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STEFANO MICOSSI - 19/12/2016 ore 16:48
POLITICA | MACCHINA INDIETRO A TUTTA FORZA
Anche sul fronte delle riforme economiche
Vi sono pochi dubbi sulle conseguenze della bocciatura senza appello delle riforme costituzionali:
macchina indietro a tutta forza anche sul fronte delle riforme economiche. A onor del vero, la marcia
indietro l’aveva già innestata il Governo Renzi, che da tempo aveva spingeva l’acceleratore sulla rincorsa
del consenso con i bonus, più che sulle riforme. Ma ora, chi avrà ancora il coraggio di proporre
flessibilità, spending review, aggiustamenti strutturali? Mentre incombe il referendum sul Jobs Act, che
in queste condizioni non si può che perdere; mentre le magistrature amministrative e costituzionali
minacciano di smantellare la riforma della PA e forse anche quella delle banche popolari.
Un riflusso così esteso fa riflettere sul rapporto tra istituzioni e consenso popolare. Per oltre tre decenni
– in pratica, a partire dai primi anni Novanta, dopo Tangentopoli – ampie fasce delle élites politiche ed
economiche hanno spinto per dotare l’Italia di istituzioni più efficienti per superare le endemiche
debolezze dell’economia e della società italiana con un esteso programma di riforme strutturali. Qualche
progresso importante c’è stato, ma alla fine siamo rimasti bloccati a metà del guado. La battaglia
referendaria ha unito gli oppositori alle riforme e ha diviso chi le sosteneva. Il fronte contrario è
diventato maggioranza nel paese. Gli effetti includono, oltre alla sconfitta del monocameralismo e del
tentativo di ristabilire la preminenza dello stato sulle regioni, il quasi certo ritorno a un sistema
elettorale proporzionale, nel quale tutti i piccoli interessi riprendono il potere di veto e nessuno può
governare.
Alla fine, insomma, la società italiana più arretrata, quella delle piccole rendite e dei sussidi diffusi, ha
ripreso il sopravvento, piegando le istituzioni alle sue esigenze di conservazione. Che questa sia una
cattiva notizia per la crescita e la sostenibilità del nostro debito pubblico è ovvio, quasi banale. Ma a chi
interessa?
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