Michela FELTRIN

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Transcript Michela FELTRIN

La Mano
Vincente
Racconto di Michela Feltrin
dedicato a Tex Willer e ai suoi pards
Dicembre 2016
Tex è un personaggio edito da Sergio Bonelli Editore
(c) Sergio Bonelli Editore, Milano
Opera rilasciata sotto licenza Creative Commons
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Non sembravano mani possenti. Le vene sul dorso erano appena in rilievo, le
dita erano lunghe e robuste, sebbene la punta e i bordi dell'indice, del medio e
del pollice di ambedue fossero ingialliti per le tante sigarette. Le palme, pur
scavate da alcune rughe e dai segni lasciati dalle briglie, che oramai si erano fusi
con le linee della vita e del destino, erano piuttosto callose, ma meno di quanto
ci si sarebbe aspettati da un uomo del suo genere. Solo i tendini, tirati come
lame affilate, e le nocche vigorose rimandavano alla grandezza e alla dignità che
trasparivano da tutta la sua persona.
Eppure quelle mani, che in gioventù avevano anche lanciato il lazo e maneggiato
marchi arroventati, erano state destinate a sfilare centinaia di volte le Colt dalle
fondine, impugnare Winchester dalle canne fumanti, tirare frecce, lanciare
candelotti di dinamite e brandire pugnali dalle fogge più strane. Quando chiuse
a pugno, erano capaci di trasformarsi in mazze ferrate per ridurre a più miti
consigli prepotenti di ogni razza e grado o per alzare da terra e far svolazzare in
aria elefanti del calibro di Rocky Hazel.
Erano mani che parlavano, anche quando ne stringevano altre promettendo
Giustizia, e che non si erano mai coperte d'infamia, né macchiate di tradimento.
Tex Willer alzò lievemente la tesa del cappello prima di calare la scala a colore,
stendendo le cinque carte una vicina all'altra e accompagnando con un mezzo
sorriso l'imprecazione di Kit Carson, quel «Ch'io sia dannato!» che era eruttata
come da un vulcano quando la mano di Tex stava ancora a mezz'aria.
Carson si sbagliava. Le mani di Tex erano affascinanti non solo quando
sfilavano le Colt dalle fondine, ma anche quando calavano una combinazione di
poker. I gesti erano diversi, se non altro quanto a velocità, ma entrambi
riflettevano la naturale e un po' rude eleganza che era innata negli uomini
perbene, giusti e incorruttibili, talmente sicuri del fatto loro da non avere alcun
bisogno di dimostrarlo.
«Come riuscite a sopportare tanta fortuna?» chiese divertito lo sceriffo a Carson
mentre questi, poggiato il sigaro sul posacenere di legno grezzo, beveva da un
grosso boccale.
«Negli anni il vecchio Kit ha affinato le sue tante virtù, tra cui quella della
pazienza.» disse Tex, tra il serio e il faceto, mentre raccoglieva i pochi dollari
messi nel piatto.
Carson lanciò al suo pard un'occhiata densa di significati, poi avvicinò a sé le
carte sparpagliate sul tavolo e prese a riordinarle. Un istante prima di
rispondere atteggiò le labbra a una smorfia di noncuranza, in cui solo Kit e Tiger
avrebbero ravvisato una fraterna quanto sconfinata indulgenza. Guardò lo
sceriffo e disse:
«Se non fosse così fortunato, questo furbone matricolato non si sarebbe limitato
a scottarsi la pelle in più di un'occasione, ma se la starebbe da tempo rosolando
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all'Inferno!» S'interruppe un istante, come per dare maggior enfasi a ciò che
stava per dire, poi riprese: «E io con lui!»
«Non dategli ascolto, sceriffo, non si tratta solo di fortuna...» obiettò Tex,
mettendo mano a tabacco e cartine, «... Carson fa del suo meglio per mettermi
costantemente in guardia e farmi presente qualche sgradevole possibilità!»
«Siete proprio una bella coppia di satanassi, voi due!» disse lo sceriffo, sempre
sorridendo. «Non riesco ancora a credere che la vostra sia solo una visita di
cortesia. Quando siete spuntati alla porta del mio ufficio, la prima cosa che mi è
venuta in mente è stata di far avvertire Lister che i suoi affari avrebbero subìto
un brusco rialzo...»
Tex accese la sigaretta, ripensando a quale nido di vermi lui e i suoi pards
avessero scoperchiato anni prima. Quindi, esalando una boccata di fumo,
replicò: «Diamine, sceriffo! Non siamo certo degli angioletti, ma nemmeno
gente che semina cadaveri non appena entra in paese!»
«Non è ancora detta l'ultima parola...» sussurrò Carson, mentre mescolava
nervosamente le carte. Lo sceriffo lo squadrò con aria interrogativa poiché dal
tono della sua battuta non aveva capito se stesse scherzando o azzardando una
previsione. Carson gli rispose alzando il sopracciglio sinistro, per poi seguire con
lo sguardo una graziosa biondina vestita di un rosso un po' acceso, che stava
portando un vassoio al tavolo accanto.
Erano seduti non lontano dall'ingresso, al tavolo d'angolo posto sul lato sinistro
del “Silver Dollar”, il saloon principale di Cedar City, una piccola e ridente
cittadina del sud-ovest dello Utah. In passato il saloon era appartenuto a un
certo Goldfield, finito sulla forca proprio grazie a Willer e ai suoi pards.
Tex bevve un sorso di birra e lanciò alcune rapide occhiate all'interno del locale.
Il “Silver” era cambiato parecchio dal tempo in cui il ranger aveva atterrato quel
sacco di lardo di Boulder, per poi farlo volare addosso alla gran varietà di
bottiglie di alcolici di cui faceva bella mostra il bancone del bar.
C'erano ancora i due grandi specchi ai lati dello stiglio in legno decorato, ma
quasi tutti gli altri erano stati sostituiti da quadri di varie dimensioni che
ritraevano figure femminili, sensuali ma non volgari, simili ai due che Tex aveva
notato fin dalla prima volta in cui era entrato al “Silver” e che spiccavano fra
tutti per via della cornice annerita. Un tavolo da biliardo era stato aggiunto sulla
sinistra, non lontano dal banco, e una grossa porzione del lato destro del locale
era stata adibita a sala da gioco.
Attorno ai tavoli si faceva un gran vociare, tra le chiamate dei croupier e le
puntate dei giocatori, frenetici e un po' alticci. Una densa nebbia di fumo si
spandeva per tutto il locale, smorzando le luci dei lumi a petrolio e
ombreggiando le tonalità vivaci degli abiti indossati dalle ragazze, tutti della
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stessa foggia e con il corpetto di raso nero, ma con le balze di un colore diverso
l'uno dall'altro.
Per una qualche ragione il nuovo proprietario aveva lasciato dov'era il copricapo
indiano di piume, che oramai strideva non poco con i nuovi arredi e col tono più
ricercato che si era dato il locale.
Lo sceriffo tagliò il mazzo e Carson finalmente diede le carte, lanciandole come
se stesse sparando. Le sue erano mani robuste, ma non tozze, un po' più grandi
di quelle di Tex e ad esse accomunate dallo stesso destino di servire la Giustizia.
Come quelle degli uomini appartenuti ad una generazione pressoché estinta di
esploratori, in gioventù le mani di Kit Carson avevano faticato e lottato sulle
piste di un West ancora incontaminato, dove si poteva cavalcare per giorni
senza incontrare anima viva.
Tex spense il mozzicone e riordinò tranquillamente le carte. Gli sembrò che una
ragazza stesse alzando la voce, tra la ressa di uomini addossati al banco, ma la
sensazione andò perduta e con essa la voce femminile, entrambe sovrastate dal
gran baccano.
Carson bevve un altro sorso e si lisciò i baffi schiumanti di birra, poi voltò il capo
verso sinistra.
«La parola a voi, sceriffo! Forse questa sarà la mano buona!»
