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Alberto Di Vita
04/12/2016
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Frank De Boer ha parlato, non ha detto molto, ma ha parlato senza alcuna acredine (sfido chiunque
a trovare animosità o astio nelle sue parole), analizzando la sua situazione con lucidità e semplicità.
Su queste pagine abbiamo individuato il problema in una, permetteteci di chiamarla così, guerra
interna tra almeno 3 fazioni in società, in cui ciascuno sembrava voler fare per conto proprio,
seguendo propri disegni e prospettive. Il tutto, ricordiamolo, a danno dell’Inter.
L’Inter, prima di tutto, dovrebbe guardare al suo interno per capire i suoi veri mali, e per “interno”
inteso come società: “I cinesi sono i capi, poi c’è la direzione, che è italiana. Loro hanno tutti il
potere, ma nessuno ha veramente il potere. Penso che questo sia ancora il problema più grosso.
Hanno davvero moltissima voglia di fare, ma per prima cosa dovresti guardare cos’hai all’interno e
com’è l’organizzazione”.
Se poi questo vuoto di potere lascia credito a qualcuno di far la guerra a ciò che non gli piace, a
partire dall’allenatore, delegittimandolo dal primo giorno, il risultato è garantito. Con l’aggravante
che un ambiente destabilizzato e “l’abitudine” a perdere diventano un vero e proprio virus, entrano
sotto pelle, ti fanno sentire meno sicuro, portano altre sconfitte. Perdere aiuta a perdere.
“Là c’erano il 70% di giovani cresciuti nel proprio ambiente che sapevano esattamente qual’era lo
scopo. Ora (nel senso: all’Inter) vai per un sistema di gioc interamente diverso, 433 con un pressing
più avanzato possibile. A volte è andata bene, per esempio contro la Juve. Solamente che c’erano alti
e bassi. Questo semplicemente perché richiede molto tempo. Guarda il Napoli, là ci sono voluti otto
anni per ricevere il ritorno dell’investimento. Ma all’Inter si aspettavano che accadesse entro due
settimane. Non funziona così”.
L’intervista è del giornale Ziggo Sport. L’hanno ripresa molti siti dopo la pubblicazione su
FCInterNews. Non ho trovato l’originale: le uniche due testate olandesi che la riportavano integrale
erano Voetbalprimeur e, poco dopo, Elvoetbal. La traduzione iniziale era imprecisa: ringraziamo
l’utente @milestemplaris, in arte Hendrick v.d. Decken di Twitter per l’aiuto nella traduzione
corretta:
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L’Intervista, nella sua semplicità, mette a nudo una serie di aspetti non indifferenti, ognuno ne
tragga le sue.
La vicenda delle “due settimane” è piuttosto raccapricciante, anche perché, conoscendo la
precisione del tecnico e la disabitudine alle iperboli, c’è da ritenere che si tratti di due settimane
reali, non di un modo di dire. Il che apre anche questioni relative alla cultura calcistica, anzitutto di
chi sta in società, incapace di difendere il tecnico, sostenerlo e proteggerlo a 360°, a prescindere da
chi lo abbia scelto e a prescindere dei propri personalissimi desiderata, sogni e ambizioni, che si
tratti di allenatori argentini o meno.
A ruota, i calciatori, che di De Boer avrebbero dovuto prendere un esempio: la capacità, umana e
professionale, di continuare a lavorare seriamente, senza protestare, senza alzare polveroni, senza
imbizzarrirsi, senza sfasciare tutto. Che è una martellata sulla dignità di chi gli ha giocato anche
palesemente contro (al di là del fatto che, oggi, sta anche giocando peggio).
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E non sono da escludere i tifosi, che con questa fottuta ansia di dover essere subito competitivi,
subito, presto, veloce, nell’immediato, criticano più o meno chiunque a prescindere e “creano
ambiente”: poi ti guardi alle spalle e vedi che si avvicina il settimo anno di rifondazione. Alla faccia
della rapida competitività e delle ambizioni.
Mentre sull’ambiente calcio e sui media, meglio tacere, oggi, perché tanto abbiamo scritto vagonate
e fiumi di parole: per loro non è un problema di cultura ma di sopravvivenza o di anima venduta al
diavolo.
