La rassegna di oggi

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RASSEGNA STAMPA CGIL FVG – martedì 6 dicembre 2016

(Gli articoli di questa rassegna, dedicata prevalentemente ad argomenti locali di carattere economico e sindacale, sono scaricati dal sito internet dei quotidiani indicati. La Cgil Fvg declina ogni responsabilità per i loro contenuti)

ATTUALITÀ, ECONOMIA, REGIONE (pag. 2)

Nel Pd si è aperta la resa dei conti (M. Veneto, 2 articoli) Debora twitta e rimane in trincea mentre i colonnelli contrattaccano (M. Veneto) Quelli del No si trovano in fabbrica (M. Veneto) Benedetti preoccupato per il futuro dell'Italia (M. Veneto, 4 articoli) «Il Pd ora sospenda la riforma dei Comuni» (M. Veneto) Le partite aperte tra Renzi e Trieste (Piccolo) Soppressione delle Province, Fontanini presenta ricorso (M. Veneto) La crisi dell’edilizia: in regione dal 2008 persi 7mila addetti (Piccolo)

CRONACHE LOCALI (pag. 10)

Raffica di assunzioni all'università (Piccolo Trieste) Terme, staccati i primi 100 ticket (Piccolo Gorizia-Monfalcone) «Ora i referendum sul lavoro» (Gazzettino Pordenone, 2 articoli) La grande sedia ha i giorni contati (M. Veneto Udine)

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ATTUALITÀ, ECONOMIA, REGIONE

Nel Pd si è aperta la resa dei conti (M. Veneto)

di Mattia Pertoldi - Il vento gelido che soffia dentro al Pd è intenso e duro come la bora che sferza Trieste nelle giornate peggiori dell’anno. Quella resa dei conti interna cristallizzata al termine della debacle autunnale – la seconda di fila dell’anno, dopo aver consegnato al centrodestra il capoluogo regionale e Pordenone in primavera – in nome di “un bene supremo” maggiore, leggasi la riforma costituzionale, è pronta a deflagrare con violenza da sabato, quando è in programma l’assemblea regionale del Pd. E la posta in gioco, questa volta, è più alta che in passato perché sul banco degli imputati non c’è – più o meno esclusivamente – la segretaria regionale Antonella Grim, ma investe il ruolo stesso di Debora Serracchiani. O meglio, il doppio incarico della presidente cui, adesso, ampie fatte di Pd chiedono un passo indietro – sostanziale – a livello nazionale rinunciando alla vicesegreteria nazionale per concentrarsi, totalmente, su piazza Unità. Le sfumature sono diverse, perché ci sono esponenti come Vincenzo Martines, da sempre sostenitori del doppio ruolo, che puntano l’accento sulla poca utilità del ruolo dopo l’uscita di scena di Matteo Renzi, ma il concetto di base muta di poco. E soprattutto i mirini sono puntati verso Serracchiani da coloro che, in questi anni, hanno digerito a malincuore il dirigismo governativo della presidente. Finché i numeri erano favorevoli, infatti, le voci di dissenso erano poche, silenziate i nome di una realpolitik che faceva comodo a tutti. Adesso che la situazione è drasticamente mutata, invece, il tiro al bersaglio si alza a un’intensità mai vista prima, a queste latitudini, dal 2013 a oggi considerato anche come non siano pochi pure quelli che, a microfoni spenti, manifestano quei mal di pancia che ufficialmente negano in nome della ragion di partito. Uno scenario generale, questo, in cui a poco vale il tentativo di gettare acqua sul fuoco del capogruppo in Consiglio regionale Diego Moretti spiegando che «dall’esito del voto referendario non ci devono né possono esserci conseguenze sul piano dell’amministrazione regionale» mentre «per quanto riguarda Serracchiani, per accorgersi del suo impegno per il Fvg, sostenuto dalla maggioranza, basterebbe voler guardare soltanto alle ingenti risorse che da Roma ha saputo portare sul territorio», perché l’incendio in casa dem è ormai divampato. Martines, ad esempio, non è mai stato un “piromane”, ma se arriva a sostenere come «pur essendo stato favorevole al doppio incarico della presidente a questo punto abbiamo bisogno che Serracchiani resti in pianta stabile in Fvg: lo deve fare in nome della mole di lavoro svolto in questi anni e anche per se stessa, visto che i leader, e lei resta tale, non si costruiscono ogni giorno, ma vanno difesi» è evidente che, utilizzando una frase andreottiana, la situazione nel Pd è un po’ più complessa di come la dipinga Moretti. «Abbiamo perso tutto quello che potevamo perdere – spiega il senatore Francesco Russo – ed è il momento di voltare pagina cominciando a chiarire, in maniera inequivocabile, il ruolo di Serracchiani. È legittimo che possa auspicare a un ruolo a livello nazionale, ma allora ha il dovere di dirci immediatamente di non essere intenzionata a guidare il centrosinistra in Fvg». Quanto al suo incarico al Nazareno, inoltre, Russo spiega che «dipenderà dalla scelta che effettuerà, anche se negli ultimi mesi mi è parsa molto più orientata su Roma che su Trieste» e in ogni caso sottolinea come «non mi stupirebbe che a breve ci possa essere un cambio repentino nella governance nazionale del partito che investirà anche Serracchiani». Una linea d’azione condivisa anche dall’onorevole Giorgio Brandolin per il quale «dobbiamo capire in fretta come Serracchiani voglia arrivare al 2018» e pure dal senatore Lodovico Sonego secondo cui «in regione si è votato anche sul governo di Serracchiani e sabato la discussione del Pd dovrà prendere atto di un responso duro e chiaro che impone un cambio di indirizzo politico, anche nell’azione del governo regionale». Secco, infine, il giudizio del consigliere Mauro Travanut. «Sostengo da sempre – ha detto – come il doppio incarico non vada bene perché un politico si deve occupare di un ruolo alla volta. Adesso è tutta la segreteria, nazionale e regionale, a essere in piena sofferenza e a dover compiere un passo indietro».

