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Il Sole 24 Ore
Domenica 20 Novembre 2016 N. 319
5
Mercati globali
Record storico
In una settimana deflussi per quasi 7 miliardi
dai fondi obbligazionari delle «nuove economie»
IL RALLY DEL BIGLIETTO VERDE
La corsa all’indebitamento
Il debito aziendale che andrà finanziato
nel 2017-20 è quadruplo rispetto al 2013-2016
Superdollaro, «mina» per i Paesi emergenti
Nei prossimi 4 anni a scadenza oltre 400 miliardi di titoli corporate in valuta forte, mentre è fuga dai fondi obbligazionari
Andrea Franceschi
pIl tema della vulnerabilità del debito dei Paesi emergenti ha tenuto banco più volte in
questi anni. Nel 2013, quando la Fed annunciò la graduale ridu
zione del Quantitative easing
(Tapering) e tra il 2014 e il 2015 quando i timori di un rallenta
mento dell'economia cinese da una parte e il crollo del mercato
delle materie prime dall'altra provocarono una gigantesca fuga di capitali. Oggi il tema ri
torna di attualità perché, come già visto in occasione delle pre
cedenti crisi, il dollaro è tornato
ad apprezzarsi e i tassi dei titoli di Stato americani sono tornati a salire. La scommessa sugli ef
fetti inflattivi della politica eco
nomica della nuova ammini
strazione, combinato con la
sempre più probabile stretta sui tassi da parte della Fed, ha
provocato una brusca accelera
zione in questo movimento di mercato i cui effetti sono noto
riamente nefasti per classi di in
vestimento come i bond dei Pa
esi emergenti. Dopo una prima parte
dell'anno decisamente positiva per questo segmento, che ha be
neficiato di un consistente af
flusso di capitali soprattutto sull'obbligazionario (nei primi nove mesi dell'anno Epfr Global
registra flussi netti per 41 miliar
di di dollari contro un rosso da 20 miliardi nello stesso periodo dell'anno precedente), con la vittoria di Trump le risorse so
no tornate a defluire. E in manie
ra pesante. Tra il 9 e il 16 di no
vembre, segnala Epfr Global, i
fondi bond emergenti hanno re
gistrato il peggior deflusso set
timanale di sempre (6,63 miliar
di di dollari netti). Tutto il com
parto obbligazionario mondia
le a dire il vero ha sofferto molto
dopo il voto negli Usa come di
mostra l'impennata dei tassi e i 18 miliardi di dollari di deflussi netti dai fondi obbligazionari in
tutto il mondo nella settimana
post elettorale (seconda peg
gior performance di sempre). Il mercato obbligazionario
emergente in questo contesto è
indiscutibilmente l'anello più
debole della catena. Per una se
rie di ragioni. Ad esempio per
ché gran parte del debito in cir
colazione è stato emesso in va
luta forte ed un rafforzamento del dollaro combinato con un
rialzo dei tassi rischia di ren
derne complicato il rifinanzia
mento. Poi perché le dimensio
ni di questo debito sono cre
sciute a livelli mai visti in questi
anni. Favorite in questo dalla politica dei tassi zero della Fed.
Rispetto al passato i Paesi emergenti hanno accumulato consistenti riserve di valuta
forte e certamente sono meglio
attrezzati a reggere l’urto di una
fuga di capitali. I titoli di Stato rischiano di deprezzarsi ma, in generale, le probabilità di de
fault sono basse. Più a rischio è
semmai è il debito societario.
La Banca dei regolamenti inter
nazionali da tempo lancia l'al
larme in particolare sulla leva finanziaria delle società non fi
nanziarie con sede nei Paesi emergenti: se nel 2006 il debito
aggregato di questi soggetti era
pari al 60% del Pil a metà 2015 viaggiava già al 110 per cento.
