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Massimo Mutti - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l.
Approfondimenti
Limiti del datore di lavoro
Uso della posta elettronica
aziendale a fini personali
e accesso ai social network
Enrico Barraco - Barraco Studio legale lavoro
Monitoraggio della casella di posta
elettronica aziendale
La corrispondenza e la sua segretezza sono valori
espressamente garantiti a livello costituzionale.
L’art. 15 della Carta afferma l’inviolabilità della
libertà e della segretezza della corrispondenza e
di ogni altra forma di comunicazione, suscettibili
di limitazioni solo “per atto motivato dell’autorità giudiziaria e con le garanzie stabilite dalla
legge”.
L’attuazione dei suddetti principi costituzionali è
poi affidata, sul piano della normativa di rango ordinario, al Capo III, sezione V, Codice penale, dedicata ai delitti contro l’inviolabilità dei segreti.
Tra le numerose fattispecie ivi contemplate, quella
in cui più frequentemente potrebbe sussumersi il
controllo del datore di lavoro è il delitto di violazione, sottrazione e soppressione di corrispondenza, previsto e punito dall’art. 616 c.p. (1).
La norma di cui all’art. 616, comma 1, c.p. recita
“Chiunque prende cognizione del contenuto di
una corrispondenza chiusa, a lui non diretta, ovvero sottrae o distrae, al fine di prenderne cognizione, una corrispondenza chiusa o aperta, a lui
non diretta, ovvero, in tutto o in parte, la distrugge o sopprime, è punito, se il fatto non è preveduto come reato da altra disposizione di legge,
con la reclusione fino a un anno o con la multa
da euro 30,00 a euro 516,00”.
(1) Per quanto qui interessa, la condotta del datore di lavoro volta all’acquisizione di informazioni sull’uso distorto della
casella di posta elettronica può configurare le fattispecie di
reato di cui agli artt. 617-quater, 617-quinquies, 617-sexies e
618, che incriminano rispettivamente le condotte di “intercettazione, impedimento o interruzione illecita di comunicazioni
informatiche o telematiche”, “installazione di apparecchiature
atte ad intercettare, impedire o interrompere comunicazioni informatiche o telematiche”, “falsificazione, alterazione o soppressione del contenuto di comunicazioni informatiche o telematiche” ed, infine, “rivelazione del contenuto di corrispon-
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L’ultimo comma dell’art. 616 c.p., con precisazione operata, dall’art. 5, legge n. 547/1993, dà
una definizione ampia di “corrispondenza”, intendendosi per tale “quella epistolare, telegrafica, telefonica, informatica o telematica ovvero
effettuata con ogni altra forma di comunicazione
a distanza”.
Pertanto, a fronte della tutela penale apprestata
dal legislatore a garanzia del diritto alla segretezza della corrispondenza, l’interprete si trova a
dover risolvere in primis il quesito della liceità
penale o meno dei controlli operati dal datore di
lavoro sulla posta elettronica aziendale.
In seconda battuta, quand’anche la condotta del
datore non avesse rilevanza penale, si pone il duplice problema dell’obbligo di osservare la suddetta procedura codeterminativa o dell’applicabilità della teoria giurisprudenziale dei controlli
difensivi, in base alla quale sono esenti dalle restrizioni i controlli condotti a posteriori, per l’esclusivo accertamento di condotte illecite lesive
di beni aziendali estranei al rapporto con il lavoratore ed effettuato su dati occasionalmente acquisiti, ovvero mediante strumenti che non consentano un controllo costante e mirato dell’esecuzione della prestazione lavorativa (2).
Nel vigore dell’originaria formulazione dell’art.
4, Stat. lav., una risoluzione delle problematiche
denza”.
(2) In materia di controlli difensivi si rinvia a Tribunale di Milano 31 marzo 2004, in Orient. giur. lav., 2004, 108, con nota di
L. Cairo, Internet e posta elettronica in azienda: il potere di controllo del datore di lavoro; Corte di Appello di Milano, 30 settembre 2005, in Not. giur. lav., 2006, 100; Cass., sez. lav., 23
febbraio 2010, n. 4375, in Lav. giur., 2011, 991, con nota di E.
Barraco-A. Sitzia; più di recente anche Trib. Milano, 28 aprile
2009, in Dir. rel. ind., 2010, 1, 187 ss., con nota di P. Monda,
L’impiego dei controlli difensivi e la protezione della sfera personale del dipendente.
