Silvia Spera - CGIL Brescia

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Transcript Silvia Spera - CGIL Brescia

Proposta di un dibattito pubblico cgil fillea sunia
Casa per abitare / territorio per vivere
la crisi dell'edilizia,nuove domande sociali
“D'una città non godi le sette o settantasette meraviglie, ma la risposta che dà a una tua
domanda”. ( le città invisibili Italo Calvino)
Per eccellenza, la città è lo spazio dell’abitare. La città stessa è un registro straordinario di
edifici e di fatti urbani, documento unico della memoria di ogni uomo che l’abita.
La città è sempre sospesa tra le mutazioni del suo divenire e la necessaria staticità che ne
custodisce l’identità, le radici della tradizione, il mito.
Ma se la città è ovunque,il rischio è di non abitare più le città ma semplicemente occupare
territori, più o meno metropolitani e globalizzati alla ricerca di identità confuse.
In questi giorni nella nostra provincia i comuni sono impegnati nella discussione e approvazione
del piano di governo del territorio.
Ma l'’amministrazione urbanistica non si esaurisce nella più o meno efficace produzione di piani,
ma diventa o dovrebbe diventare il terreno di una nuova buona politica dell'abitare.
Se questo viene a mancare il piano di governo può diventare uno strumento che consente una
gestione delle trasformazioni urbane adeguate ai “bisogni” politici e immobiliari del momento e
non ai “bisogni “ della città.
Pensare oggi la Brescia del futuro in una fase di trasformazione come questa non è facile,ma
contemporaneamente è indispensabile.
La profonda crisi economica- finanziaria mette a nudo in modo inequivocabile non solo problemi
contingenti ma anche nodi strutturali mai affrontati in cui il settore edilizio è tra i più esposti.
Il debito e la scarsità di risorse pubbliche sono una ragione in più che impone di scegliere e non
un motivo per non investire.
La sfida consiste nel contrastare la crisi economica e la crisi urbana con una azione comune che
garantisca la qualità della città consapevoli che le soluzioni non saranno di natura
congiunturale, ma tali da prefigurare una radicale prospettiva di cambiamento.
La diagnosi dei mali delle città e dei territori è una operazione che in tanti hanno fatto con
attenta precisione. Le leggi regionali di riforma a cavallo degli anni 2000 hanno certamente
aiutato questo compito attraverso gli studi sulla difesa del suolo, la consapevolezza della
necessità di contenere il consumo di territorio e i nuovi approcci al paesaggio.
Alle politiche di vincolo e tutela si sono spesso affiancate tematiche e modalità nuove di
leggere i temi da sempre irrisolti e sempre presenti in termini spesso emergenziali: le diverse
domande abitative, gli spazi verdi assenti o residuali, il traffico e la marginalità del trasporto
pubblico locale, la questione energetica come tema che riguarda la città e il territorio nel suo
complesso e non solo i singoli edifici.
E che dire di quanto sta avvenendo in questi giorni nel nostro paese, il disastro idrogeologico a
cui stiamo assistendo, certamente mosso da più fattori ma in maniera preponderante emerge
l'assoluta mancanza di programmazione e tutela del territorio in favore di una logica di
cementificazione che fa pagare prezzi così alti.
Una costante, a fronte di questa diagnosi sostanzialmente condivisa, è rappresentata però dalla
incapacità di attivare politiche in grado di dare risposte a queste criticità, mentre la qualità della
vita nelle città è in costante declino.
La mancata acquisizione dal vigente sistema normativo del significato di 'bene comune' che il
suolo indubitabilmente assume diventa un grave limite al benessere, allo sviluppo sociale, alle
opportunità concesse alle future generazioni.
L’Assessore regionale della Lombardia dichiara che tutti i piani di governo presentati in
Lombardia prevedono l’ampliamento dei siti urbani, l’ampliamento smisurato del numero degli
abitanti, l’aumento delle volumetrie di costruzioni, lo sfruttamento del suolo e del territorio.
Anche nel piano di governo del territorio di Brescia si riscontra la stessa tendenza, a quali
bisogni risponde?
Anche a Brescia il problema casa è tornato alla ribalta per vari e diversi motivi,la recessione
economica che stiamo vivendo ha aggravato e ampliato la domanda abitativa e per molti aspetti
l'ha trasformata , le fasce deboli oggi sono in aumento, il bisogno di trovare soluzioni governate
dalla politica è impellente e non rinviabile.
Troppi fanno fatica a pagare affitti o mutui esosi già in tempi normali, figuriamoci in presenza di
cassa integrazione, di messa in mobilità, di disoccupazione prolungata e senza reddito, i
lavoratori e le loro famiglie stanno vivendo con molte difficoltà questa fase.
