I tempi delle indagini preliminari: i “no” della Procura

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I tempi delle indagini preliminari: i “no” della Procura
I tempi delle indagini preliminari:
i “no” della Procura
Giorgio Spangher
Sommario : 1. Termine per l’esercizio dell’azione penale. – 2. Termine di iscrizione della notizia di reato.
– 3. Nessun controllo sui p.m.
Ogniqualvolta il legislatore fissa un termine per lo svolgimento della loro attività i magistrati “vanno in tilt”. Se poi il legislatore vi riconduce quale profilo sanzionatorio (disciplinare, avocazioni del superiore gerarchico, sanzioni processuali, perdita di efficacia dei
provvedimenti tardivi, e quant’altro) salgono “sulle barricate” ritenendo che ci sia sotto il
desiderio di limitare lo svolgimento delle funzioni, per tutelare oscure finalità.
Si cercano così gli strumenti operativi per disinnescare le implicazioni delle opzioni
normative.
Il dato è emerso – da ultimo – relativamente alla previsione che vorrebbe fissare un
termine per la richiesta dell’udienza preliminare dopo l’esaurimento delle attività di cui
all’art. 415 bis c.p.p. La questione è stata posta sul tappeto delle rivendicazioni dell’A.N.M.
nel corso dell’incontro del 24 ottobre con il Presidente del Consiglio ed il Ministro della
Giustizia. Al riguardo è stato sollevato anche il problema della possibile avocazione da
parte del Procuratore Generale presso la Corte d’appello nel caso dell’infruttuoso decorso
del termine.
Invero, le critiche nei confronti di questo aspetto della riforma Orlando – peraltro, impantanatasi, per varie ragioni, al Senato – è infondata e pretestuosa, anche a prescindere
dalla possibilità che i previsti tre mesi per esercitare l’azione penale possano essere prorogati di altri tre mesi (già questo è stato un ingiustificato cedimento alle rivendicazioni della
Magistratura associata). Invero, all’atto del deposito, il p.m. ha già deciso – come tutti gli
operatori della giustizia sanno – di non archiviare (configurandosi quest’ultima come una
ipotesi “di scuola” – possibile, ma irrealizzabile nei fatti).
Il p.m., invero, ha già formulato la “preimputazione”; ha già depositato il materiale delle
indagini e le eventuali attività difensive dell’imputato.
Ha già ordinato il materiale; la discovery si è realizzata; non sono possibili ulteriori atti-
Opinioni
1. Termine per l'esercizio dell’azione penale.
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vità essendo (verosimilmente) scaduti i termini delle indagini. Dopo il deposito, si tratta di
“sistemare” l’attività conseguente eventualmente sollecitata dalla difesa, nonché l’eventuale
investigazione da questa ritenuta conseguente.
Escluso che debba toccare all’imputato una richiesta sollecitatoria, la stasi processuale
– abbinata alla riforma – della prescrizione, che ne vede allungati i termini nel contesto
della medesima legge di riforma, la dice lunga sulle ragioni che spesso sono a fondamento
della durata irragionevole del processo, in relazione ai c.d. tempi morti.
Il dato risulta ancora più discutibile ove si consideri che con riferimento ai processi di
criminalità organizzata il termine è di quindici mesi. Le giustificazioni addotte in questo
caso sono costituite dalla considerazione che, a volte, dopo le attività di cui all’art. 415 bis
c.p.p., non è esclusa la possibilità che emergano altri reati e altri componenti del gruppo
criminale, rendendosi necessario completare queste indagini in modo da svolgere un processo cumulativo sia in chiave oggettiva, sia soggettiva.
Deve aggiungersi che questo ragionamento rischia di protrarre senza termine il tempo
de quo, non potendosi escludere una ulteriore evenienza dello stesso tipo anche dopo la
scadenza del termine di quindici mesi.
Infondate e pretestuose si rivelano anche le riserve sul potere di avocazione del procuratore generale, peraltro già previsto dall’art. 412 c.p.p. e non sempre attivato.