Belci: deleterio il vento del centralismo

L’ex segretario Cgil: pensavo che sarebbe finita con un testa a testa. Ora si cambi davvero - testo non disponibile

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Debora twitta e rimane in trincea mentre i colonnelli contrattaccano (M. Veneto)

di Marco Ballico - Debora Serracchiani si limita a un tweet: «Oggi rimane la tristezza. Non siamo riusciti a cambiare l’Italia ma il nostro impegno rimane altissimo. Grazie a chi ha creduto in questa sfida». Ma non aggiunge altro sulla vittoria del No. Il giorno dopo la sconfitta al referendum, intervengono invece i colonnelli del Pd. Respingendo qualsiasi ipotesi di scossone in regione, mentre la presidente e vicesegretaria nazionale, rimane in trincea. Nell’attesa di capire cosa succederà a Roma, domani e non oggi: la direzione nazionale dem è slittata alle 15 di mercoledì 7 dicembre. Da giovedì si ritorna in Friuli Venezia Giulia a preparare un’assemblea - sabato a Udine dalle 15 alle 20 se basterà - in cui il Pd dovrà discutere non solo di referendum, ma pure delle scoppole elettorali alle amministrative di primavera e autunno. Una dopo l’altra, sono scivolate via Trieste, Pordenone, Ronchi, Monfalcone e Codroipo. Nel caso della città cantierina si è trattato di una sconfitta storica, emblematica. Chi paga? Da settimane, da mesi, si sussurra che a pagare, come è successo a Trieste a Nerio Nesladek, sarà Antonella Grim. Ma la segretaria regionale, in realtà, troverà più di un difensore all’assemblea del 10 dicembre. Tra tutti, il capogruppo alla Camera Ettore Rosato, per nulla convinto che Grim debba fare il capro espiatorio di una situazione che ha coinvolto l’intera classe dirigente. Rosato, pochi dubbi, sosterrà la tesi per cui non esistono motivi per cui ad andarsene a casa debba essere una sola persona. Se terrà la linea del deputato triestino, Grim verrà riconfermata. Se invece prevalesse la richiesta di una svolta, ritornerà caldo il nome di Francesco Martines, il sindaco di Palmanova, una soluzione peraltro nel segno della continuità vista la sintonia con la presidente. Grim, nell’attesa di confrontarsi con il partito, non pare di sicuro intenzionata al passo indietro. Se Serracchiani ha trasmesso «tristezza» per lo stop alla riforma, Grim usa la parola «amarezza» per quella che è stata «un’occasione sprecata» in un contesto di «forte politicizzazione del confronto», ma rilancia a livello locale: «Ho visto in Fvg tanta voglia di fare, di crederci, anche e soprattutto tra i giovani, e ciò è un patrimonio prezioso che va coltivato e dal quale dobbiamo ripartire». Le dimissioni che qualcuno sollecita? Neanche un accenno. Anche perché, sottolinea la segretaria, va evitata «confusione tra una riforma costituzionale nazionale e le riforme portante avanti sui territori». Modi, strumenti e percorsi per proseguire verso il cambiamento «verranno valutati e scelti insieme, nelle sedi e nei luoghi preposti, a partire da sabato, in assemblea regionale. Lo farò e lo faremo serenamente e all’interno di un confronto che auspico sia sano, maturo, incentrato sui contenuti e sul rilancio di un progetto politico condiviso». A difendere il percorso del Pd Fvg a traino Serracchiani è anche la segretaria di Trieste Adele Pino: «Il risultato del referendum non è un voto sull’operato di Debora, sulla sua giunta o sulla maggioranza che la sostiene in Regione. Quello di domenica è stato un voto politico di respiro nazionale, che non c’entra con le riforme che stiamo realizzando in Fvg, che andranno avanti, a partire da quella sulle Uti, con cui abbiamo di fatto superato le Province, a Costituzione vigente - precisa Pino - e con una Regione che ha competenza primaria sugli enti locali». Compatto sulla linea difensiva pure il capogruppo in Consiglio Diego Moretti: «Dall’esito del voto referendario non ci devono né ci possono essere conseguenze sul piano dell’amministrazione regionale. Il referendum si è spostato su un livello di confronto puramente politico e personale nei confronti del presidente del Consiglio, ma è bene ricordare a chi anche in Fvg cerca di mescolare le cose che noi qui stiamo amministrando una Regione sulla base di un programma votato dai cittadini». Si tira dritto dunque, fino al 2018, quando «i cittadini del Fvg decideranno se confermare o meno la fiducia al centrosinistra. Chi sposta il significato del voto del referendum sul piano amministrativo e politico regionale - insiste Moretti - fa un tentativo maldestro e strumentale di creare una situazione torbida, confondendo cose che vanno tenute ben distinte». E nessuno pensi di criticare la presidente: «Per accorgersi del suo impegno per il Fvg, sostenuto dalla maggioranza, basterebbe voler guardare soltanto alle ingenti risorse che da Roma ha saputo portare sul territorio». Messaggio anche interno al partito. Se si è perso, non è per le politiche della giunta. Una convinzione che i colonnelli ribadiranno sabato in assemblea. 3

Quelli del No si trovano in fabbrica (M. Veneto)