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sopra esposte venne tentata dagli interventi del
Garante della privacy e della giurisprudenza, con
le elaborazioni che verranno di seguito illustrate.
Linee guida del Garante della privacy:
lavoro, internet e posta elettronica
Con deliberazione del 1° marzo 2007, n. 13,
l’autorità indipendente preposta alla tutela della
privacy, oltre a fornire raccomandazioni e protocolli in ordine ad uno svolgimento dei controlli a
distanza sulla navigazione internet (3), ha dettato
altresì delle prescrizioni volte a contemperare
l’interesse del datore di lavoro all’ordinato svolgimento dell’attività lavorativa con l’esigenza di
evitare comportamenti posti in essere in violazione dei principi cardine della disciplina in materia
di privacy, riassumibili nei canoni della necessità, correttezza, pertinenza e non eccedenza del
trattamento dei dati personali attraverso strumenti informatici (4).
Si tratta di prescrizioni in parte di difficile attuazione, fondate sulla premessa, non unanimemente condivisa, della tutela incondizionata dell’affidamento del lavoratore nel carattere confidenziale delle forme di comunicazione messe a sua disposizione, in assenza di chiare policies aziendali
esplicative delle modalità e dell’oggetto dei controlli datoriali sulla posta elettronica aziendale (5).
I comportamenti prescritti dal Garante si riassumono, con punti di forza e debolezza, nei seguenti:
1) rotazione dei lavoratori nell’uso di un medesimo indirizzo di posta elettronica, accorgimento
che consentirebbe di evitare rischi di impasse,
connessi alle possibili assenze dei lavoratori, impendendo al contempo di procedere ad un controllo su base esclusivamente individuale;
2) attribuzione al lavoratore di un diverso indirizzo destinato ad uso privato del lavoratore,
misura che consentirebbe tuttavia al lavoratore di
(3) Per una disamina delle Linee guida del Garante in punto
di accesso e navigazione internet, si rinvia a Barraco, Privacy
del lavoratore e controlli tecnologici in Dir. prat. lav., 2016, 40,
2345.
(4) E. Barraco-A. Sitzia, Potere di controllo e privacy. Lavoro,
riservatezza e nuove tecnologie, cit., 21.
(5) Nello stesso senso, Corte europea dei diritti dell’uomo
del 3 aprile 2007, Case of copland vs The United Kingdom (Application no. 61617/00). In senso contrario E. Barraco-A. Sitzia,
Potere di controllo e privacy. Lavoro, riservatezza e nuove tecnologie, cit., 38. Alla ricostruzione del Garante può facilmente
obiettarsi che la posta elettronica aziendale è uno strumento
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sottrarre del tempo allo svolgimento della propria
prestazione lavorativa, risultando quindi lesiva
dell’interesse datoriale alla diligente esecuzione
della prestazione lavorativa;
3) predisposizione di apposite funzionalità di sistema che consentano l’invio di messaggi automatici di risposta, contenenti le coordinate di
un altro soggetto o altre utili modalità di contatto con la struttura datoriale. Tali semplici dispositivi consentirebbero di salvaguardare le esigenze di funzionalità del ciclo produttivo senza la
necessità di aprire le e-mail destinate al lavoratore assente;
4) delega di un fiduciario all’apertura della posta indirizzata al lavoratore assente e all’inoltro
delle e-mail ritenute rilevanti per lo svolgimento
dell’attività lavorativa. Tale misura appare, invece, criticabile nella misura in cui appare priva di
giustificazione l’attribuzione di un potere superiore a quello del datore di lavoro ad un soggetto
inserito nell’organigramma aziendale in posizione di subalternità; in secondo luogo può originare un’impasse laddove siano assenti sia il lavoratore che il suo fiduciario, ovvero gli stessi svolgano concordemente le attività extra lavorative
impeditive o in contrasto con l’esecuzione della
prestazione;
5) inserzione, nei messaggi di posta elettronica
inviati, di un avvertimento della natura non
personale del messaggio con la specificazione
che le risposte possono essere conosciute dall’organizzazione di appartenenza del mittente e
con rinvio alla policy aziendale. All’evidenza tale misura è volta alla tutela della privacy non del
dipendente, bensì dei terzi estranei al rapporto di
lavoro, quali clienti o fornitori che entrano in
contatto con l’azienda e con il singolo lavoratore (6).
di lavoro concesso al lavoratore ad un fine specifico: lo svolgimento della prestazione lavorativa. Sarebbe pertanto quanto
meno plausibile ipotizzare una presunzione di segno esattamente contrario, dovendo il lavoratore contare nel divieto di
utilizzo della posta elettronica per fini diversi da quelli riconnessi alla prestazione lavorativa.