«Speriamolo, Carson! Il vostro pard mi ha alleggerito di quasi tutta la paga del
mese...» Lo sceriffo guardò di sfuggita Tex prima di parlare, quindi, con fare
deciso, mise i dollari sul piatto e disse: «Apro di due.»
Tex posò il boccale vuoto, lo sguardo sempre fisso sulle carte. Pensò che, tra i
tanti cambiamenti che aveva notato tornando a Cedar City, chi non era
cambiato affatto era lo sceriffo. Era appena un po' più magro, le borse sotto gli
occhi e le occhiaie sembravano lievemente più accennate, ma lo spirito era
rimasto lo stesso di allora, allegro, onesto e sincero. Per un giocatore dell'abilità
di Tex, lo sceriffo era un libro aperto.
«Rilancio di cinque» disse quindi Tex, guadagnandosi un'occhiataccia da parte
di Carson.
Lo sceriffo quasi strabuzzò gli occhi, come se sul tavolo, al posto dei cinque
dollari, ci fossero ancora le due mazzette con i trentamila appartenuti a
Goldfield. “Farina del diavolo” li aveva battezzati Kit, appena prima di decidere
quale destino li avrebbe tramutati in “buona farina”. Erano stati lui e Tiger a
recuperare il malloppo dalle tasche della sella di uno dei due scagnozzi di
Goldfield, i quali, derubando il proprio capo, avevano imboccato una pista che li
aveva trasformati ben presto in cibo per avvoltoi. La stupefacente faccia di
bronzo dimostrata da Kit con la commovente storia che aveva accompagnato la
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consegna del denaro, gli era valsa uno sguardo di ammirata meraviglia da parte
dello sceriffo.
Fu come se quello sguardo avesse attraversato il tempo, passando dal figlio al
padre e da Tex a Carson. Come accadde a Tex allora, anche Carson si sentì
rivolgere una strana domanda:
«Secondo voi, che lo conoscete molto meglio di me, sta bluffando oppure no?»
Carson scrutò le sue carte con espressione sconsolata e, senza quasi girarsi,
replicò:
«Sceriffo, se sapessi rispondere a questa domanda, non avrei salutato metà degli
angioletti che trovavano sicuro riparo all'interno delle mie tasche!» E, con un
sospiro che non sfuggì alle orecchie dei presenti, gettò le carte al centro del
tavolo, lasciando la mano.
In quello stesso momento, un fracasso di stoviglie rotte e un grido di donna
proruppero da dietro le spalle di Carson. Lo sceriffo si voltò d'impulso e
adocchiò uno dei camerieri che si sbracciava, facendogli cenno di affrettarsi.
«Era una città così tranquilla...» disse lo sceriffo guardando verso Tex, il quale,
scattato come una pantera, si stava sistemando la tesa del cappello «... e non
sono passate che poche ore da quando siete arrivati!»
Tex piegò le labbra nel suo caratteristico mezzo sorriso, che, come ben sapevano
tutti quelli che avevano conosciuto il ranger, svelava un significato diverso
quando rivolto ai suoi pards, ai galantuomini o ai furfanti.
«Non vi sembra di esagerare, sceriffo, prendendovela con noi per una rissa da
saloon che nemmeno ci riguarda?»
«Non è ancora detta l'ultima parola...» ribadì Carson, dopo aver dato una
sbirciata alle carte di Tex. Nei tanti anni vissuti al suo fianco, Carson non aveva
sviluppato solo una pazienza degna di quel sant'uomo di Giobbe, ma anche la
capacità di intuire, con una notevole approssimazione, cosa aspettarsi da
ciascun intervento del suo pard, a seconda del genere di questione in cui quegli
finiva per impicciarsi.
Lo sceriffo si fece quindi largo tra la calca, preceduto da Tex e tallonato da
Carson.
Davanti al bancone si fronteggiavano un cow-boy dalla considerevole mole,
rosso in volto dalla furia e con due mani che sembravano magli, e una giovane
donna dai capelli neri e ondulati, raccolti in una coda di cavallo. Indossava un
abito lungo di seta blu, monospalla e senza fronzoli, che scivolava, appena
aderente, sulla figura minuta. Non portava gioielli tranne un piccolo cammeo
azzurro appuntato su un nastro di velluto nero, che le cingeva il collo da cigno.
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Un paio di uomini, forse amici o solo compari di bagordi, cercavano di
trattenere il cow-boy, mentre la donna, con negli occhi uno sguardo che non
aveva bisogno di parole, teneva puntata verso il suo addome la canna di un
vecchio Winchester, che impugnava con una certa sicurezza. Sembrava volesse
fare da scudo alle ragazze che si erano raccolte dietro di lei, due delle quali
stavano soccorrendo e confortando quella stesa a terra, mentre una terza
sopraggiungeva dal fondo con un asciugamano bagnato.
«Che mi venga un colpo!» sfuggì a Carson quando riconobbe la donna, mentre
Tex, con un occhio alla giovane e l'altro al bestione che le si parava innanzi e che
la dominava in corporatura e altezza, pensò che le congetture in cui si era
avventurato sin da quando aveva rimesso piede al “Silver Dollar” trovavano ora
piena conferma.
«Abbassa quel catenaccio, figliola, adesso ci penso io!» intimò lo sceriffo alla
donna, sfiorando con la mano la punta della canna del fucile. Si rivolse quindi al
cow-boy con fare tranquillo, ma con un tono autoritario che rammentò a tutti, in
un batter d'occhio, che quel piccolo uomo dai capelli e dai baffi bianchi era lo
stimato e integerrimo tutore della legge di Cedar City.
«Ancora tu, Murphy? Ti avevo ordinato di tenerti alla larga da questo locale!»
«Andiamo, sceriffo!» prese a dire un tizio ben piantato e dall'aria scocciata,
intromettendosi nella discussione, «I miei uomini hanno ben il diritto di
divertirsi e non vi è legge che tenga che possa vietarci di frequentare il “Silver”!»
Lo sceriffo fissò Jeff Thorpe come se a parlare fosse stato un avanzo di galera
che aveva commesso il grosso errore di aprire bocca senza prima chiedergli il
permesso. Thorpe aveva fatto fortuna con il bestiame e dava lavoro a parecchia
gente, in città, e tra quei pochi che sapevano che era stato uno dei tirapiedi di
Harport, nessuno aveva interesse a ricordalo, né a ricorrere alla legge per i
danni e i fastidi causati dai suoi uomini. Ma lo sceriffo non era uomo da
dimenticare un particolare del genere.
«Qui a Cedar City la legge la rappresento io, mister! Potete andare a divertirvi
dove diavolo vi pare, ma senza che ogni volta creiate disordini, demolendo
mezzo locale o, peggio, spedendo una ragazza dal dottore!»
E senza dire altro, rivolta un'occhiata d'intesa alla donna vestita di blu, lo
sceriffo si avvicinò alla ragazza ferita. Con l'asciugamano premuto sul lato
sinistro del viso e gli occhi velati di lacrime, la ragazza si appoggiava ad una sua
compagna più alta e dai folti capelli rossicci.
«È tutto finito, Sally!» la incoraggiò lo sceriffo, con aria paterna. «Cos'è
successo?»
La ragazza si guardò attorno, intimorita da tanta attenzione e da alcune occhiate
giudicanti. Non avrebbe più scordato il momento in cui aveva incrociato gli
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occhi chiari di uno dei due stranieri amici dello sceriffo, nei quali non lesse
biasimo o pietà, solo orgoglio e coraggio.
Cercò quindi di ricomporsi, asciugandosi gli occhi e lasciando il sostegno della
compagna.
«Gli ho detto di lasciarmi stare e che non volevo più saperne di lui, sceriffo...»
mormorò quindi la ragazza, interrompendosi per schiarirsi la voce. Strinse a sé
la balza strappata dello scollo dell'abito, poi proseguì, a voce chiara e alta:
«Non è un uomo quello, è un animale...»
«E tu non sei che una sgualdrina!» gridò il cow-boy, divincolandosi e sfuggendo
alla presa dei suoi due compari.
