Nell` Italia in lenta ripresa crescono anche le povertà Avvenire

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15/12/2016
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Società
Il dossier. Segnali positivi dagli indicatori del benessere equo e sostenibile ma si confermano
divario territorliale e diseguaglianze. La vita media non cresce pi¹
Nell' Italia in lenta ripresa crescono anche le povertà
Il rapporto sul Bes: migliorano lavoro e redditi
ROMA La crisi ha allentato la morsa sull' Italia
e il miglioramento ora comincia a emergere
non solo dai dati strettamente economici ma
anche dal Bes, l' indicatore di Benessere equo
e sostenibile, quella sorta di 'Pil dal volto
umano' che ormai da quattro anni viene
sondato dall' Istat. Ma attenzione, perché
quando dal rapporto diffuso ieri si vanno a
'spacchettare' i dati generali, emergono le
solite medie di Trilussa, quelle di un Paese
spaccato sul piano territoriale e polarizzato nei
redditi e nell' accesso al benessere.
Il Sud, dove le entrate medie familiari sono del
37% inferiori al centro­nord, resta distaccato.
Mentre l' aumento generale del reddito pro­
capite (+1% dal 2014 al 2015) non ha ridotto le
diseguaglianze sociali, anzi, il divario è «il più
alto dell' ultimo decennio». C' è un Paese in
ripresa e un altro che ristagna o va all' indietro.
Nel 2015 la quota di persone a rischio di
povertà è salita al 19,9% dal 19,4% del 2014, e
la povertà assoluta ha raggiunto il 7,6% della
popolazione, pari a 4 milioni e 598 mila
persone: a stare peggio sono soprattutto le
famiglie con due o più figli e quelle straniere.
Nel Mezzogiorno il rischio povertà riguarda il
34% degli abitanti, una quota tripla rispetto al Nord.
Gli anni di crisi hanno lasciato cicatrici anche sul piano sociale e civile. Nel complesso resta «molto
bassa la soddisfazione per le relazioni interpersonali » e scende la «partecipazione civica». Si conferma
il sentimento di lontananza di larga parte della popolazione dalla politica e delle istituzioni: la fiducia è
minimale verso i partiti ma è insufficiente anche per Parlamento, enti locali e magistratura. Oltre la
sufficienza si piazzano solo forze dell' ordine e Vigili del fuoco.
Nel complesso sale la sensazione di benessere soggettivo, ma aumenta anche l' incertezza sul futuro. Il
dossier prende in considerazione 12 indicatori principali. Nel biennio 2015­16 si registrano segnali di
miglioramento rispetto al 2013 (il punto più basso della crisi economica) per quanto riguarda la
soddisfazione per la vita, l' occupazione, l' istruzione, la salute e l' ambiente. C' è stabilità nelle
condizioni economiche minime, la qualità del lavoro, le relazioni sociali e il reddito. Nel confronto su un
orizzonte più lungo, rispetto al 2010, emergono trend positivi per salute, ambiente, istruzione e un
recupero completo per l' occupazione. Livelli lievemente inferiori si registrano invece per il reddito, le
relazioni sociali e la soddisfazione per la vita. Divari sono ancora rilevanti per condizioni economiche
minime e qualità del lavoro. Nel complesso siamo sopra i livelli medi del 2013 mentre il recupero è
ancora parziale nel confronto con il 2010.
Scandagliando le diverse aree tematiche il rapporto conferma che l' Italia è uno dei Paesi più longevi d'
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Europa. Ma l' aumento delle vita media si è interrotto: nel 2015 siamo scesi a quota 82,3 anni, da 82,6,
con un aumento della mortalità nella popolazione anziana. Migliorano gli indicatori relativi all' istruzione
e anche per quanto riguarda il lavoro proseguono i segnali positivi (il tasso di occupazione torna a
superare la quota del 60% tra i 20 e i 64 anni ma è ancora lontano dal 62,8% pre­crisi e non diminuisce
il divario con l' Ue. Si registra inoltre un' accelerazione delle transizioni verso lavori a tempo
indeterminato (+4,1%) e una diminuzione della quota di lavoratori 'fortemente vulnerabili' (scesa dal
10,2% all' 8,6%). Resta invece costante la quota di lavoratori con bassa remunerazione e tra gli
elementi negativi va citata anche la crescita dei sovraistruiti (chi fa un lavoro al di sotto del suo livello di
istruzione) che passa dal 23,0% al 23,6% e aumenta soprattutto nel Mezzogiorno. Infine resta alto ma si
riduce al 25,7% il numero dei Neet, i giovani che non studiano e non lavorano.
RIPRODUZIONE RISERVATA.
NICOLA PINI
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