoria
della evoluzione ha ricevuto dalla genetica la dimostrazione decisiva": mentre, come
vedremo, è vero precisamente il contrario.
Non v'è settore, nel piano della divulgazione, in cui non venga immancabilmente o
affermata o presupposta la verità della evoluzione radicale, come dato ormai acquisito
dalla scienza. Qualche mese fa alla TV per i ragazzi, quando un docente ha mostrato
l'immagine dei globuli rossi del sangue di rana con i nuclei, ha subito spiegato, con
sicurezza, che tale anomalia dipendeva dal fatto che quei globuli non si erano ancora
"evoluti" come quelli del sangue umano che non hanno nucleo. E così via. L'opinione
pubblica non ha in generale, ormai più dubbi in proposito.
Penetrazione dell'idea nel campo cattolico
La forza di questa pressione psicologica, esercitata da una così unanime divulgazione, è
sintomaticamente indicata dalla notevole penetrazione dell'idea evoluzionista anche in
campo cattolico, in conseguenza dell'alta considerazione in cui giustamente sono tenuti
gli sviluppi delle scienze. Si è finito per pensare infatti che si tratti di vera acquisizione
scientifica. Vedemmo, d'altra parte, che, con le debite integrazioni, l'evoluzione è
compatibile con fondamentali principi filosofici e con gli stessi dati della fede.
Tuttavia, come effetto del martellamento evoluzionista, l'accettazione di tale dottrina si
è spinta, anche nel campo cattolico, sempre più avanti. Ci si è preoccupati sempre meno
di quelle necessarie integrazioni e si sono accettate enunci azioni sempre più generali.
Tale principio evolutivo si è inoltre proiettato, come fattore fondamentale dell'esistenza,
in tutti gli altri settori, antropologico, morale, sociale, culturale, ecc.
Indubbiamente anche il fascino dell'idea, quell'apparente grandiosità e semplicità
unitaria del suo dinamismo e progressismo, quel senso di liberazione dalla fissità delle
cose e delle leggi, ha facilitato la penetrazione di tale dottrina nel campo cattolico,
sospingendo anche taluni oltre i limiti delle verità di fede.
Agli estremi è giunto Teilhard de Chardin (1881­1955), gesuita, geologo e paleontologo
di valore (ma non altrettanto valido biologo e tanto meno filosofo e teologo), che ha
riassunto tutto l'universo in un'unica visione evolutiva monistica, per cui "esiste soltanto
la materia che [evolutivamente] diventa spirito" (in La Energia umana). Egli è
emblematico del dogmatismo evoluzionista, addirittura fanatico: "Non esiste più la
questione trasformi sta [nel senso più radicale]", "gli scienziati sono tutti oggi d'accordo"
v'è, per l'evoluzione, "la certezza del radar"! (da Il fenomeno umano). E' emblematico
anche per il distacco tra l'ideologia e i fatti, come è, del resto, di tutto il movimento
evoluzionista. Egli infatti per spiegare l'evoluzione, accettata a priori, ipotizza misteriose
potenzialità immanenti della materia, sottratte 'a qualsiasi controllo sperimentale: una
pura tautologia. Giustamente perciò Rostand, da questo punto di vista, colloca "Teilhard
fuori della scienza, in quanto puramente congetturale e che sfugge ad ogni tentativo di
verifica", appellandosi ad "energie misteriose" non sperimentabili; perciò - conclude
Rostand - "Teilhard non ha gettato alcuna luce sul grande problema dell'evoluzione
organica" (Una mistificazione, Roma 1967).
Ma anche il campo cattolico più ponderato si è fatto non poco influenzare (3), benché vi
si stia oggi delineando una forte reazione. Questa, del resto, si va delineando anche fuori
del campo cattolico.
Evoluzionismo politico
Scrivendo, nel sopraccitato articolo, contro le critiche del prof. Sermonti, l'evoluzionista
prof. Brignoli termina, inaspettatamente, con un richiamo alle "implicazioni sociali e
politiche" dell'evoluzionismo. Vi sono, di fatto, implicazioni marxiste.
E' un'altra effettiva componente del preconcetto evoluzionista. Alla pregiudiziale
materialista del marxismo che esclude ogni intervento creatore si aggiunge il mito, pure
marxista, del potere umano di trasformare, evolutivamente, a fondo, la natura, mediante
il nuovo assetto sociale, in conformità al "materialismo dialettica". Così si spiega la
tragicommedia del biologo russo Trofim Lysenko (1898-1976). Divenne Presidente
dell'Accademia Lenin di Scienze agrarie (1938), al posto del grande genetista e
agronomo N. I. Vavilov, che fu defenestrato (perché accusato di essere ligio alla scienza
borghese e di avere quindi danneggiato l'agricoltura) ed esiliato in Siberia, dove morì
(1942). Sfruttando tale alta posizione, si oppose a fondo, in nome della rivoluzione di
Marx e Lenin e della particolare "approvazione di Stalin", alla classica dottrina genetica.
Questa afferma, sulla base della costante esperienza, che i cambiamenti ("caratteri
acquisiti") prodotti negli individui per influsso dell'ambiente (pigmentazioni, sviluppo di
muscoli, amputazioni, ecc.) non possono essere trasmessi alle generazioni successive
(cioè divenire "caratteri ereditari"), restando regolata la 'ereditarietà dei caratteri da certe
costanti leggi, scoperte da Mendel. Lysenko invece sostenne - sulla linea dell'orticultore
russo LV. Micurin (1855­1935) - la trasmissione di quei cambiamenti "acquisiti",
ottenuti artificialmente mediante modificazioni di ambienti, nutritizie, innesti, selezioni
di semi. Vi insisté, nonostante clamorosi insuccessi pratici, presentando tale principio
come il segreto della evoluzione delle specie. Considerando anche l'uomo frutto
dell'ambiente, promise lo sviluppo in Russia di una razza umana infinitamente superiore.
Fu salutato come il "liberatore della biologia dalle contaminazioni reazionarie". Animò
per molti anni la persecuzione dei genetisti classici - e anche di personalità di altri settori
scientifici - distruggendone Istituti e pubblicazioni. Quasi trent'anni di fanatismo e
oscurantismo evoluzionista. Fallite le sue vane promesse, cadde in disgrazia alla morte
di Stalin (1953). Riabilitato da Kruscev (1960), fu definitivamente allontanato alla
caduta di questi (1964).
Simile è il caso della ben nota biologa russa Olga Borisovna Lepesbinskaja (18711963), che divenne capo della sezione di evoluzione della materia vivente
dell'Accademia di medicina (1949). Fu grande protetta di Lysenko, con cui si allineò
dottrinalmente, e di Stalin stesso. Anch'essa si lanciò contro i biologi "reazionari".
Sostenne, contro le scoperte di Pasteur, la possibile generazione spontanea di
microrganismi, come gli infusori da infusi di fieno; sostenne anche la generazione di
cellule viventi da albume di uovo e di veri e propri vasi sanguigni dal tuorlo; senza dire
di un suo metodo di ringiovanimento umano con bagni in acqua e soda: tutte cose
rivenute oggi prive di ogni serietà scientifica. In cambio - come ella stessa scrisse - ebbe
un "intimo e caro" incoraggiamento telefonico da Stalin. Di questi lodò l’"assennato
consiglio", la "grande cristallina chiarezza", il "grande potere di previsione scientifica",
per cui "tutte le complesse questioni dei problemi erano un libro aperto e lo schema di
sviluppo della scienza progressista sovietica era chiaro fin nei particolari" (G. Goglia,
Osservatore Romano, 1° aprile 1977).
FALSIFICAZIONI ED EQUIVOCI
Esperienze
Prima di affrontare più direttamente il problema è utile puntualizzare ancor meglio la
psicosi di "partito preso" di certi evoluzionisti, ricordando alcune famose falsificazioni
fatte da scienziati, dietro lo schermo della apparente obiettività scientifica.
Molto significativi sono anche alcuni celebri equivoci, che pure esemplificherò in
questo capitolo.
Il celebre zoologo Ernesto H. Haeckel (1834­1919) fu uno dei più appassionati
sostenitori di Darwin e propagatore del più radicale evoluzionismo materialista inteso in
tutta la linea: dalla spontanea formazione della "monera", (dal gr. moneres, unico) primo
grumo vivente, precellulare, fino all'uomo. Egli presentò e divulgò, come principale
prova della evoluzione stessa, quella che chiamò "Legge biogenetica fondamentale"
(1866), secondo cui gli stadi di sviluppo embrionale di un individuo ("ontogenesi")
ricapitolano gli stadi di sviluppo della sua specie, a partire dalle specie inferiori
("filogenesi"). Tale legge risulterebbe provata dalla rassomiglianza dei primi stadi
dell'embrione umano con quelli degli animali inferiori.
A parte che tali esterne rassomiglianze (come vedremo) non dimostrano niente,
Haeckel, per avvalorare la sua tesi, compi sugli schemi e le fotografie sperimentali
embriologiche, da lui presentate, delle falsificazioni che furono denunciate da A. Brass e
A. Gemelli (Le falsificazioni di Ernesto Haeckel, Firenze 1911).
Paolo Kammerer (1880-1926), brillante biologo viennese, diede nel 1909 e poi
confermò, dopo molte esperienze sue e di altri (queste ultime però sempre negative),
davanti agli scienziati della Società linneiana di Londra, nel 1923, la clamorosa notizia
di avere ottenuto sperimentalmente la trasmissione ereditaria, cioè per generazione, di
caratteri acquisiti da individui per esigenze ambientali: ciò in conformità della vecchia
teoria del Lamarck, considerata allora cardine dell'evoluzione. Soprattutto presentò un
rospo della specie che compie l'accoppiamento fuori dell'acqua, il quale, obbligato a
compierlo in acqua, avrebbe sviluppato certe callosità. digitali caratteristiche delle
specie che si accoppiano in acqua, le quali servono per tenere la femmina. Alla seduta di
Londra era presente uno dei fondatori della genetica classica, W. Bateson (1861-1926),
che insinuò la possibilità di una frode: poteva essere stato iniettato inchiostro di china
sotto la pelle del rospo, dando l'apparenza delle callosità. Ma a Mosca spirava
naturalmente corrente favorevole. Nel 1925 (primo anno di Stalin) Kammerer fu
chiamato a fondarvi un Istituto di Biologia sperimentale. Sennonché nel 1926 un
accurato esame microscopico, condotto con l'autorizzazione del Direttore dell'Istituto di
biologia sperimentale di Vienna, scoprì che veramente era stato iniettato sotto la pelle
l'inchiostro di china. Qualche settimana dopo Kammerer si uccise.
Il Bathybius Haeckelii. Ho sopra accennato alla "monera" di Haeckel, primo grumo
vivente, da lui ipotizzato, che si sarebbe, via via, evoluto fino all'uomo. Ed eccoci, se
non proprio a una mistificazione, a un colossale equivoco. Nel 1868 il grande zoologo T.
H. Huxlei (1825-1895), fervente sostenitore del darwinismo, scandagliando le profondità
oceaniche, estrasse una sostanza colloidale, gelatinosa, trasparente, che presentava lenti
movimenti. La interpretò quale "monera" ossia prima formazione di materia vivente, a
conferma dei principi di Haeckel. In onore di questi la chiamò Bathybius ("vivente delle
profondità") Haeckelii ("di Haeckel"). Ma non si trattava, in realtà - come provò,
qualche anno dopo, W. Thomson (spedizione oceanografica sul Challenger: 1872-1876)
- che di un precipitato colloidale di solfato di calcio, prodotto dall'aggiunta di alcole
all'acqua marina per conservare il materiale raccolto. Da notare che, mentre Huxley ne
prese atto, Haeckel si ostinò a negarlo.
I semi di S. Leduc. La suggestione della ipotizzata "monera" era così tenace che fecero
clamore perfino gli apparenti semi, che Leduc formò con pura gelatina, solfato di rame e
zucchero. Gettati in soluzione di gelatina e ferrocianuro di potassio, emettevano delle
specie di radici e fronde, come piantine (1910-1912). Ma non era, al solito, che un
semplice effetto fisico d'incorporazione della soluzione, per osmosi.
Reperti fossili ingannatori
Il Pitecantropo. Il nome vuol dire (dal greco: pìthe­cos-ànthropos) "scimmia-uomo".
Questo essere fu preannunciato e così chiamato dall'Haeckel. Avrebbe dovuto essere
l'anello evolutivo di transizione tra la scimmia e l'uomo. Il naturalista olandese M.E.
Dubois (1854-1941 ) pretese di averlo effettivamente scoperto in una campagna di scavi
(1890-82) appositamente intrapresi nell'isola di Giava (per cui oggi viene piuttosto
chiamato l’"uomo di Giava").
Ma si trattò di una sola calotta cranica che suggeriva una cubatura intermedia tra quelle
delle scimmie e dell'uomo - calotta che lo stesso scopritore ammise in seguito poter
essere quella di un gibbone - e di un femore certamente umano trovato a 15 metri di
distanza che arbitrariamente fu attribuito al medesimo individuo, il quale sarebbe
risultato un mostruoso gigante microcefalo, inammissibile. Altri reperti non chiarirono la
cosa. Vi furono discussioni senza fine. Lo stesso Dubois cambiò più volte e a lunga
distanza di anni, parere. Un bel sogno.
***
L'uomo di Piltdown. In questa località dell'Inghilterra meridionale alcuni scavi fecero
trovare frammenti di due crani con caratteri primitivi, una mandibola nettamente
scimmiesca e due denti (1909-1915). Dal geologo dilettante Charles Dawson che li
raccolse e da A.S. Woodward, direttore dei British Museum furono attribuiti al
medesimo individuo. Esso presentava caratteri misti umano scimmieschi, quali appunto
doveva avere il tanto ricercato anello di congiunzione tra gli antropoidi e l'uomo.
L’epoca fu fissata a circa 300.000 anni or sono. Contribuì alla scoperta anche Teilhard de
Chardin. Fu chiamato Eoanthropus ("uomo dell'aurora") Dawsoni (dal nome dello
scopritore). Tali resti costituirono per quarant'anni un particolare titolo di gloria del
Museo Britannico. V'era stato anche, a garanzia di autenticità, uno studio accurato del
Tedesco Weinert, venti anni dopo la scoperta. L'Enciclopedia Treccani li dà come sicuri,
con ampia trattazione.
Ma una revisione compiuta da una commissione scientifica nel 1953 scoprì che i pezzi
erano stati presi da un fossile umano e da un giovane orango recente, erano stati
opportunamente trattati per simulare l'antichità e poi artificiosamente ivi sotterrati, come
il mistificatore stesso infine confessò. Un comunicato dell'Accademia delle Scienze
sigillò tale responso (accolto bensì, ma questa volta con un solo brevissimo cenno, nella
terza Appendice Treccani).
Fu definita la più grande mistificazione scientifica del secolo.
***
L'uomo di Pechino (Sinantropo). E' il ritrovamento fossile forse più studiato dai
paleontologi. Vi è largamente legato il nome di Teilhard de Chardin. Intorno al 1930
nella cava di Choukoutien, vicino a Pechino, furono trovati i resti di oltre una trentina
d'individui di caratteristiche umane estremamente primitive. Risalivano a circa tre
centinaia di migliaia di anni (Pleistocene medio). Era il famoso anello di congiunzione.
Nei testi è ordinariamente dato come sicuro.
Ma con quanta imparzialità critica? Il primo scopritore, il medico e biologo canadese
Black Davidson (1885-1934) era un evoluzionista entusiasta, smanioso di trovare questa
nuova specie uomo-scimmia; era così ricco di fantasia che credette di averla scoperta fin
dall'inizio, in base al ritrovamento di un solo dente; era così poco preoccupato del rigore
scientifico che nel modellare, in base a quei reperti, una mandibola di adulto, di cui
vantò la somiglianza con le mandibole umane, riunì due eterogenee porzioni, una di
giovane e una di adulto, come rilevò il suo successore, l'antropologo F. Weidenreich
(1873-1948). Tutti gli originali, forse per vicissitudini belliche, sono spariti e gli scavi
sono stati proseguiti con l'unica garanzia dell'autorità comunista, interessata a
valorizzare questa gloria di Pechino. Tutte le misure sono state fatte non su calchi dei
pezzi originari, ma su modelli plasmati dal succitato Black, in base a parziali resti
cranici (calotte craniche, ossa mascellari, denti), da cui Black ed altri trassero disparate
capacità craniche (Black 960, Weidenreich 915, Teilhard oltre 1000). Colpo di scena
quando furono trovati anche dei fossili di uomini attuali, centinaia di pietre di quarzo
affumicate ed enormi mucchi di cenere (non solo "tracce" di fuoco, come è riportato
ancor oggi nei libri). Dopo accurati sopralluoghi l'ipotesi del Sinantropo fu scartata dal
grande Paleontologo H. Breuil (1877-1961). Il geopalentologo e antropologo B. M.
Baule (1861­1942) definì tale ipotesi "fantastica".
In realtà tutto lascia supporre che sul luogo vi fosse una grande cava e una fornace per
la fabbricazione della calce, in età di pieno sviluppo umano. Quei fossili pienamente
umani erano gli operatori. I crani più piccoli erano di grosse scimmie, cadute sotto i loro
colpi: essi presentano infatti i segni di colpi contundenti; e tutti hanno un buco,
probabilmente per estrarne il gustoso cervello.
Quello che Teilhard de Chardin chiamò il "cugino" del Pitecantropo sembra che vi si
ricolleghi effettivamente nel sogno.
***
L'uomo di Neanderthal. Questo tipo di vero uomo è certamente esistito, centinaia di
migliaia di anni fa. E' così chiamato per la prima scoperta di una sua calotta cranica,
nella "Valle di Neander" della Prussia renana, nel 1856. Se ne sono scoperti poi molti in
varie zone, come in Francia a Chapelle-aux-Saints, dove nel 1908 fu trovato uno
scheletro quasi completo.
Ma anche qui non manca l'equivoco. Il grande M. Boule ne fece una ricostruzione che è
restata classica ed è riprodotta in tutti i testi, con la testa pendente alquanto in avanti, a
modo abbastanza scimmiesco. Ma è stato un errore. Sergio Sergi (1878-1972) ha
dimostrato che Boule aveva innestato male il cranio, per mancanza di alcuni frammenti e
che in realtà la testa di quell'uomo era eretta come quella dell'uomo moderno.
Il sogno del pre-uomo sfugge sempre più. Le recentissime scoperte paleontologiche, di
cui parlerò in seguito, lo confermano.
Evoluzionismo arcaico
Molti pensano alla dottrina evoluzionista come ad espressione di dinamismo, di
progresso, di novità, in contrapposto alla staticità e antichità della concezione fissista e
creazionista. In realtà essa è invece, per molti aspetti, un ritorno al passato, in contrasto
con il progresso scientifico.
L'evoluzionismo cosmico generale rientra nelle più antiche concezioni del pensiero
filosofico, come quella dei pitagorici, secondo i quali il cosmo sarebbe sospinto da una
interiore tendenza verso il progresso; e, già prima, Esiodo se l'era rappresentato come un
immenso organismo sospinto da slancio vitale (siamo nel VII s.a. Cr.). Teilhard de
Chardin non ha fatto che ripresentare oggi qualcosa di simile.
Ebbe anche credito tra buoni pensatori credenti, - prima e dopo Darwin - supposto
l'intervento iniziale di Dio (oltre che in altri opportuni momenti), rendendo cioè Dio, in
qualche modo, fonte e guida dell'evoluzione stessa. Si può risalire, per esempio, ai
"principi seminali" di S. Agostino (354-430) (benché d'interpretazione un poco oscura) e
a S. Gregorio Nisseno (335-394): "Dopo la creazione della materia, una sorta d'impulso
divino imprime al mondo un'evoluzione che mette capo alla produzione dei vegetali e
degli animali, i quali non erano contenuti se non virtualmente nella creazione primitiva"
(da M. Périer, Le Transformisme) Beauchesne, 1938). Più tardi si può ricordare il dotto
gesuita A. Kircher (1601-1680) e poi il grande naturalista G. Buffon (1707­1788) per i
quali tutti i viventi potevano derivare da poche specie iniziali. Quanto ai naturalisti
Richard Owen (1804-1892) e G. Mivart (1827-1900), erano grandi avversari di Darwin
solo in quanto sottoponevano la evoluzione alla diretta guida dell'Essere supremo.
***
Questo evoluzionismo universale, scendendo ai fatti concreti, s'imbatte fatalmente nel
problema dell'origine della vita, che esso è obbligato a risolvere come naturale transito
della materia alla vita, per generazione spontanea: intesa questa, dai più coerenti, come
qualcosa che possa sempre ripetersi. Per quelli che credono all'impulso divino dato
all'evoluzione, essa è fatta dipendere da un intrinseco potere infuso nella materia, senza
però un atto creativo diretto. Questo è l'aspetto più arcaico dell'evoluzionismo a cui ho
accennato.
Anassimandro (VI s.a. Cr.) riteneva che dall'umido abbiano avuto origine i primi viventi
acquatici e da essi gli uomini. Aristotele, S. Agostino, S. Tommaso l'ammisero. Era
opinione comune che mosche insetti, vermi, rane, anguille, perfino topi, derivassero da
sostanza in decomposizione o dalla melma, sia pure in virtù di forze naturali e
potenzialità immesse dal Creatore (4).
Finalmente è scientificamente crollato questo mito della generazione spontanea: ma
non senza tenacissime resistenze di buona parte dell'antico mondo scientifico. Fu merito
di Francesco Redi (1628-1698) di escluderla per gl'insetti, del sacerdote Lazzaro
Spallanzani (1729­1799), uno dei più illuminati fondatori della biologia moderna, di
escluderla per gli infusori, e di Louis Pasteur (1882-1895), tenacemente avversato dal
pur dotto naturalista P.A. Pouchet, di escluderla anche per i batteri. Risultò quindi
confermato e generalizzato lo aforisma: "omne vivum e vivo", ogni vivente da vivente.
Il moderno evoluzionismo ha fatto un bel passo indietro.
DUE DISTINTI PROBLEMI
Dopo le preliminari considerazioni precedenti entriamo ora nel vivo del problema,
tenendo ben presente, per una soluzione critica veramente imparziale, lo evoluzionismo
radicale che esclude qualsiasi intervento creativo, e risolve tutto nel gioco fisico-chimico
della materia, senza alcuna intelligenza direttrice.
Questo, di fatto, è l'unico evoluzionismo concepibile dai materialisti. E' chiaro infatti
che, escluso per principio un Essere trascendente (ed escluse anche misteriose forze
immanenti gratuitamente affermate e non sperimentabili della materia), non si può
pensare che a un processo evolutivo meccanicistico e spontaneo della materia stessa.
Abbiamo visto antecedentemente che nell'accettare questo evoluzionismo lo scienziato
materialista non può essere veramente imparziale e libero. Egli non ha altro scampo che
in questa dottrina.
Tali scienziati, pur obbligati nella scelta dalla loro aprioristica pregiudiziale, fanno
naturalmente di tutto per cercare di giustificarla in base all'esperienza, anche s,e poi
confessano, in genere, lealmente, gli insuccessi della loro ricerca, come già vedemmo.
In questi tentativi di giustificazione vanno ben distinti due problemi. Uno riguarda il
fatto della asserita evoluzione, l'altro il meccanismo che l'avrebbe prodotta. In generale
questi evoluzionisti dichiarano che le prove del fatto sono ormai sicure, mentre resta
tuttora incerto il modo, ossia il meccanismo che l'avrebbe prodotto.
Analizziamo ora, una ad una le pretese prove sicure del fatto. Poi analizzeremo il
presunto meccanismo.
Le prove fondamentali del fatto sarebbero date dalla anatomia comparata, che ha
scoperto le rassomiglianze e gradualità strutturali dei viventi e gli organi "rudimentali";
la paleontologia che avrebbe mostrato il succedersi progressivo, nei lunghissimi tempi
antichi, delle specie, dalle meno alle più perfette; l'embriologia, che sottolineerebbe
l'unità di origine; la genetica che da un lato sottolineerebbe ancor più tale unità e
dall'altro permette di ottenere, di fatto, variazioni sperimentali.
ANATOMIA COMPARATA
Gradualità e rassomiglianze dei viventi
Limito la considerazione al regno animale che più interessa perché comprende l'uomo.
Il fatto primario che risalta in questo mondo vivente e che avvinse Darwin, padre
dell'evoluzionismo moderno, è che catalogando centinaia di milioni di diverse specie
estinte e viventi si ottiene una meravigliosa scala di esseri che, a piccoli gradini, vanno
dalla unicellulare ameba alle scimmie antropomorfe e all'uomo. Come spiegare
l'esistenza di tale sconfinata varietà e gradualità di specie, talora anche così vicine tra
loro? Non è naturale spiegarlo con il fatto di un lento processo evolutivo, secondo varie
linee di trasformazione, una delle quali è giunta fino all'uomo?
Ma v'è di più. Tale unità di origine evolutiva sembra validamente confermata dalle
impressionanti rassomiglianze delle strutture di base - anche in viventi disparatissimi per le funzioni di respirazione, nutrizione, generazione, movimento, per le strutture
scheletriche, lo sviluppo ,embrionale, ecc. Per esempio, si pensi alla suggestiva
corrispondenza ("omologia") di struttura e articolazione dello scheletro delle braccia
umane e delle ali degli uccelli. Le due parti dell'arto superiore umano sono il braccio,
con l'omero articolato alla scapola, e l'avambraccio, con la coppia ossea radio e ulna,
articolata al gomito, in modo da ruotare solo in avanti: la medesima successione e
articolazione di ossa si nota nell'uccello. Per la mano, articolata all'avambraccio, con le
sue 24 piccole ossa, 8 nel polso (carpo), 5 nel palmo (metacarpo) e 14 nelle dita
(falange, falangina e falangetta) la corrispondenza viene bensì a mancare. Ma non del
tutto, perché, al termine del1a coppia ossea si articola nell'ala dell'uccello, in altro modo
idoneo, il lungo sostegno osseo longitudinale, in cui si ritrovano appunto alcune vestigia
del carpo, del metacarpo e delle falangi.
A ben riflettere però, tale scala di perfezioni e tali rassomiglianze dei viventi non
provano minimamente un processo evolutivo di formazione. Tutto ciò anzi si inquadra
molto meglio nella opposta prospettiva creazionista.
Supposta infatti la creazione di una varietà di esseri, essi debbono ovviamente
presentare diversità di perfezioni, in modo da costituire, confrontati tra loro, una scala
graduale. Mentre però nell'ipotesi evolutiva dovrebbero necessariamente prodursi (come
rivedremo più a lungo in seguito), lungo il lento cammino, numerose specie di
transizione non ancora completate e quindi mal formate, esse debbono invece mancare
del tutto nell'ipotesi della creazione. E questo infatti risulta in realtà. Anche la minima
Ameba risulta, nel suo modo di essere, perfetta.
Quanto, in particolare, alle rassomiglianze strutturali di base esse non potevano
mancare, in una "economia" creativa di vasta concezione, per una varietà di esseri
destinati a vivere sul medesimo pianeta. Ma, mentre l'ipotetica produzione evolutiva non
può spiegare l'esistenza, insieme alle rassomiglianze, delle profonde differenze
strutturali specifiche, che si manifestano entro il grande quadro comune, la prospettiva
creazionista ne dà la più ovvia spiegazione, esaltando in tale unità di base, capace di
attuarsi in tanta diversità la sapienza dello Artefice sommo.
Queste diversità specifiche, veramente profonde, congiunte alle rassomiglianze, sono
troppo spesso sfuggite agli evoluzionisti. Rifacciamoci, per esempio, alle suddette ali. A
parte la profonda differenza strutturale della mano, già accennata, nello scheletro
dell'uccello vi è, rispetto all'uomo, la radicale differenza delle ossa pneumatizzate,
provviste cioè di cavità piene di aria, collegate a sacchi aeriferi comunicanti con i
polmoni, che realizzano la necessaria leggerezza per il volo. L'articolazione ("omologa")
alla scapola del primo osso lungo (omero) è inquadrata in una impostazione scheletrica
tutta diversa dall'uomo (e in genere dai mammiferi); è posta cioè in modo che il punto di
attacco si trovi al di sopra del centro di gravità di tutto il corpo, senza di che questo
girerebbe continuamente su se stesso. E ben più intime ci apparirebbero le differenze se
potessimo attardarci nei particolari.
***
L'unica deduzione logica dunque che si presenta è che tale enorme numero di specie di
graduale perfezione sia dipesa dall'onnipotente volontà del Creatore per dilatare, con
tanta molteplicità, il segno della sua potenza. E la sapienza del sommo Artefice risalta
proprio dalla creazione di quei grandi e comuni piani strutturali, di base, da un lato
conformi unitariamente alle esigenze della comune vita sul nostro globo e dall'altro
disponibili ad essere attuati tanto diversamente, secondo le differenti specie.
La logica degli evoluzionisti invece, tutto sommato, è come di chi, considerando, per
esempio, una serie di pietre preziose, della stessa materia, ma di diversa lavorazione,
disposte in ordine progressivo di grandezza e pregio, ne deducesse che ognuna è derivata
dalla precedente.
Gli organi rudimentali
Sempre nel quadro dell'Anatomia comparata, gli evoluzionisti insistono sulla esistenza
dei cosiddetti "organi rudimentali" che in alcune specie sembrano non avere più alcuna
funzione e non sarebbero che residui di specie antiche che si sono evolute. (Per
l'Enciclopedia delle scienze, De Agostini - 1969 - costituirebbero addirittura una prova
"inconfutabile" dell'evoluzione).
Citano, per esempio, i germi dentari del feto di balena, la quale da adulta è priva di
denti e così un suo rudimentale arto posteriore. Nell'uomo, citano l'appendice
vermiforme che pende dal fondo dell'intestino cieco; citano il coccige, piccolo osso,
rivolto indentro, articolato al termine dell'osso sacro, che negli animali è sviluppato
come scheletro della coda e nell'uomo costituirebbe quindi un puro vestigio.
Al principio del secolo l'elenco degli organi rudimentali dell'uomo era numerosissimo,
tanto da comprendervi perfino le glandole cerebrali epifisi ed ipofisi, poi dimostratesi
importantissime. Di tutti si sono, via via, scoperte le funzioni per lo meno utili, quando
non necessarie, anche se compensabili da altri organi (come per l'appendice, per
esempio), così da perdere il significato di organi rudimentali di puro vestigio arcaico,
quali cioè reliquie di antichi organi funzionali.
In alcuni casi si è scoperto che si tratta di residui embrionali che non hanno niente a che
fare con residui di organi scomparsi. L'embrione infatti, secondo un sapiente principio
di organizzazione costruttiva, riunisce in un piano di base molteplici abbozzi preparati
per diverse attualizzazioni mature. (Per esempio, alle 24.000 specie tra uccelli e pesci
teleostei corrispondono due soli tipi fondamentali di organizzazioni embrionali.) Certi
sviluppi pertanto non utili per una specie, ma con radici comuni o colleganze embrionali
con sviluppi richiesti dalla specie stessa possono o compiere funzioni provvisorie a
vantaggio di essa o restare semplicemente immaturi.
Così, per esempio, quanto ai suaccennati germi dentari del feto di balena. Darwin non si
accorse che, così grossi e moltiplicati e adattati alla lunghezza della mascella, hanno una
funzione importante nella formazione matura della mascella stessa che vi si appoggia e
vi si modella. Quanto al rudimentale arto posteriore della balena, basta notare che anche
nei cetacei il bacino, pur molto ridotto, non è privo di funzione ed esso è normalmente
prodotto dalla proliferazione embrionale verso il tronco dell'abbozzo precartilagineo
dell'arto. Anche nella balena in crescita questo è quindi provvisoriamente utile; poi in
parte rimane (L. Vialleton, Membres et cintures des vertébrés tétrapodes, Paris 1924).
Una parola ancora, a puro titolo di esempio, su quei due organi umani, ordinariamente
presentati dagli evoluzionisti come residui evoluti di organi la cui antica funzione
sarebbe poi cessata. L'appendice è bensì molto più sviluppata negli animali erbivori, nei
quali ha la funzione di decomporre l'abbondante cellulosa, mediante la propria flora
batterica. Tale funzione è ovviamente ridotta nell'uomo, onnivoro. Tuttavia anche
nell'uomo essa è capace di movimenti peristaltici e per il suo abbondante tessuto linfoide
e la speciale secrezione (muco, linfociti, cellule epiteliali) ha utile funzione antibatterica
e antitossica (sia pure surrogabile, in caso di asportazione), anche più importante
nell'embrione e nel neonato, nei quali presenta perciò dimensioni relativamente
maggiori. Quanto al coccige, la sua importante funzione appare subito appena si analizzi
uno scheletro. Esso costituisce l'ultima punta della colonna vertebrale, opportunamente
rientrante per funzionare, avvicinandosi diametralmente alla sinfisi pubica, come
importante punto di inserzione e sostegno del pavimento muscolare del bacino (perineo).
In particolare vi si inseriscono il muscolo elevatore, lo sfintere esterno dell'ano e
l'ischiococcigeo e nella parte posteriore alcune fibre del grande gluteo. (Da notare, nei
confronti dei quadrupedi, lo spedale bisogno dell'uomo del sostegno del pavimento del
bacino per la sua posizione quasi orizzontale.) Non quindi vestigio di antica coda, ma
utile organo, inquadrato bensì sapientemente nel piano comune strutturale del
prolungamento della colonna vertebrale, ma con specifici caratterizzazione umana.
PALEONTOLOGIA
La progressiva comparsa delle specie viventi
La geologia ha scoperto il modo di determinare l'età dei vari strati terrestri. I fossili, cioè
i resti dei viventi trovati negli scavi (il nome deriva dal latino fodere) scavare), svelano
quindi le specie che vivevano nelle epoche dei rispettivi strati. Tali strati geologici
costituiscono cioè come un museo storico degli antichi viventi, distribuiti nei padiglioni
delle singole epoche. Se si scopre pertanto la comparsa successiva di specie viventi via
via più vicine alle attuali, fino all'uomo, sembra legittimo spiegare il fatto con una
progressiva e perfettiva evoluzione, a partire da una primordiale comparsa della vita.
Così pensano gli evoluzionisti. Ma arbitrariamente.
Anche nell'ipotesi infatti (data e non concessa, perché non è esatta, come dirò) che i
reperti fossili comparissero proprio secondo il suddetto ordine progressivo, arrivando
anche a scimmie antropomorfe e, per anelli intermedi, all'uomo attuale, il
concatenamento generativo successivo resterebbe ancora tutto da provare. Ciò perché lo
stesso dovrebbe risultare anche nella piena prospettiva creazionista.
Se il Creatore infatti ha voluto arricchire della vita le antiche epoche della terra, avrà
dovuto fare successivamente sorgere viventi adatti a quelle progressive condizioni
ambientali, lungo tutto il corso evolutivo fisico, fino all'epoca presente. Tali viventi
dovevano poi scomparire, al cessare della corrispondente adattabilità.
Con la differenza che, mentre nell'ipotesi spontaneamente evolutiva la successiva
comparsa, senza alcun salto, nei singoli filoni evolutivi, di tutte le progressive specie
intermedie (comprese quelle incomplete, di transizione) sarebbe necessaria, non lo è
ugualmente nella prospettiva creazionista, secondo cui, pur con ordinata corrispondenza
all'ambiente, possono aversi, per libera volontà del Creatore, improvvise comparse di
nuove specie (tutte perfette) e anche affiancamento di specie diversissime.
***
Ebbene, la paleontologia moderna, in realtà, presenta le sempre più numerose scoperte
fossili molto più in armonia con la prospettiva creazionista che con quella evoluzionista.
Il grande paleontologo americano G. G. Simpson (n. 1902) riconosce che "molte specie e
generi compaiono improvvisamente differendo in modo notevole e multiplo da
qualunque altro gruppo più antico". G. Sermonti, che lo cita, precisa che ciò vale ancor
più per "le famiglie, gli ordini, le classi, i tipi [gruppi cioè sempre più vasti]. Tutti i tipi
degli invertebrati compaiono in breve tempo nel Cambriano, senza tracce di ascendenti
in strati precedenti" (art. cit. del 6 luglio). Per il paleontologo R. Fondi la "brusca e
improvvisa comparsa" di gruppi "complessi ed eterogenei", "bruscamente seguita" da
gruppi "via via sempre meno complessi ed eterogenei" (capovolgimento dell'ordine di
comparsa), la mancanza di rispettivi "antenati comuni" dei suddetti gruppi e di "forme
intermedie di passaggio tra essi", provano che "la concezione evoluzionista della vita va
considerata come scientificamente fallita" (art. cit. del 22 luglio). Ricorderò, tra gli
spettacolari capovolgimenti delle presunte successioni evolutive il caso degli Elefanti
che si sogliano far risalire ad antenati, con proboscide appena iniziata, piccoli come
Tapiri. In Sicilia si è invece recentemente scoperta una successione fossile inversa,
prima di una specie gigante, poi di una specie piccola di meno di due metri e poi di una
piccolissima di nemmeno 90 cm., con numerosissimi esemplari.
Lo stesso deve dirsi per il preteso filone evolutivo dell'uomo. A tale riguardo le scoperte
fossili si succedono così frequentemente che non esiste in materia un testo che possa
dirsi aggiornato: ma comunque esse infirmano, anziché confermare, le antecedenti
prospettive evoluzioniste. Dopo la scoperta (1856) della razza arcaica certamente umana
di Neanderthal i reperti di tali individui fossili si sono moltiplicati; poi altri reperti hanno
fatto recedere di varie centinaia di migliaia di anni l'esistenza di veri uomini, più
rassomiglianti agli attuali dei Neanderteliani, come quelli di Swanscombe (1935) e di
Fontechévade (1947). Dall'origine asiatica dell'uomo (di cui si era creduto di trovare la
prova prima nel Pitecantropo e poi nel Sinantropo, dei quali vedemmo la inconsistenza)
si è passati all'origine africana, dove si è creduto di trovare finalmente i veri
"Antropoidi", precursori dell'uomo. Ma dopo la scoperta della scimmia antropomorfa
Australopiteco, nell'Africa australe (R. Dart 1924), di oltre 1 milione di anni, capacità
cranica 500 cmc., si sono trovati reperti sempre più antichi, fino a quelli della Gola di
Ulduwai (Louis Leakey, 1903-1972) in Tanzania: il Zinjanthropus (1959), di quasi 2
milioni di anni e quasi 600 cmc. e il contemporaneo e rassomigliante Homo habilis
(1964). Poi si sono avuti i rinvenimenti clamorosi del lago Rodolfo (Richard Leakey),
nel Kenya: l'Uomo del lago Rodolfo (1972) di circa 3 milioni di anni, 880 cmc; e
ulteriori rinvenimenti si annunciano.
A parte le incertezze di queste forme e misure di crani, ricostruiti spesso con troppo
incompleti e minuti frammenti, e a parte la problematica attribuzione di caratteri umani a
queste misteriose creature, resta capovolta la presunta progressività evolutiva della
capacità cranica, che risulterebbe invece accresciuta col retrocedere degli anni. E la
dipendenza evolutiva dalle scimmie antropomorfe è infirmata.
Gli insignificanti anelli di congiunzione
Se la generazione evolutiva dei viventi è vera, la sua progressività deve essere
indubbiamente caratterizzata (a parte le forme di transizione incomplete e imperfette che
ora non considero e di cui comunque non si hanno tracce) da specie intermedie, quali
"anelli di congiunzione". Essi sono perciò sempre appassionatamente ricercati dagli
evoluzionisti. Ma la paleontologia è invece quanto mai avara di tali forme intermedie.
Bisogna tuttavia riflettere che, anche se abbondassero, positivamente non proverebbero
niente. Una forma intermedia infatti o sarebbe tanto vicina alla precedente da rientrare
nelle sue "varietà" (che non mutano specie) e rientrerebbe in quella, o costituirebbe
un'altra specie e si ripresenterebbe interamente, per la sua comparsa, la doppia
prospettiva o creazionista o evoluzionista. Chi nega che una pietra possa
spontaneamente saltare un gradino di un metro deve negare anche che possa saltarne
molti, intermedi, di pochi centimetri. Chi vede nella mirabile scala dei viventi l'opera del
Creatore, non la vedrà che più arricchita da tali specie intermedie.
***
Un esempio molto istruttivo è dato dalla scoperta del più antico genere di uccelli fossili,
l'Archaeopteryx (da archaios) antico e ptéryx, ala), trovato nel 1861 nel calcare
litografico di Solenhofen in Baviera. La finissima grana di questo calcare ha permesso di
conservare preziosi particolari strutturali. Un altro esemplare fu trovato nel 1877. Lo
strato geologico è del Giurassico superiore, sicché risale a circa 120 milioni di anni.
Grande come un piccione, aveva una lunga coda e due grandi ali l'una e le altre
largamente pennute, una testa con molti denti e spiccate affinità scheletriche con i rettili
per riguardo al cranio e alla colonna vertebrale. Viene perciò comunemente presentato
come "evidente prova" di derivazione dai rettili e conseguentemente come "prova
decisiva" a favore dell'evoluzione.
Ma è una affermazione arbitraria che nasce dal gratuito presupposto che quando una
certa forma vivente possiede alcune caratteristiche di un'altra precedente deve averle
derivate da quella.
In realtà da questo ritrovamento si può dedurre solo l'esistenza, in quei tempi, di questo
speciale ordine di uccelli (chiamati Saururi) che univano, insieme alle caratteristiche
nettissime di uccello, alcune caratteristiche di rettile. Si chiamino pure, se si vuole,
forme di transizione, ma non di derivazione; né si ritengano incomplete e imperfette.
Una tale combinazione di disparate caratteristiche rientra nella grandiosa varietà, talora
bizzarra, delle forme viventi.
Che dire, per esempio (passando a tutt'altra classe animale) di quell'unico strano
mammifero volante che è il Pipistrello, diffusissimo (se ne contano oltre 1000 specie),
mezzo topo e mezzo uccello (a volerlo chiamare così, benché mammifero, per il volo)?
Né si tratta di una forma male strutturata, rudimentale, transitoria. E' invece
perfezionatissima e magnificamente dotata per il suo modo di vita. Si è perfino scoperto
che, per evitare gli ostacoli nel suo notturno volo saltellante (dovuto alle ali
membranacee e particolarmente idoneo per catturare gli insetti), emette degli ultrasuoni
di cui percepisce l'eco, riflesso da quei corpi: un radar acustico. Un capolavoro! E' forse
"derivato" dal topo? O, viceversa?
I "fossili viventi" smentiscono l'evoluzionismo
Si chiamano "fossili viventi" le specie attualmente viventi, conservatesi uguali alle
antichissime loro forme fossili, che erano coeve di altre forme fossili da tempo estinte.
Non si tratta di pochi casi, spiegabili come eccezioni dovute a circostanze ambientali
forse specialissime.
Sono troppi.
L'evoluzionismo spontaneo non ammette specie fisse, cioè non soggette a evoluzione,
eccetto quelle fossili scomparse, che costituiscano le forme ultime di rami evolutivi
essiccatisi. Le altre specie scomparse vengono considerate come poste nella linea o alla
radice di altre specie progredite, alcune delle quali giunte alle forme attuali. Le attuali,
d'altra parte, apparirebbero fisse soltanto per il breve periodo di tempo della nostra
osservazione.