(6) Per la predisposizione di un possibile modello di policy aziendale, conforme alle Linee guida del Garante della privacy in materia di controlli sull’utilizzo della posta elettronica
aziendale, si rinvia a E. Barraco-A. Sitzia, Potere di controllo e
privacy. Lavoro, riservatezza e nuove tecnologie, cit., 42.
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Liceità penale del controllo della posta
elettronica aziendale
Con riferimento alla questione della rilevanza penale della condotta del datore di lavoro, ai sensi
dell’art. 616 c.p., invece, nel vigore dell’originaria formulazione dell’art. 4, Stat. lav., giurisprudenza e dottrina avevano elaborato due orientamenti.
Il primo, maggioritario ed avvallato dalla prevalente dottrina (7), nonché dai giudici di legittimità (8), nega la sussumibilità dell’ispezione della
posta elettronica in uso al dipendente nella richiamata fattispecie criminosa, valorizzando l’assenza, in capo al datore di lavoro o ai suoi delegati, del requisito dell’alienità della corrispondenza aziendale dal lavoratore, trattandosi di normale scambio di comunicazioni intrattenuto dall’impresa nello svolgimento della sua attività.
Più precisamente, il lavoratore utilizza la casella
di posta elettronica aziendale in ragione delle
mansioni contrattualmente attribuitegli e, a differenza della corrispondenza cartacea, con possibilità di accesso da parte di più persone.
Il prestatore di lavoro, pertanto, è privo di un diritto all’accesso esclusivo alla casella di posta
elettronica, in considerazione della legittimazione
all’uso del sistema informatico o telematico che
abilita alla conoscenza delle informazioni in esso
contenute, in particolare qualora la password prescelta dal dipendente sia in legittimo possesso
del datore o di altri superiori gerarchici. Di qui la
notevole rilevanza, ai fini dell’esenzione da responsabilità penale, di una policy aziendale che
enunci chiaramente le regole di accesso alla casella di posta aziendale.
Si tende, sul punto, ad escludere che la condotta datoriale volta al controllo della posta elettronica del lavoratore all’insaputa del medesimo
integri gli estremi del reato di violazione della
corrispondenza di cui all’art. 616 c.p., con la
motivazione che il lavoratore non è titolare di un
(7) P. Ichino, Il contratto di lavoro, vol. III, Milano, 2003,
245; Stanchi, Privacy, rapporto di lavoro, monitoraggio degli accessi ad internet, monitoraggio delle e mail e normative di tutela
contro il controllo a distanza. Alcuni spunti per una riflessione interpretativa, in AA.VV., I poteri del datore di lavoro nell’impresa,
Padova, 2002, 121; M. Lanotte, Utilizzo privato della posta elettronica aziendale e poteri di controllo del datore di lavoro, in
Mass. giur. lav., 2002, 555.
(8) Cass., sez. V. pen., 19 dicembre 2007, n. 47096, Tramalloni, in Nuova giur. civ. comm., 2008, n. 7-8, 957 ss., con nota
di A. Sitzia, Il problema dell’accesso alla posta elettronica aziendale da parte del datore di lavoro tra segretezza della corrispon-
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diritto all’utilizzo esclusivo della posta elettronica
aziendale, non concretando quest’ultima una
corrispondenza “chiusa” come tale accessibile
soltanto dal dipendente.
Di regola, inoltre, viene rilevata dai giudici l’assenza anche dell’elemento soggettivo del reato in
esame, almeno ogni qualvolta il datore di lavoro
accede alla casella di posta elettronica del dipendente allo scopo di reperire informazioni necessarie all’attività aziendale in occasione delle assenze del lavoratore, ovvero quando non vi sarebbero altre modalità per accedere alle comunicazioni da riscontrare senza ritardo.
In base, invece, ad una lettura più attenta alle implicazioni sulla lesione del diritto alla privacy del
lavoratore (9), con avvallo, nella prassi, del Garante della privacy (10), i messaggi di posta elettronica devono essere considerati quali corrispondenza privata, in quanto solo il lavoratore
viene indicato quale destinatario della missiva e
ciò in ossequio ai principi generali in materia di
corrispondenza.