di Davide Vicedomini - Il “popolo del no” si trova nelle fabbriche. È l’Italia che vuole «regole più certe nel lavoro», «contratti a tempo indeterminato», «meno trattenute nelle buste paga» e che di fronte all’ipotesi di dare nuovo volto alla Costituzione afferma: «Non sarà certo quella riforma a cambiare le sorti di un Paese». «Non è un nuovo Senato con alcuni politici in meno a raddrizzare le nostre sorti, ma uno stipendio più sicuro». L’eliminazione del Cnel, il superamento del bicameralismo paritario e la revisione del titolo V della parte seconda della Costituzione, sono tutti concetti che non hanno fatto presa in questo popolo che guarda «a cose concrete – come dice Marco Scussolin –, al reale. Prima di tutto occorre adeguare gli stipendi. I politici a Roma guadagnano dieci volte tanto. Ma nessuno dei deputati viene a vedere cosa produciamo, come l’italiano medio arriva a fine mese». Marco lavora all’Abs. Nell’azienda di Cargnacco c’è lo zoccolo duro dei «no». «Sono contento per come è andata a finire, comprese le dimissioni di Renzi – afferma Alessandro Casalino –. Noi (indicando un suo amico), come molti altri nostri colleghi, siamo convinti di aver fatto la scelta giusta. In Italia ci sono un’infinità di problemi che nulla hanno a che vedere con la riforma della Costituzione. Oggi non è crollato il mondo con questo voto. Vogliamo solo far capire ai nostri politici che i veri problemi sono il lavoro e l’immigrazione. Non c’è occupazione – aggiunge – per noi e per i nostri figli. Come facciamo a darla ai nuovi arrivati? Prima cerchiamo di risolvere la questione Europa. Perché siamo stati costretti a fare noi tutti i sacrifici e non gli altri Paesi? Poi si potrà parlare di Costituzione». «Meno apparenza e più sostanza», invoca Carlo. Lui non ha votato perché «ero in viaggio – ammette –. Ma avrei messo la mia firma sul no. L’Italia non può andare avanti per concetti astratti. Cnel, bicameralismo, sono parole incomprensibili ai più. I politici devono tornare a parlare nelle fabbriche e tra la gente. L’Italia ha bisogno di lavoro». Paolo parla di «riforma pasticciata». «Dispiace che qualcuno abbia cavalcato l’onda per cacciare Renzi. Non sarà così che si risolveranno i veri problemi. Nel quesito c’è stata mancanza di chiarezza. E piuttosto che avere un futuro poco chiaro è meglio restare così». Vanni Merlino si è aggiornato, ha studiato. «Avremmo avuto – dice – un Senato di non eletti. Ma quel che è peggio è che ci troviamo senza una legge elettorale. Questo è uno dei temi che vanno affrontati con maggiore priorità». «Siamo stati chiamati al voto per materie che interessano strettamente i politici, ma perché non ci chiamano in causa per l’articolo 18, un tema che riguarda di più i lavoratori?». Così anche Pasquale Buscaglia in questi giorni si è tenuto informato. «Si andavano a modificare 40 articoli. Troppa confusione. Ma il problema vero non è la Costituzione. Quella inglese e quella americana sono più vecchie. Eppure mi sembra che le cose vadano bene in questi Paesi. La verità è che ci sentiamo poco rappresentanti e non c’è stato ricambio generazionale perché i politici sono sempre gli stessi». C’è poi il partito di quelli che «voto no, perché così caccio Renzi». Manuel è uno di questi. «Non lo sopportavo – sbotta – e non lo ritengo la persona giusta per comandare questo Paese. Ha agito sempre con arroganza». «Servono riforme – aggiunge – che diminuiscano i partiti e i politici. Ma in questo Paese serve soprattutto lavoro. Un lavoro sicuro, non precario. Solo così potranno riprendere i consumi e l’economia». Alla Danieli di Buttrio gli impiegati e gli operai si dividono. Chi ha votato no parla di «riforma pasticciata» e «calata dall’alto». Chi ha preferito dire sì lo ha fatto per «cambiare qualcosa». Come Alessandro. «Penso che il governo Renzi abbia tentato di dare un altro volto a questa Italia in questi mille giorni. Aveva dato nuove speranze. Ora il futuro è più incerto che mai. Spero in un governo tecnico. Nuove elezioni sarebbero una sciagura». 4

Benedetti preoccupato per il futuro dell'Italia (M. Veneto)

di Giacomina Pellizzari - In campagna elettorale aveva definito il No «un salto nel buio» e parlato di un piano B nel caso in cui la riforma fosse naufragata. Oggi, alla luce del risultato del referendum, il presidente del gruppo Daniele, Gianpietro Benedetti, si dice preoccupato per la vittoria del No. A suo avviso, quel risultato conferma la difficoltà riscontrata nel fare le riforme in un Paese che rischia di perdere competitività proprio perché non riesce a innovarsi. E se il piano B del colosso dell’acciaio resta sempre pronto questo non significa che l’azienda di Buttrio stia pensando di trasferire le produzioni e di non investire più in Friuli. Presidente Benedetti come commenta il risultato del referendum? «Vista l’alta affluenza ai seggi, il risultato del referendum rappresenta l’effettiva volontà della popolazione. Dobbiamo prendere atto che due su tre hanno detto No». Si aspettava questa valanga di No? «Pensavo a un divario meno marcato anche se non ero convinto che vincesse il Sì. Bastava fare una proporzione tra i consensi dei partiti, era una questione matematica». Una bocciatura così marcata la preoccupa? «Sì perché conferma la difficoltà di fare le riforme in Italia». Oggi, in Europa e nel mondo l’Italia è ancora competitiva? «A mio giudizio sì. Anche se l’approvazione della riforma costituzionale avrebbe incrementato la credibilità in Europa e probabilmente portato a migliorare la nostra competitività». Cosa significa migliorare la competitività? «Migliorare la competitività significa Pil più elevato quindi un valore aggiunto pro capite superiore e riqualificazione della spesa pubblica». Se l’Italia perde competitività il gruppo Danieli ha pronto il piano B? «Operando in un settore ciclico, dove la durata del ciclo non è più stabile come nel passato, sviluppiamo sempre il piano B». Cosa prevede? Delocalizzazione delle produzioni, tagli agli investimenti? «Essenzialmente sono misure che prevedono azioni diverse in scenari diversi, per mantenere o incrementare la nostra competitività. Gli investimenti decisi, tra cui Digimet, vanno avanti». Riusciamo a quantificarli? «Tra costo delle attrezzature e l’avviamento stiamo parlando di circa 30 milioni di euro. Non possiamo sospendere gli investimenti decisi, bloccarli significherebbe restare indietro rispetto ai concorrenti. E il piano B dobbiamo prevederlo sempre, a prescindere dal referendum. È un fatto aziendale che non contempla lo spostamento dei nostri impianti». Ieri le Borse hanno ignorato il risultato del referendum e la crisi di Governo, è un fatto positivo? «Le Borse anticipano sempre i risultati e in questo caso il No era stato in parte previsto». Come reagiscono i mercati? «I mercati premiano le società meno esposte al mercato interno». C’è il rischio che lo spread torni a salire? «Si ma senza scossoni e sotto un monitoraggio attento della Banca centrale europea. L’entità dipenderà da come organizzeremo il periodo di transizione e dal risultato delle prossime elezioni». Lei cosa si aspetta? «Ci auguriamo un veloce confronto tra le parti per dare presto un Governo al Paese che positivamente stabilizzi le azioni per riformare quanto serve, aumentare il Pil e la competitività». La vittoria del No ci riporta indietro? «Non si va indietro, ma si procede con maggior lentezza in un mondo che va di corsa ». Cosa è mancato nei mille giorni del Governo Renzi? «Il Governo, per molti aspetti, ha lavorato bene. Forse ha messo troppa carne al fuoco difficilmente gestibile in soli mille giorni». Perché il cambiamento fa così paura? «Non è paura. È un atteggiamento dettato dal fatto che a ogni cambiamento si perdono le posizioni raggiunte e si riparte da zero o quasi, con tutte le incognite che ciò comporta. Comprese le rinunce conseguenti». Gli imprenditori come hanno votato secondo lei? «Quelli che esportano auspicano di lavorare con meno burocrazia e in Renzi avevano visto un tentativo di cambiare le cose. Dobbiamo augurarci che il trapasso avvenga nel migliore dei modi e che il nuovo Governo dia fiducia all’Europa e ai mercati».