Nei mercati sviluppati, per contro, il livello è rimasto stabi
le intorno al 90 per cento. Sono livelli sostenibili? C'è il
rischio di un'ondata di default? Alla prova dei fatti il sistema in questi anni ha tenuto nonostan
te i ripetuti allarmi. Il tasso di de
fault è rimasto sotto il 2 per cen
to. Ma è anche vero, come se
gnala la Bri, che questo è succes
so anche perché il grosso del debito è stato contratto a partire
dal 2010 su scadenze prevalen
temente medio lunghe. E solo nei prossimi anni andrà a matu
razione e occorrerà rifinanziar
lo. Come si può vedere dal grafi
co in pagina, che Il Sole 24 Ore ha
elaborato su banca dati S&P Ca
pital IQ facendo uno screening sui corporate bond di società
emergenti scaduti o in scaden
za, se dal 2013 ad oggi l’ammon
tare di bond in scadenza è stato complessivamente pari a 91,4
miliardi di dollari (22,8 miliardi l’anno in media), nei prossimi
quattro anni bisognerà fare i
conti con un fardello ben mag
giore dato che andranno a matu
razione titoli per un controvalo
re di 413 miliardi di dollari. Sarà sulla capacità di rifinanziare questo debito che ci sarà il vero banco di prova per gli emergen
ti. Una sfida che, se il dollaro do
vesse ulterioremente rafforzar
si e la Fed mettere in atto la tanto
annunciata stretta sui tassi, ri
schia di essere complicata da
vincere. Specie se la profittabi
lità delle aziende dei Paesi
emergenti (vedi grafico) doves
se continuare a calare come ha fatto in questi anni.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Export. Le strategie delle imprese, tra benefici ai clienti e margini più rotondi
Il made in Italy festeggia
ma sul futuro resta la cautela
Luca Orlando
p«Se arriva alla parità? Po
trei anche offrirle un pranzo sul lago». Ugo Pettinaroli è di buon umore. E con qualche ra
gione. L’imprenditore pie
montese del valvolame, 50 mi
lioni di euro di ricavi consoli
dati, realizza infatti il 40% del proprio business in nordame
rica, con listini in dollari.
La rivalutazione della mo
neta Usa è dunque un’ottima notizia, per lui, come per mi
gliaia di altre imprese italiane che proprio grazie all’export negli anni hanno saputo resi
stere e reagire alla peggior crisi
dal dopoguerra. A marzo del 2014 per acqui
stare un euro occorrevano 140
cents, oggi ne servono 34 in meno, con effetti benefici sul
la competitività dei nostri pro
dotti. L’impatto sulle com
messe delle aziende, che han
no sfruttato la rivalutazione del dollaro sia per rinforzare i propri margini che per guada
gnare quote di mercato, è visi
bile nei dati “macro” del siste
ma Italia, che ha visto le vendi
te verso Washington arrivare a nuovi record. Nel 2015 l’export è lievitato a 36 miliar
di, sei in più rispetto all’anno precedente, miglior perfor
mance tra i nostri principali mercati di sbocco. In quattro anni la quota di mercato nazio
nale sulle importazioni Usa è lievitata di mezzo punto, dal
l’1,6% al 2,1%. La nuova risalita del biglietto verde, che riporta
l’euro sui minimi toccati più volte lo scorso anno, arriva pe
raltro in un momento cruciale.
Anche se a settembre lo scatto
è stato rilevante (+11,1%), nel
l’intero 2016 il made in Italy verso gli Stati Uniti è pratica
mente al palo (+0,7% nei nove mesi), in linea con il non esal
tante bilancio complessivo del nostro export. L’ultima parte dell’anno, pe
rò, alla luce degli ultimi svilup
pi, potrebbe presentare qual
che sorpresa positiva.
«Avere un dollaro vicino
alla parità con l’euro spiega
il presidente di Confindu
stria Ceramica Vittorio Bo
relli è ideale per le nostre
aziende, rafforza il potere
d’acquisto dei nostri impor
tatori esteri. L’altro lato della
medaglia è però la crescita
dei costi dell’energia impor
tata. Per ora, tuttavia, i listini
di elettricità e gas sembrano
sotto controllo. Senza alcun
dubbio questo livello di cam
bio a noi va molto bene».
