n°28, 20 novembre – 3 dicembre 2016

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N°28, 20 NOVEMBRE – 3 DICEMBRE 2016
ISSN: 2284-1024
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www.bloglobal.net
Weekly Report
Osservatorio di Politica Internazionale (OPI)
© BloGlobal – Lo sguardo sul mondo
Milano, 4 dicembre 2016
ISSN: 2284-1024
A cura di:
Giulia Bernardi
Oleksiy Bondarenko
Davide Borsani
Alessandro Costolino
Giuseppe Dentice
Danilo Giordano
Vladislav Krassilnikov
Antonella Roberta La Fortezza
Giorgia Mantelli
Fabio Rondini
Maria Serra
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Parti di questa pubblicazione possono essere riprodotte, a patto di fornire la fonte nella seguente forma:
Weekly Report N°28/2016 (20 novembre – 3 dicembre 2016), Osservatorio di Politica Internazionale (OPI), Milano
2016, www.bloglobal.net
Photo Credits: Reuters/Carlos Garcia Rawlins; Reuters/Maxim Shemetevo; AP Photo/Carolyn Kaster; AP
Photo/SANA; Eric Feferberg/AFP.
FOCUS
SIRIA-IRAQ ↴
Dopo mesi di stallo nei combattimenti porta a porta ad Aleppo Est, la città martire
della guerra civile siriana sembra conoscere una nuova fase in favore delle forze di
Assad, coadiuvate dai raid aerei dell’alleato russo. Infatti con l’avvio della cosiddetta
“fase due” della Battaglia di Aleppo, coincidente con il rafforzamento della forza
di fuoco aerea russa nel Paese, le forze governative siriane hanno riguadagnato il
controllo di cinque distretti del territorio orientale della città, pari a circa il
70% del controllo locale, e continuano ad avanzare senza trovare una grande opposizione da parte delle rimanenti brigate ribelli e islamiste presenti ad Aleppo.
La rapidità di azione e di riconquista dei territori in questione hanno fatto ipotizzare
al vice Ministro degli Esteri russo, Mikhail Bogdanov, la possibilità che le forze proregime saranno capaci di riconquistare l’intera città di Aleppo entro le prossime sei settimane. Una situazione favorita anche dalle difficoltà (logistiche, militari
e di rifornimenti) incontrate recentemente dalle forze ribelli nel contrastare la superiorità dei lealisti. Questa condizione di inferiorità potrebbe pertanto favorire una ritirata strategica e la ripresa di un dialogo non ufficiale con Russia, Turchia e gli attori
diplomatici coinvolti, in modo da garantirgli un salvacondotto sicuro all’infuori di
Aleppo. Una tesi, questa, confermata sia dall’inviato speciale delle Nazioni Unite,
Staffan De Mistura, sia dal Ministro degli Esteri russo, Sergej Lavrov.
Secondo le Nazioni Unite dall’attacco del 15 novembre sono morti oltre 300 civili,
mentre 31.000 persone hanno abbandonato le loro case.
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CAMPAGNA MILITARE SU ALEPPO (UPDATE AL 04/12/2016) – FONTE: LIVEUAMAP.COM
Il successo militare e strategico di Aleppo potrebbe trasformarsi per Assad in un ulteriore step verso la ripresa del controllo sul Paese o comunque su quel che viene
reputato ancora rilevante dal regime damasceno. Infatti, come spiegato nelle settimane addietro dal Ministro della Difesa russa, Sergej Shoigu, l’avvio in parallelo di
una “grande operazione” contro lo Stato Islamico (IS) e Jabhat Fatah al-Sham (già
Jabhat al-Nusra) nelle province di Idlib e Homs permetterebbe ad Assad di dare una
svolta al conflitto, ponendo allo stesso tempo fine a qualsiasi ipotesi di resistenza
armata degli insorti. Pertanto risulteranno cruciali le prossime battaglie nella
roccaforte dei ribelli della stessa Idlib e di al-Bab. Quest’ultima in particolar
modo si sta trasformando in un teatro di confronto serrato tra interessi multipli contrapposti: da un lato le truppe siriane, spalleggiate dalle milizie delle SDF e del YPG,
che mirano a strappare territori agli insorti anti-Assad, permettendo ai curdi di costruire la propria Federazione di Cantoni nel nord della Siria; dall’altro l’esercito turco,
in supporto dei ribelli laici del Free Syrian Army, intervenuti dall’agosto scorso nello
scenario di crisi siriano proprio per scongiurare una possibile presenza curda lungo
tutto il confine condiviso con la Turchia. Proprio Ankara ha denunciato un presunto attacco aereo del regime siriano avvenuto vicino al-Bab contro un
avamposto di confine in territorio turco che ha ucciso tre soldati delle Forze Armate
turche. Il Premier Binali Yildirim ha avvertito che la Turchia «risponderà a tono contro
qualsiasi attacco minanti la stabilità del Paese». Una situazione esplosiva e foriera
dunque di nuove minacce alla stabilità regionale.