OGGI PIOLI
Frank De Boer si era espresso due volte, in maniera chiara e precisa, prima del suo esonero:
Io da questa esperienza esco a testa alta, sicuro di aver dato il massimo. Vi auguro il meglio, ma
anche con un altro allenatore al mio posto, se non lavorerete tutti insieme non cambierà niente […]
Non è che con un altro allenatore questi problemi si risolveranno, un altro tecnico dovrebbe
affrontare le stesse problematiche. Conta solo che Suning creda in questo progetto e che noi
possiamo sistemare la situazione Frank De Boer
L’altro allenatore è Stefano Pioli, che si è trovato una squadra piena di problemi, costruita male, con
manchevolezze imbarazzanti, e una situazione ancora peggiore attorno alla squadra. Quando si
criticano, giustamente, i calciatori, va ricordato anche che fare delle ottime prestazioni in campo
dipende da molti fattori, e soprattutto hai sempre e comunque un avversario che può essere migliore
di te, come nel caso del Napoli: chi sta seduto dietro ad una scrivania, fa delle foto sorridenti e
interviste piene di banalità, dovrebbe avere vita più facile nell’organizzare le cose.
Viene voglia di deresponsabilizzare Stefano Pioli, perché subentrare in questo inferno è quasi da
“lasciate ogni speranza, voi ch’entrate”.
Pioli, però, non è incolpevole del tutto.
Avevamo scritto su queste pagine che il vero match si giocava a metà campo, ma che sarebbero stati
fondamentali i movimenti dei terzini in relazione agli esterni napoletani, che fanno un lavoro molto
diverso da quelli interisti. Se quelli dell’Inter scappano sempre in profondità, talvolta accentrandosi,
quelli del Napoli giocano molto “incontro”, offrono sponde, lasciando gli esterni liberi per gli
inserimenti dei centrocampisti. Ed è esattamente quello che è successo sul secondo gol.
Una tattica che si è concentrata soprattutto sulla sinistra: è bastato vedere come l’Inter abbia
sofferto, da quel lato, la Fiorentina ma anche parzialmente il Milan (anche se i gol sono arrivati
dall’altro lato). La #passmap del Napoli è chiarificatrice, squadra asimmetrica, ma soprattutto da
apprezzare non solo la disposizione Hamsik/Insigne, ma quella di Zielinski/Callejon, con lo spagnolo
spesso più arretrato del calciatore polacco, per portare fuori Ansaldi. Mentre dall’altro lato
D’Ambrosio usciva a caso, sbagliando tempi e modi (come accaduto, per esempio, con la Fiorentina
in occasione del secondo gol):
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Era facilmente prevedibile il tipo di gioco del Napoli. Temevamo che l’Inter riproponesse questa
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tendenza, vista più contro la Fiorentina che contro il Milan, di accelerare i tempi di passaggio, per
sgravare difesa e mediani dal compito di giostrare e creare gioco. Questo ha portato ad un certo
numero di errori nelle peggiori zone del campo, consentendo al Napoli di andare al tiro dentro l’area
con straordinaria facilità:
Il Napoli si è adattato, anche rinnegando in parte la propria vocazione: ben il 66% del possesso
azzurro è stato nella propria metà campo. Ma non è un demerito: ha aspettato il pressing dell’Inter,
spesso sbagliato nei tempi, nei modi e nell’intensità, per poi ripartire a metà campo sguarnita e
difesa disposta male. E, in fase di non possesso, accorciando la squadra in pochi metri di campo,
dispondendosi compatta con un 4-5-1 che l’Inter ha sofferto moltissimo e che le ha consentito, nel
primo tempo, azioni solo su errori del Napoli.
Non inganni il possesso palla finale, perché sul 3-0 il Napoli ha fatto accademia: il possesso nel
primo tempo è andato oltre il 60%. E se prendiamo i primi 15 minuti il confronto è imbarazzante:
7’43 di possesso Napoli, 1’53” di possesso Inter; nella prima mezz’ora 13’04” Napoli, 6’34” Inter. I
nerazzurri non ci hanno proprio capito niente, costruendo molto sulla confusione
Kondogbia/Brozovic, lasciando soprattutto al croato una quantità enorme di palloni da gestire, lui
che non ha grandi doti di regia ed è pronissimo all’errore anche banale e superficiale.
Costruendo, inoltre, molto sulle fasce e continuando imperterriti a sfruttare Icardi, che ha, sì, tirato
in porta 3 volte, ma che ha toccato appena 8 palloni in tutta la partita. Palacio non arriva a 5, Eder
13, Candreva 30. Per dire, Gabbiadini 25, Callejon 41 e Insigne 51: qui è anche un problema di
tattica, se il tuo attacco vede pochi palloni. Li cerchi sempre e solo in profondità, gli chiedi di
verticalizzare rapido ma hai una metà campo e due terzini che di capacità di lanciare rapido e
preciso non ne hanno: chi avrebbe dovuto farlo?
L’unico era Banega, ma ha toccato 20 palloni (tutte le statistiche sono Opta) e tutte troppo avanti: ha
spesso fatto la seconda punta, salvo poi disperarsi pur di toccare un pallone.