I margini di manovra ag
giuntivi vengono utilizzati
dalle aziende in modo diverso,
in parte per migliorare la pro
pria redditività, in parte per ri
durre i prezzi in valuta locale pur incassando un controva
GLI EFFETTI
Snaidero (Federlegno): «Bene,
ma con Trump non credo che il
trend prosegua». Bonometti
(Aib): «Rispetto a due anni fa
è cambiato il mondo»
lore aggiuntivo in euro. «Mo
vimenti così limitati come quelli attuali spiega Borelli non giustificano al momento un intervento sui listini, che nel nostro caso verso gli Stati Uniti sono in dollari. Per ora i
clienti non chiedono sconti, cosa avvenuta ovviamente in
passato nella brusca discesa
da 1,40 a 1,10».
«I nostri listini nordameri
cani sono in euro spiega Mar
co Bonometti, imprenditore della componentistica auto
motive (Omr, 700 milioni di ri
cavi, nuovo massimo storico)
e presidente dell’Associazio
ne Industriale Bresciana e per
il momento non penso di ag
giornarli: vogliamo dare tutto il beneficio ai clienti e sostene
re la nostra competitività, che peraltro si gioca anzitutto nel
l’innovazione e nella tecnolo
gia. La speranza è che in questo
contesto valutario più costrut
tori vengano ad acquistare in Europa. Certo, se penso al pas
sato, ad un paio di anni fa, con il
dollaro così forte ora è davvero
cambiato il mondo. Anche se la
vera sfida rimane quella di ren
dere competitivo il nostro in
tero sistemapaese, indipen
dentemente dal cambio».
Il dubbio per molte imprese
riguarda l’eventuale copertu
ra a termine sul cambio, un modo per sterilizzare oscilla
zioni future del dollaro rinun
ciando alla scommessa di un ulteriore apprezzamento. «Noi pensiamo di “coprirci” spiega Pettinaroli perché
quello attuale mi pare un livel
lo già molto buono. Al mo
mento peraltro non pensiamo di muovere i nostri listini, che sono in dollari, puntando a rin
forzare la marginalità. Ad oggi
modo le previsioni in tema va
lutario sono complesse, prima
delle elezioni Usa la vittoria di
Trump veniva associata ad
una discesa del dollaro e inve
ce per ora sta accadendo il contrario». «Aspettiamo che il cambio si assesti spiega Bo
relli e poi valutiamo eventua
li coperture. Anche per noi i li
stini in dollari al momento non
cambiano, preferiamo raffor
zare i margini, del resto i movi
menti attuali, da 1.12 a 1.06, so
no ancora limitati».
Ad esprimere cautela è an
che Roberto Snaidero, presi
dente di FederlegnoArredo,
che non considera per nulla definitivo l’attuale rapporto di cambio. «Mi pare che almeno nelle intenzioni spiega l'im
prenditore il nuovo presiden
te voglia sostenere l’industria nazionale e un cambio forte certo non aiuta l’export Usa. Non credo quindi che l’avvici
namento alla parità sia sconta
to, anzi. Certamente a questi li
velli per il nostro settore si aprono nuove opportunità: un paio d’anni fa quota 1 e 40 ci aveva bloccato l’export, ora il trend si è invertito e le vendite del comparto negli Usa conti
nuano a progredire».