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Contestualmente, un importante attore regionale come l’Egitto si trova sempre più
coinvolto nelle dinamiche siriane. Dopo settimane di smentite, Il Cairo ha ufficialmente preso posizione nella guerra dichiarandosi al fianco di Assad e ha inviato consiglieri militari e una forza aerea a Quneitra, nel Golan, e ad Hama. Il
coinvolgimento del governo al-Sisi nello scenario di guerra siriano conferma ancora
una volta la svolta strategica che ha assunto di recente la postura di politica estera
egiziana, passando dal campo filo-saudita a quello più vicino alla Russia e in prospettiva anche iraniano.
Mentre lo scenario siriano conosce nuove dinamiche e possibili complicazioni, in Iraq
la Battaglia per Mosul vive una situazione di sostanziale stallo dettata da difficoltà militari e politiche.
CAMPAGNA MILITARE SU MOSUL (UPDATE AL 04/12/2016) – FONTE: LIVEUAMAP.COM
Infatti, nonostante l’accerchiamento della seconda città del Paese da parte delle Forze
di Sicurezza Irachene (ISF) e delle milizie pershmerga curdo-irachene, l’IS ha intensificato la sua campagna di terrore contro i civili e contro l’esercito iracheno. Da un lato nel tentativo di scoraggiare e mortificare gli sforzi della popolazione evitando di dare appoggio ai militari iracheni, dall’altro per dimostrare l’ancora
forte presa sul territorio, anche attraverso strumenti di tortura e repressione nei confronti dei civili.
Alle rappresaglie di IS in città e nei dintorni, fanno da contraltare però le inquietudini
e le difficoltà emerse in campo prettamente politico derivanti sia dal ruolo delle milizie
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sciite sul territorio sia dall’incapacità dell’esecutivo e delle istituzioni irachene di impedire violenze settarie nuove e sempre più frequenti, che potrebbero permettere nel
prossimo futuro il germogliare di nuove forme di Stato Islamico e/o di al-Qaeda in
Iraq. Con l’intento di rafforzare la presenza sciita dopo aver liberato il quadrante
settentrionale iracheno e l’area di Tal Afar dalla presenza di IS, le milizie in questione hanno fin da subito attuato azioni contrarie alla maggioranza sunnita
in loco alienando loro proprietà, effettuando esecuzioni extragiudiziali e favorendo,
infine, l’emergere di forme di violenza contro la popolazione locale, che rischiano di
alimentare nuovi scontri settari come già avvenuto nelle precedenti campagne militari
a Tikrit e a Falluja, dove sono state molteplici le accuse di abusi e attacchi da parte
di queste milizie contro la cittadinanza sunnita locale. Un ambiente permissivo che
potrebbe quindi dar luogo ad una nuova rivolta sunnita, ma anche complicare un
qualsiasi discorso di un Iraq post-IS pacificato a causa della, almeno apparente, voglia di rivincita sciita contro le comunità sunnite locali, emarginando quest’ultime e
riproponendo le stesse dinamiche che hanno caratterizzato l’ascesa di IS in Iraq fin
dal 2012.
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STATI UNITI ↴
Il governo di Donald Trump sta progressivamente prendendo forma. Dopo aver deciso
di farsi affiancare da tre “falchi”, quali il Senatore Jeff Sessions al Dipartimento della
Giustizia, il Tenente Generale Mike Flynn nel ruolo di Consigliere per la Sicurezza
Nazionale e il Rappresentante del Congresso Mike Pompeo in qualità di Direttore della
Central Intelligence Agency, Trump ha dichiarato l’1 dicembre durante un comizio a
Cincinnati, in Ohio, che sarà il Generale in congedo James Mattis, «quanto di più
simile abbiamo al generale George Patton», a guidare il Pentagono.
Fervente critico della politica mediorientale dell’amministrazione Obama, il prossimo
Segretario della Difesa ha guidato la divisione dei Marine nel corso dell’invasione
dell’Iraq nel 2003 ed è stato a capo dal 2010 al 2013 dello United States Central
Command (CENTCOM). Nel corso della sua carriera, Mattis ha articolato una visione del ruolo degli Stati Uniti nel mondo nettamente in contrasto con la
postura isolazionista propugnata da Trump. In occasione di un’udienza congressuale tenutasi nel gennaio 2015, ad esempio, Mattis ha dichiarato che «[l’]ordine
internazionale richiede un impegno da parte di un’America che sia un leader saggio,
sostenendo incondizionatamente le libertà di cui noi tutti […] abbiamo goduto». Il
contrasto allo Stato Islamico (IS) sembrerebbe essere in cima alla lista delle priorità
di Mattis, il quale si è ripetutamente espresso a favore di una stretta collaborazione,
in particolare sul piano dell’intelligence, con gli alleati degli Stati Uniti nella regione
mediorientale. Ancora più significative sono le differenze con il Presidente eletto in
merito all’accordo sul nucleare iraniano: se per Trump esso «sarà ricordato come uno
dei peggiori accordi mai conclusi», Mattis ritiene che denunciare il trattato danneggi
gli interessi nazionali americani, benché egli ritenga che «[l’]Iran non sia uno Statonazione, [bensì] una causa rivoluzionaria determinata a seminare caos».
