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Quale sarà il futuro della politica italiana? | 1
venerdì 16 dicembre 2016, 17:30
Gentiloni e non solo
Quale sarà il futuro della politica italiana?
L'intervista a Fulco Lanchester, professore dell'Università di Roma 'La Sapienza'
di Camilla Doninelli
Con il ‘nuovo’ governo guidato da Paolo Gentiloni si apre l’ennesima fase/crisi della XVII Legislatura. Il Referendum
costituzionale, punto di svolta, è stato bocciato e Matteo Renzi ha dato le sue dimissioni e si è allontanato dalla scena
politica, per ora. Il fatto è che rimangono aperte varie problematiche, tra cui la legge elettorale, visto che manca
la parte per eleggere il Senato che non è stato più cancellato. Per ora si dovrà aspettare la decisione della
Consulta attesa per il 24 Gennaio.
Tutto nasce, però, dalla scomparsa di un assetto partitico, o meglio l’inesistenza e l’inadeguatezza dei Partiti
che non riescono più a rappresentare l’elettorato. Al contrario, hanno puntato tutta sulla personalizzazione di un’unica
figura rappresentativa, basta pensare a Silvio Berlusconi agli inizi degli anni ‘90, Beppe Grillo (non è il leader ufficiale del
M5S ma sicuramente è l’elemento identificativo del Movimento), e l’ultimo in ordine cronologico Matteo Renzi.
Perché siamo caduti in questo immobilismo? Perché non c’è un’autocritica seria e costruttiva da parte della classe politica?
Lo abbiamo chiesto a Fulco Lanchester, professore ordinario di Diritto costituzionale italiano e comparato nell'Università di
Roma 'La Sapienza'.
Dove ha sbagliato la politica? Qual è il vulnus di questo errore anche alla luce dei risultati del Referendum? Il Referendum
del 4 Dicembre si inserisce nella terza fase della storia della Costituzione repubblicana. Durante la prima(1948 – 1993) ha
dominato lo Stato dei partiti più pesante e sregolato d’Europa, caratterizzato dal bipartismo imperfetto DC-PC. Nella seconda
(1994-2011)una partitocrazia senza partiti, contraddistinta da un bipolarismo coalizionale imperfetto, non ha saputo
normalizzare il sistema. Nella terza fase (dopo l’ibernazione del circuito politico parlamentare tra il 2011 e il 2012) la
vittoria/sconfitta di Bersani ha visto la liquefazione dei partiti e si è sostanziata dal 2014 in poi in uno scontro tra
personalismi contrapposti. In un simile quadro è indubbio che i referendum abbiano segnato la vita di del sistema politicocostituzionale. Il referendum sul divorzio del 1974 ha innestato la fase di decadenza dell’ordinamento repubblicano; quello
del 1993 la prima crisi di regime, nel 2011 lo scollamento fra demos politico e classe dirigente; nel 2016 il fallimento della
riforma istituzionale, certificando le difficoltà di un sistema liquido. La consultazione del 4 dicembre si è trasformata
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sostanzialmente e per consapevole responsabilità del Presidente del Consiglio in un plebiscito. E’ stata, insomma,
un’occasione mancata. La soluzione più corretta sia dal punto di vista costituzionale, sia da quello politico sarebbe, invece,
stata quella del cosiddetto spacchettamento, dando la possibilità al cittadino avente diritto al voto di esprimere il proprio
parere su più quesiti. Su questa linea alcuni elettori(tra cui chi parla) e alcuni parlamentari hanno proposto, senza
successo, nel corso degli ultimi otto mesi una simile soluzione. Anche la giurisdizione è stata sorda e non ha permesso di
accedere alla Corte costituzionale, perchè la stessa vagliasse opportunamente la questione. Siamo, invece, passati da un
referendum su un atto normativo, con una pluralità di quesiti, ad un plebiscito sulla persona del Presidente del Consiglio, e
questo ha sviato totalmente dall’oggetto di una brutta riforma, in cui vi erano anche alcuni elementi positivi. C’erano,in