Pezzetta: ingessati da un anno, i problemi vanno risolti

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Fania: come Regione speciale avevamo tutto da guadagnare

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Agrusti: è un segnale contro i poteri forti

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«Il Pd ora sospenda la riforma dei Comuni» (M. Veneto)

di Maura Delle Case - La tentazione di pronunciare la famosa frase, “l’avevamo detto”, ieri li ha toccati uno dopo l’altro dinanzi a un risultato elettorale che a parer loro è il frutto di una stagione di riforme calate dall’alto e in fretta. Senza condivisione. E’ la maggior colpa che i sindaci del fronte contrario alle Unioni territoriali intercomunali imputano al Governo Renzi tanto quanto a quello regionale guidato da Debora Serracchiani. Anzi. A sentir loro, per la presidente l’esito della consultazione è anche peggiore, inferiore com’è rispetto alla percentuale del sì messa a segno a livello nazionale. In questa partita il Fvg vantava pezzi da 90 del Partito democratico: la numero due del Pd e il capogruppo alla Camera. «Non sono bastati» esordisce con malcelata soddisfazione Renato Carlantoni, sindaco di Tarvisio. Per lui e per i più convinti oppositori della riforma delle autonomie locali, il voto è espressione di una bocciatura netta, che dovrebbe indurre Serracchiani a fermarsi un momento e fare il punto su una stagione di riforme che in Fvg ha portato all’eliminazione delle Province. Unica regione in Italia a non contare più tra i suoi livelli istituzionali gli enti intermedi quando la Costituzione ancora li prevede. Possibile? Per Carlantoni «è la domanda delle domande. Ora bisogna affrontare una giurisprudenza molto difficile - afferma -. Nessuno di noi vuole restaurazioni, per altro irrealizzabili visto che siamo arrivati a smantellare ormai quasi completamente i quattro enti, ma un percorso di condivisione, che abbiamo sempre rivendicato, è forse venuto il momento per la presidente di metterlo in atto. Far la prima della classe non ha pagato, non le ha garantito il balzo in avanti che il Pd si aspettava e di questo oggi credo debba prender atto. Purtroppo - continua il tarvisiano - ha peccato di presunzione e ora le conseguenze sono quel che sono: una regione senza Province e 17 emendamenti a una legge che ha prodotto 18 Uti incapaci di muovere un passo, fatto salvo quello per la nomina di direttori da 100 mila euro l’anno ognuno. Non aggiungo altro». Ci pensa il collega di Talmassons, Piero Mauro Zanin, che con Carlantoni ha condiviso i lunghi mesi di resistenza contro obbligatorietà e penalizzazioni contenuti nella riforma Panontin. A sentir lui il risultato referendario «va oltre ogni aspettativa, è un grande successo in termini di partecipazione al voto e dimostra che quando in ballo ci sono cose importanti la gente alle urne ci va. Quello di domenica è un voto che difende la Costituzione, che dà a Renzi il benservito e sfratta Serracchiani per le riforme fatte male e a tutti i costi. Compete a noi - conclude Zanin - fare ora una proposta politica che parli alla classe media». Pierluigi Molinaro, sindaco di Forgaria, auspica un cambio di passo sospinto dai colleghi del Pd: «Abbiano il coraggio di dire la loro, di spingere la presidente a fermarsi e ragionare». Ne ha anche per i primi cittadini dei Comuni recentemente riguadagnati dal centrodestra. Trieste, Pordenone, Monfalcone tra gli altri. «Spero prendano una posizione forte contro la riforma degli enti locali che non va». Infine un auspicio bipartisan «al dialogo - aggiunge Molinaro -, perché se qualcosa questo referendum insegna è che la gente non ha perdonato a Renzi e Serracchiani una modalità riformatrice portata avanti con arroganza e supponenza». Oltre al merito del referendum, il voto in Fvg è per i sindaci contrari alle Uti una sonora bocciatura delle riforme. «Calate dall’alto, senza alcun rispetto per il territorio e i suoi amministratori - rintuzza la condanna Paolo Urbani, sindaco di Gemona -. Condivise potevano essere un volano per la nostra Specialità, così come invece sono state portate avanti, a colpi di maggioranza e continui aggiustamenti, hanno solo portato divisioni e conflitti. Che oggi Serracchiani paga con questa sonora bocciatura, ma che il territorio, spogliato delle Province, riempito di Uti che non funzionano e scippato dei piccoli ospedali, pagherà per anni». 6

Le partite aperte tra Renzi e Trieste (Piccolo)

