Il clima da post verità mette in crisi il ruolo di Milano

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Transcript Il clima da post verità mette in crisi il ruolo di Milano

Domenica
20/11/2016
Il clima da post verità
mette in crisi
il ruolo di Milano
di Aldo Bonomi
In un clima di post verità come
quello che viene avanti, i microcosmi
che raccontano microstorie ancorate
ai processi reali rischiano di essere
sommersi da uno storytelling
mediatico-politico, ancorato solo ad
una dimensione emotiva spiazzante
e ondivaga. E’ un clima incalzato da
eventi di portata mondiale come
l’esito delle elezioni americane e la
Brexit, le cui verità si sono capite
dopo. Questo stesso clima investe
anche l’aspro dibattito a livello di
istituzioni europee su migranti e
profughi. La post verità dei flussi
comunicativi
costringono
alla
schizofrenia tra un Trump che
ringalluzzisce gli uni e preoccupa gli
altri, un mondo Industry 4.0 cui fa da
contraltare un arrangiarsi sommerso
in espansione e si potrebbe
continuare. Mi ha meravigliato
constatare che anche Milano non è
esente da una rappresentazione
comunicativa bifronte e spiazzante,
da post verità. Da una parte la
retorica su Milano unica realtà
italiana significativa riconosciuta
come nodo di rete globale,
eccellente nell’organizzazione di
grandi eventi, superiore a Roma
anche nella capacità di attrarre flussi
turistici, dall’altra uno storytelling di
una città costellata di voragini
sociali, ghetti, enclave territoriali che
richiedono la messa in campo
dell’esercito.
Una
paurosa
oscillazione
dell’immaginario
cittadino, tra esaltazione maniacale
e paura primitiva, con il rischio di
oscurare quel po’ di reale, di aurea
mediocritas, verrebbe da dire, di cui
per altro Milano non è certo priva.
Per evitare la trappola della post
verità tocca tornare ad interrogarsi
su come i processi scompongono e
ricompongono gli umori e i disagi
sociali. In questo senso mi pare utile
restituire quanto espresso da tanti
operatori, per lo più volontari, attivi
sui margini sociali della povertà, del
bisogno urgente, della solitudine di
giovani e anziani, del disagio psichico
a bassa intensità e, ultimamente in
maniera massiccia, dei migranti e dei
profughi. Chi frequenta questi
territori, come i responsabili dei 370
centri di ascolto attivi nella diocesi di
Milano, ci ricorda che in cima alla
lista delle preoccupazioni di chi abita
nei quartieri di Milano e nelle città
lombarde sono “l’impoverimento
delle famiglie” (80,7%) e la
“crescente precarietà del lavoro”
(62,4%). Le difficoltà di convivenza
tra italiani e stranieri stanno molto
più in basso (11%), così come le
questioni legate ai flussi dei profughi
(8,3%)
o
l’aumento
dei
comportamenti violenti (2%). A
proposito dell’impatto dei profughi
(la Lombardia è tra le regioni che ne
ospita di più in rapporto alla
popolazione, oltre ad ospitare un
milione di immigrati) gli intervistati
riconoscono che le migrazioni sono
uno dei fenomeni più drammatici del
nostro tempo, che l’accoglienza è un
dovere ma deve altresì essere
commisurata alle reali capacità di
offrire un servizio dignitoso, avendo
ben presente che l'emergenza
produce un malessere sociale
crescente ed è terreno di un eccesso
di speculazione. Vi è poi la questione
di come conciliare le esigenze
drammatiche
dei
richiedenti
accoglienza e quelle delle comunità
ospitanti. Qui i direttori delle Caritas
lombarde affermano come non si
debba lasciare tutto all’inerzia di un
locale
spesso
inevitabilmente
impreparato, ma non sempre
necessariamente mal disposto.
Anche perché la distribuzione dei
richiedenti nei territori sembra
seguire, a sua volta, una pratica
ondivaga che porta a forti
concentrazioni in taluni comuni, e
alla totale assenza in altri.
Concentrazioni locali che di solito
correlate con la disponibilità di attori
e reti locali già sotto stress
dall’aumento del disagio di italiani e
“vecchi” immigrati impoveriti che,
come afferma il direttore Caritas di
Bergamo “si contendono l’uso della
doccia nei dormitori a colpi di piccole
rivendicazioni di primazia”. Del resto
la propensione accogliente esiste e si
manifesta laddove la prossimità
umana è fatta di incontri faccia a
faccia con il disagio. Ciò è evidente
“in entrata” a Lampedusa, ma
accade anche nel margine “in uscita”
a Como, dove l’accampamento di
migranti in attesa di transito per il
Nord Europa nel parchetto
antistante la stazione ferroviaria
(oggi evolutosi in un hub dislocato
non lontano) ha prodotto, come
tiene ad evidenziare il direttore
Caritas Roberto Bernasconi, molta
solidarietà e vicinanza proprio in
ragione della prossimità del disagio.
Sarebbe il caso di non bruciare
questa silenziosa mobilitazione
locale sull’altare della mancata
programmazione
e
di
una
regolazione in materia di asilo
inadeguata. Mi riferisco qui, ad
esempio, alla spinosa questione dei
“diniegati”, ovvero delle migliaia di
persone che vedono e vedranno
molto probabilmente rifiutata la
domanda di asilo, legibus sic
stantibus. Chi sta nella prossimità e
sta già sul “dopo” accoglienza, vede
l’aprirsi di un gap pericoloso tra
accoglienza e asilo, da tenere
presente in una situazione in cui oggi
si entra solo come richiedenti asilo.
Per questo i regolatori dovranno
assumere una visione al di là dei
proclami, evitando di andare dietro
o, peggio, alimentando onde
emotive, tenendo quindi in maggior
conto l’esperienza derivante dalle
pratiche messe in campo nei
contesti locali, a Milano, in
Lombardia, ma anche in altre aree
del Paese. In materia di accoglienza
le valutazioni degli operatori Caritas
ambrosiani ci dicono che il peso
grava sostanzialmente sulla rete
dell’associazionismo volontario e
della cooperazione sociale; Governo,
prefetture e forze dell’ordine
galleggiano in attesa di Bruxelles,
mentre sul territorio coesistono enti
locali accoglienti ed enti locali
respingenti. Due gli attori ritenuti
quanto meno inadeguati alla sfida: i
media (produttori di retoriche) e la
UE (produttore di indifferenza). Ma
per tornare a Milano, proprio per
evitare di essere prigionieri delle
retoriche da post verità, e se
veramente il capoluogo lombardo
ambisce a ritornare ad essere
capitale morale adeguata ai tempi,
dovrebbe assumere tra le sue
funzioni di eccellenza anche il
diventare un forte riferimento
nazionale del dibattito sul salto
d’epoca che investe la società, le sue
risorse coesive, le spinte
centrifughe,
le
politiche
di
regolazione, di accoglienza e di
accompagnamento dei flussi. Non
fosse altro che per i numeri in
campo che, come in ambito
economico, impongono a Milano
città-porta tra Mediterraneo ed
Europa continentale, di assumere un
ruolo di visione possibile anche per
la società che viene avanti.
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