Tex fu più rapido della folgore e il massacrante uppercut con cui sollevò Murphy
da terra non lo vide arrivare nessuno. Ciò che tutti videro fu il cow-boy che
volava addosso al bancone per poi carambolare su alcuni tavolini e sui rispettivi
occupanti, con gran sconquasso di vetri e di legno spezzato.
«Coprimi le spalle, Kit!» fece Tex a Carson, «Certi vermi non strisciano mai da
soli!»
«Puoi contarci, fratello!» rispose Carson, con entrambe le mani già poggiate sul
calcio delle Colt. «Ma questa mi sembra tutta brava gente, non vedo facce da
candidati al cimitero.»
Alle parole di Carson fece seguito un brusìo generale. Alcuni avventori ritennero
prudente allontanarsi dalla zona dello scontro, ma solo di una decina di passi,
per non rischiare di perdersi lo spettacolo. I due giocatori che erano rovinati a
terra insieme a Murphy recuperarono i cappelli e fecero qualche passo indietro,
tenendo le mani lievemente alzate. Prima di spostarsi verso il fondo del locale,
uno dei due aprì entrambi i risvolti della giacca per mostrare che non era
armato.
Intanto Murphy si era tirato in piedi e continuava a massaggiarsi la mascella,
forse per assicurarsi che si trovasse ancora al suo posto.
«Veniamo a noi, scimmione!» lo apostrofò Tex, facendogli segno di farsi sotto,
«Vediamo se sei bravo solo a marchiare il bestiame, bere come una spugna e
picchiare le donne!»
Murphy si avventò su Tex con le movenze di un toro infuriato e con la velocità
che gli era consentita dalla sua stazza. Tex si portò fuori dalla sua guardia e con
il destro gli assestò un secco montante allo stomaco, facendo seguire il pugno da
un pesante gancio sinistro al mento. Murphy andò a sbattere contro il bancone,
mandando in frantumi una piramide di bicchierini da whisky e spaventando
non poco il barman. Nel rizzarsi in piedi, simile a un sonnambulo che, con le
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mani protese, tasta l'aria per cercare la via, urtò la sputacchiera e diede una
gomitata sul bordo del bancone, che fece cadere i pochi bicchieri rimasti intatti.
La mano poi gli scivolò sulla Colt, ma Tex ebbe tutto il tempo di avvicinarsi e di
abbrancargli l'arto, torcendoglielo fino al punto da fargli cadere la pistola.
Murphy cacciò un urlo strozzato e cercò di raddrizzarsi, con l'intento di
attaccare. Stavolta però Tex non gli lasciò la possibilità di reagire, facendo
partire una saetta che gli piegò la testa all'indietro e doppiando il colpo con un
diretto destro, con il quale mise fine alla breve discussione.
Murphy cadde all'indietro con un tonfo soffocato, come un albero nella foresta
dopo l'ultimo colpo d'ascia.
«Mi spiace per i danni, miss Judy...» disse quindi Tex alla donna fasciata di blu,
toccandosi la tesa del cappello.
Judy Kanab ricambiò il saluto di Tex con un cenno del capo. Non lo aveva mai
ringraziato ammodo per averle salvato la vita, né aveva potuto vederlo all'opera
prima d'ora, ma di quello che Willer e i suoi pards avevano fatto a Cedar City si
era continuato a parlare anche dopo che il boia aveva stretto una solida cravatta
di canapa intorno al collo di Goldfield, Clayton e Harport, suggellando la fine
della loro società a delinquere.
«Non ditelo nemmeno per scherzo, mister Willer!» rispose Judy, dopo avere
salutato anche Carson, cui rivolse il suo miglior sorriso. «Avrei pagato qualsiasi
cifra per vedere uno spettacolo del genere, ma sarà qualcun altro a pagare!»
Mentre ancora parlava, Judy aveva “inavvertitamente” alzato la canna del
Winchester puntandola verso Thorpe, cui chiese: «Non è così, mister?»
Thorpe fissò prima lei, poi Tex, in quel momento alle prese con tabacco e
cartine. Non aveva scordato il trattamento che il ranger aveva riservato ad
Harport e ricordò di avere ringraziato il Diavolo per avergli consigliato di
collaborare, risparmiandosi di vedere i propri denti schizzargli negli stivali. Ma
ora l'unica cosa a cui pensava era il ranger steso nella polvere e il “Silver” ridotto
a un cumulo di macerie.
La voce di Tex lo scosse dal torpore e le parole del ranger, così come il tono con
cui le pronunciò, lo rafforzarono nel proponimento cui si stava votando.
«Non dimentico mai una faccia, amigo, anche se della tua avevo promesso di
scordarmi!» gli disse Tex, mentre si preparava la sigaretta con gesti veloci e
precisi. «È meglio che tu porti fuori la tua mandria e la mandi a pascolare
altrove, almeno finché non avrà imparato come comportarsi davanti a delle
signore!»
«Sceriffo, non avete nulla da dire, gli lasciate condurre il gioco...» fu la pallida
obiezione di Thorpe, ormai deciso a riprendere la discussione con Tex, ma su un
diverso terreno.
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«Non è la prima volta che Tex Willer mi dà una mano a gettare certa spazzatura,
qui in città...» chiosò lo sceriffo, con atteggiamento fintamente serio «... ma,
visto che anche voi lo conoscete già, è inutile che vi ricordi quanto l'aria diventi
più respirabile dopo ogni suo passaggio!»
Thorpe fece un cenno ai suoi uomini e le occhiate di alcuni, più disinvolte e
meno rispettose di prima, accrebbero la sua collera. Mentre si voltava sentì
ancora la voce ferma di Tex, che pareva rincorrerlo come una maledizione.
«Non stai dimenticando qualcosa, hombre?»
Thorpe si girò nuovamente e vide Judy che, posato il fucile sul bancone, gli
veniva incontro per chiudere la partita. L'uomo estrasse un fascio di banconote,
ma il denaro sembrava scottargli tra le dita e non trovò di meglio che gettarlo
addosso a Judy, come se volesse schiaffeggiarla. La risposta di Tex fu istantanea
e dirompente, sotto forma di un diretto sinistro che ruppe a Thorpe il naso e lo
proiettò lungo disteso sopra il vecchio tavolo da biliardo.
«Storia chiusa!» commentò Carson, raggiungendo Tex e Judy, entrambi con gli
occhi puntati su Murphy e Thorpe, che qualcuno stava trascinando fuori dal
locale su ordine dello sceriffo.
«Speriamolo, Kit! Ho già fatto abbastanza ginnastica, per oggi!» rispose Tex,
tirando una lunga e meritata boccata di fumo.
I due pards si scambiarono un'occhiata. La soddisfazione di avere riparato un
torto era l'unica ricompensa che Tex ricevesse, e volesse ricevere, per compiere
quello che egli reputava il proprio dovere. Non trovava affatto divertente
picchiare certa feccia, ma il mondo ne era pieno e benché Tex si ritenesse un
uomo tranquillo, quando qualcuno veniva maltrattato o un prepotente cercava
d'imporsi, la sua reazione era istintiva, figlia del suo senso della Giustizia e della
rivolta contro l’arroganza.
«Beh, sceriffo...» cominciò col dire Carson, mentre, con un'espressione
compiaciuta stampata in volto, dava la mano a Judy, «...ci avevate detto che
l'avremmo rivista questa sera, ma ci tenevate nascosta la parte più
interessante.»
«Lo sceriffo non approva il mio lavoro, mister Carson...» rispose Judy,
indicando ai tre uomini un tavolino sgombro e pulito, «... ma vi prego di
accomodarvi. Devo dare alcune disposizioni, poi vi raggiungo.»
Nel sedersi, lo sceriffo si lasciò sfuggire un sospiro, che strappò ad entrambi i
pards un sorriso; di comprensione quello di Tex, di consolazione quello di
Carson. Se difatti Tex capiva perfettamente i padri che, pur sforzandosi di
celarlo, si sentivano orgogliosi dei propri figli anche quando, o proprio perché,
avevano agito senza ascoltare i loro pareri, Carson ripensava alla fidanzata di
Canon City che aveva lasciato in gioventù insieme al conto da pagare, una
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intraprendente ragazza dai capelli gialli che, oltre alla sua pensione, si era messa
in testa di dirigere anche lui.