Residuale nella riforma del codice del 1988, a fronte della sua dilatazione nel sistema
del 1930, stante la diversa configurazione istituzionale e ordinamentale del p.m., l’avocazione appare strumento adeguato a rimuovere in via residuale ed eccezionale gli “inceppamenti” della macchina investigativa.
Il dato ha ricevuto proprio da ultimo un significativo avallo a conforto, un vero “assist” per la riforma, da parte della Procura generale con la decisione dell’11.10.2016, n.
552 (confl. Proc. Gen. C.A. Milano – Proc. Rep. Milano), che ha prefigurato una ipotesi di
avocazione “allargata”, estesa anche al dissenso della procura generale sulla richiesta di
archiviazione da parte della procura della repubblica.
2. Termine di iscrizione della notizia di reato.
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In realtà, le procure non sono mai entrate in sintonia con la scelta del Codice Vassalli
di cadenzare la fase delle indagini, anche dopo che la scansione temporale delle stesse ha
ricevuto il riconoscimento della loro legittimità costituzionale.
Superato dall’accondiscendenza dei gip, il meccanismo di controllo legato alle proroghe
dei semestrali segmenti investigativi, le procure hanno proceduto in proprio a disinnescare
il meccanismo temporale ipotizzato per una fase concepita nella logica bifasica del nuovo
processo. Parcheggio delle notizie di reato nel registro delle notizie non reato, indagini
parallele, travasi di investigazioni, numeri contenitore di notitiae criminis, investigazioni a
staffetta, e quant’altro, hanno consentito di aggirare una chiara opzione normativa, secondo la diversa visione onnivora e ispirata alla logica d’una fase investigativa totalizzante, da
far rifluire a dibattimento.
Elemento decisivo in questa logica, il rifiuto – avvallato dalla giurisprudenza – del con-
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trollo sul tempo della iscrizione nel registro ex art. 335 c.p.p. Invero, pure i timidi tentativi
anche di una sola “ricognizione” della prassi – adombrata nella stessa riforma Orlando –
sono guardati con sospetto e sostanzialmente rifiutate, senza considerare l’ostilità e l’ostruzionismo manifestato nei confronti dei tentativi di normare questo fondamentale profilo
dell’attività di indagine.
Invero, per le procure il tempo delle investigazioni è materia della pubblica accusa che
non consente interferenze e controlli.
3. Nessun controllo sui p.m.
Opinioni
In sintesi, il sistema congegnato dagli uffici del pubblico ministero si configura come un
meccanismo che consentendo all’ufficio di decidere quando iscrivere la notizia di reato,
di calibrare il tempo delle indagini, di decidere i tempi dell’esercizio dell’azione penale,
consente di determinare chi, quando, come imputare di un determinato reato. Scegliendo
i tempi, si definiscono le priorità oggettive e soggettive.
Si contrabbanda quella che è una assoluta discrezionalità, per l’estrinsecazione dell’obbligatorietà dell’azione penale.
Di fronte a questa situazione, il problema dei tempi dell’iscrizione, del controllo sullo scorrimento delle indagini, sulla cronologia dell’esercizio dell’azione penale diventa
elemento centrale di trasparenza dell’azione dell’accusa, senza rigidità – in presenza di
situazioni che ne giustifichino l’adeguamento – e senza elasticità – sconfinante nell’arbitrarietà –. Il tempo nel processo è un elemento centrale, sia per la collettività, sia per
i soggetti coinvolti. Seppur condizionato da molte variabili, non esclusa la funzionalità
dell’organizzazione giudiziaria, soprattutto ora che – come anticipato – si allunga il tempo
dell’oblio, il tempo del processo non può essere condizionato da pratiche incontrollabili
che rimettono alle scelte “inquisitorie” le opzioni procedurali dei fatti da perseguire e dei
soggetti da processare, in via prioritaria.
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