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Se, però, la nomina di Mattis parrebbe sollevare un importante interrogativo sul
piano legale, richiedendo l’ordinamento federale degli Stati Uniti un periodo di attesa di sette anni prima che un ufficiale di alto rango dell’esercito cessato dalle sue
funzioni possa ricoprire un ruolo governativo, il controllo repubblicano del Senato e
l’approvazione già espressa da John McCain, Presidente della Commissione Servizi
Armati del Senato, sembrerebbero suggerire che egli otterrà la deroga necessaria per
subentrare nel ruolo di Segretario della Difesa.
Donald Trump ha, inoltre, annunciato che sarà Nikki Haley, attuale Governatrice
del South Carolina, a rappresentare gli Stati Uniti alle Nazioni Unite in qualità
di Rappresentante Permanente, nonostante le severe critiche da lei rivoltegli durante
la stagione elettorale per via di suoi presunti legami ad ambienti vicini al nazionalismo
bianco.
Particolare attenzione mediatica ha attirato la scelta di Trump di nominare a capo
di numerosi Ministeri personalità multimilionarie, alcune delle quali legate al
mondo della “grande finanza” – da Steven Mnuchin, già dirigente di Goldman Sachs,
al Dipartimento del Tesoro, a Wilbur Ross, investitore multimiliardario presso la Rothschild, al Dipartimento del Commercio, fino a Elaine Chao e Betsy DeVos, entrambe
provenienti da famiglie di grandi impresari, rispettivamente al Dipartimento dei Trasporti e al Dipartimento dell’Istruzione – tanto da spingere il Washington Post a descrivere la prossima amministrazione come «la più ricca della storia americana moderna». Il quadro è completato dalla nomina dello Strategic and Policy Forum, un
ristretto gruppo di lavoro informale, composto in larga misura da dirigenti di grandi
multinazionali, deputato all’elaborazione delle politiche economiche del nuovo esecutivo. Infine, a capo del Dipartimento della Salute sarà posto Tom Price, Presidente
della Commissione Bilancio alla Camera con precedente esperienza medica, distintosi
per la sua strenua opposizione all’Affordable Care Act, meglio noto come Obamacare.
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BREVI
CUBA, 26 NOVEMBRE ↴
A poco più di una settimana dalla morte di Fidel Castro,
annunciata alla televisione di Stato dal fratello Raúl, ci
si interroga da più parti sugli effetti che questa notizia
potrà avere sul processo di transizione politica nell’isola
e sullo sviluppo del dialogo con gli USA. In merito al
primo punto in molti sembrano ritenere che con la
scomparsa del dittatore cubano, che ne rappresentava
ormai uno degli elementi ostativi, si potrà sostenere e accelerare, attraverso la
creazione di un nuovo gruppo dirigente in grado di accompagnare i cambiamenti
nell’isola, una transizione che si presenta peraltro piuttosto complicata: le riforme
adottate per migliorare le pessime condizioni economiche del Paese sono infatti in
fase di stallo da due anni e il rapido collasso economico del Venezuela chavista, con
cui Fidel aveva un rapporto simbiotico, ha peggiorato le condizioni del paese,
mettendo a rischio gli enormi sussidi grazie ai quali Cuba si è retta nell’ultimo
decennio. Quanto al secondo punto, sebbene non risulti semplice comprendere le
posizioni del Presidente eletto Donald Trump tra le dichiarazioni contraddittorie
riguardanti la rinuncia dell’accordo del 2014 che prevede il miglioramento dei rapporti
diplomatici e commerciali tra Stati Uniti e Cuba, sancito dall’attuale Presidente Barack
Obama e dall’omologo cubano Raúl Castro, e la promessa di una “intesa migliore”,
non vi è dubbio come la destra repubblicana, che, per mezzo degli esponenti di origini
cubana Ted Cruz e Marco Rubio in rappresentanza degli esuli anti-castristi negli Stati
Uniti, ha sempre contestato il disgelo diplomatico, accusando l’amministrazione
Obama di assolvere il regime castrista, di dargli carta bianca per gli abusi contro i
diritti umani e di fare troppe concessioni senza ottenere nulla in cambio, possa
considerare non negativamente l’avvenimento, pur rimanendo una sostanziale
incertezza sulle relazioni future e sullo sviluppo del dialogo tra i due Paesi.