In via generale pertanto - si badi bene - di nessuna specie è stato osservato
sperimentalmente il comportamento lungo centinaia di milioni di anni, durante i quali
sarebbe avvenuto il presunto passaggio evolutivo ad altra specie. Dagli evoluzionisti tale
passaggio è stato postulato soltanto in base al confronto di specie estinte con altre estinte
successive e con le attuali.
Le uniche specie sperimentalmente controllabili nel loro comportamento, lungo tali
lunghissimi tempi geologici, sono questi cosiddetti "fossili viventi", di cui possiamo
analizzare e direttamente confrontare, sia le vestigia fossili sia gli attuali esemplari
viventi.
Ora questi esemplari si dimostrano, in modo impressionante, uguali alle loro vestigia
fossili, in drastica contraddizione al postulato evoluzionista.
Qualche suggestivo esempio. La Lingula, molluscoide bivalve, appartenente ai
brachiopodi "ecardini" (cioè con valve senza cardine), con adeguatissima struttura
interna, diffusissimo nelle numerose specie viventi (160), si riallaccia immutata nelle
migliaia di specie fossili, antiche fino a 500 milioni di anni. Il genere Limus,
apparentemente crostaceo, ma meglio considerato come aracnide, anch'esso vivente in
varie specie in tutto il mondo a diverse profondità marine (di struttura così bene
organizzata che a1cuni evoluzionisti lo pongono all'origine delle primitive forme di
vertebrati), è uguale ai fossili di 200 milioni di anni. Gli Scorpioni si sono conservati
così per centinaia di milioni di anni. Lo scrigno prezioso di un blocco di ambra ci ha
perfino conservato un Ragno con le sue fini strutture e una Cicala come le attuali, che
risalgono a 30 milioni di anni. Nei depositi calcareo marmosi di Bolca (monti Lessini,
Verona) che hanno 50 milioni di anni si seguitano a scoprire magnifici pesci fossili, con
finissimi particolari, uguali a quelli che si ritrovano oggi nelle acque tropicali. m piccolo
marsupiale Opossum della Virginia ricorda strettamente i corrispondenti fossili del
cretaceo superiore, che risalgono a 100 milioni di anni.
E ogni tanto si fanno nuove scoperte e si hanno nuove sorprese. Nel 1830 fu trovato in
un isolotto della N. Zelanda il vivente lucertolone (60 cm.), col muso a becco, Tuatara
(nome neozelandese della Hatteria - o Sphenodon - punctata) che si riallaccia a simili
rettili di 200 milioni di anni e che si riteneva estinto da circa 100 milioni. Nel 1914 si è
scoperto che il Varano gigante (può superare i 4 metri), che richiama i fossili Sauri di
200 milioni di anni, vive ancora in un'isola della Sonda.
Forse la sorpresa più clamorosa, che fu definita "una delle più grandi scoperte
zoologiche del nostro secolo" avvenne h vigilia di Natale del 1938, quando si ebbe la
prova della sopravvivenza dei pesci Celacantidi (il nome viene da koilos, cavo, akantha,
spina: perché hanno delle spine cave), vissuti per due o trecento milioni di anni nell'era
paleozoica e che si ritenevano estinti nel periodo cretaceo da oltre 70 milioni di anni:
lunghezza circa un metro e mezzo, coda che sembra piuttosto un prolungamento del
corpo, pinne articolate al corpo con peduncoli che sembrano abbozzi di veri e propri arti,
addome con una specie di grande polmone degenerato che sembra indicarne una
tendenza anfibia. Era ritenuto una tappa evolutiva verso i rettili, gli uccelli, i mammiferi.
Ma quel giorno, alla foce del piccolo fiume sudafricano Chalumna, ne fu pescato uno
che fu sistemato per la conservazione e analizzato dalla dottoressa Courtenay-Latimer,
dal nome della quale, insieme a quello del luogo fu coniato il nome di questa specie:
Latimeria-Chalumnae. La conservazione di quel pesce e l'analisi non riuscirono molto
soddisfacenti. Ma nel 1925 ne fu pescato un altro esemplare (di specie quasi identica)
presso le isole Comore e nei tre anni successivi altri dieci, studiati a fondo. Quei
Celacantidi in tutto questo lunghissimo periodo, evoluzionisticamente più che sufficiente
a determinare la trasformazione progressiva della specie, sono restati tali e quali.
EMBRIOLOGIA
Legge biogenetica fondamentale
Haeckel presentò questa legge come prova fondamentale dell'evoluzione e per renderla
più persuasiva si permise perfino di falsificare schemi e fotografie. Già lo vedemmo.
Secondo tale legge ['evoluzione embrionale dal semplice al complesso di un soggetto
("ontogenesi") ricapitolerebbe l'evoluzione progressiva delle specie ("filogenesi"). In
particolare, gli stadi successivi dell'embrione umano si rassomigliano ai gradi successivi
delle specie inferiori animali. Per esempio, in esso compaiono prestissimo delle forme di
branchie proprie dei pesci, il che avviene ugualmente negli embrioni di tutti i vertebrati.
Ciò "dimostra" - seguitano a ripetere anche oggi gli evoluzionisti - una comune origine
acquatica dell'uomo e di tutti i vertebrati.
Ma non si tratta che di un equivoco. Va ben sottolineato, innanzi tutto, che quelle prime
fasi embrionali umane non rassomigliano affatto ad animali maturi di specie inferiore,
ma solo ai loro embrioni; e la rassomiglianza diviene sempre minore via via che
l'embrione si sviluppa e si attualizzano le strutture specifiche dell'individuo. Ora è chiaro
che tali specifiche strutture non possono attuarsi di colpo e le elaborazioni iniziali quasi
amorfe non possono non rassomigliarsi. Esse partono anzi dalla totale identità esteriore
di ogni cellula uovo fecondata. Ma in questa sono precontenute virtualmente le strutture
delle rispettive specie che si attualizzeranno progressivamente fino ai rispettivi individui
maturi: e ciò - come oggi si è scoperto - secondo la perfetta programmazione
determinata dalle specifiche strutture microscopiche dei cromosomi del nucleo cellulare.
Rientra, d'altra parte, in un mirabile criterio di razionalità costruttiva l'unità, ossia il
modello comune dei primi stadi embrionali, plurivalenti per le future specificazioni
strutturali (per esempio, come già ricordai, per 24.000 specie di uccelli e pesci teleostei
si hanno due soli tipi fondamentali di organizzazione embrionale). Ne risulta sottolineato
anziché un processo evolutivo dovuto al caso, il lungimirante piano costruttivo del
sommo Artefice.
Il fatto particolarmente vistoso di quelle formazioni di aspetto branchiale (archi, tasche
e solchi divisori branchiali) che compaiono nelle pareti laterali della estremità superiore
(cefalica) dell'embrione umano, nelle prime fasi in cui ha pochi millimetri di lunghezza,
ne è una conferma emblematica. A differenza dei pesci, quei solchi non si perforeranno
mai per la formazione di vere branchie respiratorie. Tali formazioni embrionali umane
invece, così opportunamente distinte, si svilupperanno (a parte qualche residuo
secondario che, utile per le momentanee giustaposizioni, poi regredirà) in precisi e
preordinati organi del feto e dell'individuo maturo: il primo arco darà origine alla
mandibola e al corpo della lingua, il primo solco esterno al condotto uditivo esterno, la
prima tasca al timpano e alla tromba di Eustachio, ecc.
Nessun richiamo dunque ad antenati acquatici, ma alla grandiosa unità plurivalente dei
piano costruttivo ddl'unico sommo Artefice.
GENETICA
Identità strutturale e funzionale dei viventi
La microscopica cellula, intravista già nel sughero, nel XVII s. (R. Hooke, M.
Malpighi) e poi scoperta quale componente elementare di ogni struttura vivente animale
e vegetale (J. Scheiden, Th. Schwann, 1838, 1839), già svelò una fondamentale unità dei
viventi.
Questa unità è stata poi immensamente esaltata dalle ultime sensazionali scoperte circa
l'intima struttura e funzione delle cellule stesse e del loro nucleo. Ogni individuo maturo
risulta dalla moltiplicazione a miliardi e miliardi di una prima cellula (negli esseri
sessuati è la "cellula germinale", fecondata). Nell'uomo, tra cellule mobili (la
maggioranza, globuli rossi del sangue) e fisse sono circa 30.000 miliardi. Tale
moltiplicazione deve avvenire in modo controllato e differenziato per poter produrre le
diverse sostanze e i diversi organi degli individui delle singole specie. Per tale controllo
e guida servono diverse frazioni (ciascuna chiamata gene) di lunghe, doppie catene
molecolari attorcigliate (acido desossiribonudeico: DNA) costituenti i cromosomi
(lunghezza di questi: qualche millesimo di millimetro, larghezza: qualche decimo della
lunghezza), situati nel nucleo della cellula. Ogni specie ha in ogni cellula un proprio
numero fisso di cromosomi (46 per l'uomo) e di geni diversamente disposti nei
cromosomi stessi (60.000 per l'uomo), che costituiscono la base fisico chimica della
trasmissione ereditaria dei caratteri specifici ddl'individuo.
Gli evoluzionisti che già come vedemmo si appellano alle rassomiglianze strutturali
delle specie viventi e, tanto più, alle rassomiglianze embrionali, si appellano ora, in
modo da molti considerato definitivo, a questa unificazione strutturale genetica, che
svelerebbe la unica comune origine.
Ma confondono, al solito, la comune origine creativa dall'Artefice sommo, con la cieca
generazione evolutiva da un primo grumo vivente.
In realtà questa unità strutturale genetica di base, ben più vasta di quella suddetta
embrionale (perché il modello dei cromosomi si estende a tutti i viventi e scende fino
alla radice della vita) non fa che esaltare il meraviglioso piano unitario costruttivo di
tutto il mondo vivente: tanto più meraviglioso in quanto non solo mantiene, ma fissa
maggiormente le diversità specifiche e la loro trasmissione ereditaria. Ciò precisamente
in quanto tali diversità risultano Pteordinate in una tanto intima struttura: tanto intima,
da essere radicalmente difesa contro i deformanti influssi esterni.
Risulta quindi tanto meno ipotizzabile lo spontaneo passaggio da una specie all'altra.
D'altra parte - a riflettere in grande sintesi ­ come avrebbe potuto un ipotetico unico
processo cieco evolutivo produrre contemporaneamente e contraddittoriamente sia
questa radicazione intima, fissativa delle specie, sia il passaggio dall'una all'altra? (Più
concretamente vedremo inseguito quanto sia insignificante il rifugio nelle "mutazioni" e
nella "selezione".)
Variazioni sperimentali
Naturalmente questa fissità della specie non va intesa in modo rigido, perché una
caratteristica della vita è la sua elasticità di adattamento. Ma le variazioni secondarie
non mutano la specie. Non muta per esempio la specie umana per il fatto che la statura
media è aumentata in un secolo di 10 cm. e seguita a crescere.
Si è anche riusciti sperimentalmente ad operare intrinsecamente in qualche vivente
modificandone l'assetto genico-cromosomico così da produrre nuovi caratteri ereditari:
Ma sono state modificazioni di portata secondaria: e comunque gli artificiosi e geniali
sforzi fatti per ottenerle ("ingegneria genetica") confermano la naturale resistenza ai
cambiamenti stessi.
Bene a ragione il già citato Jean Rostand ha potuto affermare che, con le nuove scoperte
"la natura vivente apparisce ancora più stabile, più fissa, più ribelle alle trasformazioni".
I PRESUNTI FATTORI EVOLUTIVI
"Adattamento", "bisogno", "esercizio".
Finora abbiamo considerato le presunte prove del fatto dell'evoluzione: prove risultate
non valide. Passiamo ora a considerare il meccanismo che l'avrebbe prodotto, cioè i
fattori che vengono presentati come idonei a produrre l'evoluzione stessa.
E' chiaro che se questi fattori risulteranno illusori ne risulterà confermata la non
esistenza del fatto.
Tutto ciò antecedentemente alle prove positive contro l'evoluzione, che vedremo nei
successivi capitoli.
***
La vecchia e fondamentale tesi lamarckiana delle modificazioni per l'adattamento
all'ambiente, per il bisogno che crea e l'esercizio che sviluppa l'organo adatto, è
scientificamente abbandonata. Il recente tentativo del biologo russo Lysenko di
riesumarla in qualche modo è fallito miseramente, come vedemmo. A semplice lume di
logica del resto e in sintesi (a prescindere dalle possibili, limitate variazioni che
rientrano nell'elasticità della vita e possono magari dipendere da semplice variata attività
degli ormoni) si intuisce che un ambiente favorevole può non cambiare, ma consolidare
una specie come è e uno troppo sfavorevole estinguerla. E, quanto agli organi, se manca
o è inadeguato qualcuno necessario la specie morirà, mentre l'esercizio di quelli esistenti
E consoliderà lasciandoli sostanzialmente quali sono. Sta inoltre il fatto che queste
ipotetiche modificazioni avverrebbero lentamente e gradatamente. Prima quindi che un
nuovo assetto e un nuovo organo avessero la maturità sufficiente per divenire
funzionanti la specie che ne avesse avuto bisogno si sarebbe estinta.
Non è mancato, a pretesa prova dell'azione trasformatrice dell'ambiente, il richiamo di
certi studiosi al fenomeno del mimetismo di molte specie animali. Esso dimostra invece,
al contrario, non la dipendenza dall'ambiente, ma il dominio sull'ambiente di specie
animali antecedentemente e in modo fisso arricchite, a propria utilità, di meravigliose
strutture. Il cambiamento di colore, per esempio, è dovuto ad appositi cromatofori
(cellule contenenti pigmenti, che esse possono emettere, contraendosi) regolati dalle
impressioni visive, sollecitate periodicamente dall'ambiente, secondo le stagioni. O si
pensi a certi insetti con artificiosissime forme, di foglie, ecc., preordinate, in modo fisso,
per confonderli perfettamente, per propria difesa, con gli oggetti circostanti.
Ma l'argomento scientifico decisivo contro tali ipotetici fattori evolutivi è che i caratteri
"acquisiti" mediante la lotta vitale contro l'ambiente e mediante l'esercizio degli organi
non passano nel patrimonio "ereditario". Questo prosegue ad essere identicamente
determinato dall'intima struttura dei cromosomi (come innumerevoli esperienze moderne
hanno confermato). E ciò perfino nei più inaspettati aspetti secondari. Nelle aree di
appoggio del piede umano, per esempio, si notano spessori maggiori della cute. Ciò non
deriva dalla pratica del camminare, ma dall'esigenza del camminare, già prevista in
quelle intime strutture germinali, tanto è vero che il fenomeno si riscontra fin dallo
sviluppo embrionale e fetale (né si può pensare che tali strutture cromosomiche siano
state modificate, a tal fine, dal camminare del genitore).
Eppure su seri libri di divulgazione si legge ancora la piacevolezza che la giraffa ha
allungato il collo per il bisogno di brucare le foglie degli alberi cresciuti. In un libro, che
andò a ruba, dello zoologo D. Morris (La scimmia nuda, trad. Bompiani, 1968), viene
esposta con serietà l'ipotesi che l'uomo abbia perduto il pelo delle scimmie per il bisogno
di eliminate i fastidi dei parassiti. Nel mensile Il Corriere UNESCO. (agosto-settembre
1972) si riattribuisce tranquillamente, contro i certi dati della scienza,ereditabilità ai
comportamenti "acquisiti" e potere evolutivo al "bisogno". Vi si leggono queste
ingenuità: "'La tendenza alla stazione eretta ha potuto essere favorita dall'abitudine di
portare il cibo nelle braccia fino ad un luogo dove mangiare tranquillamente o forse
dalla necessità di portare in braccio i bambini, o forse anche dal bisogno di alzarsi per
guardare al di sopra delle erbe o dall'astuzia di non offrire con la schiena orizzontale una
base d'appoggio all'assalto delle belve" (p. 10).
"Mutazione" e "Selezione"
Escluse le suddette prospettive lamarckiane, i due fondamentali fattori evolutivi
presentati dall'evoluzionismo scientifico moderno sono le "mutazioni" casuali e la
"selezione" che le coadiuva.
I costituenti essenziali dei corpi viventi (della loro massa plastica: non dei composti
energetici, quali i carboidrati e gli acidi grassi) sono le proteine, che hanno una struttura
molecolare estremamente complessa. Le loro molecole sono formate da lunghe sequenze
dei 20 tipi esistenti di amminoacidi (composti di gruppi carbossilici: -COOH e
amminici: -NH2). Si ritiene oggi (F.H.C. Crick, n. 1916) che ogni tipo di proteina sia
codificato cioè regolato da un gene o più geni, ossia segmenti dell'acido nucleico
(DNA), costitutivo dei cromosomi dei nuclei delle cellule. Ogni cambiamento (casuale o
indotto da agenti modificatori, come radiazioni, ecc.) o di interi cromosomi o di qualche
gene modifica le corrispondenti strutture proteiche. Quando questo avviene nelle cellule
germinali, tale modificazione diviene ereditaria, costituendo appunto una "mutazione".
In genere sono modificazioni dannose. Ma qualcuna può essere utile e capace quindi di
far prevalere - in opportuno ambiente - gli individui che l'hanno subita sugli altri, così da
estendersi, per progressiva selezione a tutta la popolazione. Anche se sono mutazioni
piccole, l'accumularsi di quelle utili può condurre a un progressivo arricchimento e
quindi a specie superiori. Questa è la spiegazione moderna dell'evoluzionismo
spontaneo, secondo i più grandi luminari della scienza.
Ed è una grande ingenuità. Intanto, artificiosa e gratuita è la supposizione che le rare
mutazioni utili possano prevalere su quelle generalmente dannose. Inoltre il tempo
perché capitino casualmente tali presunte utili combinazioni e mutazioni necessarie per
l'essenziale svolgimento evolutivo, risulterebbe, in base al calcolo delle probabilità secondo ottimi studiosi - superiore all'età stessa dell'universo: sarebbe quindi mancato il
tempo necessario.
Ma, anche a prescindere da queste forti obiezioni tale spiegazione evoluzionista è
distrutta dai seguenti due semplicissimi rilievi (restando sul piano puramente materiale).
Primo. L'individuo di ogni specie non è una pura massa amorfa di materia vivente, né
un confuso mucchio di materiali organici qualitativamente e quantitativamente diversi,
ma un corpo morfologicamente bene ordinato e specificamente bene, intelligentemente,
organizzato, con un complesso di organi di idonea materia forma e posizione. Una capra
- è una battuta di G. Goglia - non ha la forma di un uomo. Ma le sperimentate colleganze
di ogni gene con le proteine da esso codificate riguardano solo la qualità e quantità,
prescindendo dal fattore morfologico. Verranno dunque prodotti i diversi materiali da
costruzione, ma la costruzione, no: né la costruzione di una specie, né, evolutivamente,
di una nuova. E ciò qualunque siano le supposte utili "mutazioni". Si è perciò
ulteriormente ipotizzato (Britten, Kohne, Goglia) un controllo regolatore "sopragenico"
che sarebbe compiuto da una speciale e cospicua parte del DNA. Ma siamo sempre lì.
Strutture e attività ancora puramente atomico-molecolari e fisico­chimiche sono al di
fuori del problema propriamente morfologico. Si può ancor più evidenziare tale
inadeguatezza riflettendo al fattore estetico. Le forme viventi hanno una loro simmetria,
armonia, bellezza, solo intellettualmente valutabili. Esse non hanno alcun senso per le
pure attività fisico chimiche. Queste sole non avrebbero mai prodotto un bel volto
umano o la splendida livrea di un Uccello del paradiso.
Secondo. Anche però se i geni dei cromosomi, contro quanto ora ho detto, esercitassero
una guida morfologica, le presunte casuali "mutazioni" utili non potrebbero essere
avvalorate dalla selezione e rimarrebbero insignificanti per l'evoluzione. Le mutate
strutture infatti, per essere funzionali e va1lorizzabili selettivamente, dovrebbero
riguardare solidariamente non una sola parte, ma tutta l'impostazione anatomica e
fisiologica dell'individuo (tutta l'impostazione dello scheletro, per esempio, per il
passaggio al volo degli uccelli). Si dovrebbero avere quindi "mutazioni" utili
contemporanee, multiple e sapientemente guidate, proprio contro la tesi evoluzionista,
secondo cui non possono essere che rare e casuali. E, comunque, sia il nuovo
trasformato complesso, sia i singoli nuovi organi, prima della piena mutazione, non
sarebbero funzionali (con una quasi branchia non si vive neanche un poco sott'acqua,
con una quasi ala non si vola), non potrebbero essere sviluppati dall'uso ancora
impossibile e non recherebbero alcun vantaggio agli individui che li posseggono (e anzi
li danneggerebbero, per le ibride funzioni intermedie di certi organi), rendendo
evolutivamente inoperante la selezione.
Questa dunque non potrebbe che consolidare le specie già funzionanti.
IMPOSSIBILITA' DELL'EVOLUZIONE SPONTANEA
Impossibilità radicale generale
Quanto dunque al fatto della evoluzione, cioè se essa sia veramente avvenuta, abbiamo
visto che le prove addotte sono inconsistenti ed anzi i dati di osservazione suggeriscono
il contrario. Quanto poi al meccanismo, cioè ai fattori naturali che l'avrebbero
determinata, ne abbiamo pure visto la inefficacia. Ma sono stati, in fondo, argomenti
negativi.
Vogliamo ora fare un passo avanti e vedere se vi sono argomenti positivi e veramente
decisivi contro di essa.
Per ottenere una più radicale confutazione, conviene iniziare l'analisi partendo
dall'ipotesi più favorevole all'evoluzionismo. Partiamo cioè dalla concezione del mondo
materiale puramente meccanicista, un mondo la cui costituzione di base si risolva tutta
in pure combinazioni di particelle e dinamismi energetici. In tale ipotesi, tutti i corpi,
viventi o no, vengono livellati a questa loro comune costituzione di base, il che rende
meno ardua la presunta trasformazione evolutiva dall'uno all'altro. E' questa, del resto, la
concezione cosmica comunemente seguita dalla scienza evoluzionista (e, in prima linea,
inutile dirlo, da quella atea, che si illude, in tal modo, di escludere e gli interventi e la
esistenza stessa del Creatore: il premio Nobel F. Crick ha opposto esplicitamente il suo
evoluzionismo meccanicista al cristianesimo, in Uomini e molecole, 1970).
In tale quadro dunque, il risultato meccanicistico del puro gioco del caso avrebbe
determinato tutta l'evoluzione spontanea, dall'auto organizzarsi del primo nucleo di
materia vivente fino all'uomo. (Siamo, in fondo, alla concezione base di Democrito, VIV s. av. Cr.: tutto ridotto ad atomi materiali.)
***
Ma scatta subito la prima radicale confutazione generale.
Nessuno certamente ritiene che da uno scatenamento, a caso, di reazioni fisicochimiche, tra una moltitudine di atomi, possa istantaneamente sgorgare la
complicatissima e perfetta struttura di un vivente corpo umano (sia pure interpretato
anch'esso, nel suddetto modo meccanicistico, come un puro complesso di atomi e
corpuscoli in interazione fisico-chimica). Anche ripetendo l'esperienza un numero
quanto si vuole di volte, tale risultato istantaneo apparisce sempre tanto improbabile da
rientrare praticamente nella probabilità nulla, ossia nella impossibilità (a parte che, chi
ha cercato di applicare il calcolo matematico delle probabilità, ha trovato che, per
l'attuarsi, a caso, non di un corpo umano, ma anche di una sola primordiale entità
vivente, occorrerebbe un tal numero di prove rapidissime da superare il tempo di
esistenza dell'universo).
Gli evoluzionisti però - questo è il punto - ritengono che tale impossibilità scompaia, se
dall'istantaneità si passi alla lenta evoluzione, con tante piccole mutazioni casuali
fortunate, avvalorate dalla selezione. Ora ecco l'equivoco. L'illusione sta nel considerare
isolatamente i singoli eventi casuali utili e i corrispondenti piccoli progressi evolutivi,
ognuno dei quali non sarebbe impossibile. In realtà, il risultato evolutivo finale (questo
corpo umano, per esempio) è e va visto invece quale effetto di tutto il complessivo gioco
fisico­chimico, distribuito in tempi lunghi quanto si vuole. Resta pertanto integra
l'impossibilità - come per l'effetto istantaneo - che un tale cieco processo produca la
struttura meravigliosamente ordinata dell'attuale vivente. Il lunghissimo tempo operativo
- al confronto con l'impossibile istantaneità - non elimina infatti la radicale sproporzione
tra la complessiva causa cieca e il mirabile effetto: anzi l'accresce, presupponendo una
assurda capacità del puro caso di mantenere, per così lungo tempo, la medesima linea
costruttiva e di neutralizzare gli eventi contrari (mutazioni dannose, che sono la
stragrande maggioranza). L'impossibilità che una pietra possa saltare in un istante su un
gradino di un metro non si elimina immaginando che vi possa saltare, durante un
lunghissimo tempo, salendo un solo millimetro alla volta. L'impossibilità che gettando,
di un sol colpo, su una tela un mucchio di pennelli si ottenga la trasfigurazione di
Raffaello, non si elimina supponendo che, durante un lunghissimo tempo, vi si getti, a
caso, un pennello alla volta: anzi si accresce, non potendo il cieco caso mantenersi in
armonia col medesimo piano artistico in modo da evitare così a lungo che pennellate
dannose distruggano quelle utili.
***
Ancor più intrinsecamente, si rifletta all'equivoco fondamentale di equiparare, per
l'eventuale produzione casuale, la strutturazione mirabilmente ordinata del corpo vivente
ad una qualsiasi altra combinazione prestabilita di particelle, aggiungendo vi solo la
maggiore complessità dei legami da introdurre nel calcolo delle probabilità. Certo, anche
con tale equiparazione la probabilità risulta praticamente nulla (e mancherebbe anche,
come ho già detto, il tempo cosmico per moltiplicare le prove). Ma l'equiparazione è
falsa. Nel caso del vivente infatti non si ha soltanto un qualunque maggior grado di
complessità dei legami, ma un mirabile ordine, un intelligente piano costruttivo, il quale
non è traducibile in puri termini di calcolo matematico di probabilità e di necessario
numero di prove. Alla probabilità, già praticamente nulla, del cieco prodursi di una
combinazione così determinata e complessa, si aggiunge dunque l'impossibilità assoluta
che da una attività cieca sgorghi una strutturazione così intelligente. Questa postula
necessariamente un Artefice - o immediato o agente su tutto il meccanismo produttore adeguatamente intelligente. (Così del prodursi, per caso, di una combinazione,
comunque confusamente vincolata, per esempio, di tutte le lettere sciolte della Divina
Commedia, si può teoricamente calcolare la sia pur minima probabilità, inserendo nel
calcolo il numero e la complessità dei rispettivi vincoli: ma essenzialmente diversa è la
valutazione della combinazione delle stesse lettere, ordinate come sono nel Poema. In
esso le lettere si combinano con vincoli intelligenti che trascendono, come tali, ogni
valutazione matematica e appellano necessariamente a una proporzionata causa
intelligente.)
Questa impossibilità radicale dell'ipotesi evoluzionista, che abbiamo visto nel quadro
generale di partenza puramente meccanicista, risulterà tanto più evidenziata passando
ora a considerare particolarmente i fondamentali gradini della vita. per i quali la pura
concezione meccanicista risulterà insostenibile.
Impossibile sprigionarsi spontaneo della vita.
La logica evoluzionista non può fermarsi al problema dell'antenato dell'uomo e
nemmeno alla trasformazione dell'una nell'altra specie, a partire dai protozoi e dal primo
grumo vivente. Non si capirebbe infatti perché la linea evolutiva dei viventi debba avere
la sua radice in un primo grumo vivente e non debba risalire, all'indietro, alla stessa
materia inanimata. Questa dovrebbe essere riuscita dunque a superare spontaneamente
anche il primo gradino della vita.
Non è più il problema della generazione spontanea attuale degli insetti o degli infusori o
dei batteri, già risolto negativamente, sul piano sperimentale, dal Redi, dallo Spallanzani
e dal Pasteur. Qui si tratta del primo antichissimo passaggio di qualche grumo di materia
dallo stato inanimato allo stato vivente, passaggio che avrebbe innescato tutto il
successivo processo evolutivo. La necessità della soluzione evoluzionista per chi parte
dal preconcetto della esclusione di ogni intervento estrinseco implica l'affermazione
assoluta di tale spontaneo passaggio, nonostante l'assenza di qualsiasi conferma
sperimentale.
Implica cioè la riduzione del fenomeno della vita al puro piano fisico-chimico, con
esclusione di ogni superiore concezione "vitalista" e di ogni intervento del Creatore. Tale
intervento viene considerato, a priori, una "assurdità". Lo si osa perfino collegare, con
sorprendente preconcetto antireligioso, ad una "vecchia cultura, basata, in origine, su val
uri cristiani che stanno morendo"; e, quanto al "vitalismo", che non riduce la vita a puro
fenomeno di organizzazione molecolare della materia, si esprime meraviglia che "vi
siano ancora persone ,intelligenti" che lo seguono (F. Crick, Uomini e molecole).
Desta in tutti indubbiamente stupore che la materia vivente abbia come componenti
essenziali e sappia produrre nei microscopici laboratori chimici delle cellule, le
sostanze organiche chiamate proteine (dal gr. protos, primo). Le loro molecole, costituite
da vario numero e successione di "amminoacidi", sono enormemente complesse e non si
riesce a produrle artificialmente (salvo qualche limitato successo, come quelli del Miller,
1951, che, partendo dai presumibili gas iniziali della terra, idrogeno, metano,
ammoniaca, vapore acqueo, ottenne, mediante potenti scariche elettriche, vari
amminoaddi).
Quando però recentemente si è scoperto lo speciale meccanismo di tale laboratorio
chimico cellulare (che cioè le lunghe catene molecolari delle proteine sono codificate,
ossia regolate dai geni dei cromosomi dei nuclei delle cellule, formati dall'acido nucleico
DNA) si è creduto di avere spiegato, in termini puramente chimici, il segreto della vita
(Crick, Monod). E, quanto al primo prodursi di tale meccanismo, lo si è attribuito ad una
aggregazione, sempre più complessa, di atomi e molecole, in ambienti primitivi
energeticamente idonei, fino allo sgorgare di tali adeguate strutture per puro gioco di
probabilità, cioè per puro caso.
A parte che contro tale gioco di probabilità e tale produzione per caso, si oppone la
matematica (perché - come ho già ripetuto - dal calcolo delle probabilità deriverebbe la
necessità di un tempo di prove superiore alla età stessa della terra, come notò lo stesso J.
B. S. Haldane, genetista pioniere di questa tesi), questa pretesa riduzione della vita al
puro piano fisico-chimico e a quel meccanismo del DNA costituisce. per ben più
intrinseci motivi, uno dei più clamorosi equivoci. moderni della scienza.
La scoperta infatti di quel potere codificatore, cioè regolatore dei geni, anziché svelare,
accresce il segreto intimo della vita, rendendo più fitto il mistero di come possano queste
particelle (con gli enzimi sollecitati e sollecitanti, ecc.) determinare gli spettacolari effetti
di produzione di materia vivente non amorfa, ma mirabilmente organizzata. Perché si
formerà nell'uomo il meraviglioso meccanismo della sua mano, tanto diversa da quella
pur analoga della scimmia, con quella preziosa triplice capacità di presa, a pugno, a
tanaglia (per l’opposizione del pollice) e a uncino e con tanta forza e tanta sensibilità?
Perché nelle zone di appoggio del piede già si troverà nel neonato maggiore spessore
della cute? Perché la formazione, ben più meravigliosa, dell'occhio? Perché la
strabiliante organizzazione centrale del cervello? ecc. Chi ha scoperto i pulsanti di un
complicatissimo meccanismo non ha spiegato per niente la sua interna struttura.
***
Nel vivente ci deve essere un segreto intrinseco, un principio vitale che va al di là delle
sue strutture fisico chimiche.
E' chiaro che nel vivente materiale non possono non aversi reazioni e bilanci energetici
sul puro piano sperimentale fisico-chimico. Ed è pure chiaro che un suo eventuale
superiore principio animatore non può risultare da dirette esperienze fisico-chimiche
(modificazione dei bilanci energetici, ecc.), precisamente in quanto trascende tale piano.
Ma, di fatto, la sua esistenza, quale principio unificatore e orientativo delle attività
fisico-chimiche è provato dall'esperienza indiretta, cioè dal confronto generale delle
caratteristiche di fondo del vivente, rispetto a quelle delle sostanze inanimate.
Basta riassumere gli aspetti fondamentali della vita: la sapiente ed elastica (non
rigidamente geometrica, come nei cristalli) organizzazione, perfettamente finalizzata a
vantaggio del soggetto e delle sue mirabili strutture, che non può derivare dal puro cieco,
rigido e unidirezionale dinamismo fisico-chimico; il ciclo immanente impresso alle
attività fisico-chimiche, in quanto partono dal soggetto e vi ritornano per conservarlo
nella sua identità, difenderlo, ripararla, moltiplicarlo, non producendo nei suoi contatti
attivi con la materia esterna una terza entità, come nelle reazioni chimiche tra sostanze
inanimate, ma restando sempre se stesso; l'elevazione del materiale preso dall'esterno
alla superiore complessità e minore stabilità del soggetto (corruttibilità del vivente),
contro la tendenza a minor complessità e maggior stabilità dei composti inanimati
(processo antientropico contro il processo entropico) (5).
Ora un tale principio vitale che trascende così a fondo il piano puramente fisicochimico non può spontaneamente derivare da esso (6). Esso postula un intervento
creativo dell'Artefice sommo.
Bene Salvador Dalì, davanti alle scoperte sui geni, poté dire: "Questa è per me la vera
prova della esistenza di Dio".
Impossibile sprigionarsi spontaneo del fenomeno sensitivo.
Se l'evoluzione non può salire da se il generale gradino della vita, tanto meno può salire
gli ulteriori gradini della vita stessa, per il passaggio dalla vita soltanto vegetativa, alla
quale si arrestano le piante, alla sensitiva, degli animali e alla intellettiva, dell'uomo.
Consideriamo ora il gradino della sensazione.
L'attività sensitiva è la caratteristica del regno animale. Si apre il capitolo meraviglioso
e il grande equivoco degli organi di senso.
Capitolo meraviglioso: perché gli organi di senso, in sé (basta pensare al capolavoro
dell'occhio) e nei corrispettivi apparati dei sistema nervoso e negli apparati di
locomozione per la risposta alle sensazioni, costituiscono la più alta espressione
organizzativa della materia vivente.
Ma anche grande equivoco, quanto alla natura intrinseca della sensazione, equivoco che
è nella linea stessa {aggravata) della suddetta riduzione del mistero della vita alla
scoperta dei pulsanti operativi. Si sono scoperte infatti tutte le complesse strutture, tutte
le connessioni nervose, tutte le tensioni e correnti elettriche e reazioni chimiche che
accompagnano le attività sensorie. Da ciò la miope deduzione che in tali sole attività
fisico-chimiche si risolva tutto il fenomeno sensitivo.
La sensazione invece è bene al di sopra. Quelle attività non sono che preparatorie e
concomitanti. Che vi debbano essere è ovvio perché il fenomeno sensorio presuppone
contatti fisici dei corpi (talora solo di particelle o onde: odorato, udito, vista) con gli
organi esterni del senziente e successive trasmissioni interne delle rispettive reazioni:
attività fisiche nelle quali debbono valere i bilanci energetici delle pure leggi fisiche. Ma
la sensazione segue e si accompagna a tali attività: e scatta solo quando si produce il
fenomeno in qualche modo conoscitivo dell'oggetto. Altrimenti sarebbe come
confondere l'immagine fisica che si produce nella retina dell'occhio (come su una lastra
fotografica) con la sensibile visione.
***
La trascendenza del fenomeno conoscitivo - già nel primo stadio sensitivo che stiamo
ora considerando - viene chiarita dal modo di congiunzione con gli oggetti. Una sostanza
inanimata si congiunge chimicamente ad un'altra, creando un composto nel quale è
perduta l'individualità di entrambi gli oggetti. Il vivente si congiunge all'alimento (di ben
delimitata misura) e se ne appropria conservando la propria individualità e distruggendo
quella dell'alimento. Il senziente si congiunge agli oggetti e in qualche modo se li
appropria senza alcuna modificazione fisica, né propria, né di essi (salvo le temporanee e
superficiali modificazioni del contatto e del correlativo dinamismo fisiologico
dell'apparato sensitivo): e, in grazia proprio di tale invarianza fisica, può appropriarseli
successivamente, senza limite quantitativo (tanto il sasso, quanto la montagna che
domina il panorama) e quanti vuole; e può anche conservarli nel suo interno con la
memoria.
La trascendenza di tale fenomeno implica quindi una smaterializzazione degli oggetti,
un porsi al di sopra non solo del piano puramente fisico-chimico, ma anche del piano
vegetativo, ossia del puro piano della vita. Ciò suppone (per la proporzione che deve
esservi tra causa ed effetto) l'esistenza nel senziente di un principio sensitivo
proporzionalmente superiore a tali piani, principio che non può quindi evolutivamente
derivare da essi: né dalla materia inanimata, né dalla materia vivente di pura vita
vegetativa.
Per superare tale gradino deve essere quindi intervenuto uno speciale atto creativo.
Impossibile sprigionarsi spontaneo del fenomeno intellettivo
Al di sopra dell'attività puramente sensitiva animale, l'attività intellettiva, il pensiero,
caratterizza l'uomo.
E' l'ultimo gradino della vita. L'evoluzionismo è obbligato a considerarlo come l'ultima
tappa del perfezionamento evolutivo dei viventi, negando l'esistenza di qualsiasi
componente umana (l'anima spirituale, generatrice del pensiero) estranea alla materia,
che spezzerebbe la continuità della linea perfettiva evolutiva (Teilhard de Chardin:
"Esiste solo la materia che diventa spirito": L'Energie Humaine; "Spirito: stato superiore
della materia": Le Coeur de la Matière).
Infatti - si insiste ordinariamente nei libri non vi può essere per l'intellezione un salto di
qualità, visto che si nota un progressivo sviluppo dell'intelligenza dagli animali inferiori
all'uomo e un corrispondente sviluppo materiale del cervello e specialmente della
corteccia cerebrale. Questa ricopre con miliardi e miliardi di cellule nervose stratificate
gli emisferi cerebrali, con una superficie complessiva che nell'uomo, in grazia delle
pieghe e dei profondi solchi, è pari a un quadrato di quasi 50 cm. di lato. E si sa che
questa parte esterna dell'encefalo condiziona precisamente le attività coscienti e
intellettive: tanto è vero che, una volta lesionata, non si ragiona più. Dunque il pensiero
viene da lì e non da una ipotetica, invisibile anima spirituale.
***
Con che ci tocca un'altra colossale confusione. Rimando al prossimo paragrafo il
problema dell'istinto degli animali e dell'apparente, ma ingannevole suo allineamento
con l'intelligenza umana. Riflettiamo ora alla relazione tra intelligenza e cervello.
L'enorme equivoco consiste - al solito - nel confondere l'attività materiale cerebrale, che
accompagna e condiziona l'attività intellettiva, con l'essenza di questa. E in conseguenza
si confonde la sorgente cerebrale di quella attività concomitante (strumentale) con la
vera sorgente dell'attività intellettiva, ossia del pensiero. Sarebbe come, per esempio, se
si attribuisse un quadro al pennello invece che al pittore, per il fatto che questi ha dovuto
necessariamente usare, come strumento, il pennello.
Un'attività materiale, concomitante e condizionante per l'attività stessa del pensiero
umano è naturale, data l'unità attiva del soggetto, in quanto vivo, senziente, pensante:
tanto più che l'alimento al pensiero viene dato dal contatto sensibile con le cose esterne
(l'anima umana è spirituale e immortale, ma non è un angelo). Ed è anche naturale e
meraviglioso (una meraviglia che si risolve nuovamente in drastica esclusione
dell'ipotesi di strutture puramente derivanti dal caso) che strumento concomitante e
condizionante del pensiero sia la prodigiosa "centrale" del cervello. Questo,
raggiungendo con le sue diramazioni più sottili ogni minimo punto del corpo, regolando
tutta l'attività sensitiva e motrice e condizionando anche l'attività intellettiva, garantisce
l'unità operativa del soggetto.
Ma se si vuole scoprire la vera componente umana produttrice del pensiero, bisogna
usare la via sperimentale indiretta: analizzare cioè le qualità intrinseche di tale prodotto,
per risalire da esso all'entità produttrice. Si tratta cioè di passare dall'effetto alla causa
principale che vi si deve ovviamente proporzionare. Ebbene, ogni pensiero, ogni
nozione, pur relativa a entità corporee, si presenta come realtà fenomenica in sé
totalmente smaterializzata, cioè immateriale non in modo parziale, come la sensazione
(la quale resta correlata ogni volta, successivamente, a questo o quello oggetto, chiuso
nella sua individualità corporea: vedo questo sasso o quell'altro sasso), ma in modo
totale. Esso è cioè caratterizzato dalla radicale astrazione da ogni coartazione numerica
e quantitativa dell'oggetto, elevandosi al concetto della cosa, riferibile a tutti gli oggetti
della stessa natura (l'idea di sasso è toticomprensiva, indipendente da questo o quel
sasso, da ogni grandezza e numero: è un'appropriazione conoscitiva di tutti i sassi).
Quanto poi alle idee di cose già in se stesse totalmente immateriali, come virtù, dovere,
ecc., la immaterialità radicale è ovvia. Ed è per tale qualità che le idee si possono
logicamente concatenare nel ragionamento.
Si deve perciò dedurre, con assoluta certezza, che esiste nell'uomo una fonte del
pensiero sullo stesso piano di esso e quindi totalmente immateriale: l'anima spirituale
(perciò, a differenza dei corpi, non corruttibile, sussistente, immortale).
Nessuna difficoltà che la produzione del pensiero si accompagni - per la suddetta unità ad una attività cerebrale. Impossibilità invece assoluta che derivi da essa. Sarebbe
altrimenti come attendere vino da una botte d'acqua.
Questa componente dell'uomo, l'anima spirituale, non può quindi derivare da una
trasformazione evolutiva della materia.
Esige un superiore atto creativo.
Negli animali, intelligenza o istinto?
Al grande salto di qualità dell'intelligenza umana sembra contraddire l'intelligenza, sia
pure limitata, generalmente attribuita anche agli animali (è comune opinione popolare).
Essi l'avrebbero, secondo le varie specie, in proporzione con la massa (soprattutto la
corteccia) cerebrale. Per esempio, gli animali domestici capiscono gli ordini del
padrone.
Ma vi sono tanti modi di capire, nel senso di rispondere, reagire alle iniziative
dell'uomo. Il problema va posto in altri termini. Bisogna chiedersi se gli animali sono
capaci di farsi l'idea delle cose (nella quale soltanto si esprime l'intelligenza e si rivela
l'anima spirituale) o hanno solamente delle immagini e sensazioni (piano sensitivo, non
intellettivo), alle quali reagiscono, non per riflessione intellettuale, ma per istinto, che
resta ancora nel piano soltanto sensitivo, nonostante le apparenze contrarie.
Che l'istinto, pur non derivando da riflessione razionale, possa avere grande efficienza
operativa risulta anche dalla diretta esperienza umana dei nostri comportamenti irriflessi:
istinto di conservazione, spontanee attrazioni e ripulse per ciò che piace o dispiace, atti
coordinati e irriflessi derivanti dall'abitudine di certe azioni, reazioni motrici
estremamente complesse e automatiche, per esempio, per ristabilire l'equilibrio e non
cadere, ecc.