di Marco Ballico - Chi lo ridefinisce il protocollo Serracchiani-Padoan in assenza del ministro dell’Economia? E chi riapre il canale privilegiato con il ministro dei Trasporti se Delrio non c’è più? Sono alcuni degli interrogativi che le dimissioni di Matteo Renzi innescano. Varie partite Roma-Trieste sono aperte. In alcuni casi vanno definite nei dettagli. Il decreto sui punti franchi, ad esempio, attende la stesura definitiva. E al momento risultano finanziati 413 milioni dei 2,6 miliardi di investimento previsti nel protocollo recentemente siglato con Rfi. Se salta il governo, il Friuli Venezia Giulia rischia di perdere risorse, occasioni di sviluppo o anche solo di vedere ritardati iter già a buon punto? La Regione, nell’attesa di capire che cosa succederà in Parlamento, minimizza ed esclude contraccolpi. Ma Forza Italia, con il capogruppo Riccardo Riccardi, incalza: «Le dimissioni congelate di Renzi danno a Serracchiani il tempo per fare aggiungere le firme mancanti. Sarebbe irresponsabile non lo facesse». Insomma, su qualche tavolo si può trattare di una corsa contro il tempo. Il patto finanziario Uno dei primi passaggi del 2017 sarà la ridefinizione del patto con il Mef, quello che dà certezza ai conti della Regione, e che ha già consentito di ottenere oltre 800 milioni in tre anni. Mancasse Padoan, che succede? Francesco Peroni, assessore alle Finanze, assicura che «i processi sono avviati» e che «non dipendono dai ministri pro tempore». Anche perché il terreno per il prossimo protocollo «è già stato preparato», in un contesto in cui pure a Roma interessa confermare l’intesa. «Nell’ottobre 2014 - ricostruisce Peroni - lo Stato non ci fatto alcuna elargizione benevola, ma ha condiviso l’opportunità di contenere i contenziosi davanti alla Corte costituzionale. Non c’è motivo di pensare che possa cambiare linea nel caso di caduta del governo». I punti franchi A quanto informa la Regione, non dovrebbero esserci sorprese nemmeno sull’avvio, annunciato due giorni prima del referendum, della procedura di un decreto attuativo, ha sottolineato Serrracchiani, «di portata storica per il Porto, per la città e per tutta la regione». Il ministro ha trasmesso all’Autorità portuale del mare Adriatico orientale il testo che stabilisce l’organizzazione amministrativa della gestione dei punti franchi di Trieste, oggetto di spostamento a seguito della sdemanializzazione del Porto Vecchio. Un passo previsto nella riforma portuale del 1994, diventato realtà, parola della presidente, «grazie alla sinergia creata tra ministro, Regione e nuova Autorità», ma che deve concretizzarsi con la firma del ministro stesso una volta che l’Autorità restituirà la documentazione a Roma. La terza corsia Sempre con Delrio, Serracchiani si era vista a fine novembre alla posa della prima pietra del terzo lotto della terza corsia, cantiere da 500 milioni che verrà finanziato anche con i 150 milioni disposti dal governo attraverso Cassa depositi e prestiti. Un coinvolgimento, quello di Cdp, di cui il ministro è stato protagonista. Il tratto Alvisopoli-Gonars «non è un cantiere qualsiasi - ha dichiarato proprio Delrio -, ma il senso di un’opera che si farà e si farà tutta». Chissà se l’intenzione resterà la stessa con un governo diverso (andrà tra l’altro prorogato il commissariamento in A4). Le Ferrovie Corposa la collaborazione statale anche per migliorare gli standard di qualità del servizio ferroviario. Nel protocollo d’intesa siglato con l’ad di Rfi Maurizio Gentile sono inseriti la velocizzazione della Venezia-Trieste, la riattivazione della Sacile-Gemona, lo sviluppo dell’intermodalità, gli interventi a favore dei collegamenti transfrontalieri per 2,6 miliardi di investimento complessivo, di cui 413 milioni già finanziati. Il passaggio più a rischio, il meno strategico, riguarda l’inserimento del Fvg nella rete nazionale ciclovie. A inizio settembre Serracchiani si era rivolta ancora a Delrio ribadendo la richiesta di coinvolgere anche la nostra regione, attraverso la Stabilità 2017, nella Programmazione triennale degli interventi finanziati dal governo, tanto più che una delle più importanti vie di accesso dei cicloturisti europei è la già realizzata Alpe Adria Salisburgo-Grado. Beni culturali Di visite a Trieste, come Delrio, ne ha fatte Dario Franceschini. A maggio il ministro dei Beni culturali, che già aveva inserito Miramare tra i musei autonomi nazionali e sottoscritto una posta da 3 milioni per la Fortezza di Palmanova, ha confermato l’impegno del governo per la riqualificazione di Porto Vecchio: 50 milioni già stanziati e dunque non in discussione che, come dichiarato da Franceschini, «rappresentano un primo passo di quella che è stata definita una priorità nazionale». 7

Soppressione delle Province, Fontanini presenta ricorso (M. Veneto)

di Michela Zanutto - Ora che ha incassato il 60,67 per cento di no in provincia di Udine, Pietro Fontanini lancia l’arrembaggio alla Regione. Dopo avere invitato la presidente Debora Serracchiani a «fare i conti con la volontà popolare», annuncia il ricorso al Tar contro la cancellazione delle Province in Friuli Venezia Giulia. E rispolvera il suo refrain su un referendum per l’istituzione della Provincia del Friuli e la città metropolitana di Trieste. Fontanini, con la sua lunga carriera politica alle spalle, l’aveva previsto: «Se vincerà il no si verrebbe a creare un cortocircuito costituzionale perché la nostra regione sarebbe l’unica in Italia ad avere cancellato le Province per Statuto - aveva detto Fontanini durante l’ultima riunione del Consiglio provinciale -. Ma la legge non può andare contro la Costituzione, pertanto in quel caso presenterò ricorso al Tar e sono certo che il giudice amministrativo solleverà la questione davanti alla Corte Costituzionale». E ora è pronto ad agire. «Il voto di ieri, per la parte del quesito che riguardava l’abolizione delle Province, ha consegnato un verdetto importante: la volontà popolare di non chiudere le Province anche nella nostra regione. Con questo risultato dovranno fare i conti la presidente Serracchiani e la maggioranza regionale - aggiunge Fontanini - che hanno voluto fare troppo in fretta e legiferare d’anticipo anche sulla soppressione delle Province, senza attendere il responso dei cittadini che si è rivelato, a stragrande maggioranza, non in sintonia con l’operato della Regione». Il risultato del referendum, considerata anche l’alta partecipazione, consegna un’Italia e un Friuli Venezia Giulia diversi a chi è chiamato a governare. «Gli elettori hanno confermato quanto avevo preannunciato: aver voluto abolire le Province prima degli altri e prima del voto sulla modifica della Costituzione, unicamente per vantarsi di essere i primi della classe, si è rivelato un grande pasticcio con uno Statuto di autonomia in completa difformità rispetto alla Costituzione dalla quale discende. Con il voto gli elettori potevano mettere il sigillo sul superamento delle Province, ma non è stato così. Ecco perché alla Provincia di Udine vanno riconosciute le loro competenze alla pari delle Province che, a livello nazionale, mantengono la struttura prevista dalla legge Delrio. In primis la gestione dell’edilizia scolastica. È una richiesta legittima». Dopo la riforma della Costituzione, insomma, traballa anche la riforma Panontin: «Il voto di ieri apre nuovi scenari per gli enti intermedi della Regione - conferma il numero uno di Palazzo Belgrado -. Dopo il ricorso contro il commissario ad acta inviato dalla Regione per approvare il piano di subentro in materia di edilizia scolastica, non escludo di impugnare altri atti davanti a nuove prove di forza e di prepotenza da parte della Regione». Ecco dunque in arrivo un ricorso al Tar che guarda dritto alla Corte costituzionale. E intanto Fontanini si augura che sia «rilanciato il disegno della Provincia del Friuli e della città metropolitana di Trieste, in coerenza con la dualità che caratterizza questa regione. Vorrei sapere come la pensano i cittadini, passaggio che proprio quest’estate è stato impedito dal Consiglio regionale che non ha ritenuto ammissibile il quesito». 8