FRANCIA, 27 NOVEMBRE ↴
Il ballottaggio tra François Fillon e Alain Juppé
nell’ambito delle primarie del partito di centro-destra
Les Républicains (LR) per la corsa all’Eliseo nel 2017 si
è concluso con la vittoria del primo con il 65,5% dei
consensi contro il 33,5%. Sulla vittoria del Primo
Ministro ai tempi della Presidenza di Nicolas Sarkozy
(2007-2012) ha evidentemente contribuito il riversamento su di questo dei voti dei
sostenitori dello stesso ex Presidente, significativamente sconfitto durante il primo
turno della consultazione partitica (20 novembre) – solamente terzo con il 20,6% dei
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voti – e che per tale ragione ha annunciato il ritiro dalla scena politica. Conservatore
sui temi riguardanti la società e la famiglia, liberale in economia – da meritarsi un
accostamento alla “destra tatcheriana” –, di posizioni più prudenti e più vicine al
gollismo tradizionale sui temi europei, Fillon sfiderà dunque nella prossima primavera
(23 aprile-7 maggio) Marine Le Pen del Fronte Nazionale (FN), nonché il vincitore
delle primarie del centro-sinistra del 22-29 gennaio. Dopo l’annuncio del Presidente
François Hollande circa la rinuncia a correre per un secondo mandato, e dopo la
decisione dell’ex Ministro dell’Economia del governo Valls II, Emmanuel Macron, di
presentarsi come candidato indipendente, è atteso che sarà proprio l’attuale Primo
Ministro Manuel Valls a doversi confrontare con gli esponenti dell’ala più di sinistra
del Partito Socialista (PS): l’ex Ministro dell’Economia Arnaud Montebourg, l’ex
titolare all’Educazione Benoît Hamon e la Senatrice e politico di lungo corso MarieNoëlle Lienemann; hanno inoltre annunciato la propria candidatura alla primarie i
rappresentanti delle formazioni ecologiste, Jean-Luc Bennahmias e François de Rugy.
Il temporeggiare di Valls circa la sua candidatura dinnanzi alla rinuncia di Hollande,
quest’ultima prevedibile alla luce dell’assai scarso indice di popolarità (al 4% secondo
un’inchiesta condotta a fine ottobre dal Centre de recherches politiques de Sciences
Po per Le Monde, il gradimento più basso di sempre nei confronti di un Presidente
della Repubblica), rischia di indebolire ulteriormente la posizione del governo uscente
– criticato su tutte le maggiori questioni di politica interna, a cominciare dallo stato
dell’economia, ed estera – nell’ambito sia della competizione intra-partitica socialista
sia di quella presidenziale. Secondo due diverse rilevazioni condotte da Harris
Interactive per il Parlamento e il Senato della Repubblica e da Odoxa per France
Télévisions, infatti, chiunque sarà il candidato della gauche, questo non riuscirebbe a
superare il 10%, ma si posizionerebbe in ogni caso dopo Macron (nei sondaggi al 1214%) e dopo Jean-Luc Mélenchon (dato al 12-13%), esponente indipendente della
sinistra radicale e già in corsa per le presidenziali del 2012: François Fillon dovrebbe
riuscire a battere al ballottaggio Marine Le Pen con un distacco del 30-40%.
LIBIA, 29 NOVEMBRE ↴
Nel quadro di un ormai chiaro avvicinamento tra
Tobruk e Mosca, ha avuto luogo la visita ufficiale di
Khalifa Haftar nella capitale russa. Il Generale libico ha
qui incontrato il Ministro degli Esteri russo, Sergej
Lavrov, il Ministro della Difesa Sergej Shoigu e,
secondo alcune fonti, anche il Consigliere per la
Sicurezza Nazionale, Nikolaj Patrushev. Così come
emerso da alcune fonti dell’intelligence e dal sito israeliano Debkafile, al centro dei
colloqui tra Haftar e i vertici russi vi sarebbe stata la possibilità di aprire una base
militare russa sulle coste di Bengasi; la base, gemella rispetto a quelle di Hmeymim
in Siria e di Alessandria d’Egitto, implicherebbe un ulteriore miglioramento della
posizione strategica di Mosca nel Mediterraneo. In un’intervista che Haftar ha
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rilasciato a conclusione della visita a Mosca, il Generale avrebbe poi fatto riferimento
ad un possibile ruolo delle società russe nel rispristino delle infrastrutture libiche e
alla possibilità che, qualora l’embargo sulle armi alla Libia venisse revocato, il governo
di Tobruk possa chiedere l’assistenza di esperti militari russi. Ad ormai un anno dagli
accordi di Skhirat, la complessità della crisi libica e la tensione tra i due opposti
schieramenti, Tripoli e Tobruk, e i loro rispettivi alleati non sembra accennare a
diminuire. Intanto negli ultimi giorni la Libia è stata al centro anche di un’altra notizia:
Mokhtar Belmokhtar, uno dei più potenti signori della guerra della zona del Sahara,
legato ad al-Qaeda e sulla cui testa pendeva una taglia di 5 milioni di dollari del
Dipartimento del Tesoro degli USA, sarebbe stato eliminato proprio su territorio libico
durante un raid dei caccia francesi avvenuto all’inizio del mese di novembre. La
notizia della sua morte troverebbe conferma nell’ultimo rapporto del Pentagono.