Gli inservienti avevano già cominciato a darsi da fare per riassettare il locale,
che tornava rapidamente alla normale attività. Judy scambiò qualche parola con
il barman, poi parlottò con uno dei croupier, infine si diresse verso Sally e le
ragazze.
Nel frattempo un cameriere aveva portato una bottiglia, tre bicchieri e dei sigari
al tavolo dello sceriffo. Poco prima di andarsene, mentre stava versando il
whisky, il cameriere gli sentì dire: «... non c'è stato nulla da fare, ha voluto
assistere all'impiccagione. E prima ancora che il becchino avesse terminato il
suo lavoro, aveva speso parte dei trentamila per rilevare alcune attività di
Goldfield, incluso il “Silver”!»
«Niente da dire, è proprio un gran bel saloon...» ammise Carson, mentre,
rigirando tra le dita il sigaro che si era appena acceso, lo osservava attentamente
per cercare di capire da dove provenisse.
«Parliamo d'altro, sceriffo...» tagliò corto Tex. Da quando aveva riconosciuto il
capo dei cow-boys, il ranger sentiva una certa vocina ronzargli in testa. «Che mi
dite di quel Thorpe?»
«È un pesce troppo piccolo per gente come voi!» rispose lo sceriffo, facendo un
gesto secco con la mano come per scacciare un fastidioso insetto.
In parte era vero, Thorpe era un ex scagnozzo assurto al rango di pezzo grosso,
tale forse da impensierire uno sceriffo onesto, non certo due rangers del calibro
di Tex e Carson. Ma in realtà allo sceriffo non sorrideva troppo l'idea che i due
pards se ne occupassero. Non era il primo tutore della legge ad apprezzare i
risultati che Tex non mancava mai di ottenere, deplorandone però i sistemi,
sempre alquanto sbrigativi e spesso forieri di sparatorie notturne, incendi
sospetti, cittadini malmenati e più o meno prematuri decessi.
«Thorpe è sempre filato diritto da quando è arrivato in paese.» continuò lo
sceriffo, guardando fisso Tex. «Quello che combinano i suoi uomini quando
sono su di giri... beh, quella è un'altra storia.»
«Quasi uno stinco di santo...» commentò Carson, che intanto emetteva
soddisfatto dei regolari sbuffi di fumo.
«L'ho tenuto d'occhio, per un po'...» riprese lo sceriffo, leggendo tra le righe
della battuta di Carson, «... e ho anche chiesto informazioni agli sceriffi di altre
contee, dopo avere scoperto per chi aveva lavorato. Deve avere le mani in pasta
in qualche affare poco pulito, dalle parti di Salt Lake City, ma non ci sono...»
«Prove?» intervenne Tex, completandogli la frase. «Con tipi del genere è inutile
cercare delle prove, bisogna riuscire a prenderli con le mani nel sacco.»
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«Oppure sbatacchiarli ben bene finché non sputano la verità...» aggiunse
Carson, portandosi alle labbra il bicchiere contenente due dita di whisky.
«Gli avete già rotto il naso, non penserete mica di ...» fece lo sceriffo, lasciando
la domanda sospesa a mezz'aria e guardando fra il lusco e il brusco prima
Carson e poi Tex.
Tex gli rispose scuotendo la testa, poi aggiunse: «Tranquillizzatevi, sceriffo!
Come vi ho detto stamane, siamo qui solo di passaggio. Abbiamo appena
ingollato la polvere di mezzo Nevada per mettere il sale sulla coda a un bel
quintetto di tagliagole. Mister Thorpe lo lasciamo volentieri a voi e, per quanto
mi riguarda, può andarsene bellamente al diavolo insieme ai suoi cow-boys!»
«Parole sante, Tex! Mi hai letto nel pensiero!» sentenziò Carson, sollevando
appena il bicchiere come per brindare nuovamente all'incontro con lo sceriffo.
Il volto dello sceriffo si distese per il sollievo. Vuotò il bicchiere in un unico
sorso, brindando assieme ai pards. Fu poi sorpreso dai movimenti di Carson, il
quale, unico dei tre ad essere seduto con lo sguardo rivolto verso il bancone, si
era accorto della figura che giungeva dal fondo del locale e stava facendo il gesto
di alzarsi.
«State comodo, mister Carson.» gli disse Judy, accompagnando l'invito con un
cenno della mano. «I frequentatori del mio locale sono gente alla buona,
rischieremmo ancor più di confonderli. Non è mai accaduto che ricevessero due
lezioni di buone maniere nell'arco di poco meno di mezz'ora.»
«Non ci fate compagnia, miss Judy?» le chiese Tex, pur conoscendo già la
risposta, visto che il cameriere non aveva portato il bicchiere per lei.
Judy scosse graziosamente la testa. «Vi ringrazio, mister Willer. Festeggerò con
voi questa sera a cena, perché è inteso che sarete miei ospiti.» Poi proseguì,
rivolgendosi ancora a Tex, che proprio in quel momento posava il bicchiere
vuoto. «Bevo raramente e comunque mai durante il lavoro. Persino tra gli
uomini che lavorano per me c'è ancora qualcuno che pensa di potersi prendere
delle libertà o di potermi derubare impunemente.»
«Immagino che quei poveretti non mancheranno di conoscere la canna del
vostro Winchester ...» disse Carson, scuotendo la cenere del sigaro insieme alla
testa. Da quel galantuomo che era, a Carson non sarebbe mai venuto in mente di
molestare una bella donna per ottenere ciò che ella gli concedeva spesso di sua
volontà e senza successive complicazioni.
«È un lavoro troppo pericoloso per una donna!» intervenne lo sceriffo con fare
rassegnato, dando l'impressione di avere ripetuto l'ammonimento più volte.
Spostò poi lo sguardo da Judy a Tex, dal quale, come padre, forse si aspettava
man forte. «Mia moglie avrebbe voluto che si sistemasse, ma Judy è sempre
stata di ben diverso parere...»
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«Non ho rischiato di morire per ben due volte per finire a fare da sguattera a un
bovaro manesco come quel Murphy!» disse Judy lentamente, guardando con
affetto lo sceriffo. «E comunque qui intorno non ci sono uomini in gamba come
quelli seduti a questo tavolo ... tanto meno galanti come voi, mister Carson!»
Carson si sentì addosso tre paia d'occhi e, dall'espressione divertita stampata sul
volto del suo pard, non faticò ad immaginarsi cosa gli stesse passando per la
testa. Judy gli stava ancora sorridendo quando egli rispose alla sua gentilezza,
lusingato di giocare con lei una partita di cui conosceva perfettamente le regole.
«Se ce ne fossero troppi, di uomini in gamba o galanti, perderei tutto il mio
vantaggio. E comunque non dimenticate che questi giovanotti hanno certo più
dimestichezza con femmine a quattro zampe, poco loquaci e molto ubbidienti!»
«Su questo non c'è dubbio...» disse distrattamente Judy, cercando di riprendere
il filo di un pensiero un po' folle che le era balenato in testa un attimo prima
«...ma voi non dimenticate di venirmi a cercare, qualora foste stanco di schivare
pallottole!»
«Sentito, Kit? Che ne pensi?» le fece eco Tex, rubando a Carson il turno di
battuta e lasciandolo con la replica sospesa tra le labbra, insieme al sigaro, «Così
la pianteresti di brontolare perché ti trascino in lungo e in largo per il West a
spremere sudore e a rischiare la pelle alle costole di furfanti di tutte le risme!