La crisi dell’edilizia: in regione dal 2008 persi 7mila addetti (Piccolo)

di Marco Ballico - L'edilizia soffre ancora. Ha perso 7mila addetti e 1.264 imprese dal 2008 a oggi. Dà atto alla Regione di una consistente attività legislativa di settore ma, spiega il presidente dell'Ance Fvg Andrea Comar, «serve un ulteriore passaggio per semplificare l'accesso a risorse che, sia a livello statale che territoriale, non mancano. Negli ultimi due anni si sono sommati 350milioni di investimenti pubblici. Eppure, non è bastato». A Udine nella sede di Confindustria, presente l'assessore alle Infrastrutture Mariagrazia Santoro, si sono riuniti ieri mattina gli Stati generali delle costruzioni. Appuntamento consolidato, che si replicherà tra gennaio e febbraio del prossimo anno per concretizzare la svolta attesa da un comparto che, parola ancora di Comar, «vive una situazione di perdurante difficoltà». Il trend dell'occupazione fotografato dalle casse edili indica infatti un crollo degli addetti, ridotti del 50% dai 14.438 registrati prima della crisi ai 7.471 dell'aggiornamento più recente, un calo che tocca quota 10mila se si comprende l'intera filiera. Da parte dell'assessore, ieri, un lungo elenco di provvedimenti approvati nei primi tre anni di legislatura: semplificazioni e misure di incentivazione introdotte con le leggi regionali 13/2014, 27/2014, 20/2015 e 25/2015. Con la 13 è stato tra l'altro istituito un nuovo canale di finanziamento per il riuso. Nel dettaglio, sono stati stanziati 21,5 milioni per il recupero di 564 alloggi di cittadini privati. Altri 30,6 milioni, a finanziare 5.982 domande, sono serviti per la messa a norma di impianti e risparmio energetico e 37,8 milioni per l'edilizia sovvenzionata (1.765 alloggi in totale). E ancora 8 milioni per il social housing, 20,6 milioni per la mitigazione del rischio sismico e 5,1 milioni per le opere di culto. Con la 27, ha poi ricordato Santoro, si sono aggiunti 5,7 milioni tra fondo di progettazione a favore degli enti locali (3,5 milioni per 78 interventi), verifiche sismiche (1,2 milioni) e contributi per micro-zonazione sismica (1 milione). Ma ci sono anche i 102 milioni per i dragaggi, i 121 milioni per l'edilizia scolastica (per 303 interventi finanziati e 181 cantieri) e i 100 milioni di opere sbloccate (oltre 170) in 100 comuni attraverso il "fondo volano". «Insieme alla Regione - riassume Comar - abbiamo condiviso un percorso importante e complesso: dagli aspetti legati al rispetto del patto di stabilità e alle soluzioni per contrastarne gli effetti devastanti all'obiettivo di una direttiva vincolante sui lavori pubblici, dal regolamento sul recupero degli edifici inagibili alla legge sulla casa. Tutto importante e utile ma, dati alla mano, non ancora in grado di ribaltare la situazione in senso positivo». Quello che manca è l'effetto leva: «L'amministrazione ha prodotto molto, ma ora serve rendere fluido il sistema in modo da valorizzare concretamente gli investimenti. Il mondo è cambiato e gli imprenditori ne sono consapevoli: non basta voltare pagina, è necessario cambiare libro». «È importante che tutti insieme prediamo atto che quello che è successo dal 2008 non è stato semplicemente un ciclo depressivo dell'economia - osserva da parte sua Santoro -, ma una vera e propria rivoluzione che probabilmente necessità una descrizione diversa della realtà». 9

CRONACHE LOCALI

Raffica di assunzioni all'università (Piccolo Trieste)

di Silvio Maranzana - «Quella universitaria è rimasta l’unica istituzione davvero europea fin dalla sua nascita». Calcando su queste parole, mentre lo scetticismo sull’Ue si va diffondendo e nuovi muri si alzano, il rettore Maurizio Fermeglia in un’Aula magna affollata di docenti, studenti, personale tecnico-amministrativo, autorità e invitati ha dichiarato aperto il novantatreesimo anno accademico dell’ateneo triestino. “Università e ricerca: ripartiamo dai valori fondamentali per l’Europa” era anche il tema scelto per la cerimonia. Dopo aver ricordato come sia stata la cultura a formare l’Europa, Fermeglia si è soffermato su Trieste. «Il livello della didattica in ateneo è a livelli eccellenti - ha affermato - mi piace mettere in evidenza un aumento degli immatricolati per due anni di fila, il 5% in più nel 2015-2016 e oltre il 10% in più nel 2016-2017, e l’alta percentuale (8%) di studenti stranieri, di gran lunga sopra la media nazionale. Ottimi sono anche i risultati in termini di internalizzazione del curriculum - ha aggiunto - il 14% degli studenti delle triennali fa un’esperienza di mobilità internazionale in altre università europee ed extraeuropee, anche in questo caso un valore più alto, per l’esattezza doppio, rispetto alla media italiana che è del 7%. Anche per le magistrali i dati legati all’internazionalizzazione sono più elevati rispetto alla media nazionale». Fermeglia, senza però fornire dati numerici, si è anche soffermato sul «tasso di occupazione dei nostri laureati di molto superiore alla media nazionale, così come più elevata è la retribuzione netta. I nostri laureati - ha specificato - sono riconosciuti dalle imprese e dalle istituzioni per la loro preparazione e per la loro apertura internazionale e il mercato di lavoro li premia». Anche sul fronte del corpo docente, il rettore ha ravvisato progressi: «Con soddisfazione segnalo che il reclutamento di nuovi professori negli ultimi due anni ha visto ben 53 promozioni interne e 75 nuovi docenti, di cui 54 giovani ricercatori. Nel 2017 - ha annunciato - prevediamo di continuare in questa direzione e procedere con il reclutamento di un centinaio di posizioni tra nuovi ingressi e promozioni interne di docenti, giovani ricercatori e personale tecnico amministrativo». Nelle graduatorie nazionali e internazionali, l’ateneo triestino si attesta su posizioni più che soddisfacenti. «Nella ricerca - ha affermato Fermeglia - il posizionamento dell’università di Trieste nei ranking internazionali è sempre buono e ci vede sempre tra le prime dieci università del Paese. È recente il lusinghiero posizionamento al 186.mo posto nel mondo. 75.mo in Europa e quinto assoluto in Italia nella classifica del U.S. News&world report education. L’ateneo triestino è anche presente con ben 48 scienziati nella lista dei Top italian scientists, ponendo l’ateneo al 22.mo posto al mondo. L’ateneo triestino - ha aggiunto ancora il rettore - si è imposto a livello nazionale e internazionale per la sua predisposizione al dialogo con altri Paesi. Nelle macroregioni europee abbiamo un ruolo rilevante e siamo in prima linea nei rapporti che l’Italia ha con i Paesi balcanici, l’Est Europa, l’Iran, il Giappone, l’Arabia Saudita e l’America latina». Fermeglia ha puntualizzato che «nelle scorse settimane gli organi hanno approvato il Piano di sviluppo strategico 2016-2018 che porterà l’ateneo fino al termine del mio mandato» e ha ricordato che «di recente il Collegio Luciano Fonda si è insediato presso l’ex Ospedale militare, una struttura di eccellenza sia dal punto di vista edilizio che dei contenuti didattici e di ricerca costruita attorno a una ventina di studenti meritevoli. Oggi la struttura è pienamente operativo - ha aggiunto - e accoglie docenti e studenti provenienti da tutto il mondo». Infine ha sottolineato come siano ripartiti «i cantieri per la ristruttrazione edilizia degli edifici del comprensorio di piazzale Europa e del Polo umanistico». 10