Per gli animali, in realtà, si tratta solo di questo. Basta accennare ad alcuni fatti. Il
primo è la mancanza della parola, normale manifestazione delle idee: mancanza che non
dipende da impotenza fisiologica, come oggi è stato provato per alcune specie. Tutti
conoscono le articolate parole pronunciate dagli "uccelli parlanti", gracula, pappagallo,
ecc. (dunque non impotenza fisiologica). Ma è solo imitazione. Né si possono assimilare
alla parola intelligente alcuni rudimentali suoni, segnaletici di stati emotivi.
Vi è poi la fissità assoluta dei comportamenti, sia lungo i secoli che nelle esistenze
individuali, il che è contro la legge generale dell'intelligenza, il progresso. Piccole
modificazioni derivanti da adattamento ambientale, nuove esperienze, imitazioni,
ammaestramento, si spiegano con semplici associazioni mnemoniche, sensitive e non
tolgono la fondamentale e universale fissità.
La onerosissima e industriosissima cura della prole esclude pure un amore cosciente. E'
priva di qualsiasi vantaggio personale ed è riferita a individui che o non saranno mai
visti (fatto tipico negli insetti) o mai recheranno alcuna utilità ai genitori, divenendone
anzi competitori. O cieco istinto dunque o assurda supposizione di un disinteressato e
sacrificatissimo amore ecologico per la conservazione della specie.
Decisiva è poi la straordinaria abilità di certi comportamenti i quali, se dipendessero da
vera intelligenza, la rivelerebbero assolutamente eccessiva. Gli animali cioè, se fossero
intelligenti sarebbero troppo intelligenti. La loro intelligenza sarebbe inoltre
paradossalmente tanto maggiore negli animali con minore, piccolissima o quasi nulla
massa cerebrale (uccelli, insetti). E si tratta di una abilità prodigiosa che esplode
pienamente in tutti i nuovi individui, senza alcun ammaestramento, non avendo in
genere i nuovi nati visto all'opera o neanche conosciuto i genitori (nidi degli uccelli o
degli insetti; abile cattura della preda). Per l'abilità costruttiva per esempio, si ricordino:
le costruzioni dei Castori; i nidi del Passero tessitore; l'arrotolamento della foglia a
forma di sigaro (per attaccarvi dentro le uova) compiuta dal coleottero Curculionide con
due abilissimi tagli a forma di S, in complementare orientamento, a destra e a sinistra
della nervatura, incidendo anche questa parzialmente perché la foglia appassisca, ma
non muoia, così da potere a suo tempo nutrire le larve; il capolavoro delle tele di ragno,
tese perfettamente da quel minuscolo essere tra vari punti di appoggio di fortuna
distantissimi e con la scelta del filo appiccicaticcio o no secondo che serve per la preda o
per sostegno; i colossali termitai di terra cementata con speciale saliva delle termiti, duri
come rocce, che si elevano sul terreno anche fino a 7 metri; l'insuperabile alveare, con
cui le api risolvono l'arduo problema del massimo volume utile e della massima
resistenza col minimo materiale. Ricorderò, a quest'ultimo riguardo, che un alveare
capace di due chili di miele pesa a vuoto solo 40 grammi, lo spessore delle pareti delle
celle è di 7 centesimi di millimetro, la forma esagonale (esattissima) è la più idonea per
solidale robustezza e utilizzazione dello spazio nell'insieme dei due strati di celle
anteriore e posteriore (il vertice di fondo di una celia posteriore occupa esattamente il
vuoto tra i vertici di tre celle adiacenti anteriori, strettamente combacianti perché
l'angolo dell'esagono è di 120 gradi); con grande meraviglia si è anche scoperto che la
profondità del fondo piramidale esagonale di ogni celletta è scelta con un angolo che
corrisponde al minimo sviluppo superficiale col massimo volume (problema
dell'isoperimetro) e, mentre da un primo calcolo matematico era risultato un piccolo
scarto dall'angolo ottimale, si è poi trovato che il calcolo era stato sbagliato e che le api
avevano ragione; tutti poi conoscono la meravigliosa organizzazione sociale delle api,
con la più accurata divisione dei compiti (ci sono perfino le ventilatrici alle porte
dell'alveare), ecc. Ricorderò ancora, per esempio, lo Sfecide di Linguadoca
(popolarmente: Vespa assassina) che saetta col pungiglione i gangli nervosi della
Efippigera delle vigne e ne comprime senza ferirlo il cervello, in modo da paralizzarla e
trasportarla viva nella tana, come cibo per le larve che nasceranno dalle uova depostevi:
e sceglie la femmina perché ricca delle proprie uova. Non posso fare a meno di citare
anche la formica asiatica e africana del genere Oecophylla (vuol dire: casa di foglie) che
vive sui rami in nidi di foglie cucite insieme. Fu scoperta alla fine del secolo scorso. Una
schiera di operaie, agganciatasi con le unghie posteriori al lembo di una foglia, si
sporgono per afferrare con le mandibole il lembo della foglia vicina; se non vi arrivano
spingono avanti, agguantate con le mandibole a metà vita, altre operaie e, all'occorrenza
altre e altre ancora, formando una specie di braccio a sbalzo di formiche, concatenate
l'una all'altra; raggiunto, tirato e fatto combaciare quel lembo accanto al primo, altre
operaie portano con le mandibole, come fossero dei fusi, le loro larve, dalla cui bocca
spremono un filo di seta che attaccano a zig-zag ai due lembi, fissandoli insieme; e così
per altre foglie, fino a nido compiuto. (Altri mirabili particolari in Le Scienze, marzo
1978).
Non dunque intelligenza, - né anima spirituale (7) - ma istinto, che rimane nel piano
soltanto sensitivo: cieco quanto a coscienza razionale riflessiva, mirabile quanto ad
abilità naturale. Nessuna difficoltà quindi contro la esclusiva intellettualità dell'uomo.
E quanto al necessario intervento del sommo Artefice, si ha qui una validissima
conferma, perché tanta incosciente sapienza non può derivare che dall'Artefice
sapientissimo di quelle nature, con quegli istinti.
GRANDE PROVA SPERIMENTALE CONTRO LA EVOLUZIONE
Infine, prescindiamo pure, per un momento, dalle prove fin qui date, negative e
positive, della falsità dell'evoluzionismo.
Riferiamoci semplicemente al dato sperimentale dell'attuale mondo vivente. Senza
guardare al passato, senza analizzare l'incapacità generatrice del presunto dinamismo
evolutivo, limitiamoci a considerare il presente. Guardiamo puramente ai fatti che sono
oggi davanti a noi.
Vi leggeremo, con sorprendente e inaspettata evidenza, la negazione radicale e
inappellabile della evoluzione spontanea. E' una riflessione già accennata in precedenti
pagine, ma che qui dobbiamo sviluppare.
E' la confutazione, più direttamente sperimentale, dell'evoluzione spontanea.
Il fatto attuale che colpisce è che tutte le specie viventi, pur occupando vari gradi nella
immensa scala dei viventi, sono - assolutamente tutte -, in sé, perfette e complete. Non
hanno certamente tutte la stessa perfezione e completezza. L'Ameba, organismo
unicellulare e quindi minimo, è, nel suo livello di vita, perfetta, autosufficiente nel suo
ambiente, come nei livelli più alti è perfetto il più complicato organismo vivente. Un filo
di erba è un trionfo della vita come il cedro del Libano; una pulce è un'a meraviglia nel
suo genere come nel suo l'elefante; una lucertolina è un capolavoro come è un
capolavoro il coccodrillo; un moscerino, un'ape sono portenti come lo è un'aquila reale;
un verme è meravigliosamente rifinito, nella sua pochezza, come, nella sua grandezza,
l'uomo.
Da notare che questa costatazione generale non sarebbe infirmata se vi fossero alcune
eccezioni. Esse confermerebbero la regola. Ma, in realtà, non vi sono; e se alcune
sembrano tali è per difetto di osservazione. Oppure vengono considerati incompleti e
imperfetti animali che hanno qualche organo non pienamente funzionante (come le ali
per la gallina e per lo struzzo); ma si tratta di organi che non incidono nella vita
ottimamente ambientata di quei soggetti e quindi non infirmano la loro perfezione e
completezza vitale.
Un grande zoologo evoluzionista, a cui esposi il fatto, seppe oppormi solo il celebre
Ornitorinco, paradossale mammifero australiano (che è lungo circa 50 cm. con la coda),
scoperto per la prima volta (in un esemplare imbalsamato) nel 1797, classificato infine,
dopo tante dotte dispute, nel 1884 e pienamente conosciuto solo da cinquanta anni.
Nell'ibridismo e nella rozzezza di certe caratteristiche potrebbe sembrare effettivamente
rudimentale, imperfetto anello di transizione ad altra specie perfetta (Lamarck lo
qualificò anello tra rettili e mammiferi, mentre per altri lo sarebbe tra uccelli e
mammiferi). E' infatti, contro la regola ordinaria, monotremo (significa: un-foro) cioè
con una sola uscita intestinale e urogenitale; è mammifero, ma partorisce i piccoli (in
stadio embrionale arretrato) in uova che debbono essere per due settimane incubate dalla
madre, ed ha un apparato mammario ridotto a un trasudamento latteo convogliato dai
peli della corrispondente zona; ha pelo di lontra, coda da castoro, dita palmate e becco di
anitra (da cui il nome: ornitho, uccello - rynchos, muso), speroni da gallo da
combattimento; ha respirazione aerea, ma adattamento ambientale spiccatamente
acquatico (può stare sott'acqua anche 10 minuti); ha temperatura propria come i
mammiferi, ma assai oscillante in relazione alla temperatura ambientale, il che ricorda i
rettili. Sembra davvero mal composto e rudimentale.
Ma analizzandone bene struttura e costume si scopre invece che è un animale ricco di
perfezione e completezza. Il largo becco apparentemente corneo da anatra è in realtà
ricoperto di una morbida pelle, ricca di terminazioni nervose, che lo rende ben
sensibilizzato per la ricerca degli animalucci di cui l'animale si nutre, scavando nei
fondali me1mosi: la perfetta chiusura delle nari c, mediante un'apposita piega cutanea,
degli occhi e degli orecchi (inutili durante tale ricerca di cibo nei fondali) facilita la
lunga immersione; larga coda, estremità palmate, corpo appiattito rendono agile il nuoto;
le lunghe unghie anteriori, ricurve e scanalate nei piccoli perché essi possano
agganciarsi ai peli ventrali materni durante le settimane di allattamento (pur essendo
anche ulteriormente sostenuti dalla larga coda della madre piegata verso il ventre)
diventano poi piene e dritte per essere idonee, insieme alle lunghe unghie posteriori, allo
scavo; la membrana delle estremità palmate, che per il nuoto si estende oltre il perimetro
delle unghie, si ritira entro di esso, scoprendo le unghie stesse, quando servono per lo
scavo; gli speroni alla base degli arti posteriori costituiscono nei maschi organi difensivi
e combattivi arricchiti di ghiandole che secernono veleno. La coppia vive in tane, che
scavano insieme, con due aperture ben nascoste tra le radici degli alberi; ma quando la
femmina deve deporre le uova se ne costruisce da sola un'altra ben chiusa
all'imboccatura, che termina in una camera sferica, foderata di foglie e pagliuzze, dove
depone e cova una coppia di uova; in questo periodo, quando la madre esce richiude
sempre l'imboccatura; quando depone le due piccole uova (2 cm.) le attacca insieme,
evitando così che rotolino e si perdano tra le foglie. In tutto, accurata perfezione. Un
capolavoro.
***
Ebbene, questa perfezione che si nota in tutte le specie viventi costituisce effettivamente
un'impressionante rivelazione sperimentale contro l'evoluzione. Se infatti la scala delle
specie fosse il risultato di un progressivo, casuale, spontaneo conato perfettivo della
natura, il mondo dovrebbe essere pieno, tra l'una e l'altra specie perfetta, di specie
abbozzate, rudimentali e incomplete, cioè in ritardo rispetto alle singole specie complete
verso cui sono avviate. Piccole o grandi che siano le "mutazioni", avvalorate dalla
"selezione", ipotizzate dall'evoluzionismo (a prescindere ora dalla loro mancanza di
efficacia, che vedemmo), tra l'una e l'altra specie sarebbero cioè certamente dovute
comparire tali specie intermedie incomplete, di cui invece non troviamo alcuna traccia.
L'attuale quadro del mondo vivente può essere infatti considerato come un'istantanea
del presunto lunghissimo movimento evolutivo naturale, sempre e anche attualmente in
azione. Vi si dovrebbero quindi cogliere, nella lunga scala dei gradi di evoluzione
raggiunti, non solo le specie perfette, ma anche quelle intermedie e incomplete; e ciò, sia
nel tronco principale, terminato, per ora, all'uomo, sia nelle ramificazioni delle altre
specie. Tali risultanze dovrebbero essere quindi numerosissime. Questa istantanea
dovrebbe cioè cogliere la scala evolutiva degli esseri come, in una multipla corsa
ginnica, coglierebbe, oltre i vincitori giunti ai rispettivi traguardi, tutte le file dei
ritardatari (che simboleggiano le specie imperfette e incomplete); o come, in fabbriche
costruttrici di varie specie di macchine, nei rispettivi, successivi padiglioni, si trovano,
prima i pezzi rozzi, poi via via, quelli raffinati e montati; o come, in particolare, in una
fabbrica di automobili, si trovano prima ferri, poi telai smontati, ecc. tutti ordinati alla
macchina finale e non invece prima biciclettine, poi biciclette, poi motociclette, ecc., che
sono macchine di diverso grado, ma tutte perfette. Ora in questa presunta fabbrica
evolutiva naturale si trovano proprio successive macchine, tutte perfette. Si deve quindi
escludere che la natura sia una grande fabbrica produttrice evolutiva.
Questo rilievo fondamentale è ulteriormente chiarito considerando quella parte
dell'universo in cui lo sviluppo evolutivo è invece certamente avvenuto: l'universo
inanimato. L'evoluzione planetaria è un fatto abbastanza sicuro, anche se molte modalità
restano ancora incerte: e si ammette che essa prosegua anche oggi. L'osservazione
presente è pertanto come un'istantanea, che fissa un momento degli sconfinati tempi
evolutivi cosmici. In questa istantanea si notano effettivamente le successive tappe:
masse amorfe, stelle, pianeti. Niente di simile nel mondo animato.
***
L'unica scappatoia contro il valore di questa prova sarebbe l'ipotesi che tutte le linee
evolutive siano ormai giunte alle rispettive strutture perfette (come se tutti quei corridori
fossero giunti ai rispettivi traguardi o tutto il materiale di quelle fabbriche si fosse
esaurito e ogni fabbrica fosse arrivata alla finale composizione delle rispettive
macchine). Ma è una ipotesi artificiosa, completamente gratuita e che suppone un
assurdo universale sincronismo di produzione evolutiva, in tutte le disparatissime
ramificazioni.
Tuttavia, anche in questa artificiosa ipotesi l'esistenza delle suddette fasi incomplete
dovrebbe aver lasciato numerosissime tracce negli strati fossili, che sono come il museo
naturale in cui sono state fissate le varie tappe della evoluzione. Ma essi invece non
rivelano che la successione di specie perfette e costituiscono di questa prova
sperimentale antievoluzionista, una clamorosa conferma.
L'INTERVENTO DIVINO
Escluso l'evoluzionismo risulta provato il creazionismo, inteso nel più generale
significato di necessario intervento del Creatore dell'universo, dell'Artefice sommo, di
Dio.
Si possono considerare tuttavia diverse possibili modalità di tale intervento. Il
creazionismo (in questo significato generale) si contrappone all'evoluzionismo, perché
nega che il mondo vivente si sia formato da sé, spontaneamente, autonomamente: fin
dalla materia del primo grumo vivente e perché, di contro, afferma l'esistenza del
Creatore e il necessario suo intervento.
Questo potrebbe essere però concepito secondo tre modalità: intervento iniziale,
continuo, virtuale.
Intervento iniziale
Questo creazionismo s'impone - e in modo radicalissimo - anche nell'ipotesi
meccanicista più assoluta, la quale livella tutta la realtà, vita, senso e intelligenza
compresi, al puro piano meccanicistico fisico-chimico, cioè, in definitiva, a pura
vibrazione di particelle. Parlando dei gradini della vita, dei sensi e dell'intelletto
vedemmo l'impossibilità di questa riduzione di tutti i fenomeni a vibrazione materiale.
Ma, anche nell'ipotesi che ciò fosse vero, s'imporrebbe la necessità di spiegare il
mirabile ordine e le speciali caratteristiche di queste risultanti strutture viventi. Basta
ricordare e riassumere quanto abbiamo detto nel paragrafo sulla impossibilità radicale
generale dell'evoluzione spontanea.
Tale ordine postula necessariamente una causa proporzionata, la quale
"meccanicisticamente" dovrebbe trovarsi in tutto il complesso gioco delle particelle
materiali. Ma, essendo il suo effetto mirabilmente intelligente, tale proporzionata causa
non può essere cieca, ma intelligente (e già vedemmo la essenziale differenza tra una
finale combinazione qualunque, sottoponibile al calcolo delle probabilità, e una,
intelligentemente finalizzata, che la trascende). Siccome però l'intelligenza non può
trovarsi direttamente dentro quel gioco stesso di particelle, che sono cieche perché
puramente materiali, dovrebbe trovarsi necessariamente nella onnipotente mente
creatrice che ha loro impresso il primo impulso, idoneo a condurre tutta la sconfinata
catena conseguente di combinazioni, e reazioni, esattamente previste, fino a questo
meraviglioso ordine finale.
In questa meccanicistica ipotesi pertanto, dato che tutto dipenderebbe da tale iniziale e
adeguato impulso del sommo Artefice, si avrebbe già, anche escluso ogni altro
intervento, un pieno creazionismo.
Intervento continuo.
Ma dimentichiamo ora tale ipotesi inammissibile. Già vedemmo come sia per lo meno
necessario il diretto intervento del Creatore per elevare la materia al piano della vita e
poi al piano della sensazione e per far sorgere infine il piano del pensiero.
Le precedenti pagine hanno però cercato di dimostrare anche l'impossibilità della
spontanea trasformazione evolutiva di ogni specie nelle altre. Quali e quanti interventi
del Creatore dobbiamo allora postulare, oltre quelli necessari per superare i suddetti
gradini della vita, della sensazione e del pensiero? Può Dio essere intervenuto a creare
sulla terra continuamente le nuove specie?
Debbo subito notare che qui non si tratta di sostituire l'immediato intervento di Dio alle
normali attività della natura, secondo ingenue concezioni antiquate, dovute alle scarse
conoscenze scientifiche di allora. Qui si tratta di postulare l'intervento di Dio dove, in
base alle attuali certezze scientifiche, risulta che la natura da sola non può giungere.
E' anche molto importante un altro rilievo. Coloro cui ripugna l'ipotesi di un continuo
intervento diretto di Dio per la creazione di nuove specie, dimenticano che, secondo un
sottile e profondo pensiero di S. Tommaso d'Aquino (che qui non posso certo svolgere),
il diretto intervento di Dio è già necessario continuamente per mantenere sul piano
dell'essere l'intero universo (per necessità metafisica dovuta al fatto che l'universo non
ha, né al principio, né mai in se stesso la ragione della sua esistenza: è contingente e
sempre dipendente dalla sua sorgente, come una luce sempre dipende dalla sua fonte).
Dimenticano anche che Dio certamente interviene con diretto atto creativo alla nascita
di ogni creatura umana, per infonderle l'anima spirituale. Essa infatti, appunto perché
spirituale, non può essere, né generata dalla materia (come vedemmo), né costituire una
parte dell'anima dei genitori, la quale, come entità spirituale, è indivisibile: deve quindi
essere direttamente creata da Dio.
Dimenticano infine che gli interventi diretti di Dio non sono assimilabili a quelli di un
artefice umano che, nella sua finitezza, deve ogni volta interessarsi, guardare e
moltiplicare le sue azioni. Nell'infinito e perfettissimo spirito, quale è Dio, tutti gli
interventi attivi nel creato dipendono da un unico atto della sua onnipotente volontà, alla
luce della sua onniscienza, atto che in Dio è al di sopra dei tempi (che a lui sono tutti
presenti), benché gli effetti si manifestino lungo tutto il corso evolutivo del creato.
L'ipotesi quindi di numerose creazioni, cioè numerosi interventi diretti, al momento
opportuno, per il sorgere di nuove specie è ammissibile,
Ma non è necessario pensare che Dio abbia creato dalla materia, di colpo, ogni nuova
specie. Sembra anzi più conveniente e conforme al principio di sapienza organizzativa e
di sintesi che regola l'universo, pensare ad una utilizzazione della preesistente materia
vivente. La moderna genetica rende più chiara la possibile soluzione. Basta che il
Creatore abbia determinato, al momento opportuno, armoniche "mutazioni" e
integrazioni in alcune antecedenti strutture dei cromosomi (mutazioni armoniche per
determinare l'ordinata strutturazione del nuovo vivente: il che invece il caso non può
fare).
Intervento virtuale
Non è infine da escludere nemmeno la possibilità che nel corredo cromosomico del
primo grumo vivente fossero già inclusi virtualmente (cioè con preordinazione positiva come è virtuale il seme rispetto alla pianta - non solo potenzialmente - come è potenziale
la creta rispetto alla statua -) tutte le combinazioni future che si sarebbero attualizzate, al
momento opportuno, in conseguenza di nuovi previsti ambienti, eventualmente integrate
da opportuni superiori interventi - oltre quelli necessari per far sbocciare la vita, la
sensazione e il pensiero - determinando via via le nuove specie.
Questa loro successiva comparsa sarebbe allora rassomigliante alla successiva
esplosione di varie sezioni di un razzo multiplo, già tutte pronte per l'attuazione fin
dall'inizio.
Anche in questa ipotesi tutte le specie precontenute virtualmente fin dall'inizio,
dovrebbero dirsi direttamente create da Dio, con un intervento onnipotente anche, in un
certo senso, più meraviglioso per la preparazione e previsione di tutta la successiva
attuazione.
Creazione dell'uomo.
Qui occorre qualche riflessione particolare.
Quanto sopra, a rigore, potrebbe essere avvenuto anche per il primo uomo. Il suo corpo,
prodottosi così per mutazioni e attualizzazioni successive di specie precedenti, potrebbe
ancora dirsi, in riferimento a tutto il ciclo, a partire dalla primitiva materia inanimata,
"formato (da Dio) con polvere del suolo" (Gn 2, 7). Dio avrebbe infine - dopo gli altri
integrativi interventi - aggiunto l'immediato atto della creazione e infusione dell'anima
spirituale, così, plasticamente, narrata: "gli soffiò nelle narici un alito di vita" (ivi).
Tuttavia, riflettendo alla superiore nobiltà della specie umana, per la trascendente
attività del pensiero e per la trascendente simbiosi unitaria del corpo con l'anima
spirituale (corpo vivificato da tale anima e reciprocamente collaboratore strumentale
dell'anima per l'esercizio del pensiero), riflettendo al clamoroso fatto nuovo nel mondo
vivente, del superamento nell'uomo, per la spiritualità e incorruttibilità della sua anima
(a cui si aggiunge, secondo la fede, l'elevazione, con la grazia, al piano soprannaturale e
la finale riassunzione del corpo) della fatale, universale legge cosmica della corruttibilità
e della morte, non può sfuggire la particolare convenienza di un immediato atto creativo
anche del corpo umano (secondo il senso letterale del testo biblico), proprio per
sottolineare quel balzo in alto della realtà creata e l'onnipotenza creatrice di Dio, così
solennemente introdotta dal testo biblico "Facciamo l'uomo a nostra immagine, a
somiglianza nostra" (Gn 1, 26).
Monogenismo.
Guardando all'attuale umanità, viene spontanea infine la domanda: Da un solo uomo, da
una sola coppia (mono-genismo, unica origine)? O da vari individui (poli-genismo,
multipla origine)?
Per la prima soluzione già depone la stessa unità attuale della specie umana - pur con la
varietà delle razze - provata dall'uguale patrimonio cromosomico e dalla fecondità degli
incroci, unità la cui spiegazione naturale è la comune origine. Anche alla grande Tavo1a
Rotonda di Parigi, dell'UNESCO, (1969) sull'origine evolutiva dell'Homo sapiens si
ebbero forti affermazioni monogenistiche.
Anche la comune opinione che nell'ipotesi evoluzionista sia ovvia la trasformazione non
di una sola coppia ma di molte è alquanto superficiale. Per ottenere infatti individui della
stessa specie, gli ipotetici numerosi soggetti generatori avrebbero dovuto essere anche
essi della stessa specie e così i precedenti, dovendosi infine risalire ad una unica origine,
ricadendo, in radice, nel monogenismo, con l'aggiunta però di una assurda
sincronizzazione evolutiva, nelle successive generazioni, per puro gioco del caso, in
tutte quelle serie di individui. Che da più individui di una specie l'evoluzione possa
produrre progressivamente varie specie, secondo la linea di ognuno di essi, sarebbe - dal
punto di vista evolutivo - logico, ma che produca la medesima specie, no.
Esclusa comunque l'evoluzione, non c'è più dubbio. Il sommo Artefice per creare l'unica
specie umana, doveva ovviamente darle un unico capostipite. Anzi, dato che la prima
coppia - appunto perché prima ­ non poteva avere un progenitore della stessa specie, la
narrazione biblica del corpo femminile tratto, in qualche misterioso modo, da una parte
del corpo di Adamo (Gn 2, 21-22), così da assumere la stessa specificazione somatica, se
può far sorridere un pensatore superficiale, apparisce in realtà in piena armonia con
l'esigenza di un fondamento somatico unico (popolarmente: lo stesso sangue) per la vera
unità della specie umana.
S. Paolo fu esplicito nelle sue lettere (Rm 5, 12. 19; 1 Cor 15, 45) e lo proclamò
all'Areopago di Atene: "Egli trasse da uno solo tutta la stirpe degli uomini" (Atti 17, 26).
Note
1 Si veda il mio Il Dio in cui crediamo, Ed. "Pro Sanctitate", P.za S. Andrea della Valle,
3, Roma; o il libretto Come dimostrare la esistenza di Dio, della collana "Fogli", n. 17,
Verona
2 E' nipote del grande zoologo Thomas Henry Huxley, quasi contemporaneo di Darwin,
grande seguace e integratore del darwinismo.
3 Per F. Selvaggi, per esempio, "l'evoluzionismo, in tutta la sua estensione, è una
esigenza imprescindibile, presupposta dalla scienza, in quanto tale" (Civiltà Cattolica, 20
gennaio 1968); i p. Flick e Alszeghy in vari saggi sono partiti dalla prospettiva
evoluzionista presentata dalla scienza; B. Mondin parla con riferimento evoluzionista, di
"evidenza delle scoperte antropologiche" (Osservatore Romano, 18 novembre 1976); per
il Cardo Pietro Parente "l'evoluzionismo è ormai accettato dalla maggior parte degli
studiosi specializzati", "il clima odierno è impregnato di teilhardismo", si deve "guardare
con simpatia alla fascinosa teoria dell'evoluzione, ormai dominante" (Teologia di Cristo,
Roma, 1970); nel testo di un recente Sinodo diocesano di Losanna, Ginevra e Friburgo,
promulgato da S.E. Mamie, l'uomo è presentato come "coronamento di una lunga
evoluzione, così come proclama la scienza".
4 Veniva salvato con ciò il principio filosofico della proporzione ch: deve esservi tra
causa ed effetto. Si supponeva, per esempio, che tali generazioni avvenissero per
misterioso influsso di entità superiori motrici dei corpi celesti.
5 Si dice entropico un processo fisico in cui aumenta l'entropia. Questa è una entità
termodinamica introdotta da Clasius (1822-1888), che aumenta al diminuire della
capacità di un sistema fisico di fornire lavoro. Si ha aumento di entropia, e quindi
diminuzione di tale capacità di lavoro in ogni attività fisica in conseguenza della
degradazione della energia per dispersione di calore e per la tendenza di ogni sistema a
stabilizzarsi (come per una costruzione che crolla) a livelli inferiori, meno ordinati.
6 Il fallimento di ogni tentativo di produrre artificialmente un qualsiasi grumo vivente
ne è una conferma. La produzione artificiale, sopra accennata, di qualche sostanza
organica non è ancora la vita. Più recentemente si è anche riusciti a produrre un DNA
cromosomico, capace di attiva moltiplicazione. Ma esso da solo non è un vivente e la
moltiplicazione è avvenuta entro una cellula batterica, cioè in virtù della già esistente
vita di essa.
7 Il fatto ha grande importanza anche giuridica e morale. Gli animali vanno rispettati.
Pur essendo a servizio dell'uomo (Gn 1, 26), non lo sono certamente per crudele e inutile
sfruttamento. Ma non essendo creature razionali e quindi persone, non sono
propriamente soggetti di diritto. La progettata Carta universale dei diritti degli animali,
analoga a quella dei diritti umani, non è giuridicamente ammissibile. Una recente lettera
di un giornalista al Papa, perché intervenga in difesa dei cuccioli delle foche, perché
"anch'essi hanno una anima", come se essa non si distinguesse dall'anima umana, è
ingenua. A meno che si tratti di un credente nella metempsicosi (da: meta-en­psyché,
trasmigrazione dell'anima) e quindi della possibile trasmigrazione espiatrice dell'anima
umana in animali, dottrina diffusa senza ombra di prova, da religioni orientali. E se fosse
trasmigrata in una pulce? Che farebbe, comunque, l'anima umana in un animale, senza
attività intelligente (come abbiamo visto)? e come potrebbe esservi espiazione e
purificazione di una precedente vita, senza attività intellettuale e morale e coscienza
della propria identità?
PATRICK O'CONNELL, B. D.
I sei giorni della Creazione
Titolo dell'originale inglese: «The Six Days of Creation».
Parte I del vol. «Science of today and the Problems of Genesis», 1959, con aggiornamenti dell'autore.
Visto - Imprimi potest.
Aug. Taurin., die 2 apr. 1965
Piovano G., I.M.C. - Censor Del.
Visto: Si può stampare.
Torino, 30 aprile 1965
P. U. Bessone, I.M.C. - Vice Sup. Gen.
Visto nulla osta.
Torino, 12 maggio 1965
Ft. Ceslao Pera O. P. - Rev. Deleg.
Imprimatur.
Taurinorum Augustae, lì 12 maggio 1965 Can. M. Monasterolo - Deleg. del. Vic. Capit.
INDICE
Cap. I - Il primo giorno della Creazione
Cap. II - Il secondo giorno
Cap. III - Terzo giorno: il regno vegetale
Cap. IV. - Il quarto giorno
Cap. V - Il quinto e il sesto giorno
Vedi la Bibliografia in «Origine e Preistoria dell'Uomo», dello stesso autore.
PREFAZIONE
La teoria della evoluzione delle specie di Lamarck e di Darwin ebbero largo favore nel
secolo scorso. Lamarck aveva ideato la generazione spontanea sorta in materia
mucillagginosa, la trasformazione dei primi frammenti, animali nei vari tipi di esseri
viventi, sotto lo stimolo del bisogno che crea abitudini durevoli ed organi corrispondenti
trasmessi con la generazione nei discendenti. Darwin aggiungeva la legge della lotta per
la vita che favorisce la naturale selezione dei più perfetti.
Ma man mano che progredirono gli studi della paleontologia, e;si fecero tramontare le
loro teorie, rimettendo sul piedestallo il racconto della creazione contenuto nei primi
capitoli del Genesi.
Molti sono tuttavia coloro che non hanno avuto modo di aggiornarsi sulla situazione
attuale della teoria. Molti si chiedono quale sia 1'atteggiamento della Chiesa al riguardo.
Molti vivono ancora sotto l'impressione della passata propaganda evoluzionista, e
temono, ripudiandola, di essere tacciati di oscurantismo.
Secondo l'Enciclica Humani Generis (par. 37), il Magistero della Chiesa non proibisce
che la dottrina dell'evoluzionismo sia oggetto di ricerche e di discussioni da parte degli
scienziati e dei teologi, purché ciò sia fatto con la necessaria serietà, moderazione e
misura, ed a condizione che tutti siano disposti a sottostare al giudizio della Chiesa.
Questa pubblicazione ha per scopo di far conoscere la soluzione del problema dei sei
giorni della Creazione basata sulle scoperte degli ultimi dieci anni.
Essa viene a completare il volume «Origine e Preistoria dell'Uomo» dello stesso autore,
che tratta dell'origine dell'Uomo, del Diluvio universale e dell'antichità dell'Uomo. Esso
gli ha meritata una speciale benedizione di Papa Paolo VI ed il plauso di molti alti
Prelati.
L'Osservatore Romano dell'11 luglio 1964 così lo recensiva: «… L'autore dimostra che
gli argomenti biologici in favore dell'evoluzione usati nei libri degli... evoluzionisti
moderni, anche in Italia, sono stati messi da parte dai principali scienziati, anche atei,
come Julian Huxley (pag.132), e che il loro argomento più importante, basato sui fossili
umani è ora crollato del tutto. In particolare l' A. dimostra che i famosi "anelli
mancanti"... quando non furono ad arte contraffatti, appartenevano alle scimmie e non
all'uomo. Un libro che si legge da cima a fondo con il fiato sospeso, dopo il tanto
chiasso che si è fatto e si continua a fare sull'argomento, specialmente sulle speculazioni
gratuite e romanzate degli evoluzionisti cattolici che l'A. severamente condanna».
INTRODUZIONE
False teorie scientifiche sull'origine del mondo e dell'uomo hanno condotto ad errori
nell'interpretazione dei primi capitoli della Genesi, e questi errori, hanno condotto a
presentazioni inesatte delle Encicliche Papali scritte per correggerli.
Quando delle interpretazioni erronee di brani della Sacra Scrittura sono rimaste in
circolazione per molto tempo, c'è una tendenza fra i commentatori, che le hanno
adottate, a considerare ogni tentativo d'affermare la vera interpretazione come un atto
d'aggressione, e perciò si considerano giustificati a condannarlo.
La teoria di Laplace sull'origine del nostro mondo, ora provata falsa, che contraddice in
pieno il racconto Mosaico, fu in circolazione per così lungo tempo, e fu così largamente
adottata dai commentatori, che ogni tentativo di difendere la narrazione Mosaica, fu
denunciato come un errore a cui si diede il nome di "concordismo"; e la Enciclica
Providentissimus Deus pubblicata dal Papa Leone XIII nel 1893, per condannare la
troppa libertà usata da alcuni commentatori, fu, ed è tuttora, rappresentata come uno
statuto di libertà che li esonera da ogni ritegno (1).
La dichiarazione di Sant'Agostino, incorporata in questa Enciclica che «Lo Spirito
Santo che parlò per mezzo di loro non ebbe 1'intenzione d'insegnare agli uomini queste
cose che non sono utili alla salvezza (vale a dire la natura essenziale delle cose
dell'universo visibile)» è stata ripetutamente citata fuori del suo contesto, in favore
dell'opinione che noi non dobbiamo cercare la verità oggettiva nel racconto Mosaico
della creazione, e che in questa Enciclica è data piena libertà di allontanarsene.
Riportiamo qui, a vantaggio dei nostri lettori, l'intero brano che contiene questa
dichiarazione perché essi vedano che non ha il significato che le è stato spesso attribuito.
«In secondo luogo dobbiamo opporci a coloro che, usando in malo modo la scienza
fisica, scrutano minuziosamente il libro sacro per prendere gli autori in errore, e per
avere modo di screditarne il contenuto. Attacchi di questo genere, riferendosi a questioni
d'esperienza sensibile, sono particolarmente pericolosi per le masse, ed anche per i
giovani che incominciano i loro studi letterari; perché, se i giovani perdono la
venerazione per la Sacra Scrittura in uno o più punti, sono facilmente indotti a rinunciare
interamente alla fede.
Non è necessario dimostrare che la natura della scienza, che può essere mirabilmente
usata per manifestare la gloria del Creatore se insegnata come si deve, può se male
impartita, distruggere fatalmente i principi della vera morale. Perciò una conoscenza
della scienza naturale sarà di grande aiuto al professore di Sacra Scrittura per scoprire e
confutare simili attacchi contro i libri sacri.
Infatti non ci può essere nessuna contraddizione fra il teologo e il fisico a condizione
che nessuno dei due oltrepassi i limiti, e si guardino, come ammonisce Sant'Agostino,
"dal fare asserzioni temerarie, e dall'affermare come noto ciò che non lo è". Se nasce un
dissenso fra i due, ecco la regola dataci da Sant'Agostino per il teologo: "Qualunque
cosa riguardante la natura fisica gli scienziati riescano a provare vera, noi dobbiamo
dimostrare che è possibile conciliarla con la Sacra Scrittura e qualsiasi cosa essi
affermino nei loro trattati che sia contraria alla nostra Bibbia, vale a dire alla fede
Cattolica, noi dobbiamo provare, nel miglior modo possibile, che è falsa, o comunque
crederla tale, senza la minima esitazione.
«Per comprendere quanto giusta sia la regola qui formulata, dobbiamo ricordare,
anzitutto, che gli autori dei libro sacro, o meglio "lo Spirito Santo, che parlò per mezzo
loro, non intese insegnare agli uomini queste cose (vale a dire la natura essenziale delle
cose dell'universo sensibile), cose che non sono affatto utili alla salvezza". Quindi essi
non cercarono di penetrare i segreti della natura, ma piuttosto descrissero e trattarono le
cose in un linguaggio più o meno figurato, o con espressioni che a quel tempo erano
comunemente usate, e che in molte occasioni sono tuttora di uso comune anche da parte
dei più eminenti scienziati. Il linguaggio comune descriveva in modo originale e proprio
le cose che cadevano sotto i sensi; un po' alla stessa maniera, gli scrittori sacri - come ci
ricorda l'Angelico Dottore - seguirono ciò che appariva ai sensi, o misero in iscritto ciò
che Dio, parlando agli uomini, voleva dire in un linguaggio che essi potevano capire e a
cui essi erano assuefatti.
«L'interprete cattolico, quantunque debba dimostrare che quei fatti della scienza
naturale che gli investigatori danno ora per certi, non sono contrari alla Sacra Scrittura,
bene spiegata; deve tuttavia tenere in mente che molto di ciò che a un tempo fu ritenuto
come provato, fu poi messo in discussione e rigettato.
«Può anche darsi che il senso di un brano rimanga ambiguo, e in questo caso dei buoni
metodi ermeneutici sono di grande aiuto a spiegarli. Ma è assolutamente sbagliato e
proibito restringere l'ispirazione a certe parti della Sacra Scrittura o ammettere che lo
scrittore sacro abbia sbagliato. Non si può assolutamente tollerare il sistema di coloro
che, per sbarazzarsi di queste difficoltà, non esitano ad ammettere che la divina
ispirazione si riferisce solo alle materie di fede e di morale, perché (come essi a torto
pensano) nella disputa sulla verità o meno di un brano, si deve considerare il motivo e il
fine che Egli ebbe in mente quando parlò. Tutti i libri che la Chiesa riceve come sacri e
canonici sono scritti nel loro insieme e in tutte le loro parti, sotto la dettatura dello
Spirito Santo; ed è tanto impossibile che l'errore possa coesistere con l'ispirazione che
l'ispirazione non solo è essenzialmente incompatibile con l'errore, ma esclude e rigetta
nel modo più assoluto la possibilità che Dio stesso, suprema Verità, possa affermare ciò
che non è vero.
Papa Benedetto XV
Il 15 settembre 1920, Papa Benedetto XV pubblicò l'Enciclica Spiritus Paraclitus nella
quale egli ripete ed elabora la suddetta dichiarazione del Papa Leone XIII. La seguente
citazione è tolta da questa Enciclica: «Ma quantunque queste parole del nostro
predecessore, Papa Leone XIII, non ammettano dubbio o controversia, ci affligge il
trovare, che non solo coloro che non appartengono alla nostra religione, ma perfino i
figli della Chiesa Cattolica - e quello che più ci rattrista, perfino ecclesiastici e professori
delle scienze sacre - nella loro presunzione o apertamente ripudiano, o per lo meno
attaccano in segreto l'insegnamento della Chiesa su questo punto... Ma noi ricordiamo
loro ch'essi vanno incontro a gravi conseguenze se trascurano le ingiunzioni del nostro
predecessore, o oltrepassano i limiti fissati dai Padri.
Elementi primari e secondari
«Nessuno può pensare che aderiscano a queste limitazioni quegli scrittori che, mentre
ammettono che l'ispirazione si estende ad ogni frase, anzi ad ogni singola parola della
Sacra Scrittura, nondimeno, distinguendo fra ciò che essi chiamano fattore primario o
religioso e fattore secondario o profano della Bibbia, restringono l'effetto dell'ispirazione
- cioè la verità assoluta e l'immunità da errore - al fattore primario o religioso.
La loro idea è che nella Sacra Scrittura Dio intende e insegna soltanto ciò che riguarda
la religione, e tutto il resto - ciò che riguarda le discipline profane e servono alla verità
rivelata come veste esteriore della verità divina - Dio lo permette e perfino lascia alla
maggiore o minore scienza dell'autore.
Non sorprende perciò che, secondo loro, occorra nella Bibbia un considerevole numero
di cose, riguardanti la scienza fisica, la storia e simili, che non si possono conciliare con
il progresso della scienza dei nostri tempi.
«Alcuni sostengono perfino che queste opinioni non sono contrarie a ciò che asserì il
nostro predecessore, poiché - essi affermano - egli disse che gli scrittori sacri parlarono
delle cose della natura secondo l'apparenza esterna e quindi illusoria. Ma le parole del
Pontefice dimostrano che questa deduzione è temeraria e falsa; poiché la sana filosofia
insegna che i sensi non possono mai ingannarsi in quanto riguarda il loro oggetto proprio
e immediato.
«Inoltre, il nostro predecessore, scartando tutte quelle distinzioni che ai critici piace
chiamare fattori primari e secondari, dice senza ambagi che "coloro che pensano che
quando si tratta della verità di certe espressioni, non dobbiamo considerare tanto ciò che
Dio disse, quanto "perché lo disse" sono molto lontani dalla verità.
Egli inoltre c'insegna che la Divina Ispirazione si estende ad ogni parte della Bibbia
senza la minima eccezione, e che non ci può essere nessun errore nel testo ispirato:
"Sarebbe affatto empio limitare l'ispirazione solo a certe parti della Sacra Scrittura, o
ammettere che gli autori sacri abbiano sbagliato.
Verità relativa e Verità assoluta
«Né meno dissentono dalla dottrina della Chiesa, comprovata dalla testimonianza di S.
Girolamo e degli altri Padri, coloro che ritengono che le parti storiche della Sacra
Scrittura non si basano sulla "verità assoluta" dei fatti, ma semplicemente su ciò, che
loro piace chiamare "verità relativa", vale a dire, su ciò che a quel tempo comunemente
si pensava.
Papa Pio XII
La Seguente citazione dall’Enciclica Divino Afflante Spiritu pubblicata da Sua Santità
Papa Pio XII dovrebbe togliere ogni dubbio circa il significato del brano che abbiamo
citato dalla "Providentissimus Deus".