«Certe volte ti meriteresti proprio che io ti piantassi in asso!» gli rispose
prontamente Carson, con un tono che sottintendeva un cameratesco “Vai al
diavolo!” Anche di quel gioco famigliare con Tex, o con Tiger e Kit, Carson
conosceva a menadito le regole e la principale faceva più o meno così: a un
fratello si perdona ogni facezia perché al mondo non esiste Colt più veloce e
affidabile della sua e perché sai che sarà il primo ad estrarla per coprirti le spalle
quando si scatenerà l'uragano e l'ultimo a rinfoderarla, ma solo quando ti avrà
visto salvo e al sicuro.
«E in quanto a voi, miss Judy, vi ringrazio di cuore. Confesso che non mi
dispiacerebbe affatto trascorrere il tempo in un così gran bel saloon, con l'unica
occupazione di raddrizzare certe teste di vitello, per di più con una giovane e
bella moglie che mi mantiene. Ma, che volete, ormai è una vita che faccio da
balia a questo scriteriato... che cosa farebbe senza di me?»
«Stavolta, vecchio mio, sei tu che mi hai letto nel pensiero!» affermò Tex,
accendendosi una sigaretta e ammiccando verso Carson, il quale stava versando
un altro giro di whisky, forse per brindare all'ennesimo scampato pericolo.
«A parte gli scherzi, Judy...» disse ancora Tex, con ben diverso piglio, «...
dovreste riflettere sull'opportunità di assumere un paio di buttafuori. I sorrisi
servono, qualche volta, ma con tipi come quel Murphy e il suo capo servono
piuttosto fisici corpulenti, buoni muscoli e, magari, delle Colt ben oliate!»
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«Grazie per il consiglio, mister Willer, ci penserò su. E alla svelta anche!»
rispose Judy, guardando prima Tex, poi lo sceriffo, come per rassicurarlo. «Ma
se quell'ignobile mascalzone rimette piede nel mio locale, gli scarico l'intero
serbatoio del Winchester nella pancia!»
Mentre assisteva all'affettuoso battibecco tra lo sceriffo e la figlia adottiva, Tex
pensò che non vi erano dubbi sul fatto che Judy avrebbe mantenuto la parola.
Anni addietro aveva fatto in tempo a sparare un solo colpo verso Scotty da quel
carro in corsa prima che si rovesciasse nella scarpata, per difendere sé stessa e il
padre ferito. Ma la testa di Scotty l'aveva mancata di poco e chissà come sarebbe
andata se il destino avesse disposto altrimenti. Era una ragazza a cui non
facevano difetto né il coraggio, né il carattere, al punto da decidere di
camminare con le sue sole gambe in un ambiente dove a tutti gli altri sembrava
che occupasse il posto sbagliato.
D'improvviso lo sceriffo si alzò, consapevole che non l'avrebbe mai spuntata.
«Spiacente di non poter continuare l'amabile discussione, ma è bene che io e la
mia stella non si venga coinvolti in propositi del genere...» disse, quasi serio,
immaginandosi di sfuggita Murphy crivellato di proiettili. «Inoltre è tempo che
vada dal nostro segaossa a prendere in consegna Murphy.»
«Se non vi dispiace, vi accompagniamo, sceriffo.» fece Tex, spegnendo
velocemente il mozzicone. «Devo passare all'ufficio del telegrafo.»
«Naturalmente! È proprio di fronte al mio ufficio, venite.»
I due pards presero congedo da Judy, la quale rinnovò l'appuntamento per cena,
ma non li lasciò andare prima di avere ottenuto notizie frammentarie su Kit e
Tiger e di avere strappato a Carson la promessa del racconto di almeno una delle
loro avventure.
Restò a guardarli sino a che, insieme allo sceriffo, varcarono le porte a vento ben
oliate del “Silver Dollar”.
«Un nuovo incarico in vista o aspettate notizie dei vostri pards?» chiese quindi
lo sceriffo, appena scesi gli scalini del locale.
«Siete un indovino, sceriffo.» disse Tex, guardandolo con la coda dell'occhio, «È
da parecchio che manchiamo di notizie e speravo appunto di trovarne qui. Per
quanto ne sappiamo, stavano seguendo la pista di alcuni balordi dalle parti di
Tucson.»
«Sempre a caccia di criminali voi quattro, eh?»
«Già! Si vede che li attiriamo peggio delle calamite. Senza contare la nutrita
schiera di cervelloni che trovano più comodo scaricare a noi patate bollenti di
ogni genere... Di certo non corriamo il rischio di ingrassare!»
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Lo sceriffo stava per commentare la risposta di Tex, rievocando un episodio del
loro comune passato, quando vide Murphy e Thorpe, già al di là del cancelletto
della casa del dottore. La casa di trovava sull'altro lato della strada, a non più di
cento passi dal “Silver”. Murphy camminava innanzi a tutti, scortato da Logan,
l'armaiolo del paese, mentre Thorpe era rimasto qualche passo indietro.
Continuava a palparsi il tampone che gli era stato applicato sul naso ma, per
quanto dolorante e infastidito, non si perdeva una delle parole che uscivano
dalle labbra asimmetriche del tizio che gli stava affianco. Lo sceriffo ricordava di
averlo scorto un paio di volte in città insieme a Thorpe, ma l'uomo se n'era
andato con la stessa rapidità con cui era venuto, prima che egli potesse
rivolgergli le domande di rito.
Quando vide Tex, Murphy si piantò all'istante, urtando la canna del Winchester
di Logan e innescando una sorta di reazione a catena. Thorpe e il quarto uomo
puntarono gli occhi all'unisono verso lo sceriffo e i due pards, imitati dal resto
dei cow-boys di Thorpe, che erano rimasti nella main street ad aspettare il loro
capo, chi nei dintorni della casa del dottore, chi a fumarsi una sigaretta vicino ai
cavalli.
«Logan!» chiamò forte lo sceriffo, sfogando il suo malanimo non verso il
volenteroso aiutante, che già altre volte aveva lasciato la conduzione del suo
negozio per dargli una mano, bensì verso gli alti papaveri di Cedar City, i quali,
non volendo sborsare altri quattrini, bocciavano ogni sua proposta di dotare il
paese di uno o due valenti vice-sceriffi. «Ti avevo raccomandato di aspettarmi
dal doc, maledizione!»
Lo sceriffo non aveva ancora finito d'imprecare che Murphy sferrò una poderosa
gomitata all'indietro con cui centrò Logan alla bocca dello stomaco. Giratosi poi
con inusitata rapidità, gli strappò di mano il fucile, nonostante l'armaiolo lo
tenesse ancora ben saldo, e si volse verso Tex e Carson.
Li trovò con le Colt già spianate; Tex le puntava verso Murphy, Carson in
direzione del più vicino terzetto di cow-boys, i quali non sembravano aspettare
altro che di dare il via al gran ballo, tanto le loro mani fremevano accarezzando
il calcio delle pistole.
Murphy continuava a fissare Tex come inebetito, come se stesse aspettando un
segnale. Tutti sentirono l'ordine dello sceriffo «Murphy, molla quel cannone!»,
che quasi si sovrappose al grido di Thorpe «Fermati, idiota! Non così!»
Ma Murphy non sentì, o forse semplicemente non ascoltò, sentì solo un “click”
nella sua testa. E sparò.
Ciò che successe dopo ebbe gran risalto nei giornali della Contea di Iron per
diverse settimane, anche alla luce di ciò che in seguito si scoprì circa gli affari di
Thorpe. Il cronista poté inoltre contare sulla testimonianza di parecchi cittadini
che percorrevano la main street di Cedar City in quell'ultima ora di luce che
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precedeva il tramonto. Difatti, nonostante l'immediato grido di Tex «Via dalla
strada!» e l'impegno suo e di Carson per produrre un fuoco d'inferno che
coprisse la loro fuga, in parecchi si arrischiarono a tenere il naso troppo esposto
a correnti d'aria o raffreddori da piombo che avrebbero potuto rivelarsi fatali.
Il colpo esploso da Murphy aveva centrato il pomolo della sella di uno dei cavalli
legati fuori dal saloon, destando un notevole scompiglio tra i poveri animali. Tex
non aveva avuto nemmeno bisogno di schivare, tanto il colpo era fuori
traiettoria. Forse intendeva chiudere la discussione con una dimostrazione di
abilità, visto che le sue Colt esplosero in fulminea successione un uno-due di
piombo che spezzarono il calcio del Winchester di Murphy e lo colpirono ad una
delle mani.