Terme, staccati i primi 100 ticket (Piccolo Gorizia-Monfalcone)

di Laura Borsani - Primi 96 utenti nel giro di due settimane. È il risultato di esordio, all’indomani dell’avvio del ticket sanitario alle Terme romane di via Timavo, a seguito della firma della convenzione tra la società Terme Romane e l’Azienda sanitaria Bassa Friulana Isontina. Si tratta di due tipologie di prestazioni ora coperte dal sistema sanitario, la balneoterapia e l’aerosolterapia. Prestazioni a fronte della presentazione dell’impegnativa medica. Il plafond per il 2017, anticipato dalla firma avvenuta due settimane fa a Palmanova, è di 300mila euro. Nell’ambito dell’autorizzazione riconosciuta dalla Regione, rientra anche la cura delle malattie dermatologiche. Qualcosa si sta muovendo e l’obiettivo resta quello di contenere in primis le “fughe” dal Friuli Venezia Giulia, se non arrivare a fare attrazione nei confronti di pazienti provenienti da altre regioni. I primi utenti per buona parte sono del monfalconese, ma sono anche triestini. Il direttore sanitario, Claudio Lautieri, mantiene prudenza ma definisce questo primo flusso di pazienti un «buon riscontro». E la copertura del ticket sanitario comprende dunque le cure dermatologiche, come il trattamento della psoriasi, l’acne, la dermatite seborroica al viso. «È evidente - spiega il dirigente medico - che la stessa vaporizzazione termale al volto, grazie alle proprietà riconosciute e storiche dell’acqua termale, è curativa, apportando chiari benefici alla pelle». Il progetto delle Terme Romane è quello ora di ampliare l’offerta delle prestazioni. Le caratteristiche del sito, peraltro, suggeriscono ben altri traguardi. Basta uno sguardo ai “sotterranei” dello stabilimento per capire le potenzialità ancora inespresse. Qui l’acqua termale che sgorga a 38-40 gradi, si insinua tra i “cunicoli” architettonici di epoca romana ancora intatti, tra le volte di pietra che disegnano una sorta di “tunnel”. Lo scenario è quello di un bagno termale tra i vapori che creano un particolare effetto-nebbia. Intanto di spendibile a breve termine ci sono specifiche “variazioni”. Come l’avvio di un ambulatorio dedicato alla medicina estetica. Sarà affidato ad un professionista specializzato in trattamenti non invasivi. Si parla, ad esempio, di peeling con acido glicolico, filler, trattamenti con laser e le iniezioni di botulino per la riduzione delle rughe, fino al trattamento delle macchie sebacee mediante la crioterapia. «Le attrezzature sono già in dotazione - spiega il dottor Lautieri -. L’avvio di questo filone è legato all’affidamento dell’incarico del medico per il quale sono in corso i contatti». Una sorta, insomma, di passo “propedeutico” in prospettiva anche ad un vero e proprio ampliamento nel settore del wellness. «Il principio di fondo - continua Lautieri - è sempre l’utilizzo e la massima valorizzazione delle proprietà dell’acqua termale a scopo sanitario. Ma per benessere intendiamo a 360 gradi. Benessere psico-fisico, e la medicina estetica rappresenta uno dei complementi del beneficio e del benessere della persona». L’obiettivo comune, condiviso dal direttore di stabilimento Gallerano Tentor e dal presidente della società Terme Romane, Gianfranco Colautti, è quello di sfruttare appieno le peculiarità termali sotto l’aspetto riabilitativo, dalla ginnastica alle attività ludico-motorie, ma anche sotto il profilo neurologico, ortopedico, oltrechè motorio, cardiologico e respiratorio. Altro progetto spendibile nel prossimo anno, entro il mese di maggio, riguarda la medicina sportiva. È infatti in definizione la collaborazione con il Coni. Si punta a far diventare le Terme romane un centro pilota per la medicina sportiva in ambito termale, nel trattamento degli eventi traumatici. Riabilitazione oltrechè prevenzione. Parte integrante è la ricerca scientifica, altro elemento rientrante nell’ambito delle autorizzazioni regionali conseguite dallo stabilimento. Da qui l’avvio della collaborazione con l’Università di Pisa in ordine alla ricerca dedicata alla geotermia e con l’Ateneo di Pavia per lo studio dell’idrologia medica. 11

«Ora i referendum sul lavoro» (Gazzettino Pordenone)