effetti, del soluzioni che potevano essere accettate, mentre altre no. Il discernimento finale ha fatto prevalere il no
complessivo, non permettendo di salvare alcuni aspetti che avrebbero potuto essere positive. In materia, c’è da dire che uno
dei veri problemi è l’art. 138 Cost. ed in particolare l’interrogativo se si possano fare riforme generali della Costituzione
attraverso il referendum.Una delle tesi, che personalmente ho sostenuto, è che la legge 352 del 1970 stabilisce in maniera
molto particolareggiata il percorso di cui l’art. 75 della Costituzione (relativo al Referendum abrogativo), ma non quello
relative all’art.138. Nel 197o il referendum venne introdotto dopo circa ventidue anni di non applicazione, perché la Dc lo
pose come moneta di scambio sul divorzio. Allora, però, vigeva ancora una convenzione costituzionale ( ovvero un accordo
tacito tra i soggetti politicamente rilevanti) che impediva la prospettazione di modifiche della Costituzione che non fossero
state approvate con i 2/3 delle maggioranze di entrambe le Camere. Nel 2001 la Sinistra ruppe questa convenzione con la
modifica del Titolo V.Nel 2005 seguì l’approvazione del progetto della Destra di Berlusconi. L’elemento essenziale è che
bisogna rivedere le procedure derivanti dall’art.138 Cost., in particolare parti della legge 352 che molti di noi consideriamo
incostituzionale, dando possibilità che i quesiti vengano sottoposti alla Corte costituzionale. Prima o poi dovremo arrivare ad
avere una legge elettorale che consenta di terminare un’intera Legislatura? Il vero problema è che noi andremo a votare al
massimo nei primi mesi del 2018, ma nessuno ci assicura che i risultati del nuovo sistema elettorale saranno coerenti fra le
due Camere. Nella seconda fase della storia repubblicana, e anche nella terza, c’è sempre stata una differenza marcata tra
risultati del Senato e della Camera, perché utilizzare sistemi con premi di maggioranza, oppure sistemi maggioritari in
collegio uninominale per 3/4 su due popolazioni differenti e con circoscrizioni diverse, significa cercare di fare due volte ’13’
di seguito al Totocalcio. Un pò troppo azzardato. Non è riuscito nel ’94, non è riuscito nel ’96. Berlusconi ha vinto nel 2001,
ma aveva una scarsa capacità coalizionale e già Casini lo metteva in difficoltà. Nel 2006 - 2008 Prodi ha avuto dei problemi
fortissimi con Bertinotti; nella legislature successive Berlusconi con Fini, ma sempre in una delle due Camere. Questo è un
sistema che ancora non si è riallineato. Nel Secondo dopoguerra avevamo un sistema partitico che è stato chiamato a
‘Bipartitismo imperfetto’ o a ‘Pluralismo estremo polarizzato’, ma in ogni caso era un sistema basato su ideologie forti,
strutture di Partito organizzativo di massa che strutturavano il consenso. Dagli anni ’90 in poi questo si è molto ridotto. Dal
2013 c’è stata una vera e propria liquefazione dei partiti. Le Democrazie occidentali sono tradizionalmente basate su partiti
più o meno forti, ma essi sono indispensabili. Questo è uno dei problemi del nostro ordinamento. Soprattutto ci devono
essere dei partiti siano legittimati ,trasparenti e regolati. Questa legge elettorale che strada prenderà? Italicum, Mattarellum,
Consultellum, ritorno al proporzionale, quale e perché? Due si prospettano: da un lato il sistema di risulta dell’Italicum e del
Consultellum; dall’altro il recupero problematico del cosiddetto Mattarellum. Per quanto riguarda la prima soluzione, la
legge 52/2015,entrata in vigore dal 1 Luglio di quest’anno, è stata già rottamata date forze politiche all’inizio dell’autunno
ed è sottoposta al vaglio della Corte Costituzionale il 24 Gennaio. L’Italicum ha in sostanza i difetti che posso parafrasare
nella pubblicità dell’ Italo di Montezemolo: ‘nuovi percorsi, nuovi orari ma vecchi binari’. I vecchi binari sono in sostanza il
