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SUL REFERUNDUM COSTITUZIONALE. IL PUNTO DEL GIURISTA.
Il quattro dicembre prossimo, l’elettore che si recherà a votare attuerà la scelta che, in piena
coscienza e conoscenza, avrà fatto sul quesito che troverà scritto sulla scheda referendaria. E
risponderà SI oppure NO al “superamento del bicameralismo paritario”, alla “riduzione del numero
dei parlamentari”, al “contenimento dei costi di funzionamento delle Istituzioni”, alla “revisione del
titolo V della parte seconda della Costituzione”. Tranne quest’ultima parte (che è tecnica perché
richiede la conoscenza della normativa contenuta nel suddetto titolo V), il quesito sembra
predisposto per una risposta positiva. SI, senza pensarci due volte. E, perciò, a dire dei sostenitori
del NO, sospetto di predisposizione ingannevole.
Senonché, la sua piena legittimità lo sottrae a qualsiasi sospetto. È legittimo perché i seguenti
motivi:
1) corrisponde al dettato legislativo sul referendum. La legge 25 maggio 1970 n. 352 disciplina i
referendum previsti dalla Costituzione. Nel titolo I quello previsto dall’art. 138, nel titolo II quello
previsto dall’art. 75. Qui interessa quello previsto dal titolo I. Il quale, all’art. 20, prescrive che “le
schede contengono il quesito formulato a termini dell’art. 16”. L’art. 16 prescrive che “il quesito
consiste nella formula seguente: approvate il testo della legge costituzionale concernente…”, con la
trascrizione del titolo della legge. Tale titolo è composto dalle parole sopra virgolettate
1 (superamento del bicameralismo, la riduzione dei parlamentari ecc.). Sicché, il quesito che
troveremo scritto sulla scheda, siccome è conforme alla legge, resiste alla contestazione di
legittimità. E, per lo stesso motivo, non è ingannevole;
2) è noto a tutti che il titolo della legge (di qualsiasi legge, come di un articolo di giornale, di un
romanzo, eccetera) deve corrispondere al suo contenuto. Siccome il quesito referendario
corrisponde al titolo della legge, corrisponde anche al contenuto della legge medesima. È la sintesi
di quel contenuto. Tanto è vero che nessuno dei milioni di emendamenti che hanno “vivacizzato”il
dibattito in Parlamento (per sei letture, tra Camera e Senato, e per la durata di due anni, dal 2014 al
2016) ha riguardato il titolo della legge. Cioè, l’attuale quesito. Ecco perché i ricorsi d’impugnativa
del quesito, innanzi al TAR Lazio e al Tribunale di Milano, sono risultati pretestuosi e sono stati
rigettati. Ma quando impareranno, i nostri parlamentari, che le questioni politiche si risolvono in
Parlamento e non nelle aule di Giustizia. E che le pronunce giurisdizionali non vanno sottovalutate:
nel rispetto del dettato art. 12 della ripetuta L. 352/70 sul referendum costituzionale, la Corte di
Cassazione aveva già confermato, con ordinanza, la legittimità della legge costituzionale.
Anche l’attuazione dell’art. 138, come strumento di revisione della Costituzione al posto di una
nuova Assemblea Costituente, è ineccepibile. Infatti, il ricorso a strumenti diversi dal referendum
costituzionale avrebbe delegittimato la Costituzione medesima. La quale, con l’art. 138, ha previsto
2 essa stessa lo strumento attraverso il quale può essere modificata. E lo strumento può
legittimamente essere soltanto quello.
