Le Sezioni Unite riconoscono la cognizione del giudice del riesame

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Transcript Le Sezioni Unite riconoscono la cognizione del giudice del riesame

Cass., Sez. Un., 21 luglio 2016 (dep. 9 novembre 2016),
n. 38670 – Pres. Canzio – est. Vessichelli
Sequestro conservativo – Riesame – Pignorabilità
dei beni – Competenza del Tribunale del Riesame
Dalle
corti
In tema di impugnazione delle misure reali, le questioni
attinenti al regime di ignorabilità dei beni sottoposti a sequestro conservativo sono deducibili con la richiesta del riesame
e devono essere decise dal Tribunale del Riesame, al quale è demandato un controllo “pieno” che deve tendere alla verifica di legittimità della misura ablativa in tutti i suoi profili
(fattispecie in tema di beni conferiti in fondo patrimoniale).
Il testo integrale della sentenza è accessibile sul sito della rivista.
Le Sezioni Unite riconoscono la cognizione del giudice
del riesame sulle questioni inerenti la pignorabilità del
bene sottoposto a sequestro conservativo
1. Sequestro conservativo del bene e sua pignorabilità:
posizioni a confronto.
Le questioni inerenti la pignorabilità del bene possono essere devolute al Tribunale
chiamato a pronunciarsi sulla richiesta di riesame presentata avverso il provvedimento di
sequestro conservativo? Con la decisione in rassegna le Sezioni Unite della Cassazione
offrono risposta a questo interrogativo ponendo così fine ad un contrasto sorto negli anni
all’interno della giurisprudenza di legittimità.
Intorno alla tematica in esame la Cassazione ha infatti sviluppato due orientamenti
contrapposti. Secondo un primo minoritario indirizzo, il giudice dell’impugnazione cautelare penale non è abilitato a conoscere della assoggettibilità o meno a pignoramento
del bene sottoposto a sequestro conservativo, posto che la conversione della misura
cautelare in pignoramento ex art. 320 c. 1 c.p.p. avviene soltanto dopo il passaggio in
giudicato della sentenza di condanna; ne segue che la questione della eventuale impignorabilità del bene è ad appannaggio esclusivo del giudice civile quale organo funzionalmente competente per la fase dell’esecuzione forzata1. 1
Cfr. Cass., Sez. VI, 17 gennaio 2011, n. 4435, Trozzi, non mass.
Luigi Ludovici
La tesi opposta, che vuole competente a prendere cognizione dell’esistenza di cause ostative al pignoramento del bene il giudice dell’incidente cautelare penale, è, invece, sostenuta
in via maggioritaria dalla giurisprudenza di legittimità. A sostegno di questa diversa interpretazione viene, in particolare, richiamato il dato letterale ex art. 316 c. 1 c.p.p. secondo cui il
sequestro conservativo può essere richiesto «nei limiti in cui la legge ne consente il pignoramento» unitamente alla considerazione che, una volta individuato nell’impignorabilità del
bene un preciso limite al sequestro conservativo, sarebbe del tutto irragionevole non riconoscere al Gip (o comunque al giudice indicato dall’art. 317 cod. proc. pen.) prima, e al tribunale in sede di riesame, poi, il potere-dovere di verificare se tale limite è stato rispettato2.
2. La decisione delle Sezioni Unite.
Intervenute per dirimere il contrasto, le Sezioni Unite della Cassazione, aderendo all’orientamento maggioritario, riconoscono in capo al Tribunale del riesame una cognizione
estesa fino a ricomprendere anche il tema della pignorabilità del bene interessato dalla
misura ablativa.
Il ragionamento posto a base della decisione prende le mosse dalla disamina dei presupposti legittimanti l’adozione del sequestro conservativo tra cui, infatti, figura – oltre al
periculum in mora, al fumus boni iuris, alla disponibilità del bene da parte dell’imputato
e alla titolarità da parte del soggetto richiedente la misura di uno dei crediti garantiti dalla
norma – la circostanza che il bene sia suscettibile di pignoramento.