Di qui ogni accesso alla casella di posta elettronica in uso al lavoratore potrebbe integrare il delitto di cui all’art. 616 c.p.
Si osserva, tuttavia, che, anche accogliendo l’impostazione da ultimo esposta, un preventivo valido assenso del lavoratore all’accesso e alla lettura dei suoi messaggi fungerebbe da causa di giustificazione del consenso dell’avente diritto, con
efficacia scriminante e conseguente non punibilità del datore di lavoro (11).
Obbligo di procedura codeterminativa
e operatività dei controlli difensivi
L’adesione all’una o all’altra interpretazione nulla dice ancora in ordine all’obbligatorietà o meno
dell’attuazione della procedura di codeterminazione di cui all’attuale comma primo dell’art. 4,
denza e limiti del potere di controllo; questa pronuncia ha confermato la sentenza del Trib. Torino, sez. Chivasso, citata nella
nota precedente.
(9) E. Stenico, L’esercizio del potere di controllo “informatico” del datore di lavoro sugli strumenti di tecnologici di “ultima
generazione”, in Riv. giur. lav., 2003, I, 125.
(10) Decisione del 16 giugno 1999, rinvenibile nel comunicato stampa del 12 luglio 1999, in Bollettino n. 9/2006, n. 96.
(11) P. Bernardo, Vigilanza e controllo sull’attività lavorativa,
in F. Carinci (diretto da), Diritto del lavoro, Commentario, Utet,
Torino, 2007, 665.
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Stat. lav., che deve essere esperita al fine di legittimare l’installazione di apparecchiature di controllo a distanza, sempreché ricorrano esigenze
organizzative e produttive, o sia necessario per la
sicurezza del lavoro e per la tutela del patrimonio
aziendale.
Art. 4, comma 1, II parte, Stat. lav.: le apparecchiature di videosorveglianza e gli strumenti di
controllo “(…) possono essere installati previo
accordo collettivo stipulato dalla rappresentanza sindacale unitaria o dalle rappresentanze sindacali aziendali. In alternativa, nel caso di imprese con unità produttive ubicate in diverse province della stessa regione ovvero in più regioni, tale
accordo può essere stipulato dalle associazioni
sindacali comparativamente più rappresentative
sul piano nazionale. In mancanza di accordo gli
impianti e gli strumenti di cui al periodo precedente possono essere installati previa autorizzazione della Direzione territoriale del lavoro o, in
alternativa, nel caso di imprese con unità produttive dislocate negli ambiti di competenza di più
Direzioni territoriali del lavoro, del Ministero del
lavoro e delle politiche sociali”.
stessi possono essere giustificati dall’esigenza di
tutelare il sistema informatico aziendale da aggressioni esterne, nondimeno l’idoneità di programmi che consentono il monitoraggio della posta elettronica danno luogo ad una sorveglianza
potenzialmente costante dell’attività lavorativa (12).
Tali conclusioni venivano attenuate da quella
parte della giurisprudenza propensa ad accogliere
la teoria dei controlli di tipo difensivo. Al controllo della posta elettronica non trova quindi applicazione la suddetta disciplina ogniqualvolta
esso sia eseguito ex post rispetto alla condotta
del dipendente dannosa o pericolosa per i beni
aziendali (13).
La riforma dell’art. 4, Stat. lav.
Si rammenta che la violazione di tale disposizione integra un’autonoma fattispecie di reato ai
sensi dell’art. 38, Stat. lav.
Inoltre il nuovo art. 4, Stat. lav. prevede espressamente, al comma 3, l’inutilizzabilità dei dati
ottenuti mediante strumenti di controllo a distanza, installati in assenza delle ricordate esigenze o
in caso di mancata ottemperanza dell’obbligo
procedurale.
Di qui, dunque, appare decisivo sciogliere ogni
dubbio circa l’obbligatorietà o meno della procedura nel caso in esame.
Giurisprudenza e dottrina maggioritarie, formatesi in vigenza dell’originaria formulazione dell’art. 4, Stat. lav., propendevano per la soggezione dei controlli datoriali sulla posta elettronica
del dipendente alla normativa statutaria. Se gli
Ragioni di prudenza dovrebbero continuare ad
indurre le aziende al rispetto della procedura di
codeterminazione sindacale, nonché all’adozione
di policies adeguate ad informare il lavoratore
circa la natura ed entità dei controlli sulla posta
aziendale, al duplice scopo di evitare incriminazioni ex art. 38, Stat. lav. e di garantire l’utilizzabilità in giudizio dei dati acquisiti mediante il
monitoraggio.