Soddisfazione per un risultato al di là delle attese per i sostenitori del no del comitato Democrazia costituzionale (che ha coinvolto anche Cgil, Fiom e Anpi): «I dati sono inequivocabili - commenta Gianluigi Pegolo, del coordinamento nazionale di Democrazia costituzionale -: la partecipazione è stata straordinaria, e ha vinto la posizione contraria allo stravolgimento della Costituzione. La sproporzione di mezzi che avevamo all'inizio era tale da rendere difficile la battaglia del no. Aver vinto in una situazione di questo tipo significa essere riusciti a penetrare nella sensibilità della gran massa dei cittadini italiani». Il comitato rivendica l'origine della battaglia, promossa da una serie di giuristi e dalla società civile, e nega il ruolo determinante da molte parti attribuito alla presa di posizione del presidente del Consiglio e del Governo: «L'elemento significativo - continua Pegolo - è stata la critica nei confronti di questa riforma costituzionale. Il comitato sottolinea di aver portato avanti un'attività decisamente più intensa rispetto a quella di altri fronti del no, e giudica un atto dovuto le dimissioni del premier. Esclusa ora di fatto la possibilità di un ritorno alle urne immediato, prima che si sia risolto il rebus del sistema elettorale, il comitato ha pronta la sua agenda: «Il problema che si pone ora è quello di vigilare su questo risultato, perché adesso la scommessa si gioca sulla modifica della legge elettorale, che non può che partire dalla sentenza della Suprema Corte relativa al porcellum e che ha riguardato soprattutto il premio di maggioranza e le liste bloccate». All'orizzonte ci sono poi i referendum sociali promossi dal sindacato: «Oltre a vigilare rispetto alla riforma elettorale - aggiungono Maurizio Marcon e Mario Bellomo, per Fiom e Flc Cgil -, c'è ora tutta la partita dell'attuazione della Carta costituzionale rispetto ai referendum sociali relativi al ripristino e all'estensione dell'articolo 18, alla cancellazione dell'estensione dei voucher e alla responsabilità dei committenti sulle attività date in appalto». «Questa vittoria del no costituisce un monito a tutta la classe politica - aggiunge Loris Parpinel (Anpi) -: si può porre mano alla Costituzione solo con il più ampio consenso». «La schiacciante vittoria del no che ha visto il M5S - sostengono i grillini - impegnato in una fervida campagna referendaria in città così come in tutta la provincia, dove gli incontri, i banchetti e l'attività coi nostri portavoce in Parlamento e in Senato hanno fatto la differenza anche sul nostro territorio. Ringrazio il nostro portavoce Europeo Marco Zullo che come sempre si è reso disponibile con la forza delle competenze che lo contraddistinguono. Ringrazio il nostro delegato di zona per la campagna referendaria nel pordenonese, Fabrizio Uda per la tenacia e la mole impressionante di lavoro svolta assieme e a tutti gli attivisti che con la loro preparazione e costante presenza danno linfa e senso al nostro operare. La vittoria è dei cittadini, sovrani nelle decisioni politiche, attori principali della democrazia. La vittoria è della massiccia affluenza che mette in luce un aspetto importante: l'arroganza e il sopruso oligarchico trovano una sola risposta nel popolo, la storia insegna». Lara Zani

L'impresa si preoccupa: «Instabilità pericolosa»

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La grande sedia ha i giorni contati (M. Veneto Udine)

di Davide Vicedomini - La grande sedia di Manzano sarà demolita. Tra pochi giorni – presumibilmente a cavallo tra la fine del 2016 e l’inizio del nuovo anno – quello che è stato il simbolo del distretto sarà smantellato e smaltito come rifiuto speciale. Manca infatti solo un’autorizzazione «che deve essere rilasciata dalle Belle arti», afferma l’assessore ai lavori pubblici, Angelica Citossi, e poi dalla rotatoria d’ingresso al paese non sarà più visibile la sedia da Guinness dei primati. Si chiude così un capitolo lungo 20 anni. Ma proprio in quell’area l’amministrazione comunale prevede di installare un nuovo simbolo. «Abbiamo dato mandato per uno studio di fattibilità», afferma il sindaco Mauro Iacumin. Il progetto è ancora top secret. L’ultimo consiglio comunale con l’approvazione di una variazione di bilancio di 38 mila euro (36 mila per lo smantellamento e 2 mila per il piano sicurezza) – fondi interamente a carico del Comune – ha dato il via libera alla demolizione della sedia. L’intervento è stato appaltato a tempi record e ad aggiudicarsi i lavori è stata un’associazione temporanea d’imprese della zona. Prima della distruzione è stata fatta un’analisi dei componenti chimici della sedia. Il legname è impregnato di solventi e sostante chimiche e quindi dovrà essere smaltito come rifiuto speciale. Nell’ottobre 2013 il primo crollo in seguito al quale l’intera rotonda era stata transennata per evitare pericoli all’incolumità di passanti e automobilisti. Il 6 novembre scorso la forte pioggia e il vento che non hanno dato tregua al Friuli hanno irrimediabilmente compromesso le già critiche condizioni dell’opera costruita negli anni Novanta. La massiccia spalliera del peso di 700 chili ha ceduto alle intemperie. A cedere è stato il cardine a sinistra e lo schienale è rimbalzato e scivolato a destra, fortunatamente senza creare problemi alla viabilità. «La sedia – spiega l’assessore Citossi – sarà smantellata in loco pezzo per pezzo. In una giornata si concluderanno i lavori. La sedia aveva una vita utile di 20 anni, come ha affermato lo stesso progettista. Solo nel 2006 era stata fatta una manutenzione. Ci siamo trovati quindi davanti a un’opera che presentava uno stato di degrado tale che non poteva essere recuperata». «L’area sarà ripensata – spiega il sindaco Iacumin –. L’ipotesi è quella di valorizzarla con un nuovo simbolo. Abbiamo a disposizioni fondi regionali e provinciali che potrebbero essere destinati a questa nuova opera». Intanto la grande sedia diventa terreno fertile per lo scontro politico. Nell’ultimo consiglio il gruppo Ricostruiamo Manzano ha presentato un’interrogazione che fa seguito a un’altra presentata nel 2015 in cui si rileva che «dopo il primo cedimento non è stato fatto nulla per salvare quello che è un biglietto da visita a livello internazionale. Si è atteso due anni per la demolizione – tuona il capogruppo Daniele Macorig – e ora non si sa ancora quale sarà il futuro dell’area. Questa amministrazione è incapace di decidere. E non c’è progettualità». 13