TERRORISMO, 21-30 NOVEMBRE ↴
Europa e Stati Uniti sono ancora al centro delle
attenzioni del terrorismo islamista internazionale. Le
ultime indagini da parte delle singole agenzie di
intelligence nazionali hanno evidenziato ancora una
volta un alto rischio di attentati in Germania, Francia e
USA. Il 21 novembre una doppia operazione dei reparti
speciali della polizia e delle forze di sicurezza a Marsiglia e a Strasburgo ha sgominato
una cellula di sette cittadini francesi di origini marocchina e afghana. Cinque sospetti
erano stati in Siria e, una volta tornati in Francia, erano divenuti immediatamente
noti alla Direzione Generale di Sicurezza Interna (DGSI). Tra gli arresti figurano Karim
Mohamed-Aggag, fratello di uno degli assalitori del Bataclan e dello Stadio Saint
Denis di Parigi, e un impiegato municipale, che lavorava in una scuola materna a
Strasburgo. Durante la conferenza stampa effettuata a margine degli arresti dal
Ministro dell’Interno francese Bernard Cazenueve, il commando sarebbe stato pronto
a colpire simultaneamente diversi siti a Parigi da lì a poco: il parco divertimenti di
Disneyland Paris, i mercatini di Natale sugli Champs-Elysees, una stazione della
metropolitana e diversi bistrot nel 20° arrondissement nella capitale. Inoltre la
cellula, dislocata anche a Marsiglia, avrebbe dovuto colpire diversi luoghi di culto della
seconda città di Francia. La maggior parte degli arresti è avvenuta a Strasburgo e in
particolare nel quartiere Meinau della città alsaziana, dove nel maggio 2014 fu
smantellata un’altra cellula terroristica. Secondo i dati del Ministero dell’Interno
francese, dal 1° gennaio 2016 sono state arrestate 418 persone. Da settembre i fermi
sono stati 143 (52 persone sono in carcere e 21 messe sotto controllo giudiziario),
mentre dall’inizio di novembre hanno avuto luogo 43 arresti e 28 delle persone
coinvolte sono state deferite all’autorità giudiziaria. Una decina di giorni dopo i fatti
francesi, il 30 novembre, una nuova operazione anti-terrorismo ha portato all’arresto
di un importante dirigente dell’intelligence tedesca di stanza nel quartier generale di
Colonia. L’arrestato, di cui non sono state fornite le generalità, è un alto ufficiale
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tedesco 51enne, di origine spagnola, convertito all’Islam nel 2014, a conoscenza di
importanti operazioni e segreti della struttura del Bundesamt für Verfassungsschutz
(BfV), l’anti-terrorismo nella città renana. Secondo una ricostruzione dei fatti da parte
della Süddeutsche Zeitung, gli inquirenti tedeschi temono che l’uomo abbia potuto
fornire rilevanti dettagli a facilitatori e/o uomini direttamente collegati con lo Stato
Islamico (IS) in Siria per pianificare attentati a Berlino e nel Paese. Intanto al di là
dell’Atlantico, un uomo di origini somale ha ferito 11 persone, prima di venire ucciso
dalle forze di sicurezza locali, nel Campus universitario di Ohio State a Columbus.
L’assalitore è Adul Razak Ali Artan, un 18enne studente e profugo somalo con
regolare permesso di soggiorno. Secondo le prime ricostruzioni da parte dell’FBI, il
gesto di Artan sarebbe quello di un lupo solitario, mosso da una condizione di disagio.
Poche ore dopo l’attacco, l’IS ha rivendicato l’atto attraverso la propria agenzia di
stampa Amaq, invitando inoltre i propri membri e sostenitori nel mondo a compiere
attentati con qualsiasi mezzo a loro disposizione, senza necessariamente avere una
pianificazione complessa.
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ALTRE DAL MONDO
AFPAK, 21-22 NOVEMBRE ↴
Il 22 novembre, nella città di Peshawar, un attentato ha causato la morte di tre appartenenti alle forze paramilitari pachistane e il ferimento di almeno altre cinque persone. L’attentato, compiuto con una bomba attivata da remoto, è stato rivendicato
da Jamaat-ul-Ahrar, una fazione dissidente di Tehreek-i Taliban Pakistan (TTP), i talebani pachistani. Negli ultimi mesi le città di Peshawar e Quetta sono state prese di
mira dai miliziani del TTP, con una serie di attentati sanguinosi che hanno provocato
oltre duecento morti. Sul fronte afghano, invece, i miliziani dello Stato Islamico hanno
rivendicato la paternità dell’attacco avvenuto il 21 novembre ai danni della moschea
di Baiqr-ul-Olum a Kabul, che ha provocato la morte di almeno 30 persone. L’attacco
è avvenuto mentre i fedeli sciiti si apprestavano a celebrare l’Arbaeen, un’importante
ricorrenza religiosa che commemora la morte dell’Imam Hussein, nipote di Maometto.