Posto questo dato, la cui esistenza si evince inequivocabilmente dal disposto normativo
di cui all’art. 316 c. 1 c.p.p., il plenum sottolinea come non vi sia motivo per non riconoscere come valutabile dal giudice che procede o da quello della impugnazione cautelare
il rispetto dei parametri normativi che condizionano o possono paralizzare la deduzione
della impignorabilità.
Che peraltro quella del Tribunale del riesame sia una cognizione piena e quindi coincidente con quella del giudice che ha applicato la misura è reso palese dalla catena dei
rinvii innescata dall’art. 318 c.p.p. il cui effetto ultimo è quello di sancire l’operatività nel
contesto dell’impugnazione in esame dell’art. 309 c. 9 c.p.p., norma in forza della quale al
giudice del riesame de libertate spetta, infatti, un potere di controllo scevro da limitazioni
ed esteso a tutti i profili che incidono sulla legittimità della misura applicata.
Né vale a suffragare la tesi – sostenuta dall’orientamento minoritario – della competenza esclusiva del giudice civile a conoscere le questioni inerenti la pignorabilità del bene
il rinvio che rispettivamente gli artt. 317 c. 3 e 320 c.p.p., operano a beneficio delle forme
prescritte dal codice di procedura civile.
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2
Cass., Sez. VI, 22 maggio 1997, n. 2033, Lentini, in C.E.D. Cass., n. 209111; Cass., Sez. VI, 4 febbraio 2011, n. 16168, De Biase, ivi, n.
249329; Cass., Sez. V, 26 maggio 2015, Valeria, n. 21733, ivi, n. 264768.
Cognizione del giudice del riesame sulle questioni inerenti la pignorabilità del bene sottoposto a sequestro conservativo
Chiariscono, infatti, le Sezioni Unite che mentre il rinvio di cui all’art. 317 c. 3 c.p.p. ha
esclusivamente la funzione di determinare le modalità di esecuzione del titolo cautelare in
linea con quanto previsto dall’omologo istituto civilistico, nell’art. 320 c.p.p. il rinvio alle
forme del codice di rito civile ha la diversa funzione di regolamentare la fase di espropriazione forzata che si apre dopo il passaggio in giudicato della sentenza di condanna; il
che non può non implicare la conseguente emersione della competenza del giudice civile
essendo, in effetti, il pignoramento – in cui si converte il sequestro conservativo in fase di
esecuzione – una procedura estranea al novero delle vicende esecutive rimesse al giudice
penale.
Al termine della propria disamina e in coerenza con l’impostazione di fondo lungo cui
si snoda l’intero percorso logico-argomentativo posto a base della decisione, il plenum
sottolinea come il giudice penale – sia esso il giudice richiesto della misura o il Tribunale
costituitosi ex art. 318 c.p.p. in funzione di controllo – ha, in definitiva, cognizione su tutte
le questioni di sostanza e di derivazione civilistica che, incidendo sulla possibilità o meno
di una espropriazione forzata, si riflettono sul piano della legittimità del vincolo cautelare:
non solo, dunque, spetterà al giudice penale verificare se ed entro quali limiti il bene sia
impignorabile, ma egli sarà chiamato anche a verificare se ricorrano eventuali condizioni
di inefficacia – es., per effetto di revocatoria c.d. fallimentare ex. art. 64 l.f. o c.d. penale
ex artt. 192, 193 e 194 c.p.- prospettate dal creditore/richiedente la misura in relazione agli
atti dispositivi compiuti dal debitore in favore di terzi la cui sussistenza, infatti, facendo
venir meno inespropriabilità del bene, implica l’opponibilità del vincolo cautelare.
La decisione in commento patrocina un’interpretazione del sequestro conservativo e
del sistema dei controlli ad esso associato la cui validità non sembra poter essere messa
in discussione.
A ben guardare, infatti, la lettera dell’art. 316 c.p.p., allorquando specifica che il sequestro conservativo è ammesso entro i limiti in cui la legge consente il pignoramento, abilita
senza ombra di dubbio il giudice penale a conoscere della pignorabilità del bene ed a
sondare i limiti della sua estensione posto che dall’una e dagli altri dipendono rispettivamente l’an e i margini di esercizio del potere cautelare in ambito penale.