© RIPRODUZIONE RISERVATA
La fotografia
CORPORATE BOND EMERGENTI IN SCADENZA
Debiti obbligazionari aggregati denominati in dollari suddivisi per anno di scadenza. Dati in miliardi di dollari
17,341 21,004 20,618
32,48
68,075 117,588 113,877 113,551
media annua
2017-2020
103,272
120
100
80
media annua +351%
2013-2016
60
22,860
40
20
0
2013
2014
2015
2016
2017
2018
2019
2020
LEVA FINANZIARIA
Rapporto tra debito delle società non finanziarie e Pil,
economie emergenti e sviluppate a confronto
LA PROFITTABILITÀ DELLE AZIENDE
RoE medio delle società non finanziarie, economie emergenti
e sviluppate a confronto
120
20,0
110
17,5
100
15,0
90
Economie sviluppate
12,5
80
10,0
70
7,5
60
Economie emergenti
50
2006
Economie emergenti
Economie sviluppate
5,0
2,5
2007 2008 2009 2010 2011 2012 2013 2014 2015
2006
Fonti: elaborazione Il Sole 24 Ore su banca dati S&P Capital IQ; Banca dei regolamenti internazionali
2007 2008 2009 2010 2011 2012 2013 2014 2015
L’ANALISI
Walter
Riolfi
Il debito in dollari
degli emergenti
è 3 volte quello
dei subprime
S
econdo la Banca dei
Regolamenti (Bis), una
sorta di bibbia in materia
di finanza internazionale essendo la banca delle banche
centrali, il debito in dollari dei Paesi emergenti è di quasi 3,5mila miliardi dollari. Neanche tanto, si dirà, considerando che nelle 8 sedute seguite all’elezione di Donald Trump, il mercato obbligazionario mondiale deve aver “bruciato” un valore vicino ai 2mila miliardi. Ma se 3,5 mila miliardi sembrano pochi, forse si dimentica che, a dar origine alla depressione più grande dopo il 1929, fu la carta costruita sui mutui subprime: che in tutto valeva (si fa per dire) mille miliardi. E quella carta era finita nei portafogli di istituzioni dalle spalle relativamente forti: negli Usa e soprattutto in Europa. Invece, quei 3,5mila miliardi dei Paesi emergenti sono stati contratti da aziende non finanziarie e, in minima parte, pure da privati cittadini. Quel debito, stima la Bis, è cresciuto dal 60% del pil di quei Paesi nel 2006 al 110% a fine 2015. E ha seguitato a incrementarsi anche quest’anno. Buona parte dei debiti sono stati accesi tra il 2009 e il 2013 e basta guardare quanto è cresciuto il dollaro sulle varie valute emergenti per avere un’idea di quanto sia lievitato l’esborso sulla carta. Rispetto ai valori medi del 2010, la valuta americana ha guadagnato il 120% sul rublo russo, il 100% sul real brasiliano, il 130% sulla lira turca e circa il 50% sulla rupia indiana e indonesiana. Molto del debito viene dalla Cina. E qui i danni sembrano minori, se non fosse che una consistente fetta di finanziamenti è stata stipulata a partire dal 2014, quando lo yuan valeva il 13% più di oggi.
È vero che quei debiti non
devono essere tutti rimborsati
nei prossimi mesi. Ma supponiamo che il solo Brasile debba restituire una cinquantina dei 200 miliardi in scadenza nei prossimi due anni (si veda articolo in pagina) e si capisce che l’esborso per chi li aveva contratti in passato potrebbe
essere doppio. Non osiamo nemmeno pensare cosa succederebbe a un eventuale debitore argentino, visto che nel 2010 bastavano 3,9 peso per fare un dollaro, mentre oggi ce ne vogliono 4 volte di più. Certo non tutti i Paesi sono uguali e, come fanno notare gli analisti, quelli che producono materie prime sono avvantaggiati. Ma, anche così ragionando, bisognerebbe supporre che i prezzi delle materie prime salissero sensibilmente nei prossimi anni (magari grazie alla Trumpeconomy): cosa difficile da immaginare, visto che l’indice delle commodity (Crb) vale oggi la metà di 5 anni fa e un terzo rispetto al picco del 2008.
In ogni caso, il brusco rialzo del dollaro, associato al balzo dei rendimenti obbligazionari, è fortemente destabilizzante per le economie e le finanze non solo dei Paesi emergenti, ma anche di quelli sviluppati. E già sta innescando flussi di capitali in uscita verso gli Usa e una pericolosa rarefazione della liquidità in dollari sui mercati. Se tanto i mercati s’erano allarmati nel 2013 (con il presunto tapering della Fed), non si capisce perché mai debbano essere tranquilli oggi.
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