«Il Concilio Vaticano, per condannare le false dottrine sull'ispirazione, dichiarò che la
ragione per cui questi libri devono ritenersi dalla Chiesa come sacri e canonici non è
che, composti dall'industria umana, siano poi stati approvati dalla sua autorità, o il fatto
che essi contengano la rivelazione senza errore, ma perché, scritti sotto l'ispirazione
dello Spirito Santo, hanno Dio come autore, e come tali sono stati affidati alla Chiesa
stessa».
«Più tardi, questa solenne definizione della dottrina cattolica, che attribuisce a questi
libri nel loro insieme e in tutte le loro parti una autorità divina, sì da essere immuni da
qualsiasi errore, fu contraddetta da certi scrittori cattolici che osarono limitare la verità
della Sacra Scrittura solo a materie di fede e di morale e considerare ciò che riguarda
l'ordine fisico e storico come "obiter dicta", senza avere (secondo loro) nessuna
relazione con la fede. Questi errori ebbero la meritata condanna nell'Enciclica
Providentissimus Deus pubblicata il 18 novembre 1893 dal nostro predecessore di
immortale memoria, Leone XIII, che, nella stessa lettera diede sagge istruzioni e
direttive per salvaguardare gli studi biblici».
Il Papa Pio XII si riferisce ancora a questo soggetto nella sua Enciclica Humani Generis
pubblicata nel 1950. In questa Enciclica egli condanna l'abuso di una Lettera inviata nel
1948 al Cardinale Suhard, Arcivescovo di Parigi dal Segretario della Commissione
Biblica, con le seguenti parole:
«In particolare si deve deplorare una certa interpretazione troppo libera dei libri storici
del Vecchio Testamento. Coloro che favoriscono questo sistema, per difendere la loro
causa, erroneamente si riferiscono alla Lettera che fu inviata non moho tempo fa,
all'Arcivescovo di Parigi, Cardinale Suhard, dalla Commissione Pontificia degli Studi
Biblici. Questa lettera infatti fa chiaramente notare che i primi undici capitoli del
Genesi, quantunque propriamente parlando, non siano d'accordo con i metodi storici
usati dai migliori scrittori Greci e Latini, o dagli autori competenti del nostro tempo,
tuttavia appartengono alla storia nel vero significato della parola, che del resto deve
essere studiato ed esaminato dagli studiosi biblici. Essi non solo espongono le principali
verità, che sono fondamentali per la nostra salvezza, ma danno anche una descrizione
popolare dell'origine del genere umano e del popolo eletto».
Questa lettera al Cardinale Suhard, il cui abuso fu condannato dal Papa Pio XII,
effettivamente riaffermava tutto ciò che era stato detto nei responsi della Commissione
Biblica del 1909, e incorporava le seguenti citazioni dall'Enciclica Divino Afflante
Spiritu del 1943.
«Il commentatore cattolico deve trattare i problemi non ancora risolti, non solo per
respingere gli attacchi degli oppositori, ma anche nel tentativo di trovare una
spiegazione che sia fedelmente consona all'insegnamento della Chiesa, particolarmente
con la dottrina tradizionale dell'infallibilità della Scrittura, pur restando allo stesso tempo
debitamente in conformità con le conclusioni certe della scienza profana (2).
Conclusioni dalle citazioni
La prima conclusione da trarsi è che né il Papa, né alcuna delle Congregazioni che
parlarono in suo nome hanno mai fatto una dichiarazione che si possa interpretare che
permetta di trattare quelle parti della Sacra Scrittura «riguardanti materie di ordine
storico o fisico come "obiter dicta" e che non abbiano nessuna relazione con la fede».
La seconda conclusione è che le parole di Sant'Agostino, incorporate nell'Enciclica
Providentissimus Deus, tanto spesso citate malamente devono essere interpretate alla
luce delle dichiarazioni ben definite sia di Papa Leone XIII che di Papa Pio XII, che
l'ispirazione nella Bibbia si estende alle materie che riguardano l'ordine fisico e storico.
Il contesto nel quale le parole di Sant'Agostino sono citate rende ciò evidente. I critici
nemici mettevano in ridicolo la semplice narrazione Mosaica della creazione perché essa
non dava i particolari scoperti dalla scienza moderna. Il Papa Leone XIII inserì la
citazione da Sant'Agostino per dimostrare che non è scopo della Sacra Scrittura
d'insegnare agli uomini l'intima costituzione delle cose visibili; ma allo stesso tempo
pose in chiaro che nessun cattolico è libero di considerare quella parte del racconto
Mosaico che riguarda le materie di ordine fisico e storico come puramente "obiter
dicta".
Ora che la scienza moderna ha provato in modo conclusivo che la teoria di Laplace è
scientificamente impossibile, e che si può difendere il l'acconto Mosaico, nessuno può
accusare la Santa Sede d'aver accettato per conclusione scientifica ciò ch'era puramente
una teoria e di aver cambiato l'interpretazione della Sacra Scrittura per adattarla a questa
conclusione.
La dichiarazione di S. Agostino riportata nell'Enciclica Providentissimus Deus che "lo
Spirito Santo (che ispirò gli scrittori sacri) non intese insegnare agli uomini la intima
costituzione delle cose visibili; e la dichiarazione della stessa Enciclica, riportata nella
Divino Afflante Spiritu del Papa Pio XII, che condanna "coloro che limitano la verità
della Sacra Scrittura a questioni di vede e di morale, e considerano ciò che riguarda le
materie di ordine fisico e storico come obiter dicta senza nessun rapporto con la fede",
non sono contradditore.
La prima dichiarazione può intendersi che significhi che non dobbiamo rivolgerci alla
Sacra Scrittura per la conoscenza di cose, come la composizione chimica del sole o la
durata dei periodi geologici; mentre la seconda dichiarazione indica che la narrazione
della creazione che trovasi nella Bibbia, espressa in termini comunemente usati al tempo
di Mosè, corrisponde alla realtà.
Speciale rivelazione sull'origine del mondo e dell'uomo
I decreti del Concilio di Trento e del Vaticano I dichiarano che i libri del Vecchio e del
Nuovo Testamento "contengono la rivelazione senza errore", che "furono scritti sotto
l'ispirazione dello Spirito Santo e che hanno Dio come autore"; i brani delle due
encicliche, or ora citati, ci obbligano ad accettare come vero e come corrispondente alla
realtà oggettiva non solo tutto ciò che nella Bibbia riguarda la fede e la morale, ma
anche ciò che riguarda l'ordine fisico e storico.
Nei primi capitoli del Genesi sono narrate cose dell'ordine fisico la cui conoscenza
Mosè non poteva aver acquistato da fonti naturali. Il suo racconto della creazione è
completamente dettagliato e definito. L'ordine è questo: Dio prima creò il cielo e la
terra; poi creò la luce; poi divise le acque; poi fece apparire la terra asciutta e radunò le
acque nei mari; poi creò le piante del regno vegetale; poi formò il sole e le stelle; poi
creò i pesci, gli uccelli e gli animali nell'ordine dato; e per ultimo creò l'uomo.
L'opinione tradizionale sia prima che dopo Cristo, era che la narrazione Mosaica
corrispondeva alla realtà, il che suppone ch'egli dovette ricevere la sua conoscenza dalla
rivelazione. La narrazione Babilonese della creazione praticamente non dà nessun
particolare, e quindi non poteva essergli di nessun aiuto.
Quando la scienza geologica rivelò l'ordine della creazione, si poté vedere che l'ordine
Mosaico, per quanto riguardava la geologia, era accurato; ma che si sarebbe dovuto
cambiare l'interpretazione comune della parola giorno. C'erano però delle difficoltà,
senza risposta, contro l'ordine Mosaico da parte dell'astronomia: come poteva esserci
luce e vegetazione prima della creazione del sole? Allora venne la teoria di Laplace che
ignorò la narrazione Mosaica, e la teoria dell'evoluzione che rigettò la creazione
speciale.
La maggior parte dei commentatori cattolici aderivano all’opinione che la narrazione
Mosaica rappresentava la realtà oggettiva e spiegarono le difficoltà come poterono.
Tuttavia commentatori come il canonico Dorlodot dell'Università di Lovanio, i quali
avevano accettato la teoria dell'evoluzione, ricorsero alla dichiarazione di S. Agostino,
"che lo Spirito Santo (che ispirò gli scrittori sacri) non intese insegnare agli uomini la
natura dell’universo visibile", per giustificare la loro opinione che non dobbiamo cercare
nella Bibbia informazioni sull'ordine della creazione, od anche sull'origine del corpo
dell'uomo, e si riferirono al "concordismo" come se fosse un errore condannato dalla
Chiesa.
Finalmente arrivò la scienza dei nostri giorni, questa volta non con teorie ma con
conclusioni scientifiche, che ci misero in grado di difendere tutta la narrazione Mosaica
nell'ordine datoci da Mosè. La teoria di Laplace se n'è andata per sempre; la nostra terra
non fece mai parte del sole; "Sia la luce" si riferisce alla creazione delle nebulose
infuocate, sorgente del sole; la terra prima era piatta, senza montagne e ricoperta
d'acqua; la terra fu formata prima del sole; il resto dell'ordine Mosaico della creazione è
confermato da ciò che la geologia ci ha rivelato; l’argomento laboriosamente fabbricato
dalla paleontologia contro la speciale creazione dell'uomo è crollato.
Per spiegare come Mosè abbia potuto scrivere un racconto della creazione
immensamente superiore, non solo dal punto di vista religioso ma anche scientifico, a
tutte le narrazioni delle dotte nazioni pagane, e perfino alle narrazioni avanzate negli
ultimi cento anni per sostituirlo, dobbiamo ritornare all'opinione che Mosè non solo fu
ispirato dallo Spirito Santo affinché la sua narrazione non contenesse errori contro la
fede e la morale, ma ch'egli inoltre ricevette dalla rivelazione sufficiente informazione
circa i fatti della creazione, per rendere il racconto degno del suo Autore, lo Spirito
Santo, e per meritare il rispetto dei veri scienziati di tutti i secoli.
Per spiegare la posizione ferma dei Papi sull'infallibilità della Sacra Scrittura, perfino su
questioni d'ordine fisico, contro obiezioni formidabili, dobbiamo ricorrere alla dottrina
dell'infallibilità Papale.
Mentre non dobbiamo ricercare nella Bibbia delle informazioni "circa la natura
essenziale dell'universo visibile", è ragionevole pensare che Mosè abbia ricevuto da Dio
sufficiente informazione circa i fatti della creazione per proteggerlo da erronee
asserzioni in un racconto della creazione, che ha come autore lo Spirito Santo.
Sono stati registrati alcuni autentici casi di visioni e private rivelazioni, in cui furono
date informazioni su fatti d'ordine fisico, impossibili ad aversi da qualsiasi fonte
naturale.
Se dunque, in una questione di visioni o rivelazioni private, troviamo che fu fornita
un'informazione d'ordine fisico per rendere il racconto vero ed accurato, perché non
dovremmo "a fortiori" aspettarci di trovare proprio nella prima pagina della Bibbia una
narrazione conforme ai fatti reali, anche se ciò implica una rivelazione di fatti d'ordine
fisico?
Cap. I - Il primo giorno della Creazione
Ai nostri giorni la scienza dell'astronomia ha fatto un grande progresso, dovuto
largamente all'impianto di giganteschi telescopi sul Monte Wilson e Palomar in
America, e a Jodrell Bank in Inghilterra. Fred Hoyle in "La natura dell'universo" dice:
«Proprio come un fuoco ardente paragonato a una candela da due soldi, tale è il
progresso d'osservazione conseguito nelle ultime decine d'anni, paragonato al passato».
In particolare, la teoria di Laplace (che la nostra terra in origine faceva parte del sole) la
quale, per più di un secolo, fu considerata quasi come un fatto stabilito, e fu usata per
interpretare (o meglio contraddire) la narrazione Mosaica della creazione è stata
dimostrata scientificamente impossibile. Sembra però che di questo fatto non si sia
tenuto conto in certi libri recenti sui primi capitoli del Genesi nei quali troviamo che la
teoria di Laplace è ancora considerata come una ipotesi possibile.
La teoria che in origine la terra faceva parte del sole fu dapprima proposta
dall'astronomo francese marchese Pierre Simon de Laplace, nel 1796. Questa teoria di
Laplace non si deve confondere con la teoria della Nebulosa; fu solo una sua
applicazione che fu provata falsa. La teoria della Nebulosa fu per la prima volta esposta
da Sir Isaac Newton in una lettera a Bentley scritta nel 1692, in cui egli dice:
«Se la materia del nostro sole, dei pianeti, e tutta la materia dell'universo fosse sparsa in
modo uguale attraverso i cieli, e se ogni particella avesse una gravità innata verso il
resto, e l'intero spazio in cui la materia è sparsa fosse limitato, allora la materia al di
fuori dello spazio tenderebbe verso la materia dell'interno, e si formerebbe una grande
massa sferica.
«Ma se la materia fosse egualmente disposta in uno spazio infinito, non si unirebbe mai
in una sola massa, ma una parte si unirebbe in una massa, e l'altra in un'altra, e
formerebbe un numero infinito di grandi masse, sparse a grandi distanze l'una dall'altra,
nello spazio infinito. E in questo modo potrebbero essersi formati il sole e le stelle fisse,
supponendo che la materia fosse di natura lucida» (3).
Nel 1755 Kant tentò di sviluppare la teoria di Newton, ma erroneamente suppose che gli
atomi riunendosi generassero un movimento rotatorio.
Laplace evitò l'errore di Kant, e suppose l'esistenza di nebulose dotate di movimento
rotatorio; ma cadde in un altro errore usando questa teoria per spiegare l'origine della
terra e dei pianeti. Secondo la sua teoria, il sole prima era una grande massa di nebulose
roteanti nello spazio che si condensavano gradualmente. Nel processo di condensazione,
parte della materia intorno alla regione equatoriale non riuscì a mantenere il contatto con
la massa, e fu lanciata dalla forza centrifuga nello spazio: da questa massa si formarono
la terra e li pianeti. Questa teoria fu modificata nel nostro secolo perché si scoprì che la
forza centrifuga non riuscirebbe a lanciare le enormi masse a un centesimo della
distanza a cui la terra e i pianeti si trovano dal sole. La teoria modificata fu proposta da
due americani, Moulton e Chamberlain, e successivamente corretta da due inglesi,
Jeffreys e Jeans.
La teoria corretta suppone che una gigantesca stella sia passata vicino al sole e, per
forza d'attrazione, abbia strappato da esso delle enormi masse, e le abbia portate a
distanze diverse dove, riprese dall'attrazione del sole, cominciarono a roteargli intorno
(4).
Tutte e due le teorie, quella di Laplace e quest'ultima, sono basate sulla scoperta fatta
per mezzo dello spettroscopio, che la maggior parte degli elementi chimici della terra si
trovano nel sole. Infatti 61 dei 92 elementi chimici trovati nella composizione della
nostra terra sono stati identificati nel sole; i rimanenti 31 non sono stati identificati in
esso, almeno per il momento.
Ora, un esame più moderno, fatto con strumenti perfezionati, ha dimostrato che,
sebbene 61 degli elementi siano comuni al sole e alla terra, essi non si trovano nella
stessa proporzione. Questi 61 elementi comuni alla terra e al sole si trovano nel sole in
una forma così diluita che costituiscono solo l'1 per cento della massa solare.
In The Nature of the Universe (pag. 72 e 73) Hoyle scrive: «Eccetto l'idrogeno e l'elio
(gli elementi dominanti nel sole) tutti gli altri elementi sono estremamente scarsi in tutto
l'universo. Nel sole essi raggiungono solamente l'1% della massa totale.
Confrontiamo questo con la terra e gli altri pianeti dove l'idrogeno e l'elio danno solo
circa il medesimo contributo come gli atomi altamente complessi, quali il ferro, il
silicon, il magnesio e l'alluminio. Questo confronto mette in evidenza due fatti
importanti. Anzitutto che la materia strappata dal sole non sarebbe adatta alla
formazione dei pianeti come noi li conosciamo. La composizione sarebbe del tutto
sbagliata. Il secondo punto è che il sole sarebbe normale, e la terra un'anormalità. Il gas
interstellare e la maggior parte delle stelle sono formate da una sostanza uguale a quella
del sole, non a quella della terra». E' quindi assolutamente certo che la nostra terra non
fece mai parte del sole, e che la teoria di Laplace e le sue modificazioni sono
scientificamente impossibili.
Un'ulteriore teoria, priva di probabilità, è stata avanzata al posto di queste. Questa teoria
dice che il sole originariamente faceva parte di un sistema duale, e che la seconda stella
scoppiò portando via la materia più leggera nello spazio, lasciando dietro a sé gli
elementi più pesanti. Ora perché formulare una tale teoria, o meglio, perché mai si è
considerata così sul serio la teoria di Laplace per spiegare l'ordine meraviglioso e
l'armonia del sistema solare, con i suoi nove pianeti e le sue trentuno lune?
Senza dubbio tale ordine e tale armonia richiedono l'intervento di un Dio Onnipotente,
ed ora che la teoria di Laplace è stana confutata, perché dovremmo noi accettare un'altra
teoria la quale suppone che Dio abbia creato o formato un altro sole più grande del
nostro, solo per farlo scoppiare e gettarne una parte nello spazio e usare il resto per
formare la nostra terra e i pianeti? E' vero che alcuni astronomi moderni credono che di
tali esplosioni ne siano avvenute nel passato, ma non c'è nessuna prova che una cosa,
come il nostro complesso sistema solare, si sia formato dai rottami.
Mettendo da parte questa fantastica teoria, serviamoci della conclusione scientifica
provata, che la terra non fece mai parte del sole, per spiegare i versetti iniziali del
Genesi.
Origine dell'universo
Gen. 1, 1. «In principio Dio creò il cielo e la terra. 2. Ma la terra era disadorna e deserta,
c'erano tenebre sulla superficie dell'abisso; e lo Spirito di Dio aleggiava sulla superficie
delle acque. Dio disse: Vi sia luce. E vi fu luce».
La scoperta che la terra non fece mai parte del sole, rende possibile la spiegazione del
racconto Mosaico tale quale è, senza forzarne il testo.
Possiamo incominciare col rigettare la spiegazione dataci da alcuni esegeti moderni,
come P. Charles Hauret, che i primi due versetti sono semplicemente un preambolo che
dà un sommario del lavoro della creazione. La narrazione Mosaica dice: «In principio
Dio creò il cielo e la terra». La maggior parte dei teologi ritengono probabile l'opinione
che, in questo primo versetto, la parola cielo si riferisca al cielo dei beati, e che nella
creazione del cielo sia comparsa la creazione degli angeli. Nei primi tre capitoli del
Genesi, che danno il racconto della creazione, si accenna ad angeli buoni e cattivi.
Sarebbe strano se non ci fosse nessun accenno al paradiso e agli angeli in una narrazione
ispirata della creazione.
Poi la narrazione Mosaica dice che Dio creò la terra e che essa era disadorna, deserta e
nelle tenebre. Se ci atteniamo al racconto Mosaico, la terra può qui solo riferirsi alla
terra stessa e ai pianeti, che sono formati di una materia simile, e sono masse oscure.
Tutte le sostanze sulla terra, capaci di produrre calore e luce, sono il risultato della
vegetazione che assorbe e trattiene l'energia del sole. Nel racconto Mosaico, la
vegetazione non fu creata che al terzo giorno, perciò la terra, alla sua creazione, non solo
era in oscurità, ma non possedeva niente capace di produrre luce.
Ora non c'è nessuna ragione intrinseca per supporre che tutta la materia dell'universo sia
stata creata simultaneamente. Perciò non c'è alcun motivo scientifico per negare o
alterare la narrazione Mosaica che dice, che la terra apparve per prima nel tempo.
Gli atei suppongono un universo che si è sviluppato ciecamente da una materia eterna
senza alcun intervento divino. Tuttavia la scienza moderna ha dimostrato che le sostanze
attuali, che formano l'universo, devono aver avuto un principio. Molti non cattolici,
specialmente gli evoluzionisti, limitano l'intervento di Dio ad un solo atto iniziale; ma i
cattolici sanno, o dovrebbero sapere, che c'è un costante intervento divino; che
l'intervento divino è necessario per conservare l'universo, che fu necessario per la
creazione della vita vegetale e sensitiva, per la creazione di ciascun'anima umana; che ci
fu uno speciale intervento nell'Incarnazione e Redenzione, e nei miracoli sia del Vecchio
che del Nuovo Testamento.
Che la creazione della terra, che doveva essere la scena dell'Incarnazione e della
Redenzione, sia dovuta ad uno speciale intervento divino, come dice Mosè, dovrebbe
considerarsi come convenientissimo.
La creazione della materia del sole e delle stelle
L'accenno all'oscurità che copriva la terra ci prepara alla dichiarazione: «Dio disse: vi
sia luce. E vi fu luce». Per l'interpretazione di questo versetto riporterò prima
l'osservazione dello scienziato Sir Bertram Windle, fatta al principio di questo secolo, e
poi la dichiarazione di Sua Santità Pio XII, la quale contiene le ultime scoperte della
scienza.
Commentando questo versetto in The Church and Science, Sir Bertram Windle dice:
«In primo luogo si può osservare, una volta ancora, che tutto il racconto della Creazione
si concentra su questa nostra terra, e che non è necessario né ragionevole, esigere che
contenga una narrazione minuta dell'universo e della sua formazione. La frase che
riguarda l'oscurità, nel versetto precedente, si riferisce senza dubbio alla condizione
della terra. Sembra che si possa dire lo stesso della frase che riguarda la luce, la quale
asserisce che la prossima fase fu l'introduzione della luce sulla terra prima oscura, il che
accadrebbe quando fosse avvenuta una condensazione e precipitazione dei densi vapori
che circondavano la terra.
«Ma da dove veniva questa luce, giacché ci fu detto che il sole, la luna e le stelle ancora
non esistevano? Questo è un fatto straordinario che dimostra, in maniera sorprendente ed
inattesa l'esattezza della narrazione Biblica. Al tempo in cui fu scritto, e per molte
centinaia di secoli dopo, non si sapeva niente della teoria della Nebulosa, e si sarebbe
potuto dire ch'era ovviamente assurdo supporre che la luce potesse esistere prima
dell'esistenza di quei corpi da cui noi ora la riceviamo.
La teoria della Nebulosa, tuttavia, spiega questa difficoltà poiché dimostra che il nostro
sistema solare, del quale solo s'interessa il racconto biblico, al tempo in questione, era
formato da masse rotanti di sostanza nebulosa ancora imperfettamente condensate. Nel
caso del sole, a cagione della sua dimensione, la condensazione impiegherebbe più
tempo che nel caso della terra. Sarebbe ancora inesatto parlare d'esso come di un Isole,
ma era una sorgente di luce, come lo erano tutte le altre masse nebulose che potevano
esistere.
E' certamente notevole, che fin qui, il racconto biblico e quello della scienza non
presentino alcun contrasto. E' ciò che noi, che crediamo nella rivelazione, ci aspettiamo.
Il Santo Padre Pio XII, diede la stessa spiegazione del versetto: «Dio disse: vi sia luce e
la luce fu», in un discorso che fece all'Accademia Pontificia delle Scienze il 22
Novembre 1951, da cui riportiamo il seguente:
«Con lo stesso sguardo chiaro e critico, con cui la mente esamina e dà il giudizio sui
fatti, essa percepisce e riconosce l'opera dell'onnipotenza creatrice, il cui potere messo in
moto dal potente «Fiat», pronunciato migliaia di milioni d'anni fa dallo Spirito
Creatore... chiamò in esistenza, con un gesto d'amore generoso, la materia scoppiante
d'energia. Infatti sembrerebbe che la scienza moderna con sorprendente progresso
attraverso milioni di secoli, sia riuscita ad attestare quel primordiale «Fiat lux» (Vi sia
luce) pronunciato al momento quando, assieme alla materia, traboccò improvvisamente
dal nulla un mare di luce e di radiazione, mentre particelle di elementi chimici si
separavano e formavano milioni di galassie».
Il Santo Padre, nello stesso discorso fatto all'Accademia Pontificia delle Scienze,
commenta le parole: «In principio», come segue: «L'esame delle varie nebulose spirali,
specialmente come eseguito da Edwin U. Hubble nell'osservatorio di Mount Wilson, ha
condotto alla significativa conclusione, "presentata con dovuta riserva" (5), che questi
distanti sistemi di costellazioni tendono ad allontanarsi l'uno dall'altro con tanta velocità,
che nello spazio di 1.300 milioni d'anni la distanza fra tali nebulose spirali è raddoppiata.
Se esaminiamo il tempo richiesto nel passato per questo processo di espansione dell'
universo risulta che, da uno a dieci migliaia di milioni d'anni fa, la materia delle
nebulose spirali era compressa in uno spazio relativamente ristretto al tempo in cui i
processi cosmici ebbero inizio».
Il Santo Padre quindi fa notare che si dovrebbe imparare, da questa straordinaria
rivendicazione del racconto Biblico della creazione nel tempo, a concepire un grande
rispetto e stima per le Sacre Scritture:
«Sebbene queste cifre sembrino sorprendenti - continua - nondimeno, anche al più
semplice dei fedeli, esse non recano nessun concetto nuovo o differente da quello ch'essi
hanno imparato dalle prime parole del Genesi: «In principio» vale a dire, al principio
delle cose nel tempo. Le cifre che abbiamo citato rivestono queste parole in
un'espressione concreta e quasi matematica, mentre da esse deriva una nuova sorgente di
consolazione per coloro che condividono la stima dell'Apostolo per quella Sacra
Scrittura divinamente ispirata, che è sempre utile per insegnare, censurare, correggere e
istruire (2Tm 3, 16).
Questa interpretazione del racconto Mosaico della creazione del cielo e della terra, e
specialmente del verso, «Dio disse: Vi sia la luce», che ha l'approvazione di Sua Santità
Pio XII, si conforma alle direttive della Santa Sede per l'interpretazione dei primi tre
capitoli del Genesi, date dalla Commissione Biblica il 30 giugno 1909. La Commissione
rispose alle seguenti domande:
2. «Se malgrado il carattere e la forma storica del libro del Genesi, malgrado la
stretta connessione dei primi tre capitoli tra di essi, e con quelli che seguono,
malgrado la molteplice testimonianza delle Scritture nel Vecchio e nel Nuovo
Testamento, la quasi unanime opinione dei Padri, e il punto di vista tradizionale
che (trasmessa anche dal popolo Ebreo) è stato sempre ritenuto dalla Chiesa possiamo insegnare che i tre suddetti capitoli non contengono il racconto di cose
che accaddero realmente, un racconto che corrisponde alla verità oggettiva e
storica.
Risposta: Negativa.
(b) Se possiamo insegnare che questi capitoli contengono favole derivate da
mitologie e cosmologie, ma purificate da ogni errore politeistico e adattate alla
dottrina monoteistica dall'autore sacro, o che essi contengono allegorie e simboli
privi d'ogni fondamento nella realtà oggettiva; ma presentati sotto la veste storica
allo scopo d'inculcare una verità religiosa o filosofica; o infine ch'essi contengono
leggende in parte storiche e in parte fittizie, liberamente manipolate per
l'istruzione e l' edificazione delle anime:
Risposta: Negativa.
5. Se tutte, e ciascuna delle parti, vale a dire le singole parole e frasi in questi
capitoli, devono sempre e necessariamente, essere interpretate nel senso letterale
di modo che non sia mai lecito allontanarsene, anche quando delle espressioni
sono manifestamente usate in senso figurato, ossia metaforicamente o in senso
antropomorfico e quando la ragione proibisce di attenersi, o necessità costringe ad
allontanarsi dal senso letterale.
Risposta: Negativa.
8. Se la parola "Yom" (giorno) usata nel primo capitolo del Genesi per descrivere
e distinguere i sei giorni si possa prendere nel senso stretto di giorno naturale, o
nel senso meno stretto di un certo spazio di tempo; e se sia permessa agli interpreti
la libera discussione.
Risposta: Affermativa.
A dir vero, troviamo la parola "giorno" usata frequentemente nella Scrittura ed anche
nell'ordinaria conversazione, nel significato meno stretto. Leggiamo in Giobbe: «Sono i
tuoi giorni come i giorni dell'uomo, e i tuoi anni come il tempo degli uomini?» (Gb. 10,
5); e nella seconda epistola di San Pietro: «Un giorno presso il Signore è come mille
anni, e mille anni come un giorno». Allo stesso tempo è notevole che si faccia
particolare menzione, nelle risposte della Commissione Biblica, all'interpretazione della
parola «giorno » mentre non c'è nessuna specifica allusione ad altre difficoltà, come a
quella della luce prima del sale.
Infine alcuni moderni scrittori francesi osservano che esisteva un racconto Babilonese
della creazione centinaia d'anni prima che fosse scritto il racconto Mosaico che gli
assomiglia e potrebbe derivare da esso.
E' vero che c'è un racconto Babilonese (il quale non fu messo in iscritto fino a 5.000
anni dopo il Diluvio), che è più antico di quello Mosaico e che ha qualche
rassomiglianza; ma le differenze fra le due narrazioni, a parte anche l'impostazione
religiosa, sono così grandi che il racconto Mosaico non poteva derivare da quello
Babilonese.
In primo luogo questa non è affatto una difficoltà moderna. Una versione Babilonese
della Creazione e del Diluvio fu pubblicata da George Smith nel 1876. I membri della
Commissione Biblica sapevano dell'esistenza di quella versione quando pubblicarono il
loro decreto nel 1909 dicendo, che non è permesso insegnare che i primi capitoli del
Genesi «contengono favole derivate da mitologie e cosmologie appartenenti ad altre
nazioni, purificate da ogni errore politeistico e adattate alla dottrina monoteistica
dall'autore sacro».
Il racconto Babilonese che ci è stato trasmesso è relativamente recente nella storia
Babilonese; non risale neppure all'epoca di Abramo, perché fu scritto verso il 1850
prima di Cristo, prima della fine della prima Dinastia. E' un racconto molto confuso e
incompleto. Esso dice che prima della creazione, ci fu una guerra fra Marduc, il Creatore
e Tiamat, la femmina principio del male, e che quando essa fu sconfitta, Marduc creò il
sole, la luna e le stelle. Non parla della creazione delle piante e degli animali, e non è
possibile conciliare questa versione della creazione con le scoperte della scienza
moderna.
E' probabile che una rivelazione dell'origine del mondo, e di tutto ciò che contiene, sia
stata fatta ad Adamo, e conservata dai discendenti di Seth fino al tempo di Noè, e dai
discendenti di Noè fino al tempo di Abramo, e da lui trasmessa ai suoi discendenti.
E' stato dimostrato, dalle più recenti scoperte, che il racconto Mosaico scritto, anche per
i tempi moderni, anzi più ancora per i tempi moderni che per l'epoca di Mosè, va così
d'accordo con la scienza moderna, che noi abbiamo ragione di dedurre che Mosè non
solo fu guidato dall'ispirazione e preservato da ogni errore dottrinale quando lo scrisse,
ma che ebbe una speciale rivelazione.
Cap. II - Il secondo giorno
Genesi, 1, 6: «Dio disse: vi sia un firmamento in mezzo alle acque: e separi le acque
dalle acque».
7: «Dio fece il firmamento, e separò le acque che sono sotto il firmamento, dalle acque
che sono sopra il firmamento.
8: Dio chiamò cielo il firmamento... Poi venne sera, poi venne mattina: un secondo
giorno.
9: «Dio disse: Le acque che sono sotto il cielo, si ammassino in una sola massa, e appaia
l'asciutto. E così avvenne.
10: «E Dio chiamò Terra l'asciutto e chiamò Mare la massa delle acque. E Dio vide che
ciò era buono».
L'opera del secondo giorno fu quella di dividere in due parti tutta l'acqua che si trovava
sulla nostra terra, sia negli oceani, laghi e fiumi, sia nelle nubi: la parte che rimase sulla
terra, e la parte che salì e formò le nubi. Ci fu un'altra divisione nel terzo giorno: la
divisione della terra in terraferma e acqua.
Questo racconto Biblico suppone che le acque, ora negli oceani, e le nubi fossero
originariamente assieme sulla superficie della terra, prima che fosse fatta la divisione.
Ciò accadrebbe solo se tutta l'acqua fosse in forma di vapore sospeso come un mantello
sopra la terra.
Il racconto Biblico afferma: 1) che l'acqua era divisa; 2) che parte rimase sulla
superficie della terra, e parte salì in forma di nubi; 3) che tutta la superficie della terra
era coperta d'acque (il che richiedeva che a quel tempo non ci fossero montagne); 4) che
il lavoro di divisione continuò fino al terzo giorno quando l'acqua fu riunita in mari e
comparve la terraferma.
Ora questo racconto Mosaico, semplice quale sembra, è completamente dettagliato, e
tutti i particolari sono pienamente confermati dalle scoperte della scienza moderna. E'
straordinario che una descrizione così accurata della prima storia della nostra terra ci sia
stata data da Mosè, ad un tempo quando la superficie della terra era esattamente come al
giorno d'oggi, con le sue montagne ed i suoi oceani profondi. Tale descrizione non
poteva essere stata congetturata a quell'epoca, e perfino al giorno d'oggi, sarebbe
necessaria una profonda conoscenza della scienza moderna per fare una narrazione così
esatta.
Ciò che la scienza moderna dice sulle condizioni originarie della terra
Abbiamo veduto che la teoria di Laplace, che la terra era una volta una massa infuocata
lanciata fuori del sole, non gode più credito. L'altra teoria, che l'interno della terra è una
massa di materia fusa che occasionalmente erutta, e che solo la crosta della terra si è
condensata, è stata anche abbandonata. La scienza moderna è riuscita a trovare il modo
di misurare il peso e la densità della nostra terra per mezzo delle leggi di Newton e con
le indagini sulla velocità di propagazione delle onde elastiche provocate dai terremoti. E'
riuscita a provare che la densità dell'interno della terra è parecchie volte maggiore di
quella della superficie.
David Dietz nella "Storia della Scienza" (pag. 32) dice che la vecchia idea (basata sulla
teoria di Laplace), che la terra aveva un interno fuso è stata abbandonata per la ragione
che la terra, in complesso, ha una densità cinque volte e mezzo superiore a quella
dell'acqua. Le rocce della superficie hanno solo due volte e tre quarti la densità
dell'acqua, di modo che l'interno della terra deve essere due volte più denso e pesante
delle rocce della superficie.
Infatti la densità media della terra risulta di kg. 5,5 per decimetro cubo, mentre la
densità media della crosta terrestre è inferiore ai kg. 3 per dmc. La temperatura, che si
suppone provenga dall'energia sprigionata dalla disintegrazione delle sostanze
radioattive della crosta terrestre, aumenta con la profondità, benché non a ritmo costante.
A 60 km. di profondità raggiunge i 1000°, tale da fondere ogni tipo di materiale
conosciuto. Al centro della terra la temperatura raggiungerebbe i 4000°. Tuttavia
l'altissima pressione impedirebbe lo stato fluido, mantenendo il materiale in uno stato di
aggregazione simile per viscosità a quello del vetro. La densità sarebbe di kg. 5 per dmc.
alla profondità di 900 km., di kg. 7 fino a 2900 km. e di kg. 9-12 nel nucleo centrale.
I geologi sono ora d'accordo che le eruzioni vulcaniche sono solo disturbi della
superficie, a una profondità di circa 15 chilometri.
Sebbene gli scienziati siano riusciti a calcolare il peso e la densità dell'interno della
terra, essi sono riusciti solo ad esaminarne la superficie. Comunque, essi hanno stabilito
che la superficie della terra fu sottoposta a un calore intenso. Abbiamo veduto che gli
astronomi ora riguardano come praticamente certo che la materia di cui il sole è formato
era originariamente sparsa su uno spazio immenso, e che roteava condensandosi
gradualmente. La terra doveva trovarsi in quello spazio immersa nelle nebulose: ciò
spiegherebbe le tracce di fuoco sulla superficie della terra, e il fatto che l'acqua nei nostri
oceani era una volta in forma di vapore sospeso sulla terra. Inoltre gli scienziati hanno
stabilito che 61 dei 92 elementi chimici trovati sulla superficie della terra si trovano
anche nel sole. Questi elementi comuni al sole e alla terra sono principalmente i metalli,
e formano solo una piccola proporzione della superficie della terra. E' almeno un'ipotesi
possibile che questi elementi siano stati condensati dalle nebulose nelle quali la terra era
immersa, e depositati sulla superficie della terra prima che le nebulose retrocedessero a
formare il sole. Questa ipotesi spiegherebbe la presenza di un certo numero degli
elementi sulla superficie della terra trovati nel sole, e spiegherebbe la lussureggiante
vegetazione che esisteva ai poli nelle età passate.
In secondo luogo i geologi hanno stabilito con certezza che originariamente non c'erano
montagne sulla terra, e che la terra era completamente coperta d'acqua. Se i lettori
consultano le tabelle geologiche, in qualsiasi lavoro di geologia, essi troveranno che
anche dopo la comparsa della terraferma, la superficie della terra era alternativamente
sommersa e rialzata, e che quelle che sono ora alte montagne erano una volta sott'acqua.
I geologi sono riusciti a collocare nell'esatto periodo geologico la formazione di tutte le
grandi catene di montagne del mondo. Essi dicono che la formazione delle montagne
non cominciò fino al periodo carbonifero, quando si formarono i depositi di carbone; che
le montagne Rocky del Nord America, e le Ande del Sud America si formarono nel
periodo Cretaceo, e che le Alpi e l'Himalaya non si formarono fino al periodo Terziario.
La scienza moderna e la Bibbia sono perciò d'accordo nell'affermare: 1) che tutte le
acque degli oceani e delle nubi una volta erano unite, cioè formavano un'immensa cappa
di vapore sospesa sulla superficie della terra; 2) che esse si separarono, parte mutandosi
in acqua e coprendo tutta la superficie della terra e parte si ritirò dalla terra formando le
nubi; 3) che la superficie della terra era piana e che non c'erano montagne.
Che cosa significhi la parola "firmamento"
Si può francamente ammettere che il significato della parola è alquanto oscuro; la
lingua ebraica, ed altre lingue orientali, come quella Cinese, sono povere di parole
astratte. Dobbiamo esaminare il contesto per trovarne il significato. Una buona
spiegazione ci è data nella nota del versetto sei, Capitolo primo del Genesi, nella
versione della Bibbia di Douai, una spiegazione ch'è stata accettata e citata dal
Professore Windle in The Church and Science. "Firmamento": con questa parola si
intende qui tutto lo spazio fra la terra e le stelle più alte, la parte più bassa del quale
divide le acque che sono sulla terra da quelle che sono al di sopra nelle nubi».
Una spiegazione molto differente è data da alcuni scrittori moderni come P. Charles
Hauret, secondo il quale per "firmamento" Mosè avrebbe inteso una solida struttura
sopra la terra sostenuta alle estremità da delle colonne, e che in cima a questa struttura ci
sarebbe stata una provvista d'acqua, che per mezzo di saracinesche verrebbe lasciata
cadere sulla terra in forma di pioggia.
In primo luogo dobbiamo notare che il racconto Mosaico della separazione delle acque
sulla superficie della terra in due parti, la parte che rimase sulla terra e quella che formò
le nubi, e l'ulteriore raccolta dell'acqua sulla superficie della terra in oceani, è
straordinariamente accurato. La questione di quale sia il significato ch'egli diede alla
parola "firmamento", è solo un particolare. La teoria, che per "firmamento" Mosè intese
una struttura solida, è assurda, e non è affatto una spiegazione moderna. E' basata sulla
falsa supposizione che il racconto Mosaico della creazione non corrisponda alla realtà,
ma esponga semplicemente la rozza nozione del suo tempo. Ma le nozioni di quei tempi
non erano poi così rozze come alcuni scrittori moderni le presentano.
Gli astronomi di quel tempo sapevano molte cose a riguardo dei cieli. E' vero, ch'essi
non avevano telescopi, ma facevano le loro osservazioni per mezzo di tubi cavi, puntati
verso i corpi celesti e fissati in modo che quando un pianeta o una stella si muoveva, il
movimento era reso manifesto, perché il tubo non era più puntato sul pianeta. Gli
abitanti dell'America Centrale e dell'America del Sud avevano un esatto calendario
solare con la correzione Gregoriana, centinaia d'anni prima di Cristo. Mosè naturalmente
aveva veduto l'acqua a bollire e il vapore a salire; egli sapeva che l'acqua evapora sotto
l'influenza del calore, e sale alle nubi, sapeva che le nubi non richiedono sostegno,
ch'esse sono mobili e sospinte dai venti, e che quando piove l'acqua viene dalle nubi.
Egli sapeva inoltre che i corpi celesti non sono fissi ed immobili, poiché i pianeti
ricevettero dagli antichi il nome di "vaganti" e che le varie costellazioni hanno le loro
stagioni per sorgere e tramontare. La definizione dunque di "Firmamento", come di una
struttura stabile sostenuta da delle colonne, non ha fondamento.
Questa spiegazione della parola "firmamento" fu probabilmente suggerita dal
linguaggio usato da Mosè per descrivere il diluvio. Nel capitolo sesto, versetto 11, egli
dice: «Tutte le fontane del grande abisso furono rotte e le chiuse del cielo spezzate. E la
pioggia cadde sulla terra per quaranta giorni e quaranta notti». Il "grande abisso"
evidentemente si riferisce all'oceano, cosicché nel racconto Mosaico il diluvio non fu
causato solo dalla pioggia, ma anche dall'acqua dell'oceano che invase la terra.
L'apertura delle chiuse del cielo è soltanto un linguaggio figurato per indicare che
pioveva strabocchevolmente. Si può osservare di passaggio che la descrizione Mosaica
del diluvio come di una tremenda catastrofe causata, non solo da piogge torrenziali, ma
anche da una inondazione del mare rende insostenibili le teorie di alcuni scrittori
moderni' che il diluvio fu semplicemente un fenomeno locale, come le inondazioni che
avvengono periodicamente in Cina e in altri paesi, quando dei grandi fiumi straripano.
Mentre, in tutte le inondazioni di cui abbiamo notizia, eccetto il diluvio, la distruzione di
beni materiali è considerevole e le vittime umane sono relativamente poche, nel diluvio
tutta la popolazione fu distrutta eccetto Noè e la sua famiglia. Nostro Signore, usando il
diluvio come un esèmpio per descrivere la distruzione che avverrà alla fine del mondo,
conferma l'opinione che il diluvio fu un disastro di immensa grandezza, e conferma la
descrizione Mosaica.
Cap. III - Terzo giorno: il regno vegetale
Nel racconto Mosaico (versetto 11) leggiamo «Dio disse: La terra verdeggi -di verzura,
di graminacee che producano semente, e di alberi da frutto che facciano sulla terra
ciascuno secondo la sua specie, un frutto contenente il seme».
Naturalmente Mosè sapeva che la terra brulicava di esseri viventi di varie specie,
dall'umile verme che sembrava nutrirsi di terra; eppure egli collocò prima di tutto la vita
vegetale. In questo egli è sostenuto dalla scienza moderna, Proprio come la terra stessa,
prima che Dio creasse la vegetazione, non conteneva niente che potesse produrre calore
e luce, così non conteneva niente capace di sostentare la vita sensitiva. Perfino il verme
non si nutre di terra ma di vegetazione decomposta; e senza parlare del verme, l'ameba
monocellulare, la più semplice forma d'esistenza, si nutre di sostanza vegetale, assorbe
ossigeno, ed emette acido carbonico.