Dall’inizio dell’anno l’IS ha guadagnato molto terreno in Afghanistan, in particolare
nella provincia di Nangarhat, al confine con il Pakistan.
COREA DEL SUD, 29 NOVEMBRE ↴
La Presidente della Corea del Sud Park Geun-hye, in un discorso televisivo alla nazione, ha consegnato al Parlamento la facoltà di scegliere del suo destino, incluso la
fine anticipata del mandato. Le parole della Park sono la conseguenza diretta del
malcontento popolare dei sudcoreani che da cinque settimane scendono in strada per
chiedere le sue dimissioni: il motivo delle continue proteste risiede nell’anomala amicizia con Choi Soon-Sil, alla quale Park avrebbe concesso di interferire negli affari di
Stato, senza che ne avesse legittimità, accedendo anche a documenti governativi
riservati. Il discorso della Presidente non è stato accolto favorevolmente né dalla
popolazione né tantomeno dalle opposizioni politiche, che si aspettavano le sue dimissioni: il Partito Democratico, la principale forza di opposizione, ha affermato che
le parole di Park sono solo un espediente per guadagnare tempo e che essi porteranno avanti l’iter per la richiesta di impeachment. Propria la misura di destituzione
forzosa della Presidente dovrebbe essere votata in Parlamento il prossimo 9 dicembre
a meno di nuovi rinvii.
KASHMIR, 29 NOVEMBRE ↴
Un gruppo di uomini armati e non legati ad alcuna organizzazione terroristica nota
nella regione ha attaccato una base dell’esercito indiano nella città di Nagrota, situata
sulla strada tra Srinigar e Jammu nella contestata regione del Kashmir, causando la
morte di sette soldati. Nello stesso momento a Ramgarh, città situata al confine col
Pakistan, truppe indiane hanno incrociato il fuoco con altri miliziani, che avevano
attraversato il confine pachistano ed erano entrati in India, uccidendoli. Tali episodi
sono solo gli ultimi di una serie di rinnovate violenze nella regione del Kashmir che
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vanno avanti ormai da mesi, con scambi continui di colpi di artiglieria ed attacchi
mirati, che hanno causato la morte di almeno 73 persone tra soldati e civili. Sul piano
diplomatico l’India accusa esplicitamente il Pakistan di armare i ribelli, di fornirgli
sostegno logistico ed addestramento, accuse che il Pakistan rinnega e rivolge parimenti nei confronti della controparte: la tensione è molto alta e i rapporti tra i due
Stati sono ai minimi livelli con conseguenze anche sulle rispettive rappresentanze
diplomatiche.
KUWAIT, 26 NOVEMBRE ↴
Le elezioni politiche svoltesi nel piccolo Stato del Golfo hanno attribuito un’importante
affermazione ai membri dell’opposizione e ai loro alleati, che sono riusciti ad ottenere
24 seggi sui 50 disponibili nel Parlamento kuwaitiano. Nella nuova Assemblea un
terzo sarà costituito da deputati giovani e alla prima esperienza, mentre nell’opposizione circa la metà degli eletti è legata alla Fratellanza Musulmana e ai gruppi salafiti:
escono sconfitti dal voto gli sciiti, che hanno ridotto a sei il numero dei loro rappresentanti, e le donne, che hanno eletto soltanto una deputata, Safa al-Hashem. Queste
nuove consultazioni, le quarte in Kuwait dal 2012, erano state indette dall’Emiro nel
mese di ottobre, dopo che il Parlamento si era espresso a favore di un nuovo voto
per affrontare le delicate sfide relative alla sicurezza interna e regionale, come la
forte diminuzione delle entrate derivanti dall’abbassamento del prezzo globale del
petrolio, nonché le pressanti minacce dello Stato Islamico (IS) nei confronti del piccolo emirato del Golfo. La maggioranza ristretta venuta fuori dalle elezioni, che potrebbe essere portatrice di nuove turbolenze politiche, è comunque bilanciata dalla
funzione svolta dai membri della famiglia regnante degli al-Sabah che detengono
tutte le principali posizioni governative.