Registriamo anche nel nostro territorio una maggiore necessità di copertura delle fasce deboli
della popolazione, gli sfratti sono in aumento così come le morosità, nel piano di governo
l’edilizia convenzionata ha numeri esigui e insufficienti e comunque è prevista solo privata e non
pubblica, non c’è un piano casa organico, è di questi giorni la denuncia che l’Italia rinuncia a 3
MLD di fondi europei stanziati a favorire l’edilizia pubblica.
Contemporaneamente nel nostro territorio registriamo un calo della domanda di accesso ai
mutui, si stimano circa 30.000 case vuote e invendute che potrebbero essere abitate da altre
100.000 persone, un capitale superiore ai 3 MLD di Euro che grava in particolare sulle imprese
edili oggi in difficoltà.
A questa emergenza la politica deve rispondere, sostenere le rivendicazioni di chi una casa non
ce l'ha, prevedere una politica di intervento pubblico in più direzioni diventa prioritario, ma
contemporaneamente non vogliamo rinunciare a ragionare su progetti di residenza integrata ai
servizi, di progettare e pensare alla città come luogo che accoglie, come comunità di cittadini
nel suo insieme.
Solo equilibrando i parametri che compongono la domanda/offerta e definendo con il contributo
di tutti il progetto di città sarà possibile recuperare la situazione attuale.
Del resto la crisi dell’edilizia parla di un modello insostenibile, nella nostra provincia
quotidianamente assistiamo alla chiusura di imprese edili più o meno radicate sul territorio, i
dati del settore parlano chiaro, lo stillicidio quotidiano di aziende edili che chiudono, lavoratori
che hanno perso il lavoro,utilizzo degli ammortizzatori sociali, aziende insolventi nei confronti di
fornitori o di lavoratori a cui non riconoscono i loro salari sono numeri che parlano a tutti.
Le aziende edili si trovano scoperte rispetto a crediti che vantano nei confronti della pubblica
amministrazione e nel contempo vengono chiusi i rubinetti del credito, gli invenduti sono numeri
che espongono le aziende a necessità di smobilizzare beni o assegnare al credito bancario parte
delle loro risorse economiche.
Risposte improvvisate di costituire fondi immobiliari ,anche poco trasparenti, si sono dimostrate
poco lungimiranti e di scarso respiro, così come la scelta di implementare nel nuovo piano di
governo ulteriori volumetrie rischiano di gonfiare un mercato già drogato.
A questa situazione già difficile si aggiungono la frammentazione societaria, la poca liquidità e la
piccola capitalizzazione delle nostre imprese, fragilità strutturali che rischiano nella crisi attuale
di trovare scorciatoie in forme di illegalità.
Crediamo sia utile riflettere sulla necessità di un riposizionamento del settore anche all'interno
di nuovi ambiti di intervento.
La struttura rigida, tradizionale e dimensionale delle imprese può essere da ostacolo a
ragionamenti di innovazione e utilizzo di nuova tecnologia, le associazioni di categoria devono
giocare un ruolo di proposta e di rete che favorisca il salto di qualità delle imprese, direzionando
le scelte verso costruzioni di qualità ed economicamente e socialmente sostenibili.
Valorizzare e rinnovare il patrimonio edilizio esistente accompagnato da una progettazione
tipologica ( anziani giovani nuove famiglie), troppi stabili vuoti, da risanare e ristrutturare e rete
di servizi integrati di quartiere diventano elementi necessari, un approccio di questo tipo
presuppone un forte ruolo della regia pubblica.
Il problema del costo di costruzione degli edifici è un altro tema su cui bisogna aprire il
confronto, che non si limita solo ad analizzare il costo economico ma anche i costi sociali, non è
nell'inseguire il massimo ribasso o affidando ad appalti ed subappalti che riusciremo a dare una
risposta a questo problema, la politica del massimo ribasso ci ha portato alla situazione attuale,
scarsa qualità dell'offerta, degrado economico delle aziende,riduzione dei diritti dei lavoratori e
nessuna messa in sicurezza del lavoro.
Semplificazione dei processi, ricorso alle nuove tecnologie presenti sul mercato, accelerazione
dell’impiego delle tecniche di bioedilizia (recupero e riciclo dei materiali), costruzione e
ristrutturazione di edifici a basso impatto energetico sono strade che devono avere una
prospettiva e diventare proposte concrete se vogliamo affrontare seriamente e
responsabilmente la situazione attuale.
Quella che si impone oggi è una vera e propria operazione di programmazione, di regia e di
integrazione tra domanda e offerta senza mai dimenticare una visione generale di una città che
accoglie l'insieme dei suoi cittadini attuali e futuri.