Monastero di Bose

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Timore di Dio
15 dicembre 2016
Mt 25,14-30
In quel tempo Gesù disse ai suoi discepoli:«14 Avverrà come a un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i
suoi servi e consegnò loro i suoi beni. 15 A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, secondo le
capacità di ciascuno; poi partì. Subito 16 colui che aveva ricevuto cinque talenti andò a impiegarli, e ne
guadagnò altri cinque. 17 Così anche quello che ne aveva ricevuti due, ne guadagnò altri due. 18 Colui invece
che aveva ricevuto un solo talento, andò a fare una buca nel terreno e vi nascose il denaro del suo padrone. 19
Dopo molto tempo il padrone di quei servi tornò e volle regolare i conti con loro. 20 Si presentò colui che aveva
ricevuto cinque talenti e ne portò altri cinque, dicendo: «Signore, mi hai consegnato cinque talenti; ecco, ne ho
guadagnati altri cinque». 21 «Bene, servo buono e fedele - gli disse il suo padrone -, sei stato fedele nel poco, ti
darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone». 22 Si presentò poi colui che aveva ricevuto due
talenti e disse: «Signore, mi hai consegnato due talenti; ecco, ne ho guadagnati altri due». 23 «Bene, servo buono
e fedele - gli disse il suo padrone -, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del
tuo padrone». 24 Si presentò infine anche colui che aveva ricevuto un solo talento e disse: «Signore, so che sei
un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso. 25 Ho avuto paura e sono
andato a nascondere il tuo talento sotto terra: ecco ciò che è tuo». 26 Il padrone gli rispose: «Servo malvagio e
pigro, tu sapevi che mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso; 27 avresti dovuto affidare il
mio denaro ai banchieri e così, ritornando, avrei ritirato il mio con l'interesse. 28 Toglietegli dunque il talento, e
datelo a chi ha i dieci talenti. 29 Perché a chiunque ha, verrà dato e sarà nell'abbondanza; ma a chi non ha, verrà
tolto anche quello che ha. 30 E il servo inutile gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti».
Faremmo presto a liquidare la logica di questa parabola evangelica giudicando male o provando antipatia per il servo
che ha ricevuto un solo talento. Come se questo servo fosse un poverino che ha ricevuto meno doni dalla vita. Per
evitare questa falsa impressione, l’evangelista Luca corregge la parabola di Matteo: tutti e tre i servi hanno ricevuto la
stessa somma, una moneta d’oro a testa. La vita è la moneta d’oro, e tutti ne abbiamo la stessa parte.
Quindi il problema non è avere ricevuto più o meno talenti, anche se è vero che non siamo tutti uguali, e il talento di
ognuno è diverso dall’altro. Il vero problema è il timore di Dio. Perché c’è un timore giusto, necessario, e un timore
sbagliato, che di fatto è una paura. “Timore di Dio”, nella Bibbia, indica pressappoco quello che noi oggi intendiamo
con “senso religioso”, perché questo o altri possibili equivalenti sono ignorati dal linguaggio biblico. È un sentimento
grande, indispensabile, che dipende dal porre tutta la nostra vita sotto lo sguardo di Dio.
Appunto, quale sguardo? È benevolo o severo, esigente o provvidenziale? È sinonimo di cura affettuosa o di impietoso
rigore? Qui sta la differenza tra i primi due e il terzo servo della parabola. Nei primi due servi il sapersi sotto lo
sguardo di Dio mobilita una responsabilità, motiva un’attività fruttuosa. Nel terzo servo è la paralisi. Credendo
che il padrone sia “duro”, inflessibile, egli pensa solo a salvare la faccia, a non fare brutta figura, a restituire qualcosa di
cui non ha percepito il dono: “Eccoti il tuo”. In realtà lo accusa addirittura di essere ingiusto, di mietere dove non ha
neppure seminato, il che non è vero perché il denaro è stato precisamente il seme di vita che gli è stato elargito.
Ora, queste due possibilità riguardano ciascuno di noi. Ciascuno può essere un servo buono o un servo cattivo, non
importa quanto gli è stato affidato. In ogni caso siamo servi, e dobbiamo avere timore di Dio. Dobbiamo essere
sollecitati a prenderci delle responsabilità, ad assumerci dei rischi “con timore e tremore”, ma senza essere presi dal
panico. Del giusto timore, quello che ci spinge a lavorare per gli altri e non solo a conservare per noi stessi, i maestri
ebrei dicono che “è un buon segno, nell’uomo, il timore: vuol dire che i suoi padri sono stati sul Sinai”. Vuol dire che
hanno conosciuto un Dio giusto e misericordioso.
Fratel Alberto
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