Una volta chiarito, dunque, che la pignorabilità del bene individua un presupposto di
legittimità del sequestro conservativo e che, quindi, il giudice investito della richiesta cautelare ha cognizione anche in relazione a tale tematica, è giocoforza riconoscere analoga
competenza al giudice ex art. 324 c.p.p. stante l’omogeneità cognitiva che la richiesta di
riesame ex art. 318 c.p.p., quale gravame c.d. puro, assicura tra l’uno e l’altro3.
3
In argomento e, più in generale, in tema controlli sulle cautele reali cfr. Adorno, Il riesame delle misure cautelari reali, Milano, 2004.
Dalle corti
3. Riflessioni conclusive.
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Luigi Ludovici
Ulteriore e definitiva riprova della competenza del giudice penale circa le questioni
inerenti il pignoramento del bene da sottoporre o sottoposto a sequestro conservativo si
rinviene guardando, più in generale, alla logica che informa la materia cautelare.
Per far luce su questo aspetto bisogna partire dalla considerazione che le cautele hanno
natura strumentale ed accessoria i cui effetti concreti trovano la propria ragione d’essere e
sono tollerati dall’ordinamento solo a patto che rappresentino una anticipazione di ciò che
accadrà con il passaggio in giudicato della sentenza di condanna e l’inizio dell’esecuzione.
La conclusione vale naturalmente sia per le cautele personali che per quelle reali: volendo
restare alle esemplificazioni più emblematiche, la custodia cautelare in carcere anticipa,
infatti, gli effetti di una condanna a pena detentiva come il sequestro conservativo anticipa
quelli del pignoramento4.
Se così stanno le cose, è però evidente che tra i presupposti di adozione della cautela,
su un piano logico prima che normativo, figura necessariamente anche la verifica circa l’esistenza delle condizioni per cui, nella fase esecutiva, sarà possibile effettivamente limitare
quel diritto o vincolare proprio quel bene su cui la cautela è destinata provvisoriamente ad
incidere: se così non fosse si arriverebbe, infatti, al paradosso di consentire in via cautelare
limitazioni che in fase esecutiva saranno comunque precluse.
Non a caso il codice di rito vieta il ricorso alla custodia in carcere nei casi in cui il
giudice della cautela preveda che, con la sentenza di condanna, sarà concesso il beneficio della sospensione condizionale della pena5 ovvero sarà comminata una pena (non
superiore a 3 anni) compatibile con il decreto di sospensione dell’ordine di esecuzione e
con la concessione di una misura alternativa alla detenzione (art. 275 c. 2-bis c.p.p.)6. E
non vi è dubbio che risponde alla medesima logica che attraversa la disciplina dettata in
materia de libertate anche la previsione di cui all’art. 316 c.p.p. circa il divieto di sequestro
conservativo di beni impignorabili.
L’interpretazione che vuole riservare al giudice civile investito della fase esecutiva la
competenza a conoscere le questioni sulla pignorabilità del bene come se le stesse non
influenzassero in alcun modo la possibilità di ricorso allo strumento cautelare reale, non
può essere, dunque, accolta non solo perché collide con il tenore cristallino del dettato
normativo e con la natura del controllo ontologicamente riservato al giudice del riesame,
ma anche perché, in definitiva, finisce per stravolgere la logica di fondo che permea di se
l’intero sistema cautelare.
Luigi Ludovici
4
La natura di pignoramento anticipato è ribadita dalla Cassazione proprio nella sentenza in commento.
In argomento v. Marandola, Sospensione condizionale della pena e misure cautelari, in Cass. pen. 1995, 641.
6
Per una disamina ad ampio spettro sulle modifiche apportate al sistema cautelare dalla l. 16 aprile 2015, n. 47, tra cui rientra anche
il divieto della custodia in carcere in caso di prognosi di pena non superiore a tre anni v. Spangher, Brevi riflessioni sistematiche sulle
misure cautelari dopo la l. n. 47 del 2015, in www.penalecontemporaneo.it
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