premio di maggioranza e i capilista bloccati. Questi sono gli elementi che dovrebbero essere eliminati tramite il giudizio della
Corte Costituzionale. La soluzione più veloce potrebbe essere quella secondo cui sia il Consultellum sia l’Italicum vengano
omogeneizzati sulla base di collegi medio-piccoli e soglie di esclusione coerenti. Sono le soglie di sbarramento(implicite ed
esplicite) che, in sostanza, dovrebbero invitare gli attori politici a formare alleanze e coalizioni, selezionando il risultato sulla
base dell’esempio spagnolo. La seconda soluzione è quella del Mattarellum, ma ha una serie di problemi. Starei molto
attento rispetto ad una soluzione di questo genere per quanto riguarda la fattibilità sia per quanto riguarda la coerenza del
risultato tra le due Camere, sia sopratutto dal punto di vista del risultato concreto.In un sistema tripolare il Plurality, il first
past the post britannico, per il 75% dei seggi, può comportare difficoltà nell’ottenere la maggioranza, oppure provocare
risultati pericolosi. L’elettorato lo ha dimostrato, non è più controllabile dai partiti e dai mezzi di comunicazione di massa. E’
forse meglio adottare meccanismi meno selettivi e più adatti allo specifico contesto politico. Entrambe hanno pro e contro e
non sono salvifiche.Chi creda che il Sistema elettorale resolve tutto sbaglia:I meccanismi di trasformazione dei voti in seggi
sono come “la doce euchessina”,aiutano non risolvono. Osservo ,però, che non ci si può limitare al tema della selezione e
della costruzione artificiale delle maggioranze attraverso il sistema elettorale in senso stretto. In realtà, da ciò che viene
fuori nell’ultimo venticinquennio, è tutto il parco della legislazione elettorale che sembra essere oramai in seria difficoltà.
Nello specifico a cosa si riferisce? Bisogna intervenire con una visione complessiva(così come aveva suggerito a suo tempo
lo stesso Costantino Mortati) dal momento selezione dei candidati all’interno dei partiti o dei gruppi e dei movimenti che
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presentano liste o presentano candidati. Oggigiorno alcuni vengono nominati, alcuni sono il risultato di primarie aperte con
gli elettori, altri di consultazioni che coinvolgono gli iscritti. Non ci sono, però, delle garanzie di tipo formale. Su questo tema
bisogna riportare a coerenza le proposte che giacciono davanti alle Camere per risolvere la questione. In secondo luogo
esiste problema di una corretta comunicazione politica. Lo si è potuto notare nell’ultimo referendum come i mezzi di
comunicazione di massa fossero completamente occupati solo da alcuni personaggi rispetto ai contendenti. Il tema
dell’eguaglianza delle opportunità tra I concorrenti deve essere riportato in prima linea. Aggiungo il problema sempre
presente del rimborso delle spese elettorali e dei limiti delle stesse. Inoltre bisognerebbe intervenire sul voto degli italiani
residenti all’estero. Non è in discussione la titolarità ma le forme di esercizio dello stesso. l’art. 48 della Cost. prescrive la
personalità del voto e il voto per corrispondenza che caratterizza il voto degli italiani residenti all’estero non lo garantisce,
così come non è garantita la fase di preparazione della scelta individuale. Il Movimento 5 Stella ha, in questo momento
storico, più possibilità rispetto agli altri Partiti tradizionali di arrivare al Governo? Il M5S è frutto di una destrutturazione
degli assetti tradizionali più complessivi.Analizziamo la situazione a livello europeo senza eccedere in sociologismi. Lo
spostamento dell’asse geopolitico dall’Atlantico al Pacifico marginalizza l’Europa in favore dell’asse sino-americano. Il nostro
Stato sociale e la nostra democrazia rappresentativa, che sono i piloni del modello del secolo breve, sono entrati in crisi.