Ma prima ancora che il quarto proiettile centrasse la sinistra di Murphy, i cowboys avevano deciso che il preludio era già finito e che era tempo di dare il via al
concerto vero e proprio.
Tex Willer era noto in tutto il West per essere un uomo giusto – sempre - nel
bene come nel male, e per essere spesso generoso e magnanimo con gli
avversari. Ma quando il momento del colpo di avvertimento era passato o
l'avversario aveva perso l'occasione di arrendersi e di cavarsela con poco, allora
la parola passava definitivamente alle sue pistole.
Alle Colt di Tex si unirono le gemelle di Carson e insieme produssero un fuoco di
sbarramento che parve surclassare, per rapidità e sequenza dei colpi, le
sventagliate di piombo degli uomini di Thorpe. Fu così che mentre Tex avanzava
di qualche passo cercando di contenere gli avversari, Carson arretrava,
coprendo il fuggi fuggi generale degli abitanti di Cedar, in ciò imitato dallo
sceriffo, che era corso ad aiutare un paio di donne, sorprese dalla sparatoria nei
pressi del “Mercantile”.
Il buon Logan si era intanto rifugiato dietro l'abbeveratoio antistante la
drogheria, mentre Thorpe, dopo un ultimo inutile tentativo di fermare lo
scontro, era fuggito verso la casa del dottore, imprecando contro Murphy e la
sfortuna.
Continuava a pensare al fatto che Harris - così si chiamava il quarto uomo aveva già organizzato tutto per quella notte: un lavoretto pulito per cinque o sei
uomini in gamba, i rangers finalmente rispediti nell'Inferno che li aveva
vomitati e l'incendio del “Silver” a illuminare a giorno la strada. Gli sarebbe
venuto a costare in tutto mille angioletti. E invece ora, per colpa di quell'idiota
di un grassone, rischiava di rimetterci la pelle, senza contare quella dei suoi
cow-boys, che non avevano ancora ben capito chi erano i due uomini dai quali si
stavano facendo ammazzare.
Diversi di loro stavano già mordendo la polvere e un paio di feriti si erano
rintanati nell'Hotel Flora. Gli altri cow-boys, richiamati dalle grida di Harris, si
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sparpagliarono agli angoli dei vicini edifici, cercando di tenersi al riparo. Il
galoppino di Thorpe aveva preso in mano la situazione, sperando di guadagnarsi
da solo quei mille dollari.
Lo sceriffo era intanto riuscito a raggiungere il “Silver” e a condurvi sane e salve
le due donne, che aveva affidato a Judy.
Nel locale non vi erano simpatizzanti di Thorpe, ma nessuno aveva intenzione di
mettersi tra lui e i rangers, men che meno i gambler o i croupier, i quali, sebbene
sapessero maneggiare le pistole quasi quanto le carte, non intendevano rischiare
la pelle senza la prospettiva di guadagnarci sopra qualcosa. Lo sceriffo era
quindi solo mentre, spostandosi da una finestra all'altra del locale, faceva
cantare la sua pistola assieme a quelle di Tex e Carson.
I due pards avevano approfittato del momento in cui gli avversari serravano le
file per trovare riparo dietro un grosso carro che stazionava davanti a quello che
era stato il “Goldfield Store”. Carson era accucciato, con la schiena poggiata alla
ruota posteriore, mentre Tex, con un ginocchio piegato a terra, svuotava il
tamburo di una delle Colt e si apprestava a ricaricare.
«Come stai a munizioni?» chiese quindi a Carson, mentre anch'egli, tratto un
respiro lungo e profondo come se fosse alla fine di una corsa, ricaricava
frettolosamente le armi.
«Malissimo, ho solo quelle del cinturone. E chi pensava che non avremmo
nemmeno potuto farci qualche partita di poker in santa pace?! E tu?»
«Stessa situazione. Dobbiamo cercare di non sprecare un solo colpo e di
chiudere la partita alla svelta.»
«Una parola! Li dovremo andare a stanare uno ad uno, con la prospettiva di
beccarci una revolverata ad ogni angolo di questo dannato paese...»
«Sono cow-boys, Kit! Li senti? Tanto baccano, ma poca precisione.»
«Anche tu ed io siamo stati cow-boys, ma oltre a marchiare le bestie e a
condurle sui pascoli sapevamo suonare al meglio il clarino e tutta l'allegra
famiglia di strumenti a fiato!»
«Altra scuola, vecchio mio! E comunque sono solo una ventina.»
«Dimentichi Thorpe e lo spaventapasseri che gli stava a fianco, il brutto ceffo col
cinturone a due fondine. Quello non è un cow-boy e non è certo di primo pelo,
anzi, mi sembra un tipo che sa il fatto suo.»
«Gli daremo quello che si merita.» disse Tex, tirandosi in piedi, ma sempre
stando al riparo. Il ranger si guardò velocemente intorno, poi fissò il suo pard.
«Non dirmi che sei preoccupato di affrontare quell'imitazione di un pistolero e
un pugno di tangheri! Di situazioni del genere ne abbiamo affrontate a dozzine.»
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«Vorrei avere un dollaro per ogni volta che l'hai detto! E ogni volta piove
piombo caldo, le Colt sono arroventate e noi due stiamo per fare da tiro a segno
a confetti calibro '45.»
«Hai finito?» gli chiese Tex sorridendo, ma con negli occhi lo sguardo di chi è
pronto a giocarsi il tutto per tutto. C'erano delle volte in cui Tex aveva
l'impressione che il pessimismo di Carson fosse un po' come l'avancarica di un
vecchio Springfield. Difatti, non erano solo le armi che occorreva caricare prima
di affrontare a viso aperto il nemico.
«Aggiriamo lo Store e li becchiamo da dietro?» chiese Carson per tutta risposta.
«Tu resta da questo lato e dai una mano al nostro sceriffo. Io cerco di arrivare
alla casa del doc! »
«Se ti butti così allo scoperto è più facile che tu arrivi direttamente alle porte
dell'Inferno!»
«Ci sei tu a coprirmi, no? Come sempre.» E, senza quasi guardarlo, Tex salutò
Carson sottovoce «Ci vediamo, vecchio mio.» Poi uscì, puntando verso il vicolo
di fronte.
Carson fece quello che doveva per permettere al suo pard di giungere senza un
graffio dall'altra parte della strada. La distanza era breve, poche braccia appena,
ma a Carson parvero un'eternità, considerato che Tex si fermò qualche istante a
metà del percorso, giusto il tempo di fornire al becchino un altro paio di clienti.
Diversi proiettili si conficcarono sul lato corto del carro, altri tranciarono alcuni
raggi delle ruote, ma fu solo quando gli colpirono il cappello che Carson trovò
più salutare allontanarsi. Aggirò lo Store, così come aveva proposto prima a Tex,
diretto verso il retro del “Silver”. La stessa mossa, ma in senso inverso, doveva
essere venuta in mente anche ad Harris, visto che, poco prima di aprire la porta,
Carson vide sbucare dall'angolo dell'edificio un terzetto di malintenzionati.
«È solo il vecchio, falciamolo!» gridò, mentre già sparava, il più giovane dei tre.
Carson fu costretto a gettarsi a terra. Era già infuriato per il foro al cappello, ma
se c'era una cosa che proprio non sopportava, oltre a certe sfaticate a cui lo
costringeva il suo pard, era dover mangiare la polvere per scansare proiettili, per
di più condita con ammaccature in varie parti del corpo.
«Questo è per il “vecchio”!» pensò, mentre restituì, senza sconti, le cortesie che
gli erano state riservate. Due avversari caddero a terra, morti o bisognosi del
medico, mentre il terzo, il più giovane, si stava tenendo la mano ferita quando
Carson, in pochi e veloci balzi, gli fu accanto. Lo colpì d'impulso sulla bocca con
un manrovescio, facendo scivolare il calcio della Colt dal mento fino al naso. «E
questo è perché sarei “solo il vecchio”!» disse, guardando i tre avversari battuti.