Tuttavia è doveroso segnalare l’impatto che la
nuova disciplina dei controlli a distanza potrebbe
avere sugli orientamenti giurisprudenziali in materia.
In particolare, ove l’e-mail aziendale dovesse essere qualificata alla stregua di strumenti di lavoro
forniti al dipendente dal datore per l’effettuazione dell’attività lavorativa, i controlli eseguiti sulla stessa dovrebbero fuoriuscire dal campo di applicazione della procedura di codeterminazione
ai sensi del nuovo comma secondo dell’art. 4,
Stat. lav., salvo il problema di delimitare la nozione di “strumenti utilizzati dal lavoratore per
rendere la prestazione lavorativa, utilizzata dal
legislatore della riforma.
(12) In tal senso, in giurisprudenza, Cass. 23 febbraio 2010,
n. 4375; Corte d’Appello di Milano 30 settembre 2005; Tribunale di Padova, est. Dallacasa, 10 aprile 2015, n. 242, in Mass.
giur. lav., 2016, 1-2, 38, con nota di A. Rondo In dottrina, invece, A. Bellavista, Poteri dell’imprenditore e privacy del lavoratore, in AA.VV., I poteri del datore di lavoro nell’impresa, Padova,
2002, 68, perlomeno con riferimento agli indirizzi di posta elettronica concessi ai lavoratori per usi esclusivamente privati; E.
Stenico, L’esercizio del potere di controllo “informatico” del datore di lavoro sugli strumenti di tecnologici di “ultima generazione”, in Riv. giur. lav., 2003, I, 127; A. Maggi, Il controllo della
posta elettronica aziendale, in Guida lav., 2005, n. 36, 24; G.M.
Riccio, Caselle di posta elettronica aziendale e riservatezza dei
giornalisti, in Diritto dell’internet, 2005, 6, 577; L. Cairo, Internet
e posta elettronica in azienda: il potere di controllo del datore di
lavoro, in Orient. giur. lav., 2004, 129, secondo cui ciò discenderebbe dal fatto che sarebbe possibile, dall’analisi dei messaggi di posta elettronica spediti o ricevuti, controllare il tempo
speso dal dipendente in attività diverse da quella lavorativa
dando luogo, quindi, ad un controllo sull’attività del lavoratore.
(13) Nella giurisprudenza di legittimità si veda Cass. 23 febbraio 2012, n. 2722.
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Una fattispecie di estrema attualità, anche nelle
aule di Tribunale, è l’interazione dei lavoratori,
in quanto tali e come comuni utenti, con i popolarissimi social network, tra cui basti rammentare
Facebook e Twitter (15).
Tali nuove piattaforme di comunicazione si caratterizzano, come noto, per l’essere delle bacheche aperte al pubblico, in cui ogni user può
esprimere i propri pensieri, “postandoli” quali
messaggi visibili e leggibili lecitamente anche
dal datore di lavoro che navighi in internet e vi
si imbatta (più o meno casualmente).
Pertanto, a differenza del monitoraggio dei siti
visitati dal lavoratore in orario di lavoro e delle
e-mail aziendali, i messaggi Facebook o Twitter sono percepibili dal datore di lavoro senza la
necessità di procedere ad un controllo a distanza
in senso tecnico.
Tuttavia essi recano importanti indicazioni sulla
diligenza nell’esecuzione della prestazione lavorativa, quando per numero, frequenza ed orario
rilevino una speciale dedizione del dipendente alla comunicazione online a spese del corretto
svolgimento delle proprie mansioni. Inoltre, attraverso i messaggi postati in rete il lavoratore
stesso può rendersi autore di condotte diffamatorie nei confronti del datore di lavoro o di propri
colleghi.
Di qui discende l’interrogativo circa l’utilizzabilità di tali messaggi a scopo disciplinare ed i limiti a cui la stessa sia eventualmente soggetta.
La giurisprudenza formatasi in materia tende a
disconoscere la natura di controlli a distanza, con
conseguente inapplicabilità agli stessi dell’art. 4,
Stat. lav. in tutte le sue disposizioni, rilevando
come, in una vicenda diffamatoria l’accesso a
Facebook esuli dal contesto lavorativo e non
possa pertanto configurarsi come controllo remoto (16).
A maggior ragione, poi, ciò vale laddove l’attività di controllo via Facebook sia finalizzata alla
scoperta e condanna di comportamenti che mettono a rischio il patrimonio aziendale.