Tutti i Paesi europei, compresi gli Stati Uniti, hanno avuto una diminuzione del 7-8% del Pil procapite negli ultimi venti anni,
l’Italia l’ha avuto del 16% come il Giappone. La differenza con il Giappone è che noi non possediamo lo yen e non abbiamo
un debito pubblico distribuito all’interno del Paese. Tutti i Paesi europei denotano una diminuzione della capacità di
aggregazione dei partiti tradizionali di fronte alla crisi dello Stato sociale .Nel nostro ordinamento questo fenomeno è più
forte rispetto ad altri. In proposito basta guardare i livelli di disoccupazione e di difficoltà economica, questi raggiungono dei
livelli particolari. Ne consegue che la protesta del demos politico nei confronti del ceto politico tradizionale viene
naturalmente convogliata verso formazioni come il M5S,che appare nuovo e mondo da colpe. In questo contesto lo stesso
referendum di dicembre è stato nella sostanza un grido di allarme. La reazione di andare alle elezioni per evitare che si
colpisca il Job Act è dunque miope. Bisogna cercare di risolvere i problemi gravissimi del debito pubblico e della stasi
economica. Ma non è certo facile. La cosa più difficile sembra proprio che sia il dialogo tra le fazioni partitiche? Per il
Referendum sembrava che ci fosse il problema della convergenza fra Forza Italia e il Pd. Berlusconi lo voleva dopo il 5
Dicembre e Confalonieri, che è la parte di Fininvest, lo voleva prima( la ragione è probabilmente Vivendi). In realtà è
probabile che questa convergenza possa esserci nei residui di questa legislatura, a patto che non si ripercorrano strade già
percorse. Il Patto del Nazareno(18 gennaio 2014),successivo alla sentenza della Corte costituzionale sul Porcellum e
all’elezione di Renzi alla Segreteria Pd, è stato seguito nel febbraio dalla formazione di un nuovo Governo che aveva tra I
suoi scopi la riforma del sistema elettorale e della Costituzione.L’anno successive, dopo l’elezione di Mattarella, Berlusconi
ripercorre il gioco della Commissione D’Alema, fa saltare il banco ma Alfano e Verdini che continuano questo percorso. Il
problema è che negli ordinamenti democratici bisogna avere il consenso, senno hai il consenso vuol dire che l’elettore non è
stato convinto. Il problema del ceto politico è quello di rivolgersi in maniera coerente all’elettorato rispetto a valori ed
interessi. In questo ambito, c’è da chiedersi, ad esempio, se il Pd debba essere un partito centrista o centrale? Dire che è
centrale non implica il fatto che debba essere centrista. E poi, il Partito della Nazione non si è ancora formato, ma in questo
momento lo può formare Renzi? Ha ancora la possibilità di farlo? La figura di Napolitano è ancora molto importante, perché?
Giorgio Napolitano nel suo novennato ha molto condizionato l’indirizzo politico ed in particolare la riforma costituzionale. Il
presidente Mattarella, al contrario, ha un’origine cattolica, quasi manzoniana, ed appare molto più mite. In questo momento
di fronte alla personalizzazione da parte del Presidente del Consiglio uscente ha potuto sottolineare la posizione di moral
suasion ma anche di garante della Costituzione. Siamo tornati apparentemente indietro, ma non è vero. Il terreno su cui ci
stiamo muovendo è molto più liquido e mobile di quanto non si pensi e molto pericoloso. Maria Elena Boschi? Anche Lei
aveva dichiarato che si sarebbe ritirata e non lo ha fatto. Questo è un ragionamento di tipo politico. Tuttavia farà bene il
sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, conosce bene la macchina e sopratutto risponderà bene all’ex Presidente del
Consiglio.
di Camilla Doninelli
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