PALESTINA, 29 NOVEMBRE ↴
Durante la VII Conferenza di al-Fatah, tenutasi a Ramallah, Abu Mazen è stato rieletto
alla guida del partito per altri cinque anni. Questi, 81 anni, è alla testa di al-Fatah,
principale movimento politico palestinese e spina dorsale dell’esecutivo dell’Autorità
Nazionale Palestinese dal 2005. La riconferma ai vertici dell’anziano leader non ha
tuttavia appianato le numerose spinte disgregative presenti da tempo all’interno del
movimento: da un lato la politica di insediamenti attuata da Israele, che rappresenta
un fattore d’indebolimento dei moderati palestinesi, dall’altro le forti rivalità interne
al partito e la continua ascesa nei consensi in Cisgiordania degli islamisti di Hamas.
Il neo-riconfermato leader ha auspicato che il 2017 possa essere l’anno in cui sarà
riconosciuta una Palestina indipendente e si è dichiarato disponibile a cercare l’appoggio del Presidente Donald Trump, il quale, però, ha sempre espresso posizioni
nettamente filo-israeliane in campagna elettorale.
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REPUBBLICA DEMOCRATICA DEL CONGO, 27 NOVEMBRE ↴
Trentacinque civili sono stati uccisi e altri ventotto sono rimasti feriti in un attacco di
miliziani Mai-Mai Mazembe perpetrato nel villaggio di Luhanga, nel territorio di Lubero, nella provincia del Nord Kivu, nell’est della Repubblica Democratica del Congo.
Joy Bokelele, Amministratore territoriale nella provincia del Nord Kivu, ha riferito che
i combattenti della milizia Mai Mai Mazembe hanno attaccato il villaggio di Luhanga
con pistole e machete. Secondo le fonti, i Caschi Blu indiani della MONUSCO sono
intervenuti uccidendo un miliziano e mettendo fine al massacro. Da mesi il territorio
è teatro di violenti scontri etnici tra i Nande, della città di Beni, e gli Hutu, mentre
centinaia di famiglie avevano già lasciato loro villaggi per fuggire dai miliziani Mai Mai
che hanno occupano le posizioni lasciate dall’esercito.
RUSSIA, 30 NOVEMBRE ↴
Il Presidente russo Vladimir Putin ha nominato il vice Ministro delle Finanze, Maxim
Oreshkin, come nuovo titolare dello Sviluppo Economico. La nomina arriva a due
settimane dall’arresto per corruzione e conseguente sospensione dall’incarico di Alexei Ulyukayev, il quale si trovava precedentemente alla guida del suddetto dicastero.
Entrato in politica nel 2013 in qualità di Capo di Dipartimento all’interno del Ministero
delle Finanze, il neoeletto Oreshkin, 34 anni, ricopriva la carica di vice Ministro dal
2015. Secondo Reuters, il Ministro delle Finanze russo Anton Siluanov avrebbe accolto la nomina con entusiasmo in quanto l’elezione di Oreshkin faciliterebbe le relazioni tra i loro due Dicasteri, spesso in contrasto. «Credo che ora troveremo soluzioni
comuni più velocemente e più facilmente. Oreshkin è un grande esperto di macroeconomia. Non conosco nessuno sul mercato che sarebbe stato meglio di lui», avrebbe
commentato Siluanov. In passato, Oreshkin aveva ricoperto anche ruoli dirigenziali
nel settore bancario sia pubblico sia privato, quali Rosbank, Crédit Agricole Corporate,
Investment Bank e VTB.
UCRAINA, 1° DICEMBRE ↴
Sale la tensione tra Mosca e Kiev in seguito alla decisione del Presidente ucraino,
Petro Poroshenko, di confermare l’esercitazione missilistica nella regione meridionale
Ucraina di Kherson, al confine con la Crimea. L’esercitazione è iniziata il 1° dicembre,
ma non si è prolungata, come previsto, al giorno successivo a causa delle avverse
condizioni climatiche. Non si è lasciata attendere la reazione del Cremlino che ha
definito l’esercitazione lungo il proprio confine come un “pericoloso precedente”, dichiarandosi inoltre pronto ad abbattere i missili ucraini nell’eventualità che il proprio
spazio aereo venga violato. Volodymyr Kryzhanovsky, un ufficiale dell’esercito
ucraino, ha dichiarato ai media locali che il lancio dei missili è avvenuto ad una trentina di chilometri dallo spazio aereo della Crimea e quindi in conformità con quanto
previsto dalla legge internazionale. Ciononostante, Mosca ha messo in allerta le unità
di difesa aerea e ha schierato le navi della Marina militare lungo la costa occidentale
della Crimea. L’esercitazione ha riacceso la tensione tra Russia e Ucraina sul tema
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della penisola e rischia di destabilizzare la situazione lungo le sponde settentrionali
del Mar Nero.
UGANDA, 24 NOVEMBRE ↴
Almeno sessantadue persone sono morte negli ultimi giorni nell’ovest dell’Uganda
negli scontri fra la polizia e le milizie separatiste che sostengono il Re di Rwenzururu.
