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03 dicembre 2016 delle ore 02:11
Della stessa sostanza di pietre e stelle
È in corso a Roma una vasta retrospettiva su Jean Arp. Artista finora non interamente apprezzato
da critica e mercato. Proviamo qui a spiegare cosa c’è da scoprire
Non più centro dell’universo, né misura di tutte
le cose, l’uomo di Jean Arp è pari a un albero
sans racines (senza radici) o a una pietra
"riempita d’aria”. La donna, liberata dalla
prigionia del corpo, è femme paysage in una
sintesi tra l'elemento antropomorfo e quello
naturale. La stessa immagine dell'artista viene
messa in discussione, tanto che Arp aspira
all'anonimato, diventando parte di un contesto
più vasto. In un secolo di narcisismo e di
autoreferenzialità (basti pensare a Picasso o a
Dalì) l'artista francese preferisce uscire di scena
lasciando solo alle sue opere il ruolo di
testimoni. Opere che adesso sfidano l’antico
splendore del luogo dove sono esposte e che si
proiettano in direzione di una visione
cosmogonica in cui l’uomo, le stelle, le pietre
parlano con le colossali Terme di Diocleziano
di Roma. Il dialogo che intercorre è basato su
alcuni concetti fondamentali ai tempi di Arp che
risentono di tutto il contesto storico in cui sono
calati. È il 1916 e le parole-chiavi sono fluidità,
libertà, affermazione di principi apparentemente
illogici e rottura definitiva con l'accademismo
classico. All’origine di un cambiamento così
radicale sta l’intuizione (dovuta alle conseguenze
della guerra, alla disgregazione sociale e ai
grandi sconvolgimenti politici) del Dada:
quella corrente nata al Cabaret Voltaire di
Zurigo esattamente 100 anni fa. Tra i suoi
fondatori c’è proprio Jean Arp, scultore, pittore,
poeta, in mostra ora a Roma con oltre 80 opere
alle Terme di Diocleziano (sino al 15 gennaio).
Ma Jean Arp rimane un artista non
particolarmente "metabolizzato” dal sistema
dell’arte.
Il portato culturale nell’ambito dell’innovazione
scultorea da lui apportato lo imporrebbe alla
ribalta della scena contemporanea. Nonostante
sia stato capace di rimettere in arte il senso
profondo della forza creatrice della natura e di
dialogare con le voci delle avanguardie storiche
strizzando l’occhio alla plasticità formale dei
progetti dei più celebri architetti, la figura di
Jean Arp resta ancora in penombra. Lo dicono
anche le valutazioni di mercato, le cui
quotazioni non arrivano neppure lontanamente
a quelle di altri scultori. Perché per esempio le
sue sculture non fanno oscillare i prezzi delle
aste come fanno quelle di Giacometti? La
missione di una mostra come questa quindi, con
la malia del luogo che la ospita e che espone un
catalogo di lavori (alcuni mai esposti prima) che
spaziano tra sculture, arazzi, dipinti e rilievi,
più di un debito nei suoi confronti, da Santiago
Calatrava a Zaha Hadid sino a Massimiliano
Fuksas con la sua Nuvola».
Anna de Fazio Siciliano
non è solo quella di offrire la corretta
conoscenza di uno dei maggiori esponenti
dell’arte del Novecento, ma anche quella di
restituire il giusto merito a un artista che
nonostante abbia conquistato un posto d’onore
all’interno della fondazione del Dada, è ancora
considerato un outsider, uno scultore marginale
sulle pagine della storia dell’arte e nelle stime
di mercato. La cura di questa vasta retrospettiva
(mancava da decenni uno studio aggiornato),
caricata delle responsabilità qui esposte, è
affidata ad Alberto Fiz, al quale abbiamo rivolto
un paio di domande. Perché la mostra si fa alle
Terme di Diocleziano, c’è un possibile legame
tra Arp e l’antico? «Durante la sua esistenza,
Arp si è interrogato, senza alcun pregiudizio,
sulla peculiarità del linguaggio che per lui
rappresenta un luogo d'analisi trasversale. In
arte non c'è evoluzione, ma solo cambiamento
e in questa logica il maestro francese attinge
all'arte cicladica, così come alla Danaide di
Auguste Rodin a cui è dedicato un bronzo
struggente esposto in mostra. Il torso, poi, è
tema antico che Arp ha saputo riattualizzare
dandogli nuova energia. Nella sua indagine, la
parte sostituisce il tutto in una costante
ambiguità tra la figura e il suo alter ego di
carattere naturalistico. Da Torse-nombril, un
rilievo in legno del 1915, a Torse des Pyrénées,
un bronzo del 1959 proveniente dal museo di
Strasburgo, la città dove Arp è nato nel 1886,
la mostra conferma quanto questo soggetto sia
cruciale nel suo excursus creativo».
Qual è stata la vera impronta impressa da Jean
Arp al Dadaismo? «Direi la necessità del caso.
Arp s'interroga sui processi della natura
rifiutando qualunque imposizione dogmatica o
ideologica. Per lui les lois du hasard sono
l’espansione di un pensiero che supera i limiti
della razionalità per diventare immanente e
panteistico assorbendo il processo naturale nel
suo divenire. Del resto, già Democrito
osservava che "tutto ciò che esiste è frutto del
caso e della necessità” e nel 1970 il filosofo e
biologo francese Jacques Monod ci ricorda che
soltanto il caso è all'origine di ogni novità, di
ogni creazione nella biosfera. Dalle leggi del
caso scaturisce l'indagine sull'arte fluida,
organica e biomorfa, di cui Arp è tra i maggiori
artefici. La sua opera, del resto, è stata
fondamentale anche per l'architettura contemporanea
che tende ad affermare le geometrie instabili e
la molteplicità delle istanze nell'ambito di una
creazione metamorfica. Sono in molti ad avere
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