In tal senso si è espressa la Suprema Corte nel
caso di un datore di lavoro che, dopo aver creato
(14) Corte europea dei diritti dell’uomo, 12 gennaio 2016, in
C.61496/08, Barbulescu contro Romania, consultabile online
sul sito ufficiale della Cedu, www.echr.coe.int; per un commento cfr. A. Sitzia, Monitoring employment’s e-mail: is the
battle for workplace privacy over?, di prossima pubblicazione in
Industrial law journal.
(15) Per alcuni aspetti problematici offerti dalle interrelazioni tra la diffusione dei c.d. “social net-work” e il diritto del lavoro cfr. A. Rota, Riflessioni giuslavoristi che sul fenomeno Facebook: diritto alla privacy o potere di controllo datoriale? Social
network, social not work o danno alla carriera?, in Riv. crit. dir.
lav., 2010, 1, 23 ss.; sul medesimo tema, nella dottrina francese, si veda É. Collomp, La vie personelle au travail, in Droit so-
cial, 2010, 1, 40.
(16) Tribunale di Pordenone, est. Riccio Cobucci, ord. 27
giugno 2014; in cui il giudicante ha accertato la legittimità del
licenziamento intimato al dipendente che aveva condiviso, nella propria bacheca virtuale, pesanti insulti nei confronti del Direttore di stabilimento suo responsabile (si trattava di una singolare forma di captatio benevolentiae mediante la quale il giovane dipendente, evidentemente dall’intelletto ancora tramortito dai recentissimi festeggiamenti natalizi, il 26 dicembre aveva scritto sulla sua bacheca di Facebook “auguri di buon onomastico a tutte le persone che si chiamano Stefano, tranne a
quel testa di c… del nostro amato direttore”: direttore che era,
naturalmente, presente tra il suo gruppo di “amici” virtuali).
Per altro, il ricorso ad una dettagliata informativa
e l’osservanza delle norme del Codice della privacy costituiscono condizioni imprescindibili
dell’utilizzabilità dei dati raccolti mediante l’accesso alla casella di posta del dipendente.
Nello stesso verso sembra andare la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo
che, con pronuncia del 12 gennaio 2016, ha negato la violazione dell’art. 8 Cedu (che tutela il
diritto al rispetto della vita privata, del domicilio
e della corrispondenza) in relazione ai controlli
eseguiti dal datore di lavoro in occasione dell’invio, da parte di un dipendente, di messaggi mail
per finalità extra lavorative (14).
In particolare i giudici di Strasburgo hanno ritenuto inviolato il diritto alla segretezza della corrispondenza valorizzando la sussistenza della
previa informazione resa ai dipendenti circa la
sottoposizione a controllo del corretto utilizzo
degli strumenti informatici messi a loro disposizione, nonché la limitatezza dello scopo e la proporzione dei controlli posti in essere. Elementi
questi che non rendono irragionevole il controllo
del datore volto ad accertare che in orario di lavoro i dipendenti non curino i propri interessi
personali.
Concludendo sul punto, quindi, almeno con riferimento alle e-mail inviate dalla casella di posta
elettronica aziendale, può ipotizzarsi un imminente superamento della rigidità giurisprudenziale in merito al dovere di assoggettare tali controlli alle complesse procedure di codeterminazione
sindacale.
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un finto profilo, aveva richiesto l’amicizia del dipendente che, sospetto di trascorre troppo tempo
sui social durante l’orario di lavoro, si era effettivamente allontanato dalla pressa cui era addetto,
causandone il blocco.
Nei limiti del rispetto della libertà e dignità dei
dipendenti, il comportamento del datore che crei
un profilo falso attraverso i quale chattare col dipendente allo scopo di verificare l’uso da parte
dello stesso durante l’orario di lavoro non ricade
nel novero dei controlli a distanza di cui all’art.
4, Stat. lav (17).
Pertanto, alla luce della giurisprudenza richiamata, l’utilizzo indebito dei social network può dar
luogo a responsabilità disciplinare del dipendente, che il datore è legittimato a far valere senza i
limiti di cui all’art. 4, Stat. lav.
(17) Corte di cassazione, sez. lav., 27 maggio 2015, n.
10955, in Foro it., 2015, I, 2316; Guida al diritto, 2015, 26, 72;
Lav. giur., 2015, 10, 896 ss., con nota di V. Amato.
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