La vegetazione non solo è necessaria per provvedere l'alimento per tutte le forme di vita
sensitiva; ma è anche necessaria per provvedere l'ossigeno nell'atmosfera, senza di cui la
vita sensitiva sarebbe impossibile; è inoltre necessaria per rimuovere l'acido carbonico
che gli esseri sensitivi emettono. Gli esseri sensitivi assorbono ossigeno dall'atmosfera
ed emettono acido carbonico, che è velenoso per essi, e se non fosse tolto, li
distruggerebbe; le piante vegetali assorbono l'acido carbonico che è necessario alla loro
vita, e al suo posto emettono ossigeno. E così, per una meravigliosa disposizione della
Provvidenza divina, i due regni dipendono l'uno dall'altro per la loro esistenza; ma viene
prima il regno vegetale, perché ogni specie di vita sensitiva dipende da esso: 1) per
alimento; 2) per ossigeno; 3) per togliere il velenoso acido carbonico dall'atmosfera.
Oserebbe qualcuno dire: che fu solo una fortunata congettura da parte dello scrittore
ispirato il mettere il regno vegetale prima di quello animale? O negare che l'ordine qui
rivelato, non fornisce un argomento a favore di un atto deliberato?
Il racconto Mosaico dell'origine della vita vegetale è breve e conciso, ma è
scientificamente preciso, non solo nel porre la vita vegetale prima di quella sensitiva, ma
anche nell'ordine della comparsa delle diverse forme di vita vegetale. Esso distingue fra
piante vegetali propagate senza seme, quelle propagate da seme, e piante fruttifere con
seme. Anche qui la scienza moderna conferma l'ordine Mosaico. I primi resti fossili che
si trovano sono le alghe marine, che apparvero al principio del periodo Cambriano. Le
piante che danno seme e le piante fruttifere non apparirono fino all'età Mesozoica Ci
periodi Triassico, Giurassico e Cretaceo). E' vero che nel frattempo apparve la vita
sensitiva, ma era necessario che la vita vegetale continuasse a svilupparsi in anticipo per
mantenerla.
Si può spiegare la comparsa della vita vegetale con la generazione spontanea?
Si credeva che le pianticelle verdi che crescono sulla superficie dell'acqua stagnante o
nelle cisterne dell'acqua piovana, fossero dovute alla generazione spontanea; ma la
scienza moderna ha dimostrato che non è così. Queste pianticelle consistono di una
cellula di protoplasma, e si propagano, come l'ameba, colla scissione di questa cellula in
due e non per generazione spontanea. La questione della generazione spontanea sarà
trattata in modo più completo nel capitolo sull'origine della vita sensitiva.
Cap. IV. - Il quarto giorno
Il racconto Mosaico è come segue:
Gen. I, 14: «Dio disse: Vi siano luminari nel firmamento del Cielo, per separare il
giorno dalla notte, e divengano segni per le feste, per i giorni e per gli anni:
15: e divengano luminari nel firmamento del cielo, per fare luce sulla terra. E così
avvenne.
16: Dio fece i due luminari maggiori: illuminare grande per il governo del giorno; e il
luminare piccolo per il governo della notte, e le stelle».
Abbiamo già osservato che l'ordine Mosaico, nel quale la formazione del sole segue
quella della terra, va d'accordo con le più recenti scoperte della scienza moderna. E'
straordinario il fatto che Mosè abbia assegnato la formazione delle stelle allo stesso
periodo.
Gli scienziati moderni sono ora praticamente d'accordo che il sole e le stelle furono
formate da nebulose, e che la formazione impiegò milioni d'anni. La Teoria della
Nebulosa, avanzata da Newton tre secoli fa, non è più una semplice teoria, ma è
accettata praticamente da tutti gli astronomi, ed è basata sull'osservazione delle nebulose
ancora in processo di condensazione. Un tempo, si potevano solo fare osservazioni
durante le eclissi del sole, ma ora, per mezzo dello spettroeliografo, è possibile prendere
fotografie in qualunque momento, e lo spettroelioscopio rende possibile l'osservazione
del sole senza l'aiuto di fotografie.
Il risultato dell'osservazione moderna dimostra che il sole è un immenso globo di
materia continuamente in combustione, e che il calore e l'energia che ne deriva, è milioni
di volte maggiore di quella che si potrebbe ricavare da una uguale quantità del migliore
carbone.
Fred Hoyle in The Nature of the Universe dice che, se il sole fosse composto di una
miscela d'ossigeno e del migliore carbone, l'immensa massa sarebbe ridotta in cenere in
appena due o tremila anni, all'attuale rata di consumo d'energia nel sole (pag. 29),
mentre si calcola che la presente provvista di materiale combustibile nel sole continuerà
a dare luce ed energia alla rata attuale per 10.000 milioni d'anni, e che dopo questo
periodo, quando la vita sulla terra cesserebbe come conseguenza della combustione
accelerata, il sole avrà ancora materia sufficiente per durare altri 40.000 milioni d'anni.
Gli astronomi non solo hanno potuto osservare che questo grande globo di gas
incandescenti gira attorno al suo asse, ma hanno anche calcolato che la rivoluzione
impiega 24 giorni all'equatore solare, e strano, 34 giorni ai poli. Che cos'è che fa girare
questo grande globo a una velocità regolare e, allo stesso tempo, gli fa radiare luce e
calore? Se si permettesse ai non iniziati di esprimere la loro opinione, essi probabilmente
direbbero che la sorgente d'energia è dovuta ad una continua serie d'esplosioni atomiche
che avvengono nel sole. Ma non è così. L'ordinato processo di rotazione ad una velocità
regolare, l'emissione di luce e calore in quantità costanti, non è ottenuta col metodo
violento di scissione degli atomi, ma da una combinazione. Papa Pio XII nel suo
discorso all'Accademia Pontificia delle Scienze del 22 novembre 1951, riporta le più
recenti scoperte della scienza in materia. Egli dice:
«Nel centro del nostro sole, secondo Bethe, e nel mezzo di una temperatura, che sale
fino a 20 milioni di gradi, avviene una reazione a catena che ritorna su se stessa, nella
quale quattro nuclei d'idrogeno si combinano a formare un nucleo di elio. L'energia così
liberata va a compensare la perdita causata dalla radiazione del sole stesso».
Questa radiazione raffredda la superficie esterna del sole da venti milioni di gradi a
circa 10.000. Se non fosse per questa coperta esterna intorno al sole, tutta la terra
sarebbe vaporizzata in pochi minuti.
Questa attività dentro il sole è continuata su scala colossale per centinaia di milioni
d'anni con assoluta precisione e regolarità. La sua superficie esterna è stata mantenuta ad
una temperatura regolare conveniente agli abitanti della terra. Una regolare attività, su
scala molto più colossale, è continuata nelle centinaia di milioni di stelle, per centinaia
di milioni di anni. Tutto il materiale per gli innumerevoli milioni di stelle, sufficiente per
migliaia di milioni d'anni, cominciò ad esistere quando furono pronunciate da Dio le
parole: «Vi sia la luce».
Come sarebbe la nostra terra senza il sole? David Dietz in The Story of Science risponde
a questa domanda come segue: «Se il sole si spegnesse, la terra piomberebbe
nell'oscurità mitigata solo dalla debole luce delle stelle, perché la luna, naturalmente,
risplende solo di luce riflessa del sole. In pochi giorni, la temperatura diminuirebbe in tal
modo che ogni pianta e ogni vita animale morrebbe gelata. Non molto dopo, gli oceani
diventerebbero duro ghiaccio, poco dopo l'atmosfera stessa gelerebbe, formando prima
uno strato d'aria liquida sulla superficie della terra, e poi uno strato d'aria solida».
Tale dovette essere la condizione originaria della terra, o della materia di cui è fatta,
supponendo che fosse stata creata prima delle nebulose.
Per quanto riguarda la luna, si può presumere che la sua materia sia stata creata allo
stesso tempo di quella della terra, ma la sua formazione è assegnata allo stesso giorno di
quella del sole, perché non poteva compiere la sua funzione di riflettere la luce del sole
fino a che le nebulose, da cui si formò il sole, non si fossero sufficientemente
condensate.
La scienza moderna e il caso di Galileo
La condanna di Galileo da parte della Congregazione della Sacra Commissione nel
1616 sotto il Papa Paolo V, e ancora nel 1633 sotto il Papa Urbano VIII, è stata usata,
d'allora in poi, dai nemici della Chiesa Cattolica quale argomento contro l'infallibilità del
Papa, e come prova che la Chiesa Cattolica è contraria al progresso della scienza. Come
risultato di un continuo travisamento, la questione è, tutt'oggi, fraintesa, tanto dentro
quanto fuori della Chiesa Cattolica. Per esempio, F. Hoyle in The Nature of the
Universe, pubblicata nel 1953, scrive: «Il conflitto fra la teoria Copernicana e la Chiesa
Cattolica è ben noto, specialmente la parte rappresentata da Galileo». F. Hoyle non ci dà
nessuna spiegazione della parte rappresentata da Galileo; ma nella stessa pagina (pag.
14) continua a dare maggiori ragguagli circa i movimenti dei corpi celesti, oltre
all'informazione data da Copernico. Egli nomina Kepler, il contemporaneo di Galileo,
che dimostrò che i pianeti rotano non in forma di cerchi, ma d'elissi; nomina Newton, il
quale spiegò in termini di gravitazione i particolari dei movimenti planetari, ma non
attribuisce niente a Galileo.
Il fatto che la terra gira intorno al sole non fu scoperto o provato da Galileo. La teoria
risale al tempo dell'astronomo greco Pitagora (640-546); probabilmente era conosciuta
dai primi abitanti dell'America Centrale, i quali possedevano un accurato calendario
solare, uguale a quello corretto dal Papa Gregorio il Grande. Può perfino risalire ai tempi
di Adamo, poiché è possibile ch'egli avesse ricevuto una conoscenza dell'opera della
creazione prima della caduta.
Comunque sia, il credito della scoperta nei tempi moderni dei movimenti della terra e
dei pianeti intorno al sole, appartiene ad un sacerdote cattolico Polacco, chiamato
Copernico, il quale pubblicò, nel 1543, un libro su questo argomento, intitolato: De
Revolutionibus Orbium Caelestium. Il Cardinale Nicola di Cusa sostenne la medesima
teoria, e nessuno di loro incontrò opposizione da parte della Santa Sede.
«Il punto di dibattito fra Galileo e la Santa Sede, non era la verità della teoria di
Copernico, ma l'interpretazione del brano nel Capitolo X di Giosuè, il quale dice che «il
sole e la luna si fermarono». Galileo non si contentava di affermare la verità della teoria
Copernicana, ma dichiarava che il sole era immobile, e che perciò la Bibbia conteneva
un errore. Questo è provato da una lettera scritta dal dotto Cardinale San Roberto
Bellarmino che allora era membro della Congregazione del Santo Ufficio, a Foscarini,
amico di Galileo. In questa lettera il Cardinale dichiara che «Non ci sarebbe nessuna
obiezione da parte della Congregazione a presentare il sistema di Copernico, come la
migliore spiegazione dei fenomeni celesti, purché non si facesse menzione
dell'apparente conflitto con la Bibbia. «Nell'autentico testo della condanna, proprio le
prime parole sono che la Congregazione dichiara eretica la dottrina di Galileo che il sole
è immobile.
La scienza moderna dà ragione alla Congregazione
Dal tempo di Galileo un grande progresso è stato fatto in astronomia, dovuto al
miglioramento del telescopio, che fu inventato al tempo di Galileo da un ottico
Olandese, Lippershey, ed all'invenzione dello spettroscopio, dello spettroeliografo e
dell'elioscopio. Con l'aiuto di questi strumenti è stato provato che il sole non è immobile,
ma gira sul proprio asse.
Secondariamente è stato provato che c'è una continua attività in ogni parte del sole, la
quale consiste nella trasformazione dell'idrogeno in elio. In terzo luogo, si è osservato
che il tempo impiegato dal sole per girare intorno al proprio asse varia da 246 giorni
nella sezione equatoriale, a 34 giorni ai poli.
Che cosa è che produce la grande differenza di velocità di rotazione tra la sezione
centrale e i poli? Lasciamo agli astronomi la soluzione di questo problema. Comunque,
una teoria possibile è che la diminuzione di velocità sia connessa con la diminuzione
della quantità di energia generata in ciascuna sezione.
La sola sorgente di energia per il sistema solare si trova nel sole.
Il comportamento delle macchie solari, che appaiono e scompaiono sulla superficie del
sole in un ciclo regolare, tende a confermare la teoria che la rotazione del sole sul
proprio asse è causata dall'attività interna, e che la terra e i pianeti ne sono pure
influenzati. Queste macchie solari sono immense aperture nella superficie del sole, che
qualche volta raggiungono perfino una larghezza di 80.000 km., da cui scaturiscono dei
gas, con un movimento spirale. Queste macchie solari esercitano un'influenza sulla terra
causando temporali magnetici, e manifestazioni di aurore boreali. L'astronomo Hale
dimostrò che le macchie solari sono calamite d'immensa potenza.
Applicando i fatti suesposti alla spiegazione del miracolo riferito nel Capitolo X di
Giosuè, il quale dice che «il sole e la luna si fermarono» possiamo trarre le seguenti
conclusioni:
1) E' certo che il sole non è immobile, come Galileo sostenne, poiché ha un movimento
interno, un movimento intorno al proprio asse, e un movimento nello spazio.
2) E' possibile spiegare il prolungamento della luce del giorno con una sospensione
dell'attività del sole, che causerebbe un arresto dell'intero sistema solare. Galileo, che
non conosceva i diversi movimenti del sole, pensò che il solo modo di spiegare il
miracolo del prolungamento della luce del giorno fosse di attribuirlo esclusivamente ad
una cessazione della rotazione della terra. Questo richiederebbe indubbiamente
l'esercizio della onnipotenza di Dio, ma ciò sembrerebbe interferire nell'ordine e
nell'armonia del sistema solare. Dio avrebbe benissimo potuto esercitare la sua potenza
sospendendo l'attività dell'intero sistema alla sua sorgente nel sole, come in qualsiasi
punto particolare, e ciò sembrerebbe più degno di Lui, poiché fu Lui che con il Suo
onnipotente "FIAT" mise in esistenza l'intero sistema, e fissò le leggi che lo governano.
Dovrebbe essere facile per i Cattolici del nostro tempo accettare questa soluzione della
difficoltà, tanto più che essa rivendica la giustezza della decisione presa due volte dalla
Congregazione del Santo Ufficio e approvata dai Papi del tempo. Si deve notare che la
condanna di Galileo non fu mai ritirata. La questione dell'infallibilità del Papa non fu
mai messa in discussione nel conflitto con Galileo, ma si tratta di sapere chi avesse
ragione.
Il dotto S. Roberto Bellarmino che supponiamo fosse il consigliere principale della
Congregazione, conosceva la teoria Copernicana tanto quanto Galileo, e perciò era
consapevole dell'obiezione ch'essa sollevava contro la tradizionale interpretazione del
Capitolo X di Giosuè, a cui la scienza dell'epoca non forniva nessuna soluzione; ma
essendo un uomo di Dio sostenne la dottrina dell'infallibilità della Sacra Scrittura e
preferì essere frainteso che cedere. Egli non fece altro che seguire la regola dettata da S.
Agostino, che abbiamo citato: «Qualunque cosa gli scienziati affermino nei loro trattati,
che sia contraria alla Sacra Scrittura, vale a dire alla fede cattolica, noi dobbiamo o
provare nel miglior modo possibile che è falsa, o comunque, crederla tale senza la
minima esitazione.
Anche ai nostri giorni è avvenuto un miracolo nel sole a Fatima. E' vero che è di natura
differente da quella descritta in Giosuè, ma ci dovrebbe rendere più facile accettare
l'affermazione in Giosuè che il sole si fermò. La Beata Vergine che con la potenza di
Dio compì il miracolo lo annunciò in anticipo. Quando arrivò il momento prestabilito,
Essa permise alle 70.000 persone radunate ed agli abitanti dei dintorni di vedere il sole
roteare sul suo asse, e poi lo fece discendere in direzione verticale su di loro. Dopo il
miracolo, la gente che aveva viaggiato sotto una pioggia torrenziale che aveva reso
fradici i loro abiti, li trovò perfettamente asciutti.
Cap. V - Il quinto e il sesto giorno
Il racconto di Mosè
Gen. I, 20-23: Dio disse: «Le acque brulichino di un brulichio di esseri vivi, e volatili
volino sopra la terra, sullo sfondo del firmamento del cielo». E così avvenne: Dio creò i
grandi cetacei e tutti gli esseri vivi guizzanti di cui brulicarono le acque, secondo la loro
specie, e tutti i volatili alati secondo la loro specie. E Dio vide che ciò era buono. Dio li
benedisse dicendo: «Siate fecondi e moltiplicatevi, e riempite le acque dei mari; i volatili
poi si moltiplichino sulla terra». Poi venne sera, poi venne mattina: un quinto giorno.
Gen. I, 24-25: Dio disse: «La terra produca esseri viventi secondo la loro specie:
bestiame e rettili e fiere della terra secondo la loro specie». E così avvenne: Dio fece le
fiere della terra secondo la loro specie e il bestiame secondo la sua specie e tutti i rettili
del suolo secondo la loro specie. E Dio vide che ciò era buono.
Vogliamo considerare tre questioni che sorgono dalla lettura del testo del Genesi:
1) Se l'ordine dato da Mosè alla comparsa delle varie forme di vita sensitiva concorda
con quello scoperto dalla geologia;
2) Se la vita sensitiva può essere sorta per generazione spontanea;
3) Se le varie forme di vita sensitiva che ora si trovano nel mondo si possono far risalire
a poche forme primitive; o se le varie specie o almeno i generi furono creati in modo
speciale da Dio in vari tempi man mano che la terra era adatta a riceverli.
Nei libri che trattano di geologia, paleontologia e biologia si trovano di solito delle
tabelle contenenti le ere e i periodi geologici nei quali cominciarono ad apparire le varie
forme di piante e di animali. Ora, sia che le varie forme di vita animale, i cui fossili
apparvero per la prima volta nei vari periodi geologici, siano state create in modo
speciale da Dio, sia che si siano sviluppate od evolute da forme preesistenti, l'ordine
trovato negli strati geologici concorda con l'ordine seguito da Mosè.
Come si vede nella tabella geologica annessa, l'ordine geologico, uguale a quello
Mosaico, è il seguente: prima di tutto, vita della pianta; poi varie forme di invertebrati
nel mare, poi i pesci, poi gli insetti alati, poi gli invertebrati terrestri, poi gli uccelli, poi i
grandi rettili Sauriani, poi i mammiferi, e infine l'uomo.
Il racconto di Mosè non si può scartare come una semplice registrazione delle rozze
idee del popolo che viveva al tempo in cui fu composto. Nessun racconto simile si trova
nella letteratura degli antichi popoli del mondo, come i Sumeri, i Babilonesi, gli
Egiziani, i Cinesi, gli Indiani, i Greci ed i Romani. Le scienze della geologia e della
biologia erano ignote ai tempi di Mosè, eppure egli scrive con franchezza e in notevole
dettaglio, come se le conoscesse tutte e due. Lo Spirito Santo che si servì di Mosè come
strumento, e che, come tutti i cattolici devono credere, né è l'Autore, ispirò a Mosè
l'argomento e l'ordine in cui scriverlo, per la gente dei tempi moderni, dopo che è stata
scoperta la documentazione nascosta della creazione, tanto, se non di più, quanto per
quella del tempo di Mosè che non aveva alcun sospetto che una simile documentazione
esistesse negli strati geologici.
Nei libri che parlano dell'origine delle specie in generale e di quella dell'uomo in
particolare si legge quasi sempre questa frase: Tutti i biologi ammettono che
l'evoluzione è un fatto stabilito. Orbene si deve notare anzitutto che lo stesso Carlo
Darwin e gli autori moderni sulla evoluzione, come Sir Julian Huxley, sono d'accordo
sul fatto che l'unica prova diretta in favore della teoria dell'evoluzione degli animali in
generale e dell'uomo in particolare è fornita dai resti fossili di animali e dell'uomo; e che
la scienza della biologia può solo fornire prove sulla questione se sia biologicamente
possibile l'evoluzione delle varie specie da una o da poche forme primitive.
Inoltre non è vero che tutti i biologi siano d'accordo che le varie specie del regno
animale si siano evolute da una o poche forme primitive, perché dei pochi briologi che
hanno fatto serie ricerche di prima mano sul problema dell'origine degli esseri viventi,
alcuni come il Vialleton furono indotti dai risultati delle loro ricerche a rigettare la
teoria.
Riguardo al primo punto: che la teoria dell'evoluzione deve stare in piedi o cadere a
seconda delle prove dei fossili incastrati nelle rocce, sentiamo le prove dello stesso
Darwin.
Darwin formula le difficoltà contro l'evoluzione
La formulazione fatta da Darwin delle difficoltà contro la teoria dell'evoluzione fornite
dalla documentazione dei fossili si trova nel capitolo X di Origini delle specie. Tra i
sottotitoli del capitolo si legge: «Varietà intermedie assenti nelle singole formazioni.
Comparsa improvvisa di gruppi di specie alleate. Improvvisa comparsa di gruppi di
specie alleate nei più bassi strati fossiliferi conosciuti».
Cominciamo a considerare l'ultima difficoltà. Darwin la formula come segue:«C'è
un'altra difficoltà alleata con le altre, che è molto più seria. Alludo al modo in cui le
specie appartenenti alle principali divisioni del regno animale compaiono
improvvisamente nelle più basse rocce fossilifere conosciute... Alcuni degli animali più
antichi, come il Nautilus, il Longula, ecc. non differiscono molto dalle specie viventi; e
nella nostra teoria non si può supporre che queste antiche specie fossero i progenitori di
tutte le specie appartenenti agli stessi gruppi apparsi in seguito, perché non sono in
nessun modo intermedi di carattere.
Conseguentemente, se la teoria è vera, è indiscusso che prima che si fosse depositato lo
strato Cambriano inferiore, devono essere passati periodi tanto lunghi quanto, o forse più
di tutto l'intervallo che corre tra l'età Cambriana e la presente; e che durante questi ultimi
periodi il mondo era pieno di esseri viventi. Qui troviamo un'obiezione formidabile;
perché sembra dubbio che la terra abbia durato abbastanza a lungo in uno stato adatto
all'abitazione di esseri viventi...».
Nei passi di Darwin citati sono comprese anche la seconda e la terza obiezione. Egli
formula così la seconda: «Il modo improvviso in cui interi gruppi di specie compaiono
in certa formazione è stato addotto da parecchi paleontologi, - e. g. da Agassiz, Pictet e
Sedgwick - come obiezione fatale alla credenza nella trasformazione delle specie. Se
numerose specie appartenenti agli stessi generi o famiglie hanno realmente cominciato
insieme a vivere, il fatto è fatale alla teoria dell'evoluzione per selezione naturale. Perché
lo sviluppo in questo modo di un gruppo di forme, tutte discese da un qualche unico
progenitore, deve essere stato un processo estremamente lento, ed i progenitori devono
aver vissuto molto a lungo prima dei loro discendenti modificati...».
In questi due passi Darwin ammette:
1) che varie specie appartenenti alle maggiori divisioni del regno animale comparvero
improvvisamente nelle più basse rocce fossilifere conosciute, alcune delle quali esistono
tuttora praticamente immutate;
2) che durante il tempo trascorso dopo il periodo Cambriano interi gruppi di specie
compaiono in modo improvviso;
3) che il tempo disponibile per l'evoluzione delle specie trovate nel periodo Cambriano
(nell'ipotesi infondata che tale evoluzione abbia avuto luogo) è del tutto insufficiente,
come è pure insufficiente il tempo trascorso dopo il periodo Cambriano per spiegare
l'evoluzione delle varie forme di. vita animale che si trovano al presente nel mondo.
E' trascorso un secolo da quando Darwin formulò queste difficoltà contro la sua teoria
che tutte le specie di esseri viventi si evolvettero da una o poche forme primitive.
Durante questo secolo queste difficoltà non solo non hanno avuto nessuna risposta, ma si
sono ancor più accentuate.
Testimonianze di due autori contemporanei
Douglas Dewar F. Z. S., non cattolico, scrive in «Is evolution proved?» (pagg. 57-63).
«Una delle obiezioni più formidabili contro la teoria dell' evoluzione è il fatto che non si
è ancor mai scoperto alcun fossile di animale intermedio tra gli esseri che hanno uno
scheletro peculiarissimo come i pipistrelli, le balene, le sirene, le foche, le rane, le
tartarughe, le pterodacili, gli ichtiosauri, ecc. ed i supposti animali quadrupedi ordinari
dai quali, secondo la teoria, si sarebbero evoluti. Se questa teoria è vera, queste forme
intermedie devono essere esistite nel passato in numero immenso. Darwin dedicò un
intero capitolo di «Origine delle specie» al tentativo di venire incontro a questa
difficoltà. Non poté far altro che esprimere l'idea che la serie delle testimonianze fossili
è incomparabilmente meno perfetta di quanto usualmente si suppone. E per quanto
sappia, nessun evoluzionista dopo di lui ha ottenuto migliori risultati di Darwin».
La serie dei fossili è invece molto più completa di quanto supponesse Darwin e di
quanto ammettano i suoi seguaci. Ogni genere di animali dotati di uno scheletro o di
parti dure ha lasciato dei resti fossili.
1) Un'abbondante fauna marina compare sulla scena con repentinità sorprendente
all'inizio del periodo Cambriano. In molte rocce del pre-Cambriano che precedono e
giacciono sotto le rocce Cambriane, avrebbero potuto benissimo depositarsi dei fossili;
invece non se n'è trovato neppur uno accertato.
Improvvisamente nel periodo Cambriano troviamo il mare pieno di tipi altamente
organizzati. Nulla troviamo che faccia pensare ad una lenta evoluzione. Non troviamo
nessun tentativo di produzione di tipi nuovi, per esempio della formazione di conchiglie:
le prime conchiglie sono completamente sviluppate. Troviamo questi animali antichi
tanto differentemente differenziati in specie, generi, famiglie, ordini e phyla come lo
sono oggi.
2) Ogni tipo nuovo di animale compare improvvisamente nella serie geologica dotato di
tutti gli attributi da cui è caratterizzato. I cambiamenti che subisce dopo sono
relativamente insignificanti».
Neppure si è trovata una soluzione all'altra difficoltà di Darwin, che il tempo
disponibile per l'evoluzione di esseri viventi da una forma monocellulare alle forme
complesse in cui si trovano nelle rocce del periodo Cambriano è del tutto insufficiente. Il
Dewar calcola che questa, secondo i calcoli moderni, richiederebbe 50.000 milioni
d'anni, cioè dieci volte il tempo disponibile.
Anche il dotto Desmond Murray, O. P., F.R.E.S., che come Dewar ha trascorso la vita a
fare ricerche, è convinto che le difficoltà di Darwin non trovano risposta:
«Quando nel periodo Cambriano appaiono le forme di vita, compaiono alla base della
serie dei fossili, rappresentanti di tutti i grandi Phyla animali, eccetto i vertebrati: sembra
che si rovesci un diluvio di esseri viventi in grande quantità, e molte di queste forme
sono quasi per nulla mutate fin da quegli antichissimi tempi (Species revalued,
Blackfriars, London, 1955, pag. 37).
Padre Bergounioux
L'evoluzionista Padre Bergounioux, dell'Istituto Cattolico di Tolosa, nell'Origine et
Destin de la Vie tratta i seguenti argomenti:
1. L'origine della vita sulla terra;
2. L'origine delle specie;
3. L'origine dell'uomo.
Sull'origine della vita cita l'ipotesi che la vita è esistita sulla terra fin da tremila milioni
di anni, e dà quelle indicazioni della presenza della vita che sono state presentate, ma
ammette l'estrema povertà di ciò che è stato rivendicato in rapporto alle miriadi di forme
viventi che esistevano nel periodo Cambriano. Tutte le rivendicazioni presentate in
favore della vita organica sulla terra prima del Cambriano sono state confutate (V.
L'Illusion Transformiste di Douglas Dewar, pag. 27-31).
I 3.000 o 2.700 milioni d'anni richiesti dalle più recenti ipotesi evoluzioniste per la
presenza della vita sulla terra non sono altro che un nuovo mito evoluzionista, perché
non si è stabilito nessun caso incontestato di resti fossili sia di piante che di animali
anteriore al periodo Cambriano; inoltre la terra non si era ancora abbastanza raffreddata
perché la vita vi fosse possibile. C'era una vegetazione tropicale nelle regioni polari in
un'epoca tanto recente come il Pliocene, ciò che dimostra che la temperatura vi era ancor
troppo elevata.
Per ciò che riguarda l'origine delle specie, il P. Bergounioux ammette che non esiste
prova alcuna che i vertebrati si siano evoluti partendo dagli invertebrati. A pag. 81
scrive: «Non vi è alcuna possibilità di stabilire nella natura attuale una qualsiasi
parentela tra gli Echinodemi ed i Vertebrati. Lo stesso sarebbe dei vermi, degli insetti,
delle spugne, ecc.».
A proposito degli uccelli scrive: «Non esiste nessun intermediario fossile tra le forme
terrestri e le forme aeree. Allora si sono escogitate parecchie teorie di Proavis, che non
hanno altro interesse che di mostrare ancor una volta la fertilità dell'immaginazione dei
paleontologi (pag. 150-151).
Il P. Bergounioux ci fornisce un'informazione interessantissima quando scrive:
«Georges Simpson ha avuto l'idea geniale di ricorrere ad una scienza allora del tutto
nuova: la genetica delle popolazioni (pag. 202). Le scoperte di Mendel nel 1865, che
non furono conosciute dal pubblico se non nel 1900, provarono che la teoria di Darwin
sull'evoluzione era fondamentalmente falsa. Allora i partigiani di Darwin ebbero l'idea
di tentare il salvataggio dal naufragio totale della selezione naturale, combinandola con
le scoperte di Mendel. Questa teoria ibrida si rivelò impossibile, perché i mutamenti
favorevoli erano così rari che sarebbe stato necessario attendere degli innumerevoli
milioni di anni prima che se ne producesse uno solo; ed anche allora nulla assicurava
che la selezione naturale fosse capace di utilizzarlo a suo vantaggio. G. Simpson ebbe
allora l'idea geniale di far mutare tutto nel medesimo tempo; ma anche così un solo
mutamento favorevole non si produrrebbe che dopo tanti milioni di anni da richiedere
un'eternità per ottenere un uomo».
Si deve concludere che in base alle scoperte della geologia e della biologia, la teoria
dell'evoluzione delle specie e di quella dell'uomo non può reggersi in piedi, come scrive
Sir Julian Huxley (in Evolution in Action, pag. 40): «Con le conoscenze che si sono
accumulate dal tempo di Darwin ad oggi, non è più possibile credere che l'evoluzione è
prodotta per mezzo della cosiddetta eredità di caratteri acquisiti, gli effetti diretti dell'uso
o abuso di organi, o dei cambiamenti di ambiente, o del volere cosciente o inconscio di
organismi, o attraverso alla misteriosa opera di qualche forza vitale, o da qualsiasi altra
tendenza inerente... Queste teorie sono fuori uso. In verità, alla luce delle scoperte
moderne, esse non meritano più il nome di teorie scientifiche; ma si possono considerare
come speculazioni prive della debita base di realtà, o come vecchie superstizioni
camuffate in veste moderna».
Note
1 Vedi «Darwinism and Catholic Thought» del can. Dorlodot, p. 32 e segg.
2 Estratto dalla lettera al Cardinale Suhard 16-1-1948.
3 Con permesso dell’editore, Sir Basil Blackwell, Oxford, 1953.
4 Vedi The Story of Science, di David Dietz, Cleveland, U.S.A. pag. 121.
5 C'è un'altra teoria moderna, chiamata la teoria della creazione continua, la quale pure
richiede un principio e l'azione di un Creatore.
PATRICK O'CONNELL, B. D.
Il peccato originale alla luce della scienza
Original Sin in the light of Present-day Science, Roseburg, Oregon (U.S.A).
Con approvazione ecclesiastica
Ed. Alzani – Pinerolo 1969
INDICE
La Dottrina della Chiesa sull'origine dell'uomo, ecc.
Le scoperte scientifiche
Le scoperte antecedenti alla prima guerra mondiale
Scoperte degli archeologi
Le scoperte fatte dopo la prima guerra mondiale
Città pre-diluviane del Medio Oriente
Gli scavi nel Medio Oriente
Gli scavi fatti a Gerico
Gli scavi a Tepe Gawra
L'altopiano dell'Iran
Prove dell'estensione dell'inondazione
La teoria dell'evoluzione
Vere scoperte
Scoperta dei resti fossili dell'uomo primitivo
Fossili scoperti negli ultimi 100 anni
Il Dryopithecus
Il Pithecanthropus o Uomo di Giava
L'Uomo di Piltdown
L'Uomo di Pechino o Sinanthropus
I fossili di Australopitechi
I fossili dell'Oreopithecus
Lo Zinjanthropus
Sommario delle conclusioni
Argomenti usati dai poligenisti cattolici
Neo-Darwinismo
Poligenismo
Risposte agli argomenti dei poligenisti
Il secondo argomento
Argomento tratto dalla scienza della genetica
PARTE II
I propugnatori cattolici della teoria del Poligenismo
«Perspectives in evolution» di P. Francoeur
Argomenti di Padre Francoeur
Il Periodo Cambrico
Spiegazione di P. Francoeur dell'origine dell'uomo
Padre Teilhard de Chardin S. J.
P. Teilhard molto travisato
L'uomo di Pechino
Teilhard e la creazione dell'anima umana di P. Robert North S.J.
La tesi principale del libro di P. North
La teologia del cristiano nel mondo
La «Messa sul mondo»
Il fondamento della nuova religione di Padre Teilhard
Delusione di Padre Teilhard
Il nuovo catechismo olandese
L'origine dell'uomo
Le prove scientifiche portate dagli autori olandesi
La preistoria dell'uomo nel catechismo olandese
Abramo e la razza ebrea secondo il nuovo Catechismo olandese
Il peccato originale nel nuovo Catechismo olandese
Tesi di Padre Rahner sul poligenismo e il peccato originale
La prova della sua tesi
Risposta della teologia
Risposta della scienza
Argomenti scientifici dubbi
Conclusione
La dottrina del peccato originale nelle definizioni di Papa Paolo VI
PREFAZIONE
Questo opuscolo vuole essere un supplemento al mio libro Origine e Preistoria
dell'Uomo stampato nel 1963.
Per la convenienza del lettore si ripete nella prima parte di questo libro l'informazione
scientifica sull'Era Glaciale, sul diluvio che ne segnò la fine, sui resti fossili dell'uomo e
sulla teoria riveduta dell' evoluzione, chiamata Neo-Darwinismo.
Scopo di questo opuscolo è di dimostrare che è stato accertato che tutte le prove addotte
da scrittori cattolici in nome della scienza a favore della teoria della pluralità degli
antenati della razza umana, chiamata poligenismo, non sono altro che delle ipotesi
gratuite, prive di vero fondamento storico; e che le vere prove scientifiche venute in luce
nel secolo presente sono in favore dell'insegnamento tradizionale della Chiesa Cattolica
sull'origine dell'uomo, sull'unità della razza umana e sul peccato originale.
L'informazione scientifica contenuta in quest'opera è desunta dalla mia opera maggiore
Science of today and the Problems of Genesis, per comporre la quale consultai tutte le
opere principali che trattano questo argomento in Inglese, Francese, Italiano, Spagnolo e
Tedesco.
Un'edizione abbreviata di quest'opera fu tradotta in Italiano, Francese e Spagnolo.
L'edizione Italiana fu offerta in omaggio a S. S. Papa Paolo VI e fu recensita
dall'Osservatore Romano l'11 luglio 1964.
Ecco un estratto di questa recensione:
«...L'autore dimostra che gli argomenti biologici in favore della evoluzione usati nei
libri degli evoluzionisti moderni, anche in Italia, sono stati messi da parte dagli
scienziati, anche atei, come Julian Huxley (pag. 132), e che il loro argomento più
importante, basato sui fossili umani, è ora crollato del tutto. In particolare l'A. dimostra
che i famosi "anelli mancanti"... quando non furono ad arte contraffatti, appartenevano
alle scimmie e non all'uomo. Un libro che si legge da cima a fondo con il fiato sospeso,
dopo il tanto chiasso che s'è fatto e si continua a fare sull'argomento, specialmente sulle
speculazioni gratuite e romanzate degli evoluzionisti cattolici che l'A. severamente
condanna».
PARTE I
La Dottrina della Chiesa Cattolica sulla origine dell'uomo, l'unità della razza umana e il
peccato originale, difesa dalle scoperte scientifiche del secolo attuale.
Le scoperte scientifiche
I geologi, i paleontologi e gli archeologi hanno fatto nel secolo passato delle scoperte
importanti e veramente sensazionali che fornirono un immenso quantitativo di dati sulla
questione dell'origine e preistoria dell'uomo; ma un insieme di circostanze hanno
impedito che queste scoperte raggiungessero il grande pubblico e gli stessi professori
delle università e dei seminari maggiori.
La geologia e la paleontologia sono considerate materie troppo difficili per le persone di
ordinaria cultura. Quindi la gran parte degli autori di libri che parlano dei problemi dei
primi undici capitoli del Genesi, che trattano di dottrine così fondamentali quali sono
1'unità della razza umana e il peccato originale, si credono giustificati a prendere le loro
informazioni di seconda mano da libri popolari, per lo più scritti da atei, e si scusano dal
fare ricerche indipendenti consultando libri scritti da esperti riconosciuti su questi
argomenti.
Poi c'è il fatto che, come conseguenza di un secolo di propaganda, gli evoluzionisti
hanno acquistato influenza sulla stampa e sul commercio librario: e sapendo che queste
scoperte recenti forniscono dei forti argomenti contro le teorie evoluzionistiche, fanno
tutto il possibile per impedire che queste scoperte siano conosciute.
In fine, c'è il fatto che in questo secolo abbiamo avuto due guerre mondiali, le quali
hanno distratto l'attenzione dalle scoperte, ed hanno interrotto le ricerche scientifiche.
Le scoperte antecedenti alla prima guerra mondiale
Le due più importanti di queste scoperte furono: la scoperta della causa, della
estensione e della data del Periodo Glaciale, e che nell'ultimo anno di questo periodo
avvenne una grande inondazione.
Questi due avvenimenti: l'anno zero dei Periodi (o Periodo) Glaciali. e la grande
inondazione che occorse lo stesso anno sono strettamente connessi, come vedremo, e
forniscono il miglior indizio per conoscere la preistoria dell'uomo.
La causa del Periodo Glaciale o Età del ghiaccio che era stata oggetto di molta
controversia si sa ora che fu il sollevamento dell'emisfero settentrionale sopra il livello
della neve, col risultato che la neve che cadeva non si scioglieva più, ma continuò ad
accumularsi finché raggiunse lo spessore di 2 o 3 chilometri.
La fine dell'Era del ghiaccio fu causata dal graduale abbassamento dell'emisfero artico
sotto il peso del ghiaccio, durante un periodo di millenni, finché sprofondò sotto
l'oceano, col risultato che l'acqua calda di questo fece irruzione e completò la fusione del
ghiaccio in pochi mesi, dopo di che la parte depressa lentamente si risollevò. Questo è
un fenomeno che si verificò periodicamente nel corso della storia geologica: la
depressione di piccole aree occorsero molte volte in conseguenza di terremoti dopo
questa depressione maggiore, ma mai su così vasta scala come alla fine dell'Era
Glaciale.
La scoperta della data dell'anno zero dell'ultimo Periodo Glaciale fu fatta dallo svedese
Barone de Geer e dal finlandese Matteo Saurano col metodo della «analisi­varve».
Siccome la fine improvvisa del prolungato scioglimento del ghiaccio fu causata dalla
irruzione dell'acqua dell' oceano, la data della Grande Inondazione naturalmente coincise
con l'anno zero dell'Età glaciale. La data di questi due avvenimenti fu calcolata a circa
7.000 anni A. C. Questo calcolo fu confermato dalle analisi col Carbonio 14, eseguite su
materiali trovati sia immediatamente sopra, che sotto i depositi lasciati dal Diluvio
(Grande Inondazione) sulle antiche città del Medio Oriente.
La più notevole conferma della data di 7.000 anni A. C. fu trovata a Gerico durante gli
scavi della città pre­diluviana circa 10 anni fa, quando fu analizzato del legno
carbonizzato (il materiale più adatto per l'analisi al Carbonio 14) trovato sia sopra che
sotto il deposito dell'inondazione, e se ne dimostrò l'età approssimativamente sui 7.000
anni A. C.
L'acqua salmastra del Mar Morto, che si trova solo a circa 3 chilometri da Gerico, fu,
secondo i geologi, lasciata indietro dalla Grande Inondazione, perché non vi era alcuno
sfogo verso l'Oceano. Perciò le analisi al Carbonio 14 eseguite a Gerico, oltre al fissare
la data della distruzione di Gerico, fissa anche la data in cui l'acqua salmastra fu
depositata nel Mar Morto, nel 7.000 A. C.
Scoperte degli archeologi
Mentre i geologi erano all'opera alla fine del secolo scorso, gli archeologi cominciarono
gli scavi delle antiche città pre-diluviane, prima in Egitto e poco dopo nel Turkestan in
Asia 480 chilometri ad Est del Mar Caspio.
11
In Egitto furono i tesori post-diluviani trovati nelle tombe dei Faraoni ad attirare
maggiormente l'attenzione: tuttavia nello strato anteriore alla Inondazione si trovarono
artefatti di grande perfezione come vasi bellamente dipinti e strumenti di rame.
Gran numero di scheletri umani pre-diluviani furono trovati nel deserto arido del Nilo
superiore, ma questi attirarono poco l'attenzione perché rassomigliavano agli scheletri
dell'uomo moderno.
Nel Turkestan, le antiche città che furono scavate rassomigliavano alle antiche città
della Mesopotamia in quanto che queste città dimostravano che il deposito della
inondazione separava gli strati pre-diluviani da quelli post-diluviani. Un resoconto di
questi scavi si trova in Excavations in Turkestan di Raphael Pumpelly (1904, 2 Vol.).
Secondo i calcoli del Pumpelly, la grande Inondazione avvenne circa 6.000 A. C. (che
non è lontano dalla data a cui arrivò il Baron de Geer). Egli calcolò anche che dal primo
insediamento di gente nel Turkestan al tempo dell'inondazione trascorsero circa 3.000
anni durante i quali si potrebbe seguire il progresso nella lavorazione di utensili e
attrezzi, dai primi strumenti primitivi ai vasi bellamente dipinti ed alle armi di rame
martellato trovate nello strato immediatamente sotto i depositi dell'inondazione. Vi si
trovarono pure dei resti fossili degli animali domestici comuni, il bue, il suino, il cavallo,
la pecora, come pure dell'orzo e del frumento.
Questi fatti forniscono la prova conclusiva che i primi uomini si facevano gli strumenti,
praticavano l'agricoltura e allevavano il bestiame.
Così i geologi e gli archeologi al principio del nostro secolo trovarono una soluzione
pratica del problema dell'origine e preistoria dell'uomo, che è in perfetto accordo con il
racconto dato nei primi capitoli del Genesi.
La guerra tra la Turchia e gli Stati Balcanici e la prima guerra mondiale che seguì,
interruppero gli scavi e distrassero l'attenzione dai risultati ottenuti dai geologi ed
antropologi.