Sicché, noi elettori siamo obbligati ad esaminare il merito della riforma per scegliere tra il SI e il
NO. I profili di discontinuità della riforma, rispetto al sistema vigente, sono conosciuti. I principali
sono quelli che ho sopra ricordato tra virgolette. Se penso che il disegno di legge di riforma
costituzionale ha impiegato due anni per essere approvato e che la maggior parte delle leggi sono di
conversione dei decreti del Governo, spesso convertiti con il voto di fiducia, giustificati dalla
necessità di sottrarli al palleggiamento tra Camera e Senato e alla lungaggine tra le varie letture
nelle due Camere, ben venga la soppressione del bicameralismo perfetto e paritario. E così di
seguito. Ciascun elettore dovrà riflettere sui singoli punti della riforma. Devo ricordare che fino alla
quarta lettura la riforma era condivisa. E, allora, era legittima l’aspettativa che sarebbe stata
approvata con la maggiorazione di due terzi. In tal caso, non ci sarebbe stato il ricorso al
referendum. La condivisione è venuta meno con l’elezione, non condivisa, del Presidente
Mattarella. Per cui la riforma è stata approvata in Parlamento con la maggioranza assoluta. Da qui,
il referendum. Su richiesta, sia della minoranza che della maggioranza, poiché trattasi di referendum
confermativo (senza quorum) e facoltativo.
3 Inoltre, devo ricordare che l’esigenza del superamento del bicameralismo paritario fu avvertita già
in sede di Assemblea Costituente. Mi riferisco all’anno 1946. Uno dei Padri Costituenti (l’On.le
Ambrosini), aveva previsto il Senato dei Notabili nella sua relazione, attribuendo esclusivamente
alla Camera dei Deputati il potere legislativo e d’indirizzo politico. L’esigenza dell’efficacia e della
stabilità di governo era avvertita già nel 1963: è contenuta nel messaggio alla Camera del Presidente
della Repubblica Antonio Segni. L’esigenza del cambiamento della seconda parte della
Costituzione è stata avvertita sin dagli anni successivi attraverso le tre Commissioni bilaterali e i
due referendum del 2001 e del 2006. Si può dire che è generale il riconoscimento della necessità del
cambiamento. Tanto è vero che chi si oppone alla riforma promette propri progetti di cambiamento
della stessa seconda parte della Costituzione (come se la lezione del decorso di tanti decenni prima
di conseguire la riforma attuale non abbia insegnato nulla).
Orbene, che il cambiamento giusto sia quello della riforma attuale è un punto assai discusso.
Soprattutto nella parte che riguarda il nuovo Senato e la nuova potestà legislativa delle Regioni. Si
controverte sull’elezione indiretta dei nuovi senatori. Eppure, si conosce, da sempre, l’elezione
indiretta del Presidente degli Stati Uniti. Viene scelto dagli elettori, come è avvenuto, con Trump il
9 novembre scorso. Ma viene eletto dai Grandi Elettori (530 provenienti dai 50 Stati Federali). Il
percorso elettorale dei nuovi senatori è simile secondo l’attuale riforma. Gli elettori, secondo le
4 modalità della legge (che verrà discussa e approvata, ovviamente, dopo che il referendum avrà
confermato la riforma – il Presidente del Senato ha rinviato a dopo il 4.12 l’apposito disegno di
legge –), nelle votazioni per il rinnovo del Consiglio Regionale riceveranno due schede. Una per il
voto al Consiglio Regionale ed una per l’indicazione del nome (tra i candidati al Consiglio
Regionale) che l’elettore dovrà scegliere per il Senato. Il Consiglio Regionale, poi, eleggerà i
senatori sulla base di quella scelta. Sicché, indirettamente, saranno gli elettori ad eleggere i nuovi
senatori. Non c’è nulla d’incomprensibile. Neppure nel nuovo testo dell’art. 117 contenuto nella
riforma. Sedici delle 20 materie ora di competenza concorrente (tra Stato e Regioni, per cui
pendono 1630 ricorsi innanzi alla Corte Costituzionale) vengono assunte tra quelle di competenza
esclusiva dello Stato. Si richiama, in qualche modo, la formulazione che i Padri Costituenti dettero
all’art. 117. Col riconoscimento della potestà legislativa delle Regioni “nei limiti dei principi
generali stabiliti dallo Stato”. E con l’indicazione specifica delle materie di competenza legislativa
esclusiva.
Spero di avere mantenuto i limiti del profilo giuridico che mi sono proposto. Il 4 dicembre siamo
chiamati a votare soltanto sulla riforma costituzionale. Che bisogna conoscere per decidere.
Avv. Elio Perrone
Presidente Giuristi Cattolici - Lecce
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