Si sono registrati scontri anche nella città di Kasese, sotto il controllo di Re Charles
Wesley Mumbere, dopo che un gruppo di uomini armati, presumibilmente membri
della guardia reale, ha attaccato una stazione di polizia. Il portavoce della polizia ha
riferito che quattordici ufficiali e quarantuno aggressori sono stati uccisi vicino al confine con la Repubblica Democratica del Congo. Secondo la polizia l’obiettivo degli
attacchi potrebbe essere ottenere l’indipendenza dall’Uganda. Il 27 novembre il Re
Charles Wesley Mumbere è stato arrestato e il suo palazzo perquisito.
UNIONE EUROPEA-RUSSIA, 24 NOVEMBRE ↴
Il Parlamento Europeo ha approvato una risoluzione di condanna nei confronti di Mosca per la diffusione di propaganda e disinformazione e per il finanziamento di partiti
euro-scettici. La mozione è stata approvata con 304 voti a favore, 179 contro e 208
astenuti. Nel Report, il Cremlino viene accusato di minare il processo di integrazione
europea. In particolare la lente d’ingrandimento viene posta sull’attività di agenzie di
stampa (Sputnik), canali d’informazione multilingua (Russia Today), social media e
think tank direttamente legati al Cremlino. Inoltre, anche il supporto della Russia a
forze anti-europeiste, appartenenti all’estrema destra e ai movimenti populisti che
mirano a negare i valori fondamentali delle democrazie liberali viene definito come
“deplorevole”. Poche ore dopo il voto della risoluzione, è arrivata anche la reazione
da parte di Mosca. «Ci vogliono insegnare cosa sia la democrazia, noi invece assistiamo al suo degrado nel mondo occidentale» ha dichiarato il Presidente russo Vladimir Putin durante una conferenza stampa. I principali oppositori della risoluzione
sono stati i gruppi euroscettici di Europa della Libertà e della Democrazia Diretta (che
annovera tra i suoi membri l’UKIP e il Movimento 5 Stelle) e Europa delle Nazioni e
della Libertà (Lega Nord e Front National). La mozione secondo loro, infatti, equipara
impropriamente i pericoli posti dalla Russia a quelli provenienti dallo Stato Islamico.
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ANALISI E COMMENTI
LA MINACCIA JIHADISTA IN MAROCCO: GENESI E LINEE DI EVOLUZIONE
SILVIA CARENZI ↴
Per comprendere la fenomenologia del jihadismo in Marocco e gli scenari ad esso
connessi, è necessario adottare una prospettiva diacronica, che evidenzi le sue origini
e la sua evoluzione sino al presente. Da un lato, questo excursus manifesta l’esigenza
di ricostruire storicamente le cause e le contingenze di un fenomeno complesso;
dall’altro, come si vedrà, questa panoramica permetterà di identificare vari tratti ricorrenti, ossia delle analogie tra alcuni aspetti del passato e la situazione attuale. Da
un punto di vista cronologico, lo sviluppo di un jihadismo marocchino autoctono affonda le proprie radici negli anni Settanta, periodo in cui il Re, Hassan II, si accinse
a stringere legami sempre più stretti con Riyadh, consentendo tra le altre l’importazione della corrente wahhabita su cui si innesta la legittimità del potere politico e
religioso della famiglia reale saudita. Questa scelta era stata determinata da diverse
ragioni, tutte legate alla congiuntura politica di quegli anni (…) SEGUE >>>
LA DIMENSIONE MARITTIMA DELLA STRATEGIA DI MOSCA. ASPETTI POLITICI E MILITARI
NICOLÒ FASOLA ↴
Il 26 luglio 2015, giorno di festa della Marina russa, il Cremlino ha rilasciato una
nuova dottrina marittima, in quello che pare essere un generale processo di revisione
della postura strategica del Paese. Nonostante la Russia sia primariamente una potenza continentale e sul suolo abbia combattuto il maggior numero delle proprie battaglie, come già Pietro il Grande commentava, lo status di grande potenza non può
essere ottenuto ed essere riconosciuto se si è privi di capacità navali. Questa dialettica tra dimensione terrena e tensione marittima ha continuato ad essere presente e
messa a frutto nel periodo sovietico, tempo in cui la flotta di Mosca era tre volte più
grande di quella statunitense. Tuttavia, con la fine del sistema bipolare – chiave di
volta per la comprensione dello spazio eurasiatico – collasso istituzionale e implosione
economica hanno avuto pesanti ricadute anche sulla Marina Militare. Il nuovo Stato
russo si è dunque trovato a dover fare i conti con i problemi della transizione anche
nella propria declinazione navale (…) SEGUE >>>
A cura di
OSSERVATORIO DI POLITICA INTERNAZIONALE
Ente di ricerca di
“BLOGLOBAL-LO SGUARDO SUL MONDO”
Associazione culturale per la promozione della conoscenza della politica internazionale
C.F. 98099880787
www.bloglobal.net
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