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È vero, hai portato al tiro più spesso sia Candreva che Perisic: ma il contraltare di questo dato è
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costituito da una disposizione, in fase di transizione negativa, che equivale ad un suicidio,
soprattutto contro il Napoli.
Speravamo, ci auguravamo un tantino di equilibrio e di buon senso in più, soprattutto in questa
partita che doveva servire soprattutto per il morale, visto che non si sarebbero scalate posizioni di
classifica (almeno si sarebbero accorciate, vincendo).
Anche sulle scelte in campo qualche perplessità. Perché questo Kondogbia, mi arrendo anche io, è
impresentabile a questi livelli e la coppia con Brozovic è probabilmente la più deleteria possibile nel
nostro centrocampo dopo quella con Melo e con Medel. Così come insistere su Ranocchia, che per
quanto Murillo possa essere impreciso, non lo è meno né dell’italiano né di questo Miranda, capitano
coraggioso, inguardabile.
I CALCIATORI
Abbiamo paragonato l’inizio di Napoli-Inter con l’inizio di Inter-Fiorentina. Il senso di quel paragone
era tutto lì, solo lì: recriminare del “ci segnano alla prima occasione” ha poco senso se 5 giorni prima
ti sei beato di averlo fatto tu, prendendotene merito. Per il resto non c’è altro paragone possibile.
La Fiorentina, dopo 20 minuti di bambola totale, con una tattica sbagliata dell’allenatore e calciatori
svogliati e in preda alla presunzione, ha reagito. L’Inter, dopo 20 minuti di bambola totlae, con una
tattica sbagliata dell’allenatore e calciatori svogliati e in preda alla presunzione, ha provato a
reagire per qualche minuto, provando anche a sfruttare 3 gravi errori a metà campo del Napoli, ma
poi è affondata.
La Fiorentina in 11 ha rischiato di subire il 4° gol più volte, così come ha rischiato l’Inter: ma i viola
hanno venduto cara la pelle, l’Inter no. A fine partita, alla Fiorentina si è tributato anche un
doveroso omaggio dalle sponde nerazzurre per l’impegno, l’abnegazione, il tentativo di metterci
persino qualcosa in più del “tutto”: ai calciatori interisti no.
Non è l’Inter più scarsa degli ultimi anni. In molti dimenticano che si è arrivati a giocare con Pasa
centrale in coppia con Cambiasso, Kuzmanovic, Guarin, Cassano, Rocchi, Pereira e Alvarez. Quella
era una formazione inguardabile e fuori da ogni logica della Serie A: non questa.
Questa è una formazione dignitosa, con buone individualità e che ha anche fatto ottime partite, come
contro la Juventus, contro il Torino o contro il Milan.
Quindi, no, personalmente non gli concedo l’attenuante del “sono scarsi”, perché non sono così
scarsi. Non è una squadra da 10 gol subiti in 4 partite (segnandone appena 8), non è una squadra da
13 reti subite in trasferta (su 8 fatte), 2 vittorie, 1 pareggio e ben 5 sconfitte… escludendo l’Europa
League, ovviamente, altrimenti il conto delle trasferte diventa sanguinoso.
Gli concedo, solo parzialmente, il problema della condizione fisica, che è certamente imbarazzante e
che va cercata nella continua lite estiva tra Mancini e la società: impensabile ritrovarsi a questi
livelli con questo stato di forma a dicembre. Né è lecito pensare che la sosta possa aiutare molto: si
dovrà decidere se durare 50-60 minuti da gennaio a fine campionato oppure se partire con due/tre
partite a rilento (Udinese, Chievo e Palermo), per poi fare due mesi e mezzo di buona forma, calando
nuovamente nel mese, mese e mezzo finale.
Brutta scelta comunque, che dovrà essere fatta a suo tempo. Perché adesso c’è il Genoa, che non è
certamente avversario agevole né morbido. Anzi.
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PREPARAZIONE PSICOLOGICA
En passant, la mettiamo lì giusto sul ridere perché non resta altro da fare. Quando si parla di
“psicologia”.
Oggi sulla Gazzetta dello Sport ci sono le dichiarazioni di Gian Piero Gasperini dopo la sconfitta 3-1
subita dalla Juventus.
Sobbalzi sulla sedia quando leggi queste cose, soprattutto da un allenatore che l’ha preparata
scientificamente male… oh, è il primo allenatore che lascia Pjanic completamente senza alcuna, non
dico marcatura, ma neanche attenzione tattica: mezz’ora di libertà assoluta al giocatore più tecnico
della Juventus che aveva mostrato di soffrire, e molto, certe attenzioni tattiche. Macché.
Però fa ridere la questione del “livello mentale”, detto da un allenatore che l’aveva preparata con
queste dichiarazioni alla stampa:
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Un buon modo per dare fiducia ai tuoi, eh, vecchio cuore bianconero!
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