Riferisco i lettori che desiderano avere informazioni più dettagliate sulle scoperte
scientifiche riguardanti la origine e la preistoria dell'uomo alla mia opera più completa
L'Origine e la Preistoria dell'Uomo (Ed. Alzani, Pinerolo, 1963) nella quale ho trattato
in modo particolareggiato degli scavi eseguiti nel secolo presente nelle parti del mondo
abitato dalla razza umana prima della Grande Inondazione alla fine dell'Età Glaciale.
Le scoperte fatte dopo la prima guerra mondiale
I libri scritti dai geologi dopo la prima guerra mondiale hanno aggiunto poco alla nostra
conoscenza sulla origine e preistoria dell'uomo. I libri di geologi inglesi e americani,
come quelli di Sir Henry Howorth, considerati sfavorevoli alla teoria dell'evoluzione
erano ignorati e non raggiunsero mai il continente europeo; mentre quelli degli autori
tedeschi Penck e Bruckner, che favorivano la teoria evoluzionista, riuscirono ad entrare
nelle università romane; e da Roma la teoria di Penck e Bruckner sui 4 periodi glaciali
con tre intervalli caldi, (durante i quali, si asseriva, era esistito l'uomo) venne portata in
Irlanda, Inghilterra e America da studenti che avevano studiato a Roma.
Tuttavia al presente, dopo un periodo oscuro di 40 anni, si cominciano a conoscere le
scoperte fatte dagli scienziati precedentemente alla prima guerra mondiale.
Quando gli archeologi riprendevano gli scavi delle antiche città del Medio Oriente,
molti dei grandi scienziati erano morti ed i loro libri erano stati dimenticati.
Obiettivo delle nuove spedizioni era piuttosto quello di trovare i tesori sepolti nelle
antiche città degli imperi Babilonese e Assiro, anziché quello di ottenere informazioni
sulla preistoria dell'uomo: ma qualunque siano stati i motivi degli uomini che vi presero
parte, oltre al fornire i musei di vari paesi" di opere d'arte di in sospettata eleganza, essi
misero a disposizione degli studiosi sufficiente informazione da metterli in grado di far
risalire la storia dell'umanità all'uomo più antico.
Ecco un sommario dei principali risultati ottenuti dagli scienziati che eseguirono gli
scavi:
1) L'informazione che si trova nei libri pubblicati dai geologi e dagli archeologi
antecedentemente alla prima guerra mondiale, sul fatto che verso il 7.000 A. C. era
avvenuta una grande inondazione e che essa coprì una gran parte dell'Emisfero
settentrionale, fu confermata da uomini che non avevano né visto né udito parlare dei
libri scritti da autori dell'anteguerra quali Sir Henry Howorth, F. R. S. e Raphael
Pumpelly.
2) L'informazione derivata dagli scavi eseguiti dalla prima guerra mondiale in poi è
sufficiente a mettere in grado chiunque si prenda la briga di raccoglierla e confrontarla,
di disegnare una carta che segni le città e i villaggi costruiti prima della Grande
Inondazione, e perfino le caverne in cui le tribù nomadi, come quella di Neanderthal,
cercavano riparo.
E' ora noto che l'uomo di Neanderthal, che praticamente teneva il monopolio della
caccia in Europa ed in Africa a Sud dell'Egitto (che prima della Grande Inondazione era
disabitato), era contemporaneo degli abitanti delle città del Medio Oriente che
manifatturavano dei bei vasi, utensili e armi di rame, che coltivavano la terra e tenevano
animali domestici.
Città pre-diluviane del Medio Oriente
Gli scavi eseguiti nel secolo scorso sui luoghi delle città pre-diluviane del Medio
Oriente furono eseguiti da spedizioni organizzate da diversi paesi, che hanno continuato
a lavorare per quasi un secolo. Resoconti di questi scavi furono pubblicati al tempo in
cui erano eseguiti, ma i libri che li contengono sono ora fuori stampa o difficili a trovare.
Furono pubblicati alcuni libri come The Bible as History i quali pretendono di dare un
sommario dei risultati degli scavi; ma questi libri si limitano a dare resoconti del periodo
seguente l'Inondazione, con un solo capitolo sul periodo antecedente ad essa, che quasi
invariabilmente contiene l'informazione (erronea) che i risultati più importanti si ebbero
ad Ur dei Caldei e a Kish, vicino all'antica Babilonia; che gli scavi in questi luoghi
dimostravano che !'inondazione era limitata alla Mesopotamia; e che la data era il 4.000
A. C. Questi resoconti errati degli scavi, eseguiti 40 anni fa si trovano ancora in certi
libri attuali scritti da autori cattolici.
Le persone principalmente responsabili di questi resoconti sono: Sir Leonard Woolley,
che dirigeva gli scavi a Ur dei Caldei e che scrisse il suo rapporto Ur of the Caldees e
poi in Escavations at Ur, e André Parrot, autore di Noah's Ark. Tutti e due diedero come
loro opinione che l'inondazione si estese solo sulla Mesopotamia, e che la data era verso
il 4.000 A. C.
Nei suoi due libri, Sir Leonard Woolley dà delle informazioni di grande valore sulla vita
dell'uomo sia prima che dopo l'inondazione; e dice chiaramente che le sue affermazioni
sull'estensione e sulla data dell'inondazione sono solo congetture. Il libro Noah's Ark di
Parrott non contiene alcuna nuova informazione scientifica, ma parecchi errori; e pare
sia stato scritto con lo scopo espresso di contraddire il racconto di Mosè e di difendere il
racconto dato da coloro che adottano la teoria di Well­hausen delle quattro fonti diverse
del Genesi.
Tuttavia, durante i 40 anni trascorsi da quando Sir Leonard Woolley iniziò gli scavi a
Ur, il lavoro di scavo nelle città del Medio Oriente è continuato con appena una
interruzione durante la seconda guerra mondiale, e si può asserire con sicurezza che ora
conosciamo i vari luoghi che erano abitati dall'uomo prima dell'inondazione, che
conosciamo tutti i villaggi e città principali che furono costruite, e perfino i luoghi delle
caverne in Europa e in Africa, nelle quali cercavano riparo le razze nomadi, come i
Neanderthal, che vivevano di caccia.
Gli scavi nel Medio Oriente
Sia Ur dei Caldei che Kish, vicino all'antica Babilonia, sono situati su terre non molto
elevate sul livello del mare, e perciò dagli scavi eseguiti non si può trarre alcuna
indicazione dell' estensione dell'inondazione. Erano state costruite in un periodo
relativamente recente prima dell'inondazione, e non potevano fornire informazioni sul
modo di vita dell'uomo primitivo. Realmente importanti sono le città antecedenti
all'inondazione di Gerico, Tepe Gawra non lungi da Nineveh, e le città dell'Altopiano
dell'Iran, primieramente perché esse non potevano essere raggiunte da una inondazione
locale della Mesopotamia, e secondariamente, perché la loro fondazione risale al tempo
dell'uomo più antico, e quindi danno una buona idea del suo modo di vita.
Ecco un breve resoconto dei risultati ottenuti dagli scavi in ognuno di questi tre luoghi.
Gli scavi fatti a Gerico
Gerico è situata a circa 3 chilometri dal Mar Morto, l'acqua salmastra del quale fu
portata dall'oceano dalla Grande Inondazione che avvenne nel 7.000 A. C. e lasciata
indietro perché il Mar Morto è molto più basso del livello dell'oceano.
Gerico è una delle prime città costruite dall'uomo: ebbe origine probabilmente circa
3000 anni prima della Inondazione, fu ricostruita più tardi e continuò per altri 5500 anni
finché fu bruciata da Giosuè. Gli scavi furono iniziati da una spedizione tedesca prima
della prima guerra mondiale, ma si dovettero sospendere; furono ripresi nel 1929 da una
spedizione britannica sotto il Prof. Garstang, e continuarono fino al 1936. Furono
nuovamente ripresi dopo la seconda guerra mondiale da una spedizione diretta dal Dr.
Kathleen Kenyon e continuarono fino ad alcuni anni fa. E' soltanto durante le due ultime
spedizioni che si scopersero tracce della Grande Inondazione.
Tanto il Prof. Garstang che il Dr. Kathleen Kenyon scrissero i risultati degli scavi;
mentre i loro resoconti differiscono sulla data della distruzione della città fatta da
Giosuè, perché seguirono sistemi differenti di cronologia, essi sono in completo accordo
nelle descrizioni della città anteriore all'Inondazione, che la sua distruzione fu opera
dell'acqua, che fu abbandonata per un lungo periodo dopo l'inondazione; e sul grado di
civiltà raggiunta al tempo della inondazione.
Ambedue i racconti sono d'accordo nel dire che gli abitanti prima dell'Inondazione
avevano fabbricato degli utensili domestici e strumenti agricoli di un tipo distinto,
differenti da quelli trovati nelle città della Mesopotamia anteriore all'inondazione, che
sembravano essere vissuti in uno splendido isolamento fino a poco tempo prima della
Inondazione, quando si cominciò a importare le terraglie dell'Egitto e della
Mesopotamia, che erano di qualità superiore.
Per il fatto che durante gli scavi si trovò la prova che si coltivava la terra e si tenevano
animali domestici cosa che in Europa non cominciò fino all'Età Neolitica (4000 - 3000
A. C.), sia Garstang che Kathleen Kenyon vennero all'erronea conclusione che la città
pre-diluviana di Gerico doveva appartenere all'Età Neolitica, nonostante il fatto che tutti
gli strumenti di pietra trovati vi fossero fatti secondo il metodo Paleolitico, ossia colla
scagliatura. Quando tuttavia si usò il metodo del Carbonio14 sul legno carbonizzato,
trovato in abbondanza sia sotto che sopra il deposito dell'inondazione, si scoprì che la
data della distruzione della città pre-diluviana era avvenuta circa il 7000 A. C. che è la
data in cui secondo i geologi, il sale fu portato al Mar Morto dall' oceano dalla Grande
Inondazione alla fine dell'Età Glaciale.
Gli scavi a Tepe Gawra
Tepe Gawra è situata sull'altopiano al Nord-Est dell'antica città di Ninive. Trovandosi a
circa 660 metri sul livello del mare, non poteva essere raggiunta da una semplice
inondazione locale.
Scavi eseguiti poco prima della seconda guerra mondiale hanno rivelato che c'era stata
un'antica città costruita molto tempo prima della inondazione; che fu distrutta dall'
inondazione, abbandonata per un periodo indefinito, e poi ricostruita; che c'erano stati in
tutto 26 livelli di occupazione, i quali indicavano che la città era stata costruita,
abbandonata e ricostruita 26 volte; che 10 di questi livelli di occupazione si trovavano
sotto i depositi dell'inondazione e 16 al disopra: che il vasellame e gli artefatti trovati
negli strati anteriori all'inondazione erano di qualità molto superiore a quelli trovati a
Gerico.
I forni in cui prima dell'inondazione venivano cotti i vasi artisticamente dipinti, furono
trovati nello strato immediatamente sotto il deposito dell'inondazione. Nello stesso strato
si trovarono pure utensili ed armi fatte martellando il rame fuso all'aperto. Negli strati
immediatamente superiori al deposito dell'inondazione, non c'erano né vasi né strumenti
di rame ma solo rozzi attrezzi di selce. L'uomo, dopo l'inondazione, doveva
ricominciare.
L'altopiano dell'Iran
L'altopiano dell'Iran si trova a più di 1500 metri al disopra della pianura della
Mesopotamia. Parte dell'altopiano consiste in un deserto di sale, sale che vi fu portato
dall'oceano nel 7.000 A. C. dalla stessa inondazione che depositò il sale nel Mar Morto.
Gli scavi eseguiti sull'altopiano dopo la seconda guerra mondiale hanno rivelato che
c"erano state un numero di città fiorenti nel resto dell'altopiano; che queste erano state
distrutte da un'inondazione, che il livello di civiltà materiale raggiunto prima
dell'inondazione era il più alto nel Medio Oriente; che erano stati lavorati utensili ed
armi di rame in quantità considerevole, martellando il rame con la lega naturale che
conteneva, e che il rame era stato estratto dalle montagne dell'Iran
La Bibbia ci dice che Caino, dopo l'uccisione di Abele, andò verso l'Oriente, e che
Tubalcain, suo discendente era un martellatore di ottone e ferro (i. e. del metallo). Gli
scavi sull'Altopiano dell'Iran fornirono una indicazione che Caino (e sua moglie o le sue
mogli, che erano sue sorelle) possono essere andati nell'Iran. C'è una tradizione e delle
rivelazioni private che Adamo ed Eva, dopo la caduta, andarono in Palestina, che Seth
nacque colà, e che Adamo fu seppellito sul Calvario.
La Bibbia presenta i discendenti di Caino come quelli che fecero maggior progresso
nella lavorazione delle arti che non i discendenti di Seth. Gli artefatti trovati nelle città
dell'Iran anteriori all'inondazione sono decisamente superiori a quelli trovati negli strati
di Gerico precedenti all'inondazione.
Gli scavi non provano questi fatti, ma li sostengono.
Prove dell'estensione dell'inondazione
Queste si ricavano dalle carcasse gelate di Mammoth trovate lungo le sponde
dell'Oceano Artico. Siccome non c'è alcuna catena montagnosa né altro ostacolo tra
l'Altopiano dell'Iran e l'Oceano Artico, un'inondazione che avesse coperto la pianura ed i
fianchi dei monti adiacenti avrebbe raggiunto non solo l'Oceano Artico ma anche il
Canada ed il Nord America. Ci sono prove convincenti che essa realmente raggiunse
questi luoghi.
Nel suo libro The Mammoth and the Flood pubblicato nel 1887, Sir Henry Howorth ci
dice che furono trovate intere mandrie di mammoth di tutte le età, dagli esemplari più
grossi ai più piccoli, lungo la linea costiera dell'Oceano Artico, nelle isole vicino alla
costa e in vari altri luoghi in Siberia; che alcuni avevano perfino la pelle e il pelo intatto,
ed erano così perfettamente conservati che la loro carne si poteva ancora mangiare.
L'acqua calda portata dall'oceano dalla inondazione sommerse intere mandrie di questi
enormi animali in un momento e fece sciogliere il ghiaccio lungo l'Oceano Artico; e
quando l'acqua tornò nell'oceano tosto si congelò sui mammoth e non si è più liquefatta
fino ad oggi.
Sia Sir Henry Howorth che G. F. Wright dimostrarono che la Grande Inondazione
ricoperse non solo il Canada, ma gli Stati Uniti giù fino alla valle del Mississippi.
LA TEORIA DELL'EVOLUZIONE
Il francese Jean Baptist Lamarck (1744-1829) e l'inglese Charles Darwin (1809-1882),
furono fra i primi che cercarono di spiegare l'origine delle varie specie di esseri viventi,
compresa l'origine dell'uomo, con la teoria della evoluzione. Lamarck insegnò che Dio
creò un numero di organismi viventi primitivi, e che da questi si sono gradualmente
evoluti le varie specie di esseri viventi ora esistenti per mezzo della influenza
dell'ambiente; e che il miglioramento così acquisito fu trasmesso ai loro discendenti.
Charles Darwin in The Origin of Species l'opera in cui spiegò la sua teoria, insegnò che
l'evoluzione si realizzò attraverso al concorso di tre forze misteriose: Selezione naturale,
Lotta per l'esistenza, Sopravvivenza del più forte.
A riguardo dell'origine dell'uomo Darwin insegnò nel suo Descent of Man che l'uomo,
l'ultimo della serie, si evolvette direttamente da una scimmia. Al tempo della
pubblicazione di The Origin of Species, Darwin professava di credere in Dio, ma dopo la
pubblicazione di The Descent of Man, quando si era assicurato il favore di atei eminenti,
che avevano visto che la sua teoria poteva servire a propagare l'ateismo, egli annunciò di
aver cessato di credere in Dio. Nella sua teoria iniziale Darwin insegnò che il Creatore
ispirò poteri misteriosi in poche forme o in una sola; ma nella sua forma finale, egli
insegnò che tutti gli esseri viventi si potevano far risalire a una sola forma che sorse per
generazione spontanea.
Nel capo 10° di The Origin of Species, Darwin ammise che l'unica prova diretta della
sua teoria sarebbe l'esistenza di fossili di una serie di forme intermedie o anelli che
dimostrassero l'evoluzione graduale culminante con l'uomo; e che se non si trovasse una
simile serie di fossili la sua teoria crollerebbe. Ammise anche che tale serie di fossili non
si era trovata, che la comparsa improvvisa di tutte le specie di invertebrati nelle rocce
Cambriche, e la seguente comparsa improvvisa delle varie specie di vertebrati a lunghi
intervalli, non si poteva spiegare con la sua teoria al tempo in cui scriveva; ma portò la
scusa che la documentazione geologica era imperfetta; ed espresse la speranza che la
serie richiesta di fossili sarebbe scoperta in seguito.
I suoi seguaci furono costretti ad ammettere: che una serie di fossili di forme intermedie
costituisce l'unica prova diretta della teoria di Darwin; e vedendo che è imperativo
trovarli, hanno periodicamente, durante i secoli dopo Darwin, avanzato delle pretese di
averli trovati; ma come vedremo, queste pretese sono state confutate. Le teorie originali
sia di Lamarck che di Darwin sono state abbandonate da tempo; sono state sostituite dal
Neo-Lamarckismo, molto poco conosciuto, e dal Neo­Darwinismo, la moderna teoria
dominante degli evoluzionisti.
Sir Julian Huxley, a pago 40 del libro Evolution in Action (pubblicato nel 1953) ha il
seguente commento di questi sistemi abbandonati, che erano stati accettati per più di
mezzo secolo dai cosiddetti autori cattolici progressisti.
«Colle conoscenze accumulate dal tempo di Darwin, non è più possibile credere che
l'evoluzione è prodotta attraverso la cosiddetta eredità di caratteristiche acquisite, i
risultati diretti dell'uso o abuso di organi, o dei mutamenti di ambiente; o con la volontà
cosciente o incosciente di organismi; o attraverso le misteriose operazioni di qualche
forza vitale; o con qualsiasi altra tendenza inerente.
«Tutte le teorie ammassate assieme sotto i titoli di orthogenesi e Lamarckismo hanno
perduto ogni valore alla luce delle scoperte moderne; non meritano più di essere
chiamate teorie scientifiche ma si possono chiamare delle speculazioni senza la dovuta
base di realtà, o superstizioni mascherate in veste moderna».
Vere scoperte
Mentre i seguaci di Lamarck e di Darwin si sforzavano invano di trovare qualche prova
convincente della teoria che dalle specie esistenti possono evolversi delle nuove, o che
almeno si erano evolute nel passato: un Agostiniano chiamato Padre Gregor Mendel
(1822-1884) che era contemporaneo di Darwin, faceva degli esperimenti scientifici con
lo scopo di produrre nuove varietà migliorate della stessa specie, e vi riuscì
mirabilmente.
Il suo successo portò alla scoperta delle leggi dell'ereditarietà, alla produzione di varietà
migliorate di cereali, e di razze migliorate di vari animali domestici. Fu la scoperta di
Padre Mendel ad invalidare la teoria di Darwin, e a costringere gli evoluzionisti ad
abbandonare la forma originale e ad adottare una nuova teoria che chiamarono NeoDarwinismo. In un articolo in The Catholic Encyclopaedia, vol. 10, Sir Bertram Windle
scrive: «Bateson in Mendel's Principles of Heredity afferma che i suoi (di Mendel)
esperimenti sono degni di annoverarsi con quelli che misero le basi delle leggi atomiche
di Chimica, e che questa scoperta ha una importanza poco inferiore a quella di un
Newton o un Dalton».
Un'altra scoperta di minore importanza fu fatta dal Dr. Mivart che era evoluzionista
contemporaneo di Darwin. Era nel senso che ci sono tante differenze tra il corpo della
scimmia e quello dell'uomo, che sarebbe affatto impossibile che il corpo di un uomo si
evolva da una scimmia. Questo è ora generalmente accettato dagli evoluzionisti, che
dicono che l'antenato comune dell'uomo e della scimmia fu il tarsio o il lemuro. Questa
ritirata dalla posizione di Darwin aumenta la difficoltà di trovare un anello tra l'uomo e
gli animali inferiori.
Scoperta dei resti fossili dell'uomo primitivo
Siccome è ammesso da Darwin, dagli evoluzionisti del suo tempo, e dagli stessi
evoluzionisti del nostro, compresi uomini come Sir Julian Huxley, che i resti fossili dei
vari esseri che vissero in questo mondo, sia animali che umani, costituiscono la sola
prova diretta dell'evoluzione tanto dell'animale inferiore come dell'uomo; una
conoscenza accurata dei resti fossili degli animali inferiori e specialmente dell'uomo è di
somma importanza per la soluzione del problema dell'origine delle specie in generale e
dell'uomo in particolare.
Ci fu prima di tutto, la scoperta dei fossili stessi, e questa per la massima parte avvenne
a caso, senza l'aiuto di spedizioni organizzate, come fu delle scoperte fatte nelle antiche
città anteriori all'Inondazione.
Le scoperte di fossili che si pretende siano di forme intermedie o di anelli mancanti
furono praticamente tutte fatte da evoluzionisti e non ebbero la testimonianza di
testimoni indipendenti. Quella parte della scoperta non richiese molto tempo; nei pochi
casi in cui furono necessari degli scavi, come in quello dell'Uomo di Pechino, al
massimo si richiesero 20 anni; ma la parte più importante, quella della scoperta dei fatti
reali riguardanti gli uomini o esseri ai quali appartenevano i fossili, nella maggioranza
richiese da 40 a 100 anni.
Nei casi dei fossili dell'Uomo di Neanderthal che sono di gran lunga i fossili più
importanti di tutti quelli trovati dal tempo di Darwin ad ora, la scoperta richiese quasi
100 anni; e nel frattempo essi erano usati come prova della teoria della evoluzione
dell'uomo, venendo presentati nei musei e nei libri come esseri più simili alle scimmie
che all'uomo.
Fossili scoperti negli ultimi 100 anni
L'Uomo di Neanderthal
Il primo fossile di Neanderthal scoperto è un cranio trovato a Gibilterra nel 1848, ma al
momento non attirò alcuna attenzione.
Il secondo cranio fu trovato in Germania nella valle del fiume Neander vicino a
Dusseldorf, nell'anno 1856; fu questo cranio che diede il nome di Neanderthal alla razza
a cui apparteneva.
Più tardi fu presentato dagli evoluzionisti come cranio di un «anello mancante» con la
capacità cervellare di 230 c.c. sotto la media dell'uomo. Quaranta anni più tardi, quando
furono scoperti parecchi altri crani di Neanderthal, il cranio fu nuovamente misurato e si
trovò che era ben superiore alla media dell'uomo moderno.
Quando veniva corretta una affermazione erronea, ne veniva inventata un'altra, che cioè
il cranio dimostrava che l'essere a cui apparteneva aveva la fronte china in avanti come
quella della scimmia.
Trent'anni dopo il Prof. Sergio Sergi dell'Università di Roma, trovò un cranio di
Neanderthal a Saccopastore, presso Roma, che dimostrava che il cranio di Neanderthal
era un cranio umano normale, e che l'uomo di Neanderthal camminava perfettamente
eretto.
Poi nel 1947, M.lle Henri Martin a Fontechevade, in Francia, fece una scoperta che
provava che prima dell'arrivo dell'uomo di Neanderthal era esistita in Europa una razza
di uomini con cranio simile a quelli dell'uomo moderno. Infine, gli scienziati atei che
avevano a cuore la loro reputazione hanno cancellato l'Uomo di Neanderthal come prova
della evoluzione e lo hanno classificato come «Homo Sapiens». Nonostante tutto questo,
alcuni evoluzionisti cattolici usano ancora l'uomo di Neanderthal come prova non solo
della teoria dell'evoluzione umana, ma anche della teoria del Poligenismo.
Il Dryopithecus
Nel 1865 il francese Edward Lartet trovò una mandibola con pochi denti che, egli
credette, sembravano denti umani e pretese di avere scoperto un «anello mancante».
Nel 1890 un altro francese, Gaudry, trovò nello stesso luogo, una mandibola completa e
affermò che era la mandibola di una specie estinta di scimmia. Denti fossili e parecchie
mandibole di varietà differenti dello stesso animale furono trovate più tardi nelle colline
Siwalik in India. Non esiste alcuna prova che gli esseri ai quali appartenevano quei denti
e quelle mandibole avessero alcuna somiglianza con l'uomo; ma gli evoluzionisti hanno
loro dato nomi fantastici come Bramepithecus, Ramapithecus, ecc. e li hanno messi
nella loro lista di «anelli mancanti». Si trovano nella lista data da P. Francoeur in
Perspectives in Evolution.
Il Pithecanthropus, o Uomo di Giava
Nel 1889, il chirurgo olandese Dr. Dubois andò a Giava coll'idea di trovare dei fossili
dell'uomo primitivo, che servissero come prova della teoria dell'evoluzione umana.
Tornò due anni dopo, portando seco una quantità di fossili, che nascose, eccetto un
femore che pretendeva fosse di uomo, e un cranio che egli affermava avere il cervello a
metà tra l'uomo e la scimmia.
Siccome la cassa cerebrale del cranio era stata rimossa, la sua affermazione sulla
capacità cerebrale sotto­umana non poteva venire verificata. [Per il lettore che non lo
sapesse, la capacità cerebrale media del cranio dell'uomo moderno è di circa 1.500 c.c., della donna
1350 c.c.; quella del gorilla maschio (che ha la maggiore capacità cerebrale tra gli animali) 600 c.c.,
quella della femmina meno di 500 c.c., non si è mai trovato il cranio di un essere con una capacità
cerebrale a metà tra l'uomo e il gorilla].
Quando, trascorsi 30 anni, egli presentò i fossili che aveva nascosto, si trovò fra di essi
il famoso «Cranio di Wadjak» con la capacità cerebrale di 1.700 c.c.
Il Dr. Dubois ammise in parecchie occasioni prima della sua morte che il primo cranio
che aveva presentato apparteneva a un gibbone. Anche se non avesse fatto
quest'ammissione, la sua pretesa di avere scoperto il fossile di un essere dalla capacità
cerebrale sott'umana che camminava eretto non sarebbe accettata in nessun tribunale.
Si fecero altri tre tentativi in Giava per trovare degli «anelli mancanti» ma finirono tutti
nel fallimento.
L'Uomo di Piltdown
L'uomo di Piltdown fu un caso di pura frode in cui furono coinvolti degli eminenti
scienziati inglesi. Nel 1812, Charles Dawson, in un articolo in The Manchester
Guardian annunciò che degli uomini che lavoravano in una cava di sabbia a Piltdown
avevano scoperto un cranio con una mandibola simile sotto ogni aspetto a quella di una
scimmia, eccetto che i denti erano consumati allo stesso modo dei denti umani. In
seguito il famoso Padre Teilhard de Chardin, Gesuita francese, che allora studiava nel
Collegio dei Gesuiti a Rastings, trovò nello stesso luogo un numero di strumenti
primitivi e ossa fossili di vari animali estinti. La pretesa, avanzata da Dawson (morto nel
1916) di avere scoperto un anello mancante, fu pubblicata in ogni paese del mondo; e gli
evoluzionisti se ne servirono per oltre 40 anni a prova della teoria dell'evoluzione
umana.
Nel 1953 trapelò la verità che l'uomo di Piltdown era un caso di contraffazione.
Gli evoluzionisti si allarmarono e decisero di sconfessare l'uomo di Piltdown ora che i
fatti erano noti a un gran numero di persone. Degli esperti, tutti evoluzionisti, furono
convocati a sconfessarlo. Nel racconto delle ricerche da loro fatte, e che furono
pubblicate, essi ammisero ciò che era già noto: che la mandibola, che era di scimmia,
non apparteneva al cranio, perché questo era antico di migliaia di anni, mentre la
mandibola di scimmia era un campione recente di pochi anni. Gli esperti ammisero pure
che la mandibola era stata colorata per darle l'apparenza di antichità, e che i denti erano
stati limati, per farli sembrare denti umani. La frode consistette specialmente nel togliere
la mandibola umana e sostituirvi quella di scimmia.
L'Uomo di Pechino o Sinanthropus
L'uomo di Pechino, come quello di Piltdown, è un caso di frode ma di genere differente.
Ecco una breve esposizione dei fatti del caso. Dopo qualche ricerca preliminare da parte
di vari esperti che cominciò fin dal 1912, il chirurgo americano Dr. Davidson Black,
ottenne un sussidio annuale di 20 mila dollari dall'Istituto Rockfeller, per lo scopo di
eseguire degli scavi in un luogo chiamato Chou-kow-tien, un 60 km. da Pechino. Egli
diede l'incarico degli scavi ad un Cinese chiamato Dr. Pei. I fossili ed altri oggetti di
interesse si dovevano portare a Pechino per essere esaminati. Gli scavi consistevano nel
rimuovere migliaia di tonnellate di pietra calcare che era caduta da una montagna
calcarea in una frana avvenuta migliaia di anni fa. Quando fu rimossa una quantità della
pietra caduta, sotto di essa furono scoperti: 1) un mucchio enorme di ceneri; 2) migliaia
di pietre conciate che erano state portate da lontano, presumibilmente allo scopo di
costruire dei forni per bruciarvi il calcare; 3) un numero di crani che probabilmente
erano crani di scimmia, perché nel distretto si trovarono crani di scimmia in abbondanza.
Il Dr. Black scelse uno dei crani trovati nella cenere per rappresentare l'Uomo di
Pechino. P. Teilhard de Chardin, in un articolo in Revue des Questions Scientifiques
(Parigi, 1930) dice che quando fu trovato il cranio, «l'intera parte cerebrale era
mirabilmente conservata»; ma quando il Dr. Black espose il cranio, la cassa cerebrale
era stata rimossa.
P. Teilhard de Chardin invitò il suo ex-professore, il famoso Marcellin Boule,
evoluzionista, una delle più grandi autorità sui crani fossili, a venire in Cina. Il Professor
Boule ci venne, ma quando vide che l'unica prova che era stata presentata era un cranio
di scimmia ammaccato, si adirò. Denunciò P. Teilhard de Chardin e gettò il ridicolo sulla
pretesa che le creature cui appartenevano quei crani ammaccati avessero potuto esercire
l'industria di bruciare il calcare su vasta scala quale gli scavi rivelarono. Il Professor
Boule sostenne che l'industria evidentemente era opera di veri uomini.
Quando Boule tornò in Francia, P. Teilhard cominciò un articolo in cui tentò di
confutare l'affermazione di Boule, e di provare che vicino a quel luogo, non c'era stato
nessun vero uomo; ma lasciò l'articolo incompleto, finché un giorno il Dr. Pei portò dei
resti fossili di 10 veri uomini, tra cui tre crani completi. P. Teilhard finì subito l'articolo,
ammettendo che si erano trovati i fossili di veri uomini; ma tentò di dimostrare che i veri
uomini di cui si erano trovati i fossili non avevano nulla a che fare coll'industria.
L'articolo di P. Teilhard fu pubblicato nella Revue des Questions Scientifìques del 1934.
Il mattino della scoperta dei fossili di veri uomini, il Dr. Black andò al laboratorio per
esaminarli; ma fu trovato più tardi morto in mezzo ai medesimi. Fu il P. Teilhard a dar la
notizia della morte del Dr. Black.
Il Dr. Weidenreich fu designato dall'Istituto Rockfeller a succedere al Dr. Black.
Trovandosi evidentemente sotto l'impressione che non si era pubblicata nessuna notizia
della scoperta dei fossili di veri uomini, decise di celare il fatto. Scrisse un articolo in
Nature in cui affermò che si erano trovati altri crani dell'Uomo di Pechino, e che essi
avevano una grande capacità cerebrale.
P. Teilhard scrisse un altro articolo che pubblicò in Etudes. In questo articolo egli
negava di aver pubblicato in Revue des Questions Scientifìques che si erano scoperti dei
fossili di veri uomini, e disse che erano stati scoperti altri 3 crani dell'Uomo di Pechino,
come quello precedente.
Trascorsi cinque anni, il Dr. Weidenreich pubblicò la verità: che si erano scoperti i
fossili di uomini veri; lo pubblicò prima in Cina, la seconda volta in una conferenza
tenuta all'università di California, e la terza volta nel libro Apes, Giants and Man.
Da questo breve sommario del mio capitolo di 30 pagine in Science of Today and the
Problems of Genesis dovrebbe apparire ben chiaro che il primo cranio esibito dal Dr.
Black per rappresentare l'Uomo di Pechino era, come disse il Professor Boule, il cranio
di una scimmia uccisa e mangiata dagli operai. Più tardi il Dr. Weindenreich che nel
primo articolo aveva celato il fatto che erano stati scoperti dei crani umani, in tre
differenti occasioni non solo ammise il fatto, ma ne pubblicò delle fotografie.
L'Uomo di Pechino è dunque un caso di frode multipla, o se preferite, un puro mito per
fabbricare il quale si sono spesi trecentomila dollari di buon denaro americano.
I fossili di Australopitechi
Questi fossili furono trovati in Sud Africa, specialmente nel Transvaal, dai Dr. Dart,
Broom e Robinson a tempi diversi tra il 1925 e il 1947. Le tre affermazioni fatte
riguardo ai proprietari di questi fossili: che avevano una capacità cerebrale di 750 c.c.;
che fabbricavano strumenti primitivi di pietra, e che conoscevano l'uso del fuoco: sono
state respinte da autorità in paleontologia, come l'americano Romer, e i francesi Boule e
Vallois, i quali respinsero totalmente la supposizione che quelle creature facessero degli
strumenti di pietra e conoscessero l'uso del fuoco; e misero la capacità cerebrale tra i 400
e i 600 c.c. che è la maggiore capacità cerebrale per un qualsiasi animale.
In Evolution as a Process, edito da Sir Julian Huxley, Sir S. Zuckerman ha un articolo
di cinquanta pagine su questi fossili che egli provò essere fossili di animali che mostrano
nessun segno di evoluzione, e nessuna somiglianza con l'uomo.
Sir Julian Huxley, che accetta la soluzione di Zuckerman, osservò che il caso mostra
quanto cauti dovrebbero essere gli evoluzionisti prima di accettare nuove scoperte di
fossili. Ebbene, praticamente tutti i cattolici sostenitori della teoria del poligenismo
citano questi fossili di Australopitechi tra le prove della teoria, contro l'accettazione della
quale la S. Sede ha pubblicato ripetuti ammonimenti.
I fossili dell'Oreopithecus
Questi fossili furono trovati in abbondanza vicino ad una miniera di carbone in
Baccinello nell'Italia Settentrionale nel 1870. Un paleontologo francese, di nome
Gervais, li esaminò nell872, ed espresse l'opinione che appartenevano ad una specie
estinta di scimmie.
Un paleontologo tedesco, Schlosser, pensò che somigliavano a fossili di babbuini o di
scimmie dalla coda lunga.
Lo svizzero Dr. Hurzeler, affermò di aver trovato fossili delle stesse creature nella
miniera di carbone; ma di questo fatto non esistono prove sufficienti, e come lo stesso
Hurzeler ammise, i fossili che egli presentò non avevano alcuna vera somiglianza con
l'uomo.
Lo Zinjanthropus
In due articoli nel National Geographic Magazine, del 1960 e 1961, il Dr. Leakey,
autore di Adam's Ancestors, informa i suoi lettori che il National Geographic Magazine,
gli aveva assegnato un «generoso sussidio» (di cui non specifica l'ammontare) allo
scopo di esplorare l'Olduvai Gorge, in Tanganyika, con l'intenzione che scrivesse
qualche articolo per la loro rivista.
Egli aveva già esplorato la gola in questione per procurarsi del materiale per Adam's
Ancestors, con risultati sfavorevoli alla teoria dell'evoluzione, di cui egli era un ardente
sostenitore.
In quest'occasione egli trovò quattrocento frammenti di ciò che egli asseriva essere un
cranio preistorico. Dice che tentò di ricostruire il cranio e trovarne la capacità cerebrale,
ma egli lasciò intendere che non si attendeva che i lettori lo avrebbero preso sul serio.
Nell'Adam's Ancestors, ci dice che i laboratori in cui i veri uomini lavoravano gli
strumenti della Età paleolitica trovati dappertutto in Europa e in Africa, erano stati
scoperti in questa gola. Si può perciò presumere che le quattrocento schegge
appartenevano al cranio di un vero uomo, e che l'asserzione del Dr. Leakey di aver
ricostruito il cranio, non ha da prendersi sul serio.
SOMMARIO DELLE CONCLUSIONI
I geologi e gli antropologi ci hanno fatto sapere che: alla fine dell'Età Glaciale, verso il
7.000 A. C. avvenne una grande Inondazione, causata dall'abbassamento di una gran
parte dell'Emisfero settentrionale sotto il peso del ghiaccio, e che l'inondazione si estese
molto oltre l'area coperta dal ghiaccio; che la razza umana deve essere stata presente in
quell'area, perché fuori di essa non si è trovato alcuna traccia di uomo; che la
Mesopotamia che, come vediamo, era la patria originale della razza umana, fu il primo
luogo ad essere abitato dopo l'inondazione; che prima della dispersione dopo
l'inondazione, era stato sviluppato gradualmente un sistema geroglifico di scrittura, che
fu portato in Egitto dagli Egiziani, in Cina dai Cinesi, e in America dagli Indiani; che
prima dell'inondazione si tenevano degli animali domestici: il bue, la pecora, la capra, il
suino e il cavallo; e che gli uomini primitivi coltivavano i cereali comuni: il frumento,
l'orzo e l'avena; che gli utensili domestici e strumenti e armi di vario genere vennero
sviluppati dai primi tentativi primitivi fino a raggiungere un alto grado di perfezione, e
che presto dopo l'Inondazione, strumenti e armi furono manufatti martellando il rame
fuso all'aperto.
Gli evoluzionisti che fin dal tempo di Darwin hanno frugato in ogni parte del mondo
nella speranza di trovare i fossili di forme intermedie fra l'uomo e la bestia, col
fallimento di non aver trovato neppure una di tali forme, hanno fornito la prova che non
esiste nessuna forma del genere, e che non si può trovare nessuna prova diretta della
teoria dell'evoluzione.
Si può perciò affermare che i grandi scienziati del secolo passato hanno fornito delle
prove a sostegno del racconto biblico dell'origine dell'uomo, del Diluvio, e del genere di
vita dell'uomo fin dalle età più antiche sia di prima che dopo l'inondazione; che hanno
fornito le prove a sostegno dell'insegnamento tradizionale della Chiesa; che la razza
umana è discesa da una coppia di antenati, e che quindi non c'è affatto bisogno di
alterare l'insegnamento della Chiesa a riguardo del Peccato Originale.
ARGOMENTI USATI DAI POLIGENISTI CATTOLICI
Gli autori cattolici che accettano la teoria del poligenismo (o pluralità degli antenati)
asseriscono che le scoperte scientifiche moderne dimostrano che la presente popolazione
umana non è discesa da una sola coppia di progenitori, ma da parecchie coppie
differenti, e che la (pretesa) scoperta di tal fatto nei tempi moderni necessita un cambio
nella spiegazione tradizionale della dottrina del peccato originale.
Dicono che queste conclusioni derivano da una giusta comprensione della forma
riveduta della teoria dell'evoluzione chiamata Neo-Darwinismo e dalle scoperte di forme
intermedie tra l'uomo e l'animale inferiore.
Ora, in primo luogo, si deve notare che le stesse conclusioni derivano dalla teoria
dell'evoluzione proposta originariamente da Darwin, ma esse venivano deliberatamente
tenute fuori di vista dai propagandisti cattolici della teoria dell'evoluzione al principio
del secolo, per evitare di tirarsi addosso la censura della Santa Sede.
I propagandisti, specialmente quelli appartenenti al circolo del Conte Begouen di Tolosa
in Francia, il cui scopo era di far introdurre la teoria dell'evoluzione nei seminari e
collegi cattolici, scoprirono che la forma più efficace di propaganda era quella di
concentrarsi sugli «anelli mancanti» - l'Uomo di Neanderthal ecc. come l'argomento più
persuasivo; e di affermare dogmaticamente che la teoria che, asserivano, sarebbe alla fin
fine accettata dalla Chiesa Cattolica, era completamente d'accordo con l'insegnamento
della Chiesa e con il racconto biblico della creazione dell'uomo, debitamente inteso.
Questa propaganda insidiosa del circolo del Conte Begouen, che comprendeva persone
influenti quali il canonico Dorlodot di Lovanio e P. Teilhard de Chardin S.I., ebbero
purtroppo successo, prima in Francia, poi in altri paesi d'Europa e d'America, col
risultato che la teoria fu accettata in molti, se non nella più parte dei seminari e collegi
cattolici del mondo.
Ora che la teoria ha preso ben piede entro la Chiesa Cattolica, e che si è creata
l'impressione erronea che gli argomenti in favore della teoria dell'evoluzione umana
sono così forti da non potersi confutare, i propagandisti sono usciti ad affermare che la
forma riveduta della teoria dell'evoluzione chiamata Neo-Darwinismo, implica
l'accettazione della teoria del poligenismo che renderebbe necessaria la revisione
dell'insegnamento della Chiesa riguardo al Peccato Originale.
Neo-Darwinismo
Come abbiamo visto, la scoperta di Padre Mendel dei principi di ereditarietà rese
insostenibile la teoria originale di Darwin, e costrinse i suoi seguaci a rivederla. La
forma riveduta si chiama Neo-Darwinismo. Padre Mendel produsse nuove varietà della
stessa specie incrociando varietà selezionate della stessa specie e poi incrociando gli
ibridi che ne erano risultati. Gli evoluzionisti tentarono di produrre nuove specie più o
meno con lo stesso metodo, ma non ci sono riusciti.
Primo a fare l'esperimento fu Hugo de Vries, botanico olandese, che fece l'esperimento
sulla evening primrose americana, e produsse delle piante che affermava essere specie
nuove. Attribuì il cambiamento al mutamento nel gene, ed è noto come l'autore della
«teoria dei mutamenti».
Si scoprì poi che la pianta originale su cui fece l'esperimento non era una specie pura
come egli credeva, ma un ibrido che incorporava caratteri di molte varietà. Questi
caratteri apparvero in alcune piante figlie, che perciò non erano specie nuove, ma
puramente varietà della medesima specie. L'esperimento di De Vries verificò soltanto le
leggi di ereditarietà di Mendel.
T. H. Morgan eseguì un numero di esperimenti sulla Drosophila Melanogaster (mosca
della frutta). Egli ne allevò fino a 1.000 generazioni, ma si trovò che erano tutte varietà
differenti della mosca, non una specie nuova.
Siccome questi esperimenti tendevano solo a dimostrare la stabilità presente della
specie, gli evoluzionisti portarono la scusa per il fallimento degli esperimenti, che alla
fine del Periodo Pliocenico tutte le specie erano diventate troppo altamente specializzate
e incapaci di ulteriore evoluzione; ma che prima di quel periodo, l'evoluzione della
specie era prodotta da mutamenti microscopici continuati per milioni di anni e regolati
da una forza chiamata Selezione Naturale che essi presero a prestito dal sistema
originale di Darwin.
Secondo i moderni esponenti del Neo-Darwinismo, cambiamenti dovuti a questi
mutamenti microscopici sono avvenuti in interi gruppi di organismi simultaneamente, e
si sono prodotte intere nuove specie di varie qualità prodotte attraverso le età, ma di ciò
non c'è alcuna prova.
