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Edizione di giovedì 15 dicembre 2016
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Il Decreto Fiscale interviene nella distinzione tra trasferta e
trasfertismo
di Luca Vannoni
In materia fiscale, il Tuir prevede 2 distinti regimi per le indennità riconosciute in caso di
trasferta e in caso di trasfertismo: in sintesi, nel primo caso, le somme erogate ai dipendenti in
trasferta di lavoro sono escluse dalla formazione del reddito imponibile fino a concorrenza di
determinate soglie, purché fuori dal territorio del Comune in cui si trova la sede di lavoro,
(articolo 51, comma 5, Tuir); per i trasfertisti, coloro tenuti a svolgere la loro prestazione
lavorativa in luoghi sempre variabili e diversi, anche se corrisposte con carattere di continuità,
sono assoggettate a una tassazione e imposizione contributiva nella misura del 50% del loro
ammontare (articolo 51, comma 6, Tuir).
Il Tuir prevedeva, per evitare dubbi interpretativi, l’individuazione dei lavoratori inquadrabili
come trasfertisti e le relative disposizioni applicative di un provvedimento mediante decreto
del Ministero delle finanze, di concerto con il Ministero del lavoro e previdenza sociale,
disposizione mai emanata, credo volutamente.
Per ovviare al vuoto regolamentativo, una serie di provvedimenti di prassi (Agenzia delle
entrate, circolare n. 326/E/1997 e risoluzione n. 56/E/2000; Ministero del lavoro, nota 20
giugno 2008; Inps, messaggio n. 27271/2008) avevano individuato i seguenti parametri per la
qualificazione del trasfertismo:
il contratto non prevede una sede di lavoro predeterminata;
al lavoratore è riconosciuta una particolare maggiorazione retributiva, a carattere fisso,
indipendentemente dal fatto che il soggetto si sia recato in trasferta. In base a tali
passaggi, si ammetteva la possibilità di gestire come trasferte le indennità riconosciute
ai lavoratori itineranti solo per i giorni effettivi di trasferta.
Tale orientamento di prassi è stato progressivamente sgretolato dalla Corte di Cassazione, che,
a partire dal 2012, ha affermato costantemente che la qualificazione del lavoratore come
trasfertista discende dallo svolgimento delle proprie mansioni in luoghi variabili e diversi,
ritenendo irrilevante che sia erogata un’indennità solo per le trasferte effettive, ma non in via
continuativa.
Pertanto, molte aziende, per le scelte fatte sulla base dei chiarimenti di prassi emanati, si sono
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trovate in una situazione di estrema criticità: le indennità di trasferta, con le esenzioni,
riconosciute ai lavoratori itineranti non potevano ad essi essere riconosciute, in quanto il
regime del trasfertismo prescindeva dal trattamento retributivo, essendo vincolato solo
all’assenza di un luogo di lavoro fisso.
Ora, con l’articolo 7-quinquies, D.L. 193/2016 (c.d. Decreto Fiscale), convertito nella L.
225/2016, con norma interpretativa, resuscita le disposizioni di prassi bocciate dalla
giurisprudenza, stabilendo l’applicabilità del trasfertismo in caso di:
mancata indicazione nel contratto o nella lettera di assunzione della sede di lavoro;
svolgimento di un’attività lavorativa che richiede la continua mobilità del dipendente;
corresponsione al dipendente, in relazione allo svolgimento dell'attività lavorativa in
luoghi sempre variabili e diversi, di un’indennità o maggiorazione di retribuzione in
misura fissa, attribuita senza distinguere se il dipendente si è effettivamente recato in
trasferta e dove la stessa si è svolta.
Ove, invece, non siano presenti contestualmente dette condizioni è riconosciuto il diverso
trattamento previsto per le indennità di trasferta.
La natura interpretativa – più dichiarata che effettiva, visto che si aggiungono delle condizioni
precedentemente non normate – rende la novella efficace retroattivamente, con un notevole
vantaggio per i giudizi ancora pendenti, e ovviamente chiude una questione che, per molte
aziende, ha comportato recuperi contributivi estremamente pesanti.
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