Poi raccolse da terra uno dei fucili e varcò la porta di servizio del “Silver”.
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In quello stesso momento Tex osservava la casa del dottore dall'angolo della
drogheria. Lungo il percorso si era liberato di un altro paio di ostacoli a due
gambe, mentre un terzo aveva mollato la pistola e si era addirittura slacciato il
cinturone prima di scappare. Sulla scacchiera che era ormai diventata Cedar
City, Harris aveva mosso saggiamente le sue pedine, ma a parte alcuni più svelti
con la pistola, e che Tex immaginò svolgessero anche altri servizi per il loro
capo, gli altri erano soltanto dei volenterosi cow-boys. Se fino a poco prima non
avevano ben compreso chi fossero Willer e Carson, ora, ricordando come tutto
era cominciato, si chiedevano se per quel motivo valesse la pena di finire a
spalare carbone all'Inferno.
Con un balzo Tex saltò la bassa staccionata che contornava la casa del dottore e
raggiunse la catasta di legna appoggiata sul lato sinistro della casa. Stava per
proseguire verso l'ingresso quando dei colpi gli arrivarono alle spalle, facendo
saltare e rotolare alcuni ciocchi. Un paio di schegge di legno gli scalfirono la
guancia destra, lasciandogli delle striature rosse.
«Ecco qualcun altro che è stanco di vivere!» pensò il ranger mentre, con i piedi
puntati al suolo, girava solo la parte superiore del corpo e liquidava entrambi gli
avversari.
Oltrepassò poi in fretta la catasta di legna e si trovò di fronte Harris e due dei
suoi, spuntati dal davanti della casa. Harris fece in tempo a portarsi all'altro
mondo la soddisfazione di aver colpito Tex, sebbene solo di striscio, gli altri due
nemmeno quella, rovinando all'indietro, l'uno sulla staccionata, l'altro su un
cespuglio di rose.
Mentre saltava il cadavere di Harris, Tex potè vedere Logan che, da una brutta
posizione, teneva impegnati un paio di tizi sul lato sinistro. Poi vide Thorpe.
Non stava sparando, benché impugnasse la pistola. Era appoggiato allo stipite
della finestra rivolta verso la chiesa, aspettando. I loro occhi s'incrociarono per
una frazione di secondo prima di esplodere uno, due, tre colpi, quasi
simultaneamente. Tex sentì un grido di dolore, ma non si fermò. Diede un calcio
alla porta e proseguì verso sinistra, con entrambe le Colt spianate. Trovò Thorpe
abbarbicato al tavolo operatorio, sanguinante per i colpi e per alcune schegge di
vetro. Il dottore si trovava a pochi passi da lui e, spaventato dall'irruzione di
Tex, alzò di scatto le mani, senza tuttavia rendersi conto di chi si trovava
davanti.
«Non temete, doc! Siete ferito?»
Il dottore fece cenno di no. Abbassò le mani e si diresse verso il ferito,
aiutandolo a stendersi su uno dei lettini per i pazienti. Intanto Tex, benché il
dottore gli avesse assicurato che erano soli in casa, passò in rassegna
velocemente le altre stanze e il retro, per accertarsi di non ricevere sorprese.
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Dall'esterno si udirono ancora pochi spari, poi la voce di qualcuno che gridò
«Thorpe è morto, arrendiamoci!»
Tex rinfoderò le Colt e si avvicinò al lettino. Thorpe non era ancora morto, ma
sapeva che lo sarebbe stato presto, anche senza attendere il responso del
dottore.
«Proprio voi due dovevate ricapitarmi fra i piedi...» sussurrò, fissando un punto
imprecisato al di là della finestra.
«Sei tu che ci sei ricapitato fra i piedi, amigo. O, piuttosto, la tua cattiva
coscienza.»
«Quel Murphy… è sempre stato una testa calda. Avrei dovuto sistemarlo tempo
fa...»
Da fuori si sentì la voce dello sceriffo, poi quella di Logan. Thorpe esalò alcuni
respiri, uno più affannoso dell'altro, infine disse: «Quella ragazza aveva ragione.
Era proprio … un animale.»
Carson sopraggiunse in quell'istante, con una delle pistole ancora in pugno.
Fece un cenno a Tex. «Andato?»
«Sta già salutando il suo amico Harport. E là fuori, tutto finito?»
«Direi di sì. Della gente sta dando una mano allo sceriffo a radunare i superstiti
e i feriti.»
Al sentire parlare di feriti il dottore, come scosso e risvegliatosi da un incubo,
senza dire una parola prese la sua borsa e uscì. Carson guardò il suo pard,
soffermandosi sul volto e poi sulla spalla ferita. «Non è meglio passarci sopra un
po' di whisky e tappare quel buco?»
Tex si passò una mano sulla guancia, pulendo il poco sangue con il polsino della
camicia. Nell'alzare il braccio aveva sentito il dolore alla spalla, così voltò la testa
verso la ferita. Quell'accidente lo aveva colpito nello stesso punto di uno dei
caballeros di Don Manuel Benavides. Un'altra doppia cicatrice. Tex si tastò la
spalla e vide Carson che frugava nello studio del dottore in cerca di alcool e
bende.
«Non dire niente, voglio indovinare.» gli fece Tex, sorridendo appena, «Stavi
per dirmi che vorresti un dollaro per ogni volta che ci siamo rattoppati l'un
l'altro una ferita.»
Carson non rispose subito, versò prima il disinfettante in un modo che costrinse
Tex a soffocare un gemito. I due vecchi amici si guardarono, poi sorrisero, infine
Carson parlò.
«Peccato che stavolta tu non abbia scommesso. Quello che stavo per dire è che
sono stanco, che tutto questo moto mi ha messo un appetito del diavolo e che
non vedo l'ora di piazzare le mie gambe sotto a uno dei tavoli del “Silver”!»
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«È una speranza che condivido in pieno, fratello!» disse Tex, mentre estraeva
tabacco e cartine dal taschino sinistro. «Ma prima, mi daresti una mano con
questi?»
Lo sceriffo stava parlando col dottore quando vide uscire prima Carson, poi Tex.
Se non fosse stato per il braccio che Tex portava al collo, si sarebbe detto che
erano appena stati a una scampagnata.
«Dove stai andando?» chiese Tex a Carson, il quale, una volta raggiunto lo
sceriffo, fece come per proseguire il cammino.
«A recuperare il mio povero cappello.» rispose lui, senza voltarsi.
Sulla strada, nel via vai che si era formato allorché la sparatoria era terminata,
Carson vide Judy scambiare qualche parola con due uomini, forse i mariti delle
donne che avevano trovato rifugio nel suo saloon. Incrociò poi Logan, che
scortava il giovanotto con cui aveva avuto una piccola discussione nel retro del
“Silver”. Quando Carson gli passò di fianco il giovane si scansò facendo un salto,
come se temesse il morso di un serpente a sonagli.
«A quanto pare non era poi così tranquilla la vostra città, sceriffo.» disse Tex,
dopo aver dato un altro tiro alla sigaretta.
«E voi non scherzavate affatto quando dicevate che attirate i delinquenti peggio
delle calamite.» Lo sceriffo si guardò intorno, spaziando dai cadaveri ai fori di
pallottola negli edifici, dal volto mesto e raccolto in preghiera del pastore a
quelli sollevati di molti dei suoi concittadini. «Sembra passato un tornado.»
«Mettiamola così, sceriffo.» fece Tex, ormai abituato ai velati rimproveri che
riguardavano certe sue opere di pulizia, «Nessuno vi ha tirato giù dal letto due
volte nella stessa notte, né vi sono stati incendi. Notturni o diurni.»