Poligenismo
Coloro che aderiscono alla teoria del poligenismo dicono che la razza umana deve
essersi evoluta allo stesso modo degli animali inferiori, e che a meno che Dio sia
intervenuto con un miracolo speciale a favore della razza umana, la popolazione
presente del mondo deve essere la discendenza di molte coppie di progenitori.
Questo è il primo argomento portato a favore della teoria del poligenismo. Il secondo
argomento è la pretesa scoperta durante il secolo passato in varie parti del mondo, di una
serie di forme intermedie o «anelli mancanti».
Risposte agli argomenti dei poligenisti
1) La teoria del Neo-Darwinismo non è stata provata, e non è possibile provarla.
2) Ognuno dei fossili di una forma intermedia o di un «anello mancante» scoperto
durante il secolo si è trovato, esaminandolo, che era o il fossile di un uomo vero, come
l'Uomo di Neanderthal, o il fossile di un animale inferiore come i fossili degli
Australopitechi; non si è mai scoperto nulla del genere del fossile di una creatura metà
uomo e metà animale.
Ora, a riguardo del primo punto - le difficoltà insuperabili contro il Neo-Darwinismo - il
Dr. Muller, a cui fu conferito il Premio Nobel per gli esperimenti scientifici sulla mosca
Drosophila Melanogaster, ha una prova molto importante da dare. Egli scoprì che
l'esposizione di un animale o di una pianta ai raggi X accresce grandemente la
proporzione alla quale appaiono le mutazioni; nel caso della Drosophila Melanogaster
era del 15.000 per cento.
Questo esperimento fu fatto su questa mosca e su altri organismi, ma essi furono
semplicemente cambiati in differenti varietà della stessa specie, non già in specie
differenti.
Sir Julian Huxley in Evolution in Action (pag. 47) si riferisce agli esperimenti del Dr.
Muller e calcola le probabilità che ci sono per un animale superiore, come il cavallo, di
essere prodotto per mutazioni soltanto casuali.
Egli trova che le probabilità sono di una per mille elevata alla milionesima potenza, che
verrebbe rappresentata dalla cifra 1 seguita da un milione di zeri. Sir Julian aggiunge:
«Questa è una grossa cifra senza senso, ma dimostra quale grado di probabilità la
Selezione Naturale ha da superare e può superare. Nessuno scommetterebbe su una cosa
così improbabile: e tuttavia è avvenuta, grazie all'opera della Selezione Naturale».
La sola definizione che egli può dare della «Selezione Naturale» che può operare tali
meraviglie è che è un termine altamente metaforico; e fa le seguenti domande su ciò che
può compiere: «Può trasformare le squame di un rettile nell'ala di un uccello, o cambiare
una scimmia in uomo? Come può un cieco processo automatico di spostamento come la
mutazione produrre degli organi come l'occhio o il cervello con la loro quasi incredibile
complessità e delicatezza di adattamento?».
«In una parola mi chiedete di credere troppo?».
La risposta ovvia è, naturalmente, che un processo cieco come la Selezione Naturale,
che opera su un altro processo cieco e senza guida come la mutazione, potrà mai
produrre degli organi altamente complessi come l'occhio o il cervello, e nessuna persona
padrona dei suoi sentimenti dovrebbe credere che lo possa, ma la risposta di Sir Julian
Huxley è che non è troppo il crederlo: che la Selezione Naturale, operando su rare
mutazioni casuali non solo può produrre, ma in realtà ha prodotto l'occhio e il cervello.
Se, come dice Sir Julian, la forma originale del Darwinismo era «una vecchia
superstizione camuffata in veste moderna», il Neo-Darwinismo è un'altra superstizione
mille volte peggiore; e tuttavia gli evoluzionisti cattolici non solo accettano questo
sistema assurdo per spiegare l'origine degli animali inferiori, ma anche per spiegare
l'origine dell'uomo, che implica una improbabilità smisuratamente maggiore, e la danno
come una delle prove principali del poligenismo, che nega l'unità della razza umana e va
contro l'insegnamento della Chiesa circa la dottrina del Peccato Originale.
Il secondo argomento
Il secondo argomento (talvolta messo prima), usato a provare la teoria del poligenismo,
è la pretesa scoperta di un numero di forme intermedie, in parte uomo, in parte animale,
in varie regioni del mondo. Questo argomento è già stato trattato prendendo ad uno ad
uno queste forme intermedie o «anelli mancanti» esibiti durante il secolo, e dimostrando
che quelli più importanti che erano stati usati come prova della teoria dell'evoluzione per
più di mezzo secolo, sono stati scartati da atei eminenti, e che gli altri sono tutti casi di
contraffazione o di errore.
Argomento tratto dalla scienza della genetica
A riguardo della pretesa degli evoluzionisti che l'origine delle varie specie ora esistenti
nel mondo si possa spiegare colla scienza della genetica (che, come è ammesso dai
biologi, non è altro che uno sviluppo del Mendelismo), Douglas Dewar scrive in Man a
Special Creation, come segue: «Il lavoro sperimentale moderno indica che le variazioni
negli organismi appaiono in conseguenza di:
1) il raddoppio o moltiplicazione dei cromosomi che occorrono nel nucleo della cellula;
2) nel trasloco o spostamento di parti di cromosomi;
3) la perdita di cromosomi o parti di cromosomi;
4) le mutazioni del gene che sembra essere il risultato del riordinamento delle molecole
che costituiscono il gene;
5) la perdita di geni;
6) varietà di incroci.
«Tutte queste cause sono semplicemente un mescolamento o riordinamento dei
cromosomi o dei geni.
Si può affermare che tale riordinamento produca un numero considerevole di variazioni,
ma chiaramente devono essere entro il tipo.
PARTE II
I PROPUGNATORI CATTOLICI DELLA TEORIA DEL POLIGENISMO
Gli scrittori cattolici che difendono apertamente la teoria del poligenismo in libri o
articoli formano un gruppo molto esiguo, ma sembra che abbiano un seguito
considerevole.
Padre Francoeur che sostiene la teoria, almeno come tentativo, ricorda i nomi dei
principali autori cattolici che la sostengono, e sui loro scritti basa i suoi argomenti in
favore della stessa.
Tra questi sono Padre Bone, S. J. di Louvain, il francese P. Teilhard de Chardin, S. J.,
dai libri del quale egli ha citato largamente, e i Padri olandesi Shoonenberg e Smulders.
Nella edizione francese del mio lavoro Science of Today and the Problems of Genesis
ho trattato gli argomenti in favore del poligenismo di Padre Bone, S. J. e gli scritti di P.
Teilhard de Chardin su materie scientifiche; e trovo che nel libro Perspectives in
Evolution, i principali argomenti di Padre Francoeur per il poligenismo sono
sostanzialmente gli stessi come quelli usati da Padre Bone; e che Padre Teilhard de
Chardin è la autorità principale su soggetti scientifici su cui si basa.
«Perspectives in evolution» di P. Francoeur
Padre Francoeur dedica una parte importante di questo libro alla discussione della teoria
del poligenismo e la sua relazione alla dottrina del Peccato Originale. Come definizione
dell'evoluzione cita, approvandola, quella data da un comitato di cinquanta evoluzionisti
ad un convegno tenuto all'Università di Chic ago nel 1959, che egli sunteggia così:
«Due elementi sono vitali nella definizione: primo, l'accettazione dell'evoluzione come
fatto scientificamente stabilito, e, secondo, l'applicazione di quel fatto a tutti i livelli di
definizione osservabile».
Nell'enciclica Humani Generis di Papa Pio XII leggiamo la diretta contraddizione di
questa definizione:
«Alcuni imprudentemente e sconsigliatamente sostengono che l'evoluzione, che non è
stata provata completamente nel dominio delle scienze naturali, spiega l'origine di tutte
le cose, e audacemente sostengono l'opinione monistica e panteistica che il mondo è in
continua evoluzione».
Abbiamo già portato delle ragioni che dimostrano che la teoria dell'evoluzione non solo
non è stata provata, ma in pratica è crollata. Sulla questione se la pre­sente popolazione
del mondo sia discesa da una coppia di progenitori (monogenismo) Padre Francoeur
dice: «Per gli scienziati, il monogenismo è altamente improbabile e contrario a tutte le
leggi di natura come le conosciamo oggigiorno.
Tuttavia possiamo sempre affermare che Dio passò sopra alle tendenze biologiche della
natura.
Tali interventi estranei... sembrano oggi non necessari nella luce della nostra
conoscenza dell'universo creato»,
Da questa citazione appare evidente che Padre Francoeur sostiene che la teoria
dell'evoluzione umana è stabilita in una forma che esclude il monogenismo e richiede il
poligenismo; ma ammette la possibilità dell'intervento divino ad impedire l'effetto di ciò
che chiama le «leggi della natura».
Tuttavia Papa XII di venerata memoria, afferma categoricamente nell'enciclica Humani
Generis che la teoria della evoluzione umana non è stata provata. Nella stessa enciclica
afferma: «I fedeli non possono abbracciare quell'opinione i cui assertori insegnano che
dopo Adamo sono esistiti qui sulla terra dei veri uomini che non hanno avuto origine,
per generazione naturale dal medesimo come da primogenitore di tutti gli uomini,
oppure che Adamo rappresenta l'insieme di molti primogenitori».
Argomenti di Padre Francoeur
Come tutti gli evoluzionisti cattolici, Padre Francoeur si sforza di sbarazzarsi della
testimonianza della Bibbia in favore della speciale creazione dell'uomo. Lo fa in questo
modo: «L'autore del Genesi non ha ripensato ai particolari scientifici dell'origine e della
struttura dell'universo. I particolari di cui abbisognava per il suo racconto su queste
linee, li prese semplicemente a prestito dai pagani ... Questo noi dobbiamo riconoscere
quando leggiamo il racconto dell'origine dell'uomo» (op. cit., p. 162).
La linea del ragionamento di Padre Francoeur è questa: Il racconto di Mosè della
creazione non è d'accordo con le scoperte della scienza, perciò noi possiamo ignorare il
racconto che egli fa dell'origine dell'uomo. Ora il Professor Armellini direttore
dell'Osservatorio Astronomico di Roma, affermò in un articolo in Studium, 1946: «La
cosmogonia di Mosè è in perfetto accordo, anzi in sorprendente accordo, con le
conclusioni a cui è giunta la cosmogonia astronomica moderna».
E' stato provato che la spiegazione dell' origine del nostro sistema planetario e della
terra, data da Padre Francoeur (pag. 85), che è una modifica della teoria di Laplace, che
la terra e i pianeti furono formati dalla stessa nebulosa del sole, è stato dimostrato
insostenibile dalla scoperta che il sole è composto per il 99% di gas idrogeno, e contiene
solo 1% degli elementi della terra (V. The Nature of the Universe di Padre Hoyle, pago
33).
Dopo il suo fallito tentativo di spiegare l'origine dell'universo, Padre Francoeur va
avanti a spiegare l'origine della vita e di tutte le cose viventi.
A pago 89 dice: Così l'origine della vita, come proposta nel 1924 dallo scienziato russo
Oparin, è stata confermata».
Padre Francoeur accenna ad esperimenti dai quali son prodotti degli aminoacidi e degli
zuccheri, ma questi sono molto lontani dalla produzione della prima cellula vivente.
Padre Francoeur continua: «Non abbiamo prove né dirette né indirette delle prime
forme di vita... Tuttavia possiamo teorizzare sugli stadi che devono essere occorsi
durante quella tediosa evoluzione».
Questa è una ammissione significativa: che non si può produrre nessuna prova diretta né
per l'origine della vita né per le prime forme di vita. Darwin fa la medesima ammissione,
e non fa alcun tentativo per colmare il vuoto; ma Padre Francoeur fa una descrizione
immaginaria delle forme primitive che devono essere esistite centinaia di milioni di anni
prima del Periodo Cambrico, se la teoria dell'evoluzione è vera, ma della quale non si è
trovato alcuna traccia.
Il Periodo Cambrico
Nel 10° capitolo di Origin of the Species, Darwin ammette, e Padre Francoeur e tutti gli
evoluzionisti devono ammetterlo, che miriadi di fossili di tutte le specie, generi,
famiglie, ordini, classi e phyla dei vertebrati appaiono improvvisamente nelle rocce
sedimentarie del Periodo Cambrico. C'erano rocce sedimentarie prima del Periodo
Cambrico - rocce formate dal sedimento al fondo dell'oceano portato dalla terra ferma
dai fiumi - ma non contenevano fossili. Non c'è alcuna spiegazione soddisfacente per la
improvvisa comparsa di fossili di miriadi di creature perfettamente formate di varietà
innumerevoli, eccetto che esse furono create direttamente da Dio Onnipotente.
Tra il Periodo Cambrico e oggi, le varie classi, ordini, famiglie, generi e specie di esseri
viventi sono comparsi improvvisamente ad intervalli. Perfino gli evoluzionisti sono
costretti ad ammettere che, fino ad ora, non si è trovato alcun anello tra gli invertebrati e
i vertebrati; né si è trovato alcun anello tra le varie classi, ordini e famiglie. La
maggioranza di coloro che sostengono che gli esseri viventi furono originalmente creati
o formati direttamente da Dio sono disposti ad ammettere che la famiglia era l'unità di
creazione, benché ciò non sia affatto certo.
Tuttavia Padre Froncoeur dà una spiegazione dell'origine dei diversi phyla, ordini,
famiglie, generi e specie per evoluzione ascrivendo ognuno al periodo nel quale i fossili
apparvero improvvisamente, come se fosse certo che la loro origine fu per evoluzione e
non per creazione speciale; e questo costituisce il preludio alla sua spiegazione
dell'origine dell'uomo per evoluzione.
Spiegazione di Padre Francoeur dell'origine dell'uomo
Al tempo in cui Padre Francoeur scriveva, la teoria di Darwin che l'uomo era disceso
dalla scimmia era universalmente respinta dagli evoluzionisti come biologicamente
impossibile. Egli perciò dà la forma moderna della teoria, che uomo e scimmia hanno un
progenitore comune.
Gli evoluzionisti sono divisi nella scelta dell'antenato comune, tra il lemuro e il tarsio.
Padre Francoeur scelse il tarsio.
La stessa obiezione si può opporre contro il le muro e contro il tarsia come contro la
scimmia di Darwin; che essi sono troppo altamente specializzati, e la difficoltà di
stabilire un anello genetico tra il lemuro o il tarsio e l'uomo, è molte volte maggiore che
di stabilire un anello tra la scimmia e l'uomo.
Non c'è nulla di originale nel tentativo di Padre Francoeur di stabilire un anello di
congiunzione: egli non fa altro che dare la lista convenzionale degli «anelli mancanti»
che si trova nei libri degli evoluzionisti degli ultimi 20 anni; solo aggiunge
l'Oreopithecus di Hurzeler e lo Zinjanthropus di Leakey, che non sono presi sul serio
dalle autorità più eminenti sui fossili umani.
Gli atei che hanno una reputazione da mantenere, come l'inglese Sir Julian Huxley, o i
francesi Boule e Vailois, non esiteranno a scartare dalla loro lista di «anelli mancanti» un
fossile che non sia genuino. Marcellin Boule respinse l'Uomo di Pechino con disprezzo;
Vallois ammise che l'Uomo di Neanderthal era un uomo normale con sopracciglia
prominenti; Julian Huxley respinse i fossili Australopitechi del Transvaal; ma gli
evoluzionisti cattolici, come Padre Francoeur, li tengono tutti nella loro lista, e fanno ciò
quando è in gioco la dottrina cattolica.
Ognuno sa ora che gli dei pagani, come Giove e Venere non esistevano, non erano altro
che dei miti; e tuttavia molti dei primi cristiani vennero messi a morte perché rifiutavano
di offrire loro incenso. Gli «anelli mancanti» dati da Padre Francoeur non hanno mai
avuto una esistenza reale, meglio che le divinità pagane; ciò nonostante essi sono usati
da Padre Francoeur e dai suoi associati nello sforzo di dimostrare che l'insegnamento
della Chiesa sul Peccato Originale ha bisogno di essere modificato.
Padre Teilhard de Chardin S. J.
Padre Francoeur dedica una buona parte del suo libro a Padre Teilhard de Chardin e ai
suoi scritti; lo mette fra i più grandi scienziati del nostro tempo, e per di più, si riferisce a
lui come a un mistico teologo e filosofo. E' la maggiore autorità su cui Padre Francoeur
si basa sulle questioni che discute, a da quanto appare dalle citazioni che ne fa, Padre
Francoeur attribuisce alla sua opinione, maggior peso che non alle opinioni di tutti i Papi
del secolo scorso assieme. L'idea che Padre Teilhard sia uno dei più grandi scienziati del
nostro tempo, che sia riuscito a conciliare le dottrine del Cristianesimo con le scoperte
della scienza moderna, dove altri hanno fallito, è un'opinione accettata praticamente da
tutti gli evoluzionisti, ed ha costituito una parte importante della propaganda per la
diffusione della teoria dell'evoluzione fra i Cattolici durante il mezzo secolo passato. Ma
questa opinione non è affatto accettata universalmente. Una gran parte della popolarità
di cui i suoi libri godono fra i Cattolici, è dovuta agli scritti di alcuni Padri Gesuiti e di
laici, che tennero corrispondenza con lui quando era vivente e scriveva i suoi libri; essi
perciò sono in parte responsabili del loro contenuto. A capo di questi uomini sono: Padre
de Lubac S. J. che tenne corrispondenza con lui per 30 anni e Claude Cuenot suo
biografo. Infatti queste persone, difendendo Padre Teilhard, difendono se stessi.
Ben differente è il quadro di Padre Teilhard de Chardin e dei suoi scritti che si ricava
dalle dichiarazioni della S. Sede contro le sue opere: esse ne proibiscono la vendita nelle
librerie cattoliche, sconsigliano gli studenti del collegi ecclesiastici di leggerle,
dichiarano che contengono gravi errori contro la fede e sono pieni di affermazioni
ambigue. La S. Sede ed i superiori religiosi di Padre Teilhard intervennero non meno di
sette volte nel tentativo di impedire che il veleno contenuto in questi libri si propagasse
per tutto il mondo.
Nella patria di Padre Teilhard, la Francia, teologi eminenti come Padre Filippo della
Trinità O.D.C., uno dei consultori del Vaticano II, hanno analizzato i suoi scritti
religiosi, e hanno segnalato i gravi errori contro la fede che contengono. Scienziati
eminenti come i francesi Professori Bounoure e Vernet hanno fatto lo stesso per i suoi
scritti scientifici, e hanno dimostrato che egli ha nessun diritto di essere chiamato grande
scienziato, e neppure semplicemente scienziato: ma che dovrebbe piuttosto essere
classificato fra i teosofisti.
In particolare, essi dimostrano che si è scoperto, che tutto ciò che egli scrisse sulle
forme intermedie chiamate «anelli mancanti» che egli ha presentato come genuine,
furono casi di contraffazione o di errore. I suoi articoli sui resti fossili dell'uomo e tutti
gli altri articoli che avevano la pretesa di chiamarsi scientifici, furono pubblicati mentre
egli era vivo con il permesso dei suoi superiori che però gli rifiutarono il permesso di
pubblicare le sue due opere principali: The Phenomenon of Man e Le Milieu Divin,
perché contenevano gravi errori contro la fede.
P. Teilhard de Chardin molto travisato
Per la gran parte del clero e del laicato Padre Teilhard de Chardin è un enigma: da una
parte la S. Sede ha pubblicato ripetuti moniti contro i suoi scritti, fra i quali uno
dichiarava che contenevano gravi errori contro la fede, ed erano pericolosi specialmente
per i giovani; dall'altra parte certi autori cattolici, con reputazione di scienziati, hanno
lodato i libri senza riserva, non solo per il loro contenuto scientifico, ma anche per il
modo di trattare la vita religiosa; e come risultato delle loro raccomandazioni i libri
hanno trovato modo di entrare nei conventi in vari paesi, e furono letti avidamente da
certe Suore.
Ora - come contemporaneo di Padre Teilhard, e come missionario che fu in Cina per più
di 20 anni allo stesso tempo di Padre Teilhard, e che ha eseguito un esauriente lavoro di
ricerca sui problemi da lui trattati - ho l'ardire di esporre i seguenti fatti che lo
riguardano che non sono generalmente noti, e che, credo, contribuiranno a spiegare i
gravi errori contro la fede, e l'origine delle idee peculiari circa il culto della natura che si
trovano nei suoi scritti.
Il periodo della sua fanciullezza, gioventù e prima maturità fu un periodo di intensa
propaganda di ateismo in Francia, durante il quale la Chiesa Cattolica era perseguitata
dal governo massonico che era al potere.
Gli Ordini religiosi, maschili e femminili furono espulsi dalle scuole e dagli ospedali in
tutta la Francia e i loro beni confiscati. Era anche il periodo nel quale la eresia del
modernismo, condannata da Papa Pio X dilagava in Francia.
Un'indicazione che la famiglia Teilhard può essere stata influenzata dalle idee
sovversive del tempo si può scorgere nel seguente episodio narrato di Teilhard come
bambino di sei anni da Miss Hilda Graef nella sua breve vita di lui.
Nel suo libro Mystics of our Time, essa dice che all'età di sei anni quando ci si poteva
attendere che mormorasse l'Ave Maria, egli soleva dire: «Dio Ferro»; e il commento che
egli faceva 60 anni dopo su quella abitudine fanciullesca era: «In questo movimento
istintivo che mi faceva veramente adorare un pezzetto di metallo c'era un forte senso di
donazione di me misto a tutta una sequela di obbligazioni; e la mia vita spirituale non è
stata altro che uno sviluppo di questo». Padre North conferma il racconto di Miss Graef,
che il giovane Teilhard adorava un pezzo di ferro; e aggiunge che sua madre, che era una
donna pia, era parente di Voltaire (V. Teilhard and the Creation of the Human Soul di
Padre North).
Mentre era studente Gesuita, egli divenne membro del circolo del Conte Begouen di
Tolosa, il cui scopo era di propagare la teoria di Darwin in Francia, e di introdurla nei
seminari cattolici; egli divenne il più spinto e attivo propagandista di tutti i membri.
Quando andò al Collegio dei Gesuiti di Hastings in Inghilterra, fece conoscenza con il
piccolo gruppo di persone che erano impegnate a promuovere quella che è ora nota
come la contraffazione dell'uomo di Piltdown. Era anche allora sotto la falsa
impressione che erano stati scoperti parecchi «anelli mancanti»; e subito accettò il
racconto fatto dai promotori della contraffazione che si era scoperto un nuovo anello tra
l'uomo e la bestia.
Teilhard cominciò a far frequenti visite alla cava di sabbia dove si diceva che erano stati
trovati i fossili. Quando lo seppero i cospiratori del trucco, diedero istruzione agli operai
di lasciargli raccogliere questi oggetti mentre erano scavati; e pagarono loro una mancia
sostanziale per ogni selce od osso che Teilhard portava loro (V. The Piltdown Forgery di
J. G. Weiner, London, 1955). Tutti gli oggetti piantati appositamente nella sabbia
compresa la mascella di scimmia, passarono nelle sue mani; tuttavia, nei cinque anni nei
quali egli frequentò la scena del trucco, egli vi trovò nulla di male, e poi continuò ad
usare l'Uomo di Piltdown come prova dell'evoluzione umana per 40 anni, finché la
contraffazione non fu pubblicamente ammessa.
L'uomo di Pechino
Ho già dato un resoconto del caso dell'Uomo di Pechino e della parte che vi ebbe Padre
Teilhard. Il solo fatto che il Dr. Marcellin Boule - la più alta autorità dei nostri tempi sui
fossili umani, già professore e amico di Teilhard, propagandista per tutta la vita della
teoria dell'evoluzione; che si recò in Cina preparato a sostenere il nuovo «anello
mancante» - si vide costretto a rigettarlo perché non offriva neppure un caso di prima
facie: sarebbe prova sufficiente, per qualsiasi persona spregiudicata che l'Uomo di
Pechino era un altro caso di contraffazione.
E' venuta in luce la prova che dimostra l'estrema semplicità e credulità di Padre
Teilhard. Il cranio fossile di scimmia dal quale era stata rimossa la calotta cranica, che
era stato presentato a Marcellin Boule e da lui rigettato, ed i resti fossili di veri uomini
trovati in seguito negli scavi, che dimostrarono che Boule aveva ragione, sono
scomparsi. Se questi si potessero trovare, fornirebbero ulteriore prova che l'Uomo di
Pechino era un altro caso di trucco. Ora sembra che Padre Teilhard fece del suo meglio
per conservarli. Si dice che la sua segretaria, una signora tedesca, affermò che Padre
Teilhard le aveva consegnato questi fossili e che essa li mise a bordo di una nave
americana, dopo la resa dei Giapponesi, ma che essi «scomparvero». Una lettera
pubblicata in un giornale di New York, firmata da un membro dell'equipaggio della
nave, asseriva che i fossili furono portati a bordo ma che scomparvero, il marinaio in
questione non dice come.
Ma probabilmente la causa delle idee espresse nel suo lavoro principale, The
Phenomenon of Man fu il corso di specializzazione in filosofia che egli frequentò
all'Università della Sorbona a Parigi.
Al tempo in cui egli studiava colà, il sistema di filosofia ivi insegnato era quello di
Augusto Comte, il positivismo, un sistema che riconosce soltanto i fenomeni positivi e
osservabili [V. The Future of Man, Cap. X, in cui Padre Teilhard cita i Professori Durkeim e LevyBruhl, due dei più famosi discepoli del Comte che erano alla Sorbona quando vi studiava Teilhard].
La fenomenologia di Padre Teilhard è solo un altro nome per il positivismo; mentre egli
protesta in The Phenomenon of Man che egli tratta solo dei fenomeni che nell'uomo
possono essere osservati coi sensi, egli invade sia il campo metafisico che quello
soprannaturale. Padre Francoeur seziona il libro per i suoi lettori e mette a nudo le
assurdità che gli amici di Padre Teilhard, come Padre Lubac, cercano di nascondere.
Ecco un breve schizzo del libro, la cui fedeltà si può verificare leggendo il libro stesso o
il Cap. IV di Padre Francoeur, che sostanzialmente espone i punti di vista di Padre
Teilhard con accuratezza. Ogni materia ha un «di dentro» e un «di fuori». Il di dentro
della materia è la consapevolezza. La consapevolezza aumenta man mano che la materia
diventa più completa, e l'aumento continua finché la consapevolezza raggiunge ciò che
Padre Teilhard chiama «il punto di ebollizione», quando nasce la vita (questa è
generazione spontanea). Simultaneamente alla nascita della vita, si va formando attorno
alla terra, appena sopra l'atmosfera, un'altra sfera che Padre Teilhard chiama «biosfera».
La vita continua ad evolversi e la biosfera continua a svilupparsi finché si giunge ad un
nuovo «punto di ebollizione», quando la vita diventa cosciente di se stessa in alcuni
animali superiori che hanno concentrato la loro energia ad evolvere cervelli più grandi, e
così si genera il pensiero, e l'animale superiore diventa uomo. Padre Francoeur descrive
come segue la nascita dell'uomo: Quando avvenne la convergenza della stirpe dei
primati irrazionali un venti milioni di anni fa, fu raggiunta una nuova soglia critica, un
punto di ebollizione, ed emerse l'uomo.
Mentre avveniva questo, si formava attorno alla terra sopra la biosfera una nuova sfera,
che Padre Teilhard chiama «noosfera» (la sfera della mente). A pag. 151 di The Future of
Man, lo stesso Padre Teilhard descrive la noosfera come «un vero strato di sostanza
vitalizzata, all'infuori e al disopra della biosfera che avvolge la terra».
Verso la fine del libro, Padre Teilhard fa per la prima volta il nome di Dio, e si sforza di
far entrare Cristo e il Cristianesimo nel suo sistema irrazionale e assurdo.
Nel corso del libro Padre Teilhard scende occasionalmente in terra con qualche
informazione scientifica, nel tentativo di fornire una base scientifica alle sue teorie; ma
ogni volta, senza eccezione, la sua informazione scientifica è antiquata. Per esempio, per
spiegare la origine della nostra terra, egli dà una forma modificata della teoria di
Laplace, che dice che la terra si formò dal sole. E' ora noto con certezza che il sole è
composto per il 99% di gas idrogeno, col quale sarebbe impossibile formare la terra.
Poi, per spiegare l'origine dell'uomo da un animale inferiore, egli dà la lista
convenzionale degli «anelli mancanti» che sono il risultato di contraffazione o di errore,
come noi abbiamo già dimostrato.
Alcuni scienziati francesi vorrebbero che The Phenomenon of Man sia classificato tra i
libri di teosofia, e lo stesso Padre Teilhard sia messo tra i teosofi. La teosofia nella sua
forma moderna è definita dall'Oxford Dictionary come «un sistema di speculazione che
pretende di avere una conoscenza della natura più profonda di quella che si può ottenere
dalla scienza empirica...».
Padre Teilhard parla della materia inanimata come se avesse consapevolezza: questa
raggiungerebbe un punto di ebollizione e produrrebbe la vita; questa vita si evolverebbe
in forme diverse e produrrebbe il pensiero e causerebbe la nascita dell'uomo; mentre
vengono prodotte allo stesso tempo due nuove sfere di vera sostanza: la biosfera e la
noosfera. Per tutto questo egli non porta prove di sorta; e tuttavia parla con tanta
sicurezza e così dogmaticamente come se avesse avuto una speciale rivelazione da Dio.
E' in favore di questo tessuto di assurdità che Padre Francoeur, e gli autori che egli cita
come aventi le sue stesse idee su Padre Teilhard, respingono il racconto di Mosè sulla
creazione che ha Dio per autore, e sostengono la teoria del poligenismo e la necessità di
una revisione della dottrina della Chiesa sul peccato originale.
«TEILHARD E LA CREAZIONE DELL'ANIMA UMANA»
di Padre Robert North S. J.
Il libro di Padre Robert North, intitolato «Teilhard e la creazione dell'anima umana» è
basato su parecchi falsi assunti.
1) Egli presenta Padre Teilhard come un grande scienziato e in particolare come un
eminente paleontologo. Il fatto è che Padre Teilhard si interessava poco di scienza
eccetto per quanto poteva fornire una base alla sua teoria estremista della evoluzione; il
suo interesse principale era per il sistema di filosofia di Auguste Comte che egli studiò
all'Università della Sorbona, sotto i più famosi discepoli di Comte.
2) Padre North assume che la teoria dell'evoluzione, anche applicata a spiegare l'origine
del corpo umano, è ora fermamente stabilita, ed ha quasi cessato di trovare opposizioni.
Il fatto è che l'argomento principale a favore dell'evoluzione, cioè l'esistenza di fossili di
forme intermedie (come è ammesso da Darwin, Julian Huxley, ecc.) è completamente
crollata, e che l'opposizione alla teoria va fermamente crescendo in America, ed è molto
evidente in Francia, in Spagna e in Italia.
3) Egli assume che l'atteggiamento della S. Sede verso la teoria che il corpo dell'uomo
derivò da quello di un animale inferiore, è cambiato; ed a pag. 37 afferma a prova di
quell'asserzione: «Sin dal 1890 numerosi autori cattolici sono andati sostenendo che
l'evoluzione del corpo umano non è incompatibile con la nostra fede nella rivelazione
della sacra Scrittura. Infatti - continua P. North - verso il 1950 erano così numerosi i
teologi cattolici che oralmente o cautamente aderivano per scritto a questa opinione che
il suo riconoscimento nella Humani Generis semplicemente dichiarò ufficialmente
legittimo quello che era già il consenso degli esperti».
Ed a pag. 64 Padre North afferma:
«Molti cattolici erano fra coloro che credevano nell'evoluzione anche prima che nel
1950 fosse ufficialmente decretato che l'evoluzione del corpo non è incompatibile colla
dottrina della Chiesa».
Padre North travisa grossolanamente l'insegnamento della Humani Generis sulla teoria
dell'evoluzione. In nessun passo di quest'Enciclica è affermato che l'evoluzione del
corpo non è incompatibile con l'insegnamento della Chiesa», come dimostrano le
seguenti citazioni della Humani Generis.
«Alcuni sostengono imprudentemente e indiscretamente che l'evoluzione, che non è
stata pienamente provata neppure nel dominio delle scienze naturali, spiega l'origine di
tutte le cose, e audacemente sostengono una opinione monistica e panteistica che il
mondo è in continua evoluzione.
«... Il Magistero della Chiesa non proibisce che, in conformità dell'attuale stato delle
scienze e della teologia, sia oggetto di ricerche e di discussioni da parte dei competenti
in tutti e due i campi la dottrina dell'evoluzionismo in quanto cioè essa fa ricerche
sull'origine del corpo umano che proverrebbe da materia organica preesistente».
«Alcuni oltrepassano questa libertà di discussione stessa agendo in modo come se fosse
dimostrata già con totale certezza la origine del corpo umano dalla materia organica
preesistente valendosi di dati indiziali finora raccolti e di ragionamenti basati sui
medesimi indizi...».
Da queste citazioni si può chiaramente vedere:
1) che la forma estrema di evoluzione insegnata in The Phenomenon of Man di Padre
Teilhard è totalmente riprovata;
2) che non è permesso nulla di più che la discussione sulla possibilità dell'evoluzione
dell'uomo da materia vivente preesistente;
3) che questo permesso di discutere (ciò che già si faceva senza restrizioni) è ora ristretta
a esperti «nella scienza umana e nella sacra teologia»;
4) che è vietato a tutti i cattolici, compresi gli esperti di tutti e due i campi, di insegnare
l'evoluzione del corpo umano da un animale inferiore, come se fosse un fatto stabilito.
In una parte precedente della Humani Generis è detto che questa Enciclica, come le
altre encicliche papali, obbliga in coscienza.
Non c'è mai stata nessuna dichiarazione da parte della S. Sede che la teoria dell'origine
del corpo umano da un animale inferiore si possa conciliare con l'insegnamento della
Chiesa, né c'è alcun consenso di opinione tra i teologi su questo punto.
Padre Sagues, S. J. (che Padre North cita parecchie volte), nel Volume II della Sacrae
Theologiae Summa afferma e prova la tesi che la teoria conosciuta come «evoluzione
mitigata» non si può conciliare con l'insegnamento della Chiesa; e quando quest'opera fu
presentata a Sua Santità egli ricevette una lettera di approvazione dal presente Papa
Paolo VI (quando era sostituto Segretario di Stato) a nome di Pio XII.
Padre North falsamente assume che come risultato delle recenti scoperte, la teoria
dell'evoluzione - sia applicata alle specie in generale come all'uomo in particolare - è ora
praticamente certa, e che, per lo meno all'interno della Chiesa Cattolica, si è cessato di
farle opposizione. Padre North non poteva essere più lontano dalla verità. Nel 1950 Papa
Pio XII poteva asserire con sicurezza che la teoria dell'evoluzione fino allora non era
stata provata. La causa dell'evoluzione è peggiorata dopo di allora, fu dopo il 1950 che
l'argomento basato sul fossile (che è l'unico argomento diretto) crollò. Il crollo cominciò
con la scoperta nel 1953 che quello dell'Uomo di Piltdown era un caso di pura
contraffazione, in cui furono coinvolti eminenti scienziati inglesi.
Padre Teilhard faceva frequenti visite a Piltdown durante i cinque anni che passò al
Collegio dei Gesuiti di Hastings, e per 40 anni continuò a credere che l'Uomo di
Piltdown era un genuino «anello mancante». Il collasso continuò ed ora è completo.
Né Padre North né tutti gli autori che egli cita potrebbero ora difendere un singolo caso
di «anelli mancanti» o una sola forma intermedia, tra tutti quelli presentati sin dal tempo
di Darwin.
La tesi principale del libro di P. North
A pag. 164 Padre North scrive:
Di tutti i salti alla soglia (nel processo di evoluzione) attestati nella realtà evolventesi
attorno a noi «nessuno è così impressionante e rende così perplesso anche lo scienziato,
come l'emergenza dello spirito umano...».
«Teilhard esplicitamente espresse in diverse note in calce di pagina, la convenienza di
mettere in relazione queste osservazioni naturali con ciò che la Rivelazione insegna sulla
creazione immediata dell'anima da parte di Dio».
Su questo punto pare che ci sia una radicale differenza di opinione tra Padre North e
Padre Francoeur. Padre North basa la sua difesa della ortodossia di Padre Teilhard
riguardo all'origine dell'anima umana su un numero di note in calce in The Phenomenon
of Man. Padre Francoeur ignora le note, e dà il sommario della spiegazione di Padre
Teilhard, dell'origine dell'uomo (compresa l'anima) come segue: Quando le stirpi del
primate irrazionale convergevano un venti milioni di anni fa, venne raggiunta una nuova
soglia critica, un «punto di ebollizione ", ed emerse l'uomo (Perspectives in Evolution,
pag. 140). Ora sorge la domanda: Che garanzia ha Padre North che le note in calce
fossero opera di Padre Teilhard medesimo? Il Reverendissimo Padre Arrupe, neo-eletto
Generale dei Gesuiti, alla sua prima conferenza stampa, gettò dubbi sulla fedeltà del
testo delle opere di Padre Teilhard con ciò che egli scrisse. Tutti i manoscritti di Padre
Teilhard furono dati a M.lle Mortier di Parigi; i Padri Gesuiti non avevano su di essi
alcun controllo, e non potevano impedire che fossero manipolati.
Sorge un'altra domanda: Perché mai questi manoscritti non furono consegnati a Padre
de Lubac S. J. che secondo le sue affermazioni in La Pensée Religieuse du Père Teilhard
de Chardin (p. 17) aveva tenuto corrispondenza con lui per trent'anni ed aveva avuto con
lui una lunga intervista nel 1954, pochi mesi prima della sua morte? O a qualche altro
dei Padri Gesuiti ricordati da Padre Lubac? Padre Teilhard de Chardin nominò Sir Julian
Huxley e il Professor Gaylord Simpson, due atei militanti, tra i suoi esecutori letterari,
ma nessun Padre Gesuita. Dopo la sua morte un comitato internazionale composto in
massima parte di atei, prese i manoscritti di Padre Teilhard da M.lle Mortier e li pubblicò
senza il permesso del Generale dei Gesuiti e senza «imprimatur». I Gesuiti non
prendono nessuna parte dell'immenso profitto derivante dalla vendita di queste opere.
Atei come Sir Julian Huxley le hanno adoperate per propagare l'ateismo; i comunisti
russi le hanno tradotte in Russo. Non sarebbe perciò più opportuno per i Padri Gesuiti,
amici di Padre Teilhard, di stabilire un giorno di lutto da osservarsi ogni anno, per un
membro della Compagnia di Gesù che dopo la sua morte è stato sfruttato dagli atei e dai
comunisti per propagare le loro dottrine nefaste? Ed un giorno di preghiera per il riposo
della sua anima? Anziché usare il suo nome come un cavicchio al quale appendere le
loro opinioni a sfida dei desideri della S. Sede? Se Padre de Lubac o Padre North, o
qualche altro confratello di Padre Teilhard pensa di avere un qualche messaggio da
comunicare al pubblico, lo scriva in nome suo proprio e lo firmi, e lasci riposare in pace
Padre Teilhard.
A pag. 40 Padre North fa ostentazione di imparzialità quando dice: «Teilhard indica
chiaramente e vigorosamente che le sue simpatie.. stanno con il poligenismo» e cita i
suoi scritti per dimostrare che è vero.
A pag. 6 dà una breve citazione, dal contesto, di una risposta ad una lettera ricevuta da
un Padre Domenicano che aveva lasciato la Chiesa, e che invitava Padre Teilhard a fare
lo stesso e ad unirsi con lui per fondare una nuova setta.
Da questo accenno a questa lettera Padre North mostra che egli sa della sua esistenza;
ma dà nessun ragguaglio sul contenuto; perché non lo fa?
Le seguenti citazioni da questa lettera (che è pubblicata per intero nell'opuscolo di Padre
Henri Rambaud, O.D.C., il cui nome in religione è P. Filippo della Trinità, O.D.C.,
intitolato The Strange Faith of Teilhard de Chardin) dimostrerà che Padre Teilhard
mirava niente meno che a produrre un cambiamento radicale nella dottrina della Chiesa
Cattolica:
«Fondamentalmente io considero, come fa lei, che la Chiesa (come qualsiasi realtà
vivente dopo un certo tempo) raggiunge un periodo di mutamento o di necessaria
riforma...
«Per essere più preciso, considero che la riforma in questione (molto più profonda di
quella del sec. XVI, la Riforma protestante) non è più una semplice questione di
istituzione e di etica, ma una riforma della fede...
«Avendo formulato i miei punti di vista, non vedo mezzi migliori per ottenere ciò che
prevedo, che di lavorare verso la riforma (come sopra definita) dall'interno.
«Nel corso degli ultimi cinquant'anni ho osservato la revitalizzazione del pensiero
cattolico e la vita che ha luogo attorno agli uomini - nonostante le Encicliche ­ troppo da
vicino per non avere fiducia illimitata nell'abilità del vecchio ceppo Romano di
rivivificarsi.
«Lavoriamo ognuno nelle nostre sfere separate. Tutti i movimenti ascensionali
convergono.
Vostro sinceramente
TEILHARD DE CHARDIN».
La riforma che Padre Teilhard augurava era molto più profonda di quella effettuata nella
Riforma Protestante del secolo XVI; egli voleva si togliessero articoli di fede che i
riformatori del sec. XVI ritennero.
Il Teilhardismo è perciò tanto contrario a quella forma di Protestantesimo che conserva
le dottrine insegnate nella Bibbia, ed espressamente accettate dai riformatori, quanto lo è
al Cattolicismo; e se fosse permesso dal Magistero della Chiesa Cattolica, costituirebbe
un ostacolo insuperabile alla riunione della Cristianità.
Il Magistero della Chiesa Cattolica ha enfaticamente rigettato il Teilhardismo. Nel 1957
la Congregazione del S. Ufficio proibì la vendita delle opere di Padre Teilhard in tutte le
librerie cattoliche, ed ordinò che fossero ritirate dalle biblioteche di tutti i seminari
ecclesiastici e delle case religiose. Nel 1962 la stessa Congregazione pubblicò un
Monitum con l'approvazione di Papa Giovanni XXIII in cui si dichiarava che questi
scritti contenevano gravi errori contro la Fede. Questo Monitum fu pubblicato
nell'Osservatore Romano del luglio 1962; che pubblicava pure un articolo con la lista dei
principali errori contenuti negli scritti di Padre Teilhard, cioè errori circa l'insegnamento
della Chiesa sulla creazione, su Cristo, sull'Incarnazione e Redenzione, sullo spirito e la
materia, e sul Peccato Originale. E nel settembre del 1966 la Congregazione della
Dottrina della fede dichiarò che il Monitum pubblicato nel 1962 è ancora in vigore.
Sembra che Padre North abbia dei dubbi se sia appropriato raccomandare ai Cattolici gli
scritti di Padre Teilhard, e chiama Padre Rahner, S. J. in suo aiuto. Padre Rahner
contribuisce con una introduzione all'opera di Padre North, in cui afferma: «Se presento
una raccomandazione assieme a questo libro, non è mia intenzione, né è intenzione
dell'autore che noi condividiamo la responsabilità per le opinioni ivi esposte». E tuttavia
raccomanda il libro.