Lo sceriffo non poté fare a meno di assentire, mentre tornava del suo solito
umore allegro. Si ricordò di un discorso su gigli, rose, cherubini, angioletti e ali,
avuto con i due pards quella mattina in cui il “Mercantile” andò accidentalmente
a fuoco. «Eh sì, siete proprio due gran Satanassi!»
«Visto che lo sceriffo è in vena di complimenti, perché con continuare la
discussione seduti comodamente ad un tavolo?» suggerì con il suo vocione
Carson, giunto in quel momento con Judy al braccio.
«Se il cuoco si è ripreso dallo spavento, potremmo anche anticipare la cena.»
propose Judy, sistemandosi una ciocca di capelli che le cadeva sulla fronte
pallida. Il suo sguardo si posò sul cadavere di Murphy, che Lister e il suo
aiutante stavano caricando in quel momento sul carro. «Quel goccetto adesso lo
berrei volentieri anch'io.»
«Per me va bene, ma prima vorrei chiudere una certa faccenda.» fece Tex,
gettando il mozzicone.
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In quel momento, sgusciato via da un capannello di curiosi formatosi nei pressi
del “Silver”, si avvicinò al quartetto l'addetto al telegrafo. Cercava lo sceriffo, ma
quando vide i due uomini accanto a lui, capì che Logan gli aveva dato le
informazioni corrette.
«Amico, stavo per venire da voi. Dopo tutto questo trambusto, funziona ancora
la vostra macchinetta?»
«Certo, mister Willer, ma forse non vi servirà! Quando ho saputo chi erano gli
autori di una così bella festa, sono corso subito a cercarvi.» L'uomo porse a Tex
una lettera un po' sgualcita, che odorava d'inchiostro e di caffè. «Era qui
fermoposta da una settimana.»
«Grazie, amico. Vai al “Silver” a farti un goccio alla nostra salute e dì al barman
che ti mando io.»
«E passa da me domattina, Ben!» gli gridò dietro lo sceriffo, mentre quegli era
già filato verso il saloon, ringraziando a sua volta. «Avrò alcuni dispacci da
spedire.»
«Tutto a posto?» chiese Carson, spiando l'espressione sul viso di Tex.
«Sì, è di Kit, missione compiuta. Stavano rientrando alla riserva.»
Tex piegò un angolo delle labbra verso l'alto, ma quando tornò a rivolgersi a
Carson era quasi serio. «Chiede se non è tempo che la finiamo di bighellonare e
torniamo a dare una mano a lui e a Tiger.»
«Senti, senti. Ti somiglia un po' troppo, tuo figlio. Devo portarlo con me, la
prossima volta. Ha bisogno di divertirsi un po'.»
«Tornerete a trovarmi presto, allora, mister Carson?! Guardate che ci conto!»
«Scommetto che lo rivedrete da queste parti molto prima di quanto
immaginiate, miss Judy.»
«Tutto quello che volete, Judy, ma non scommettete mai con Tex Willer! Ci
rimettereste anche la cam… Beh, ci rimettereste!»
Il bagliore rossastro di quello strano tramonto e un sentore ancora forte di
polvere da sparo accompagnarono il conversare dei quattro amici e salutarono il
loro ingresso al “Silver Dollar”.
L'alba del giorno seguente avrebbe visto Tex e Carson galoppare sulla via di casa
oppure incontro a una nuova avventura, tra le braccia immortali del destino.
FINE
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Note dell'autore
- Si dibatte sul fascino di Tex a conclusione della celeberrima partita di poker giocatasi in Gila River (meglio conosciuta
come L'ultimo poker, n. 149-151), nel corso di uno scambio di battute tra Tex, vincitore con un poker di donne, e
Carson, che lo accusa bonariamente di averlo ottenuto con un “capolavoro truffaldino”:
Carson: «Potenze del Cielo!... Vorresti darmi a bere che quelle quattro donne ti sono cadute in mano da sole?»
Tex: «Forse ho del fascino!»
Carson: «Buon Dio!... Tu, di affascinante, hai soltanto le mani quando sfilano le Colt dalle fondine!»
(pagg. 61-62 del n. 151).
- Rocky Hazel, Boulder, Scotty, Yunker, Goldfield, Thorpe, Harport e Clayton sono tutti personaggi di Terra promessa
(n. 146-148). Il nome di battesimo di Thorpe è inventato.
- Al termine del diverbio che li oppone, Rocky Hazel chiede a Tex se lo ha colpito con una “mazza ferrata”. Dopo la
risposta negativa di Tex e dopo che anche alcuni uomini della carovana gli confermano che Tex lo ha colpito solo con le
mani, Rocky sentenzia: «Ch'io sia dannato! … E a vedervi sembrate solo uno dei tanti pistoleros capaci di stendere la
gente soltanto a revolverate.» (pagg. 64-65 del n. 148).
- Anche lo sceriffo che gioca a poker con i due pards è lo stesso straordinario personaggio apparso in Terra promessa
(cit.). Di lui non viene mai pronunciato il nome.
- La battuta di Tex circa il pessimismo di Carson riprende la conclusione della risposta dello stesso Carson a una battuta
di Kit nel corso di uno dei tanti gustosi dialoghi tra i quattro pards in Fantasmi nel deserto (n. 177-179): «Zitto, tu,
manigoldo! Io non faccio altro che far presente a tuo padre qualche sgradevole possibilità!»(n. 177, pag. 113).
- Lister è il becchino di Cedar City, che lo sceriffo nomina a pag. 83 del n. 146. Ho ripreso anche i nomi di alcuni locali.
- La scena in cui Kit consegna i trentamila dollari di Goldfield allo sceriffo come dote per Judy, nonché lo straordinario
dialogo che si svolge tra lo sceriffo e i quatto pards al ristorante vicino all'Hotel Flora, si trovano a pagg. 41-48 di
Cheyennes (n.147).
- Il “massacrante uppercut” è il pugno che Tex sferra a Yunker (pag. 32 del n. 146).
- Judy Kanab è la figlia di Ely, la guida ingaggiata dai quaccheri guidati dai fratelli Glendon e uccisa nelle pagine iniziali
di Terra promessa (cit.). Sopravvissuta all'agguato in cui muore il padre, Judy viene soccorsa dai quattro pards, i quali
successivamente la salvano da un tentativo di rapimento. Dopo la sparatoria notturna in cui muoiono Boulder, Scotty e
Yunker, Judy lascia l'albergo per trasferirsi dallo sceriffo, che accetta di prendersene cura. Nel prosieguo della storia, e
anche dalle parole dello sceriffo, si comprende che lui e sua moglie, che non hanno figli, si sono affezionati alla ragazza
e che Judy sembra destinata a rimanere a Cedar City, non avendo più alcun parente.
- Su Tex “uomo tranquillo” si veda il discorso fatto dallo stesso Tex a Rick Anders (Sulle tracce di Tom Foster, n.170,
pagg. 46 e 47).
-
Cfr. M. Marcheselli, F. Spiritelli (a cura di), “Tex: professione anarchico”, Fumo di China, n. 13, febbraio 1982,
Bologna, Comicdom, pag.31, laddove Gianluigi Bonelli afferma che “Il senso della giustizia e della rivolta contro
l’arroganza è istintivo in Tex: ecco perché picchia tanto sovente.”
- Di “prematuri decessi” parla lo sceriffo a pag.17 del n. 147 Cheyennes, nel corso di un simpaticissimo dialogo con Tex e
Carson.
- Sullo “sbaglio” ammesso da Carson nel fidanzarsi con “una ragazza dai capelli gialli che dirigeva una pensione a Canon
City”, si veda Inferno a Robber City (n.108, pag. 83).
- Quanto all'impossibilità per Tex di “ingrassare”, si veda lo scambio di battute tra lui e Kit a pag. 85 del n. 181 Una
stella per Tex.
- Lo scontro con Don Manuel Benavides e i suoi uomini si svolge tra la fine del n. 111 L'asso nella manica e l'inizio del
n. 113 Tra due bandiere.
- Il discorso di cui si ricorda lo sceriffo è quello immortalato a pagg. 17-19 di Cheyennes (cit.).
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