Il capo 80 del libro è intitolato: «L'ipotesi di Rahner dell'ominizzazione», ed è preso dal
libro intitolato Hominization che Padre North ci dice «ha due autori: Padre Rahner S. J.
e Padre Overhage S. J.» e che «la parte firmata da Padre Rahner sostiene espressamente
che l’immediata creazione di ogni anima umana dal nulla è un dogma cattolico».
Padre Rahner cerca di salvare la propria reputazione di teologo, ed allo stesso tempo si
associa alla difesa della teoria di Padre Teilhard dell'origine dell'anima umana.
Padre Rahner è coautore col Padre Overhage S. J. di Hominization, un libro che
suppone l'evoluzione del corpo umano. Quando Padre Rahner contribuisce una
introduzione al libro di Padre North, ed è coautore assieme a Padre Overhage di
Hominization, non può con una pura dichiarazione scaricarsi della responsabilità di
difendere la spiegazione data da Padre Teilhard dell'origine dell'anima umana, e di
difendere la teoria di Padre Overhage dell'evoluzione umana, basata sulla pretesa
esistenza di una serie di hominidi che in realtà non sono mai esistiti.
Si possono addurre molte scuse per Padre Teilhard. Non fu uno degli autori del
modernismo, ma fu una vittima di quegli errori; li ha incorporati nei suoi scritti; e questi
scritti vengono usati a propagare una forma di modernismo più insidiosa di quello
condannato da Papa S. Pio X. Non fu l'autore della teoria dell'evoluzione umana, ma
assorbì la teoria nella sua gioventù, e nella sua ingenuità, fu messo in ridicolo a Piltdown
e a Chou­kou-tien in Cina. Egli non inventò la teoria del positivismo o della sua forma
moderna, la fenomenologia; ma essendo privo della facoltà critica che scopre l'errore
mascherato, assorbì la teoria alla Università della Sorbona dai discepoli di Auguste
Comte.
Le stesse scuse non si possono applicare a quegli scrittori che si atteggiano a uomini di
giudizio critico, e non furono esposti alle tentazioni a cui soccombette Padre Teilhard.
La teologia del cristiano nel mondo
Padre Robert L. Faricy S. J. dedica il suo libro sulla Teologia del cristiano del mondo di
P. Teilhard a M.lle Jeanne Mortier, che - dice egli - «ha fatto tanto per la Chiesa, facendo
conoscere le idee di Padre Teilhard de Chardin». Dedicando il suo libro a M.lle Mortier,
Padre Faricy lo condanna in anticipo e con Padre Teilhard condanna se stesso perché il
servizio che M.lle Mortier rese alla Chiesa fu di impossessarsi dei manoscritti di Padre
Teilhard, ai quali era già stato negato il permesso di pubblicazione dai suoi Superiori
Gesuiti e dalla S. Sede; e di pubblicarli dopo la sua morte, contro il volere dei suoi
Superiori e della S. Sede.
Padre Faricy non accenna al fatto che la S. Sede era intervenuta parecchie volte per
impedire la pubblicazione degli scritti di Padre Teilhard, sia prima che dopo la sua
morte.
Padre Faricy afferma nella prefazione del suo libro che scopo di esso non era «né di
attaccare né di difendere le prospettive generali di Teilhard o qualcuna delle sue idee, ma
semplicemente di esporre un sommario corrente delle sue opinioni».
Pur non facendo alcun cenno all'articolo dell'Osservatore (del 30 giugno 1962) Padre
Faricy, nel corso del libro, comprende tutti gli errori ricordati in questo articolo e molti
altri, di modo che il suo libro si potrebbe considerare un'esposizione degli errori
fondamentali contenuti negli scritti di Padre Teilhard, ed una giustificazione del
provvedimento preso dalla S. Sede sotto diversi Papi per mettere i fedeli in guardia
contro di essi. L'opera di Padre Faricy consiste, in larga misura, di citazioni dagli scritti
di Padre Teilhard, molte delle quali sono le stesse citate nell'Osservatore Romano, in cui
sono contenuti gli errori in questione.
Il tentativo di Padre Faricy di costruire una «teologia del cristiano» da queste citazioni è
tanto futile quanto lo sarebbe il tentativo di costruire una cattedrale su una palude coi
rifiuti là accumulati da una città vicina.
La «Messa sul mondo»
Padre Faricy include una esposizione della «Messa sul mondo» di Padre Teilhard a
riguardo della quale i suoi sostenitori sono divisi. Alcuni di loro, tra cui Sir Julian
Huxley, già capo degli atei inglesi, ne parlano con ammirazione, mentre altri ne sono
scandalizzati.
Questa «Messa sul mondo» non è affatto una Messa nel senso usuale, ma una serie di
riflessioni sulla Messa sulle quali la maggioranza dei cattolici non è d'accordo. Il
superiore di Padre Teilhard, a cui egli mandò il manoscritto contenente queste
riflessioni, ne fu allarmato perché pensò che potevano avere una interpretazione
panteistica.
L'esposizione della «Messa sul mondo» è presa dal libro (o collezione) chiamato The
Hymn of the Universe. In questo libro Teilhard descrive un numero di «esperienze» (non
è chiaro se fossero reali o immaginarie) in cui egli vide l'Ostia che si espandeva ed
abbracciava il mondo. Come risultato di queste esperienze egli dice: «Il mio spirito è
sempre stato naturalmente panteista. Sentii le sue innate ed inconquistabili aspirazioni,
ma non osavo dar loro briglia sciolta perché non potevo riconciliarle con la mia fede.
«Dopo queste esperienze ed altre simili, ho provato un interesse inesauribile per tutta la
vita ed una pace inalterabile. Vivo nel cuore di un singolo elemento, il centro ed in
particolare dell'amore del tutto personale e del potere cosmico».
Il fondamento della nuova religione di Padre Teilhard
Padre Teilhard fa dell'evoluzione il fondamento della sua «Teologia del Cristiano».
L'evoluzione - dice ­ non è soltanto un'ipotesi o una teoria... E' una condizione generale
alla quale devono inchinarsi tutte le teorie, tutte le ipotesi, tutti i sistemi e che essi
devono soddisfare se sono pensabili e veri».
L'evoluzione è solo una teoria; dopo cento anni di ricerche, non si è trovato alcuna
prova che l'origine delle varie specie di esseri viventi si possa spiegare con la teoria
dell'evoluzione; e nel caso dell'uomo, tutti i tentativi di trovare un anello tra lui e gli
animali inferiori sono completamente falliti.
Ciò che gli evoluzionisti chiamano «il meccanismo dell'evoluzione» (o le forze che lo
producono) che Padre Teilhard usa, non è basato su fenomeni che si possono osservare,
come egli pretende. La forza a cui egli si appella è da lui chiamata «il di dentro» delle
cose; questa è una forza misteriosa per cui egli mette in atto una legge che chiama
«legge della coscienza della complessità».
Per mezzo di questa forza misteriosa operante secondo una legge immaginaria egli fa
generare spontaneamente la vita negli animali bruti, poi fa generare il pensiero, e con
esso l'anima umana, di modo che un animale inferiore diventa uomo.
Padre Faricy dice espressamente di riferire solamente l'opinione di Padre Teilhard senza
difenderla. A pag. 164 di Teilhard and the Creation of the Human Soul Padre North
insinua la stessa cosa quando, come già detto, difende solo le note in calce di The
Phenomenon of Man, e non fa menzione del testo.
In una nota a pag. 95 Padre Faricy fa la seguente citazione dal Professor Simpson della
Università di Hartford (che Padre Teilhard designò come uno dei suoi esecutori
letterari):
«Le credenze di Teilhard riguardo al corso e alle cause dell'evoluzione non sono
accettabili scientificamente perché non sono basate su premesse scientifiche». Simpson
è un evoluzionista estremo, ed essendo uno degli esecutori letterari di Padre Teilhard, lo
avrebbe difeso se avesse potuto farlo senza danno alla propria reputazione.
Delusione di Padre Teilhard
Ecco l'origine della delusione di Padre Teilhard che la materia bruta (materia senza vita
od anima, usualmente chiamata materia inerte) ha un «di dentro».
Padre Robert North, S. J. sembra che pensi che Padre Teilhard prese a prestito l'idea che
la materia bruta sia cosciente, da Creative Evolution di Bergson. La signorina Hilda
Greaf pensa che sia una forma di panpsychismo. Nel suo Mystics of Our Time (p. 234)
dice: «Questa è un'ipotesi inaccettabile per la maggioranza degli scienziati, come pure
dei teologi, perché attribuisce l'anima a delle creature che nessuno di loro può ammettere
che l'abbiano. Infatti, questo concetto poetico sembra una specie di panpsychismo che fu
già respinto da S. Tommaso d'Aquino.
Tuttavia dalle prove a disposizione, la spiegazione più probabile è che egli abbia
assorbito quella idea sbagliata da bambino da qualcuno che aveva grande influenza su di
lui. Parecchi suoi ammiratori dicono che all'età di 6 anni soleva adorare un pezzo di
ferro, e si sforzava di interpretarlo come un auspicio favorevole. Padre Robert North
dice: «La sua adorazione del pezzo di ferro è la chiave ad una soddisfazione di una
essenziale ricerca di Dio» (op. cit. p. 2).
Un altro suo ammiratore dice che sua madre gli prese il pezzo di ferro, e quando
piangeva per riaverlo lo consolava spiegandogli l'amore al Sacro Cuore. Se essa lo fece,
non lo convinse, perché più di 60 anni dopo egli scrisse: «In questo movimento istintivo
che mi faceva veramente adorare un pezzetto di metallo, c'era una forte sensazione di
dedizione misto con tutta una sequela di obbligazioni, e tutta la mia vita spirituale è stata
semplicemente uno sviluppo di questo (Mystics of Our Time, p. 218).
L'episodio dell'adorazione del pezzo di ferro praticata da bambino, e il fatto che rimase
attaccato per tutta la vita alla credenza che la materia inerte ha un «di dentro» che in
qualche modo la rende degna di culto, è una indicazione che egli era da bambino
anormalmente credulo e che rimase tale per tutta la vita. Questo appare dal modo con cui
si lasciò ingannare dai cospiratori che concertarono la contraffazione dell'uomo di
Piltdown in Inghilterra e poi da quelli che prepararono l'inganno dell'uomo di Pechino in
Cina.
Miss Hilda Graef riferisce il seguente episodio in relazione con gli scavi dell'uomo di
Pechino. Ad un certo momento degli scavi quando il Dr. Black, il cospiratore principale,
pensava di avere stabilito la sua pretesa di avere scoperto il fossile di una nuova creatura
primitiva metà scimmia e metà uomo, che conosceva l'uso del fuoco, si trovarono nello
stesso luogo e furono portati nel suo laboratorio a Pechino delle ossa fossili di un
numero di veri uomini.
Il Dr. Black andò ad esaminarle e fu in seguito trovato morto in mezzo di esse. Padre
Teilhard invece di aprire gli occhi al fatto che l'uomo di Pechino era un inganno e di
vedere nella morte improvvisa del Dr. Black un monito a non avere più nulla a che fare
colla faccenda, giurò sul cadavere del Dr. Black «di battersi forte più che mai per dare
speranza alla fatica e alla ricerca dell'uomo».
Egli sentiva che nessuno sforzo umano può sortire alcun vantaggio se non c'è qualche
futuro naturale oppure soprannaturale per l'universo, nella direzione di qualche sorta di
coscienza immortale (Mystics of Our Time, p. 230).
Tanto Padre North S. J. quanto Miss Hilda Graef espongono le idee di Padre Teilhard
sugli sforzi dei Missionari per convertire gente come gli Indiani e i Cinesi.
Queste idee - per citare da Mystics of Our Time di Miss Graef - «sono che, i missionari
commettevano un grave errore ammettendo l'uguaglianza di tutte le razze, contraria a
tutta la biologia.
Creature così differenti da noi non possono essere convertite a meno che uno le
trasformi prima sul piano umano». Durante i venti anni che trascorsero in Cina Padre
Teilhard ha mai fatto il più piccolo sforzo per convertire un Cinese. Padre North ci dice
che egli imparò mai il cinese, e non sapeva neppure scrivere il suo nome in cinese.
Dovrebbe perciò essere abbondantemente chiaro, dalla breve analisi del libro di Padre
Faricy sulla Theology of the Christian in the World di Padre Teilhard che i suoi scritti
che furono pubblicati, veramente contengono i gravi errori contro la fede ricordati
nell'articolo dell'Osservatore Romano del giugno 1962, e che tali scritti sono pericolosi.
Dai racconti della sua giovinezza fatti da Padre North e da Miss Hilda Graef è chiaro che
egli soffrì delusioni di natura panteistica finché visse. Altra conferma di questo si troverà
nelle Lettres a Leontine Zanta, pubblicate a Parigi nel 1965, in una delle quali Padre
Teilhard scrisse:
«Ciò che sta per dominare i miei interessi, come già sai, è lo sforzo di stabilire entro di
me e spargere attorno a me una nuova religione (chiamiamola un cristianesimo migliore,
se vuoi) in cui il Dio personale cessa di essere il grande proprietario monolitico di una
volta, per diventare l'anima del mondo che il nostro stadio religioso e culturale di
sviluppo richiede».
La nostra conclusione quindi è che è vano e pazzesco tentare di costruire una «Teologia
del Cristiano nel mondo» con gli scritti di Padre Teilhard de Chardin.
IL NUOVO CATECHISMO OLANDESE
L'edizione originale olandese di questo Catechismo fu sottoposta all'esame di una
Commissione di sei Cardinali incaricati da S. S. Papa Paolo VI di pronunciarsi sulla
ortodossia dottrinale del catechismo che è stata messa in dubbio in Olanda. Oltre a
trattare delle dottrine che son giunte a noi per mezzo della rivelazione e sono insegnate
dalla Chiesa, il catechismo tratta anche direttamente o indirettamente delle teorie
scientifiche che toccano l'insegnamento della Chiesa sull'origine dell'uomo, sul
poligenismo e sul Peccato Originale. Siccome l'esame dell'accuratezza dell'informazione
scientifica esposta nel nuovo Catechismo olandese riguardante le suddette questioni non
fa parte della ricerca della commissione papale, mi propongo di discuterla qui.
L'origine dell'uomo
Nell'Enciclica Humani Generis pubblicata da Papa Pio XII nel 1950, mentre si permette
a coloro che sono esperti o nelle scienze naturali o nelle scienze che trattano della
rivelazione, di discutere la possibilità dell'evoluzione del corpo umano da materia
vivente preesistente, è espressamente proibito di insegnare l'evoluzione del corpo umano
da preesistente materia vivente come fatto stabilito. Nella stessa Enciclica si afferma che
questa e tutte le altre encicliche papali obbligano in coscienza.
L'autore o autori della parte I del Catechismo olandese «Mistero dell'Esistenza»
ignorano completamente le direttive del Magistero della Chiesa, e affermano
sfacciatamente senza restrizioni a pag. 10: «La vita nel mio corpo viene dagli animali ».
Le prove scientifiche portate dagli autori olandesi
A pag. 9 (in calce) e a pag. 10 (in testa) leggiamo quanto segue: «I crani e le ossa che
sono state scoperte ci dicono qualcosa che non sapevamo: che più lontano ci
sprofondiamo nel passato, più è primitivo il tipo di uomo che troviamo. Prima dell'Homo
sapiens, l'uomo attuale, la scienza distingue l'uomo di Neanderthal, nel quale la fronte e
il mento rientrano alquanto.
«Prima ancora, oltre 200.000 anni fa, c'erano varie forme di hominidi, con angoli faccia
li fortemente rientranti, ma che camminavano diritti. Usavano utensili di pietra cruda e
andavano a caccia».
«300 mila anni prima ancora... si può discernere vagamente un tipo ancora più
primitivo, l'Australopiteco, un essere simile alla scimmia, ma più umano delle scimmie
attuali. Quasi tutto è incerto: le date, le famiglie, gli anelli tra le varie fasi. Una cosa
emerge sempre più chiara, il fatto meraviglioso che una specie di animale che vive nelle
pianure e nelle foreste sale per una linea di evoluzione lunga e lenta per giungere a noi.
La vita nel mio corpo viene dalle bestie». Questa citazione riconosce come vera, almeno
tacitamente, ciò che è ammesso dalla maggioranza degli evoluzionisti, compreso Charles
Darwin e Sir Julian Huxley che l'unica prova diretta della evoluzione delle specie è
l'esistenza di fossili di forme intermedie usualmente chiamate «anelli mancanti».
E' tuttavia vero che Padre Teilhard de Chardin ricorre ad una legge per cui gli anelli
(che egli chiama peduncoli) devono sparire senza lasciare traccia. Gli scienziati non
riconoscono una legge simile. Lo stesso Padre Teilhard fece dei tentativi febbrili per
stabilire due nuovi anelli tra l'uomo e l'animale nel suo Uomo di Piltdown e in quello di
Pechino, i quali risultarono tutti e due contraffatti.
Nella citazione sopra citata dal nuovo Catechismo olandese si afferma che 200.000 anni
fa esistevano varie forme di «hominidi che camminavano eretti»; e se ne danno due
esempi specifici: un esemplare quasi perfetto, l'Uomo di Neanderthal, l'altro un caso
dubbio ma di un grado superiore al semplice animale, l'Australopiteco.
I due esempi specifici non furono felici, perché l'Uomo di Neanderthal fu riconosciuto
come un perfetto homo sapiens, ed è stato escluso da eminenti evoluzionisti;
l'Australopiteco è ugualmente infelice perché, autori come Sir Julian Huxley e Sir Solly
Zuckerman l'hanno escluso come semplice animale, con nessuna delle speciali
caratteristiche umane (V. Evolution as a Process, pubblicato da Sir Julian Huxley).
A riguardo degli «hominidi che camminavano eretti» menzionati nella citazione
suddetta: in primo luogo, nessuna cosa come un hominide è mai esistita, né è mai stato
trovato alcun fossile genuino di una simile creatura. Fin dal tempo di Darwin fu
ripetutamente presentata la pretesa di aver trovato fossili di «anelli mancanti», ma si è
trovato che ogni singolo caso senza eccezione era il risultato di contraffazione o di
inganno. I mitici hominidi di cui si parla nei libri degli evoluzionisti non camminavano
eretti; anche se l'Uomo di Neanderthal viene ancora presentato col capo chinato in avanti
come una scimmia.
Alla fine del secolo scorso il Dr. Dubois, chirurgo Olandese, andò a Giava a cercare un
hominide. Trovò un femore umano, e non lontano, il cranio di un gibbone, e con questi
compose il suo Pithecanthropus erectus (uomo-scimmia che camminava eretto). Ma
ammise prima della sua morte che il cranio usato (dal quale aveva tolto la cassa cranica)
era quello di un gibbone. Più tardi il Dr. Konigswald, un altro olandese, andò a Giava e
costruì altri hominidi con dei crani fossili di gibboni, ma non aveva dei femori umani, e
non li fece camminare eretti. Gli «hominidi che camminavano eretti» sono una
invenzione olandese, e non avrebbero dovuto comparire nella traduzione inglese del
Catechismo destinata agli Stati Uniti d'America.
La preistoria dell'uomo nel catechismo olandese
Non vi è alcun accenno al Diluvio come fatto storico, e nessun racconto della preistoria
dell'uomo. Invece leggiamo a pag. 40 ciò che segue:
«Negli anni prima e dopo l'esilio, furono pronunciate delle parole che gettarono una
luce divina non solo sul significato della storia d'Israele, ma anche su quella di tutta
l'umanità. Allora fu data forma alla storia delle nostre origini che ora noi troviamo al
principio della Bibbia (Gen. I-XI) a riguardo di Adamo ed Eva, Caino, Noè e Babele.
Spiegheremo altrove come questi capitoli non intendono in definitiva di raccontare dei
reali fatti storici».
La Commissione Biblica Pontificia nelle sue risposte ha enfaticamente dichiarato che
questi capitoli contengono una storia, e ciò fu confermato nell'enciclica Providentissimus
Deus di Papa Leone XIII e Divino afflante Spiritu di Papa Pio XII. Gli scavi eseguiti in
tutto il Medio Oriente dal principio del secolo, da spedizioni organizzate da università di
vari paesi hanno confermato il racconto biblico del Diluvio e la preistoria dell'uomo.
Abramo e la razza Ebrea secondo il nuovo Catechismo olandese
Abramo è presentato come un «nomade semibarbaro» e gli Ebrei, dopo 400 anni di
soggiorno nell'opulenza della terra d'Egitto, sono presentati come «un gruppo di nomadi
che sfuggirono ai loro oppressori attraverso un corso d'acqua essiccato, un ramo del Mar
Rosso».
Abramo venne da Ur dei Caldei e visse verso il tempo di Hammurabi, il conquistatore
Babilonese autore di un codice di leggi. Il livello di civiltà del regno meridionale della
Sumeria, al quale apparteneva Ur dei Caldei, patria di Abramo, era molto più elevato di
quello di Babilonia, e le sue leggi erano più umane; Abramo non poteva perciò essere
chiamato niente altro che «un nomade semi­barbaro».
La descrizione degli Ebrei al tempo dell'esodo dall'Egitto, «come un gruppo di nomadi
perseguitati che sfuggirono ai loro oppressori attraverso un corso d'acqua essiccato»,
significa semplicemente che gli autori del nuovo Catechismo olandese, avendo ridotto i
primi undici capitoli della Bibbia ad una raccolta di miti, vogliano privare praticamente
di ogni valore storico il racconto biblico di Abramo e dei popoli Ebrei fino al tempo del
Re Davide, ammettendo che solo Abramo e i Patriarchi Ebrei erano vere persone.
Il peccato originale nel nuovo Catechismo olandese
Il modo con cui il nuovo Catechismo olandese tratta la questione del peccato originale è
contraddittorio e confuso come dimostrano le seguenti citazioni:
«La Sacra Scrittura parla del "peccato originale". Si vede molto chiaramente nei capitoli
I-XI del Genesi e soprattutto nel cap. V dell'Epistola ai Romani. I primi undici capitoli
parlano dell'origine dell'umanità: Adamo, Caino, Noè e Babele.
Noi sappiamo che non sono descrizioni di fatti storici sconnessi... I capitoli I-XI
descrivono gli elementi basilari di tutto l'incontro dell'uomo con Dio. E' soltanto col
capitolo XII in cui appare Abramo che cominciamo a scorgere delle figure storiche del
passato...».
La cosa più vicina a una definizione di ciò che costituisce il «peccato originale» data
dagli autori olandesi è la seguente: «Il peccato originale è il peccato dell'umanità come
un tutto (me compreso) in quanto che interessa ogni uomo. In ogni peccato personale il
peccato originale dell'uomo è fondamentalmente presente e attivo e contribuente».
E' evidente da queste citazioni che gli autori olandesi del Nuovo Catechismo vogliono
sbarazzarsi della testimonianza di tutti gli undici primi capitoli della Bibbia, e che la loro
definizione del peccato originale non è in accordo con l'insegnamento ufficiale della
Chiesa Cattolica. La scusa che veniva data nella prima parte del Catechismo per
respingere la storicità dei primi undici capitoli della Bibbia e per dare una nuova
definizione del peccato originale è la pretesa esistenza di una razza di creature chiamate
hominidi che camminavano eretti, in processo di evoluzione verso lo stato di uomo.
Risultò che la sola prova dell'esistenza di questi hominidi è un femore umano e il cranio
fossile di un gibbone.
Come già detto, gli evoluzionisti cattolici sostenevano che non c'era alcun conflitto tra
la teoria dell'evoluzione e la dottrina della Chiesa Cattolica. In anni recenti la musica è
cambiata: si riconosce ora che c'è conflitto tra la teoria dell'evoluzione umana e
l'insegnamento tradizionale della Chiesa; ma si pretende che sia l'insegnamento
tradizionale della Chiesa ad essere cambiato per renderlo conforme alla teoria
dell'evoluzione umana come ora definita. Gli autori del nuovo Catechismo olandese non
lasciano alcun dubbio sul fatto che essi vogliono che la Chiesa muti il suo insegnamento
tradizionale sul peccato originale; e la ragione principale che portano per il loro
atteggiamento è la supposta esistenza di «hominidi che camminavano eretti».
Tesi di Padre Rahner sul poligenismo e peccato originale
Come già detto, Padre Karl Rahner S. J. fu autore, assieme a Padre Overhage S. J., di
Hominization e scrisse l'introduzione a Teilhard and the Creation of the Soul di Padre.
Robert North, S. J.; e così facendo, diede il suo sostegno morale alle idee espresse nelle
due opere. In The Evolving World and Theology (Concilium Vol. 26) egli contribuisce un
capitolo, in suo nome proprio, intitolato Evolution and Original Sin nel quale, mettendo
da parte il suo solito riserbo, fa un'escursione nel regno della scienza con risultati
infelici. A pag. 64 del libro egli annuncia così la sua tesi:
«Tesi: Allo stato presente della teologia e della scienza, non si può provare che il
poligenismo sia in conflitto con l'insegnamento ortodosso del peccato originale. Sarebbe
meglio perciò che il Magistero si astenesse dal censurare il poligenismo».
La prova della sua tesi
La prova tratta dalla teologia è che Papa Pio XII «accettò» l'evoluzione di Adamo (da
materia organica preesistente) e che questo importava l'accettazione dell'evoluzione di
Eva nello stesso modo di Adamo, e rese insostenibile la decisione della Commissione
Biblica del 1909 circa la formazione di Eva da Adamo.
Ecco le sue parole:
«La prima domanda che il teologo deve seriamente porsi è: Può la Chiesa logicamente...
lasciarci liberi di accettare l'evoluzione antropologica di una parte, come fa (DS 3896), e
dall' altra condannare il poligenismo?
Questa è la situazione:
a) Se l'ominizzazione evoluzionistica è accettabile dobbiamo accettare che Eva venne
circa nello stesso modo come Adamo. Qualunque altro modo di vedere può solo essere
un futile compromesso... La decisione della Commissione Biblica del 1909 circa la
«formazione del primo uomo» non si può più tenere nel suo esclusivo senso letterale, se
si accetta in generale con Pio XII l'origine evoluzionistica dell'uomo (che
fondamentalmente è in conflitto con questo decreto). Non possiamo pensare ad Adamo
in termini di evoluzione e negarli per Eva... Non si può accettare l'evoluzione per Adamo
e poi respingerla per Eva. Perciò il poligenismo non si può più respingere nel caso di
una coppia.
Risposta della teologia
Non è vero, e costituisce una calunnia alla memoria di Pio XII dire che egli accettò
l'evoluzione di Adamo. Evidentemente Padre Rahner si riferisce all'enciclica Humani
Generis.
Prima che venisse pubblicata questa enciclica nel 1950, i cattolici senza speciali
qualifiche discutevano la possibilità dell'evoluzione dell'uomo da un animale inferiore,
ed anche affermavano che era un fatto stabilito. Nell'Enciclica Humani Generis Pio XII
restrinse il permesso di discutere la possibilità dell'evoluzione umana a un numero molto
limitato di persone che fossero allo stesso tempo esperti sia nel campo delle scienze
naturali come in quelle delle scienze sacre: e proibì a tutti i cattolici, compresi gli
esperti, di insegnare come fatto stabilito che il corpo dell'uomo si è evoluto da materia
vivente preesistente. Quindi Papa Pio XII non accettò l'origine evoluzionistica di
Adamo, né tollerò l'opinione espressa da Padre Rahner che Adamo possa rappresentare
un gruppo, perché nell'Humani Generis egli afferma espressamente:
«I fedeli non possono abbracciare quell'opinione i cui sostenitori insegnano che dopo
Adamo sono esistiti qui in terra dei veri uomini che non hanno avuto origine per
generazione naturale dal medesimo come primogenitore di tutti gli uomini, oppure che
Adamo rappresenta l'insieme di molti primo genitori».
Tutte e due le parti dell'argomento di Padre Rahner, perciò, cadono completamente. Il
suo tentativo di sbarazzarsi di una decisione della Commissione Biblica espressa così
chiaramente su una questione di fondamentale importanza cade sotto la censura di Papa
S. Pio X nel Motu Proprio del 1907: in cui si legge:
«Dopo maturo esame e le più diligenti consultazioni, sono state felicemente date dalla
Commissione Biblica Pontificia certe decisioni, che sono di un genere utilissimo per la
promozione... degli studi biblici.
Ma noi osserviamo che alcune persone indebitamente inclini verso opinioni e metodi
infetti di novità perniciose... non hanno accolto e non accolgono queste decisioni con la
dovuta obbedienza.
Perciò troviamo necessario di dichiarare e prescrivere, come dichiariamo ed
espressamente prescriviamo, che tutti sono tenuti in coscienza a sottomettersi alle
decisioni della Commissione Biblica che furono date in passato o saranno date in futuro,
nello stesso modo come ai decreti che appartengono alla dottrina, pubblicati dalle Sacre
Congregazioni e approvate dal Sommo Pontefice; né possono sfuggire allo stigma di
disobbedienza e temerità, né esser scevri da grave colpa ogni qual volta impugnino
queste decisioni a parole o per scritto; e questo a parte lo scandalo che danno, e i peccati
di cui possono rendersi causa davanti a Dio, pronunciando su queste materie altre
dichiarazioni che sono spesso temerarie e false».
Risposta della scienza
L'argomento di Padre Rahner consiste di due parti: la prima suppone l'esistenza di una
popolazione di hominidi o prehominidi; la seconda suppone la validità della teoria del
Neo-Darwinismo, o una simile teoria; ma tutte e due queste supposizioni sono false.
1) Gli scienziati come tali non parlano affatto di una «popolazione di hominidi». Nel
passato alcuni scienziati pensarono che fossero stati trovati i fossili di un limitatissimo
numero di hominidi o «anelli mancanti»; ma, come è stato recentemente dimostrato, in
ogni caso si tratta di contraffazione o di inganno.
2) Esiste nessun «principio di biologia» come quello a cui si appella Padre Rahner. Egli
confonde un principio di biologia con un assunto non provato della teoria del NeoDarwinismo.
E' già stato provato che tutti i tentativi per provare che si fossero formate delle nuove
specie colle mutazioni nei gene guidate dalla Selezione Naturale sono fallite. Padre
Rahner ha dato nessuna indicazione in alcun suo scritto che egli abbia eseguito
sufficienti ricerche in Paleontologia per giustificarlo ad esprimere un'opinione se siano
mai esistiti degli esseri come gli hominidi; o in biologia da giustificarlo ad assumere che
un intero gruppo o una intera specie di animali si sia simultaneamente evoluta, prima
diventando hominidi e poi uomini.
Come fu dimostrato nella prima parte di questo opuscolo, gli scienziati europei ed
americani che eseguirono degli scavi nel Medio Oriente, dove è situata la culla della
razza umana, dalla fine del secolo scorso fino al presente, sono arrivati a soluzioni
dell'origine e preistoria dell'uomo che sono in perfetto accordo col racconto di Mosè nel
Genesi interpretato strettamente in conformità alle direttive della Commissione Biblica,
che invece Padre Rahner desidera sia messa da parte.
Padre Rahner dà nessun indizio che egli abbia mai studiato i resoconti di questi scavi o
scritti dagli esperti che li dirigevano. Può egli allora pretendere giustamente di essere un
esperto nelle scienze naturali nel senso richiesto dall'enciclica Humani Generis che lo
qualifichi a discutere i problemi dell'evoluzione umana e della poligenesi?
Argomenti scientifici dubbi
Nella Humani Generis Papa Pio XII dice:
«Ci resta ora da parlare di quelle questioni che, pur appartenendo alle scienze positive,
sono più o meno connesse con le verità della fede cristiana. Non pochi infatti chiedono
istantemente che la religione cattolica tenga massimo conto di quelle scienze.
Il che è senza dubbio cosa lodevole quando si tratta piuttosto di ipotesi, benché in
qualche modo fondate scientificamente nelle quali si tocca la dottrina contenuta nella
Sacra Scrittura o anche nella Tradizione. Che se tali ipotesi vanno direttamente o
indirettamente contro la dottrina rivelata allora esse non possono essere ammesse in
alcun modo».
Nel capitolo sulla «Evoluzione e peccato originale» che stiamo discutendo, Padre
Rahner porta, in nome della scienza, non dei fatti chiaramente provati, come vuole
l'Enciclica (non porta neppure delle ipotesi che abbiano un vero fondamento scientifico);
ma fa delle affermazioni stravaganti su una popolazione di ho mini di mitici, che non
hanno un'esistenza più reale dei fantasmi delle favole delle fate, e si appella ad un
principio biologico sconosciuto alla scienza.
La tesi di Padre Rahner, che nel presente stato della teologia e della scienza non si può
provare che il poligenismo è in contraddizione con l'insegnamento ortodosso della
Chiesa sul peccato originale; contraddice la dichiarazione dell'Humani Generis che dice:
«Ora non appare in nessun modo chiaro come queste affermazioni (il poligenismo) si
possano accordare con quanto le fonti della Rivelazione e gli atti del Magistero della
Chiesa ci insegnano circa il peccato originale, che proviene da un peccato veramente
commesso da Adamo individualmente e personalmente e che trasmesso a tutti per
generazione è inerente in ciascun uomo come suo proprio».
Padre Sagues, S. J. nel Vol. II della Sacrae Theologiae Summa respinge l'opinione di
coloro che dicono che le parole Cum nequaquam appareat (essendo in nessun modo
evidente) non escludono la possibilità di ulteriore sviluppo dottrina le sul soggetto del
peccato originale che permetterebbe la discussione del soggetto (che è proibito
nell'Enciclica).
Egli fa notare: 1) che mentre è permessa la discussione sull'evoluzione umana, la
discussione sul poligenismo è proibita; e, 2) che i Padri della Chiesa e i grandi teologi
sono unanimi nel loro insegnamento sul peccato originale, e che la loro dottrina esclude
la possibilità di cambiamento o modifiche nella dottrina.
Questo vol. II della Sacrae Theologiae Summa in cui Padre Sagues S. J., respinge sia la
teoria dell'evoluzione umana sia pure in forma mitigata, sia la teoria del poligenismo,
come incompatibile con l'insegnamento della Chiesa, fu presentato a Papa Pio XII che
inviò una lettera per mezzo di Mons. Montini (ora Papa Paolo VI) in cui diceva che
l'interpretazione di tutti i documenti papali data in questo vol. II era scrupolosamente
accurata.
Finalmente la tesi di Padre Rahner è in contrasto con le direttive date da S. S. Papa
Paolo VI ai teologi e scienziati che parteciparono al symposium sul peccato originale
che fu pubblicato nell'Osservatore Romano del 15 luglio 1966 e la sua Professione di
Fede del 30 giugno 1968 (Osserv. Rom. 1 luglio 1968). Il suggerimento di P. Rahner al
Magistero di astenersi dal censurare il poligenismo è per lo meno presuntuoso, e manca
di rispetto per il Santo Padre.
Ecco il paragrafo conclusivo dell'indirizzo di Sua Santità ai teologi e scienziati che
erano presenti al symposium: «E' perciò evidente che le spiegazioni del peccato
originale date da alcuni autori moderni vi sembreranno inconciliabili con la vera dottrina
cattolica. Partendo dalla premessa non dimostrata del poligenismo, essi negano, più o
meno chiaramente che quel peccato dal quale sono derivate all'umanità così tante sentine
di male, fu prima di tutto la disobbedienza di Adamo, primo uomo (figura di quell'uomo
futuro) commessa all'inizio della storia. Di conseguenza, queste spiegazioni non
concordano neppure con l'insegnamento della Scrittura, della Sacra Tradizione e del
Magistero della Chiesa, secondo i quali il peccato del primo uomo è trasmesso a tutti i
suoi discendenti, non per imitazione ma per propagazione, in ciascuno come suo proprio
(inest unicuique proprium) ed è la «morte dell'anima, cioè, privazione - e non semplice
mancanza - di santità e di giustizia perfino nei neonati».
Padre Francoeur e gli scrittori cattolici che condividono le sue idee sono vittime
dell'intensa propaganda svolta all'interno della Chiesa Cattolica durante lo scorso mezzo
secolo a favore della teoria dell'evoluzione, e della interpretazione del racconto fatto da
Mosè della creazione e della preistoria dell'uomo, che ignora le direttive
sull'interpretazione del Genesi pubblicate nelle risposte della Commissione Biblica e
nelle Encicliche papali. Questi scrittori ignorano quasi completamente l'informazione
scientifica circa la storia dell'uomo primitivo, ottenuta per mezzo delle faticose
spedizioni organizzate che eseguirono gli scavi nel Medio Oriente, culla della razza
umana, per circa un secolo, per la ragione già detta che i libri che contengono i risultati
degli scavi sono esauriti o difficili a trovare. Coloro che, come me, hanno vissuto
durante quei cinquant'anni di propaganda entro la Chiesa, hanno avuto il vantaggio di
poter consultare i libri dei grandi studiosi del principio del secolo, ora da tempo fuori
stampa.
I libri citati da Padre Francoeur e degli autori che condividono le sue opinioni non
tengono in alcun conto l'informazione scientifica summenzionata; ma in sua vece
portano delle teorie gratuite e delle ipotesi.
Papa Pio XII di s. m. nell'enciclica Humani Generis pubblicò un ammonimento contro
l'uso di simili ipotesi scientifiche non provate quando è in questione l'insegnamento
della Chiesa, nella seguente dichiarazione:
«Bisogna andare cauti quando si tratta piuttosto di ipotesi, benché in qualche modo
fondate scientificamente nelle quali si tocca la dottrina contenuta nella Sacra Scrittura o
anche nella Tradizione. Che se tali ipotesi vanno direttamente o indirettamente contro la
dottrina rivelata, allora esse non possono ammettersi in alcun modo».
Conclusione
I geologi, i paleontologi e gli archeologi che hanno lavorato fin dalla fine del secolo
scorso, ognuno nella sua propria branca, hanno messo a disposizione sufficiente
informazione esatta da mettere in grado gli operatori della ricerca di rintracciare la storia
dell'uomo fino alla Grande Inondazione, al termine dell'Età Glaciale, e da quella fino
all'uomo più antico. In particolare, hanno trovato la data della Grande Inondazione che è
circa 7.000 anni A. C.
Essi hanno dimostrato che l'uomo più antico era un uomo altamente illuminato; che da
inizi primitivi rapidamente inventò strumenti, utensili domestici, manufatti, sviluppò le
arti della pittura e dell'agricoltura, costruì villaggi e città, e teneva animali domestici,
che, si può presumere, furono provvisti da Dio per i nostri progenitori.
Hanno dimostrato che le tribù nomadi, come i Neanderthal, che vivevano nelle caverne
dell'Europa e dell'Africa, non rappresentano l'uomo più antico, ma erano uomini che
vagavano lontano dai centri di civiltà e vivevano di caccia.
Le varie spedizioni internazionali che seguirono gli scavi ci han dato una conoscenza
esatta del grado di civiltà raggiunta al tempo dell'Inondazione; ci hanno fornito
informazioni che dimostrano che al tempo dell'Inondazione il grosso della razza umana
era confinata in un'area relativamente piccola usualmente chiamata la Mezzaluna Fertile;
e che l'uomo non aveva attraversato le Montagne dell'Himalaya per entrare in India o in
Cina; che dopo l'Inondazione è in Mesopotamia che l'uomo ricominciò; che prima della
separazione per occupare varie parti del mondo, aveva sviluppato un sistema di scrittura
geroglifica che gli Egiziani portarono in Egitto, i Cinesi in Cina e gli Indiani in America.
Gli evoluzionisti, per lo più per ignoranza, non ci dicono nulla a riguardo di tutto
questo. Invece, ci danno una lunga lista di esseri mitici metà uomini, metà scimmie, che
essi presentano come esseri che esistettero realmente, ma che invece alla prova son
risultati, tutti e singoli senza eccezione, dei casi di frode e di inganno.
Ho trattato di essi individualmente.
La conclusione generale è perciò, che non esiste alcun fondamento scientifico per la
teoria che l'uomo si è evoluto da un animale inferiore, o per quella del poligenismo. I
libri scritti per propugnarle, come quelli di Padre Teilhard de Chardin e di Padre
Francoeur dimostrano che i loro autori ignoravano le scoperte scientifiche operate
durante l'ultimo secolo sulla origine e preistoria dell'uomo.
LA DOTTRINA DEL PECCATO ORIGINALE NELLE DEFINIZIONI DI PAPA
PAOLO VI
1. Estratto da un indirizzo rivolto da Paolo VI ai teologi e scienziati partecipanti a un
simposio sul peccato originale (Osserv. Romano, 15 luglio 1966).
«...Convinti perciò che le teorie del peccato originale riguardanti sia la sua esistenza che
l'universalità e il suo carattere come vero peccato anche nei discendenti di Adamo, e le
sue tristi conseguenze per l'anima e per il corpo, sono una verità rivelata da Dio in vari
passi dell'Antico e del Nuovo Testamento, ma specialmente nei testi che ben conoscete
di Gen. 3, 1-20, e la lettera ai Rom. 5, 12-19: abbiate sempre cura, nello scrutare e
specificare il senso dei testi biblici, di osservare le norme indispensabili che derivano
dalla analogia fidei (analogia della fede), dalle dichiarazioni e definizioni dei Concili
sopra ricordati, e dagli Atti emanati dalla Sede Apostolica. Così sarete sicuri di rispettare
id quod Ecclesia catholica ubique diffusa semper intellexit (ciò che la Chiesa Cattolica
estesa dappertutto ha sempre inteso), cioè il senso della Chiesa universale, docente e
discente, che i Padri del Concilio di Cartagine, che trattò del peccato originale contro i
Pelagiani, considerò regulam fidei (una regola di fede).
E' perciò evidente che le spiegazioni del peccato originale date da alcuni autori moderni
vi sembreranno inconciliabili con la vera dottrina cattolica. Partendo dalla premessa non
dimostrata del poligenismo, essi negano più o meno chiaramente che quel peccato dal
quale sono derivate all'umanità così tante sentine di male, fu prima di tutto la
disobbedienza di Adamo, primo uomo figura di quell'Uomo commessa all'inizio della
storia. Di conseguenza queste spiegazioni non concordano neppure con l'insegnamento
della Scrittura, della sacra Tradizione e del Magistero della Chiesa, secondo i quali il
peccato del primo uomo è trasmesso a tutti i suoi discendenti, non per imitazione ma per
propagazione, in ciascuno come suo proprio (inest unicuique proprium) ed è la morte
dell'anima, cioè privazione, e non semplice mancanza, di santità e di giustizia, perfino
nei neonati».
2. Dalla Professione di Fede pronunciata da Papa Paolo VI in Piazza S. Pietro la
domenica 30 giugno 1968.
«... Noi crediamo che in Adamo tutti hanno peccato: il che significa che la colpa
originale da lui commessa ha fatto cadere la natura umana, comune a tutti gli uomini, in
uno stato in cui essa porta le conseguenze di quella colpa, e che non è più lo stato in cui
si trovava all'inizio nei nostri progenitori, costituiti nella santità e nella giustizia, e in cui
l'uomo non conosceva né il male né la morte. E' la natura umana così decaduta, spogliata
della grazia che la rivestiva, ferita nelle sue proprie forze naturali e sottomessa al
dominio della morte, che viene trasmessa a tutti gli uomini; ed è in tal senso che ciascun
uomo nasce nel peccato. Noi dunque professiamo, col Concilio di Trento, che il peccato
originale viene trasmesso con la natura umana, «non per imitazione, ma per
propagazione», e che esso pertanto è proprio a ciascuno» (Osservatore Romano, 1 luglio
1968).
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