Referendum e riforma costituzionale: le ragioni del NO

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Referendum e riforma costituzionale: le ragioni del NO | 1
venerdì 25 novembre 2016, 16:30
4 dicembre 2016
Referendum e riforma costituzionale: le ragioni del NO
Intervista a Alessandro Pace, costituzionalista e Presidente per il Comitato del NO
di Camilla Doninelli
Manca poco più di una settimana al voto referendario sulla Riforma Costituzionale. Da una parte una riforma sarebbe
necessaria, dall’altra parte le modalità con cui è stata portata avanti e i contenuti sono in dubbio. Innanzitutto capiamo
perché tocca a noi decidere sul nuovo Testo.
La riforma, ovvero disegno di legge denominato Boschi, non ha ottenuto l’approvazione al Senato con 180 sì, 112 no
e 1 astenuto, ma visto che si propone di cambiare degli aspetti della Costituzione ha avuto bisogno di un ulteriore
passaggio in Parlamento. Nella seconda lettura alla Camera la riforma costituzionale non ha ottenuto la
maggioranza dei due terzi dei componenti delle Camere, per cui saranno i cittadini a decidere se confermare o
meno la legge di riforma costituzionale. Riduzione dei costi della politica, diminuzione del numero dei senatori e
composizione del Senato (in parole povere il superamento del bicameralismo perfettamente paritario), la revisione
dell’art. 117 (competenze Stato e Regioni), soppressione del CNEL e delle Province.
Il Premier Matteo Renzi ha dichiarato che, in caso di vittoria del NO, non rimarrà attaccato alla poltrona: «Se i cittadini
dicono 'No' e vogliono un sistema che è quello decrepito che non funziona, io non posso essere quello che si mette d’accordo
con gli altri partiti per fare un governo di scopo o un governicchio». Per poi aggiungere: «O si cambia o se vogliono
galleggiare, trovino altri. Se qualcuno vuole fare strani pasticci, li faccia senza di me. Quando smetterò di fare il presidente
del Consiglio, che sia domani o tra cinque anni, mi inchinerò alla bandiera italiana e dirò grazie per l’onore che ho avuto di
servire il Paese. Non farò come altri che hanno messo il broncio, o che hanno deciso di votare 'No' perché non hanno avuto
Estratto ad uso rassegna stampa dalla pubblicazione online integrale e ufficiale, reperibile su
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uno strapuntino di consolazione. Io non sono abbarbicato alla poltrona».
Partiamo con le ragioni del NO. Per capirle abbiamo intervistato Alessandro Pace, costituzionalista e Presidente comitato
per il NO.
Per punti quali sono le principali ragioni del NO?
Gli elementi più importanti riguardano una riforma illegittima di un Parlamento delegittimato, i gravi difetti dell’iniziativa
governativa della riforma costituzionale, funzioni, composizione ed elettività del Senato, il ruolo del Governo e contenimento
dei costi della politica.
Voi sostenete il problema del così detto ‘combinato disposto’ riforma costituzionale-legge elettorale. Vorrebbe
spiegare di che si tratta?
Grazie al combinato disposto dell’Italicum (che riproduce alcuni gravi difetti del Porcellum dichiarato incostituzionale) con la
riforma costituzionale Boschi, avremmo un uomo solo al comando, grazie ad una investitura democratica quasi-diretta e al
fatto che la maggioranza avrebbe a sua disposizione ben 340 seggi. E’ stato obiettato dai sostenitori del Sì che una cosa è la
riforma e altra cosa è la legge elettorale, ma è altrettanto vero che sull’Italicum il Presidente del Consiglio Renzi ha posto
ben tre volte la fiducia, per cui è stato giustamente sottolineato che l’Italicum costituisce il “perno” della riforma
costituzionale. Il che è del resto comprovato dal fatto che la Corte costituzionale ha rinviato a dopo il referendum del 4
dicembre la decisione sulla legittimità costituzionale dell’Italicum, a conferma che se il referendum avesse esito negativo il
contesto sarebbe radicalmente diverso da quello auspicato dal Presidente Renzi. Altra caratteristica della forma di governo,
qualora dovesse prevalere il Sì, è che il Presidente del Consiglio sarebbe nel contempo anche il segretario del partito, che,
tranne un paio di eccezioni, il nostro sistema politico ha sempre rifiutato essendo i partiti politici espressione della società
civile. La riforma Boschi ha eliminato il Senato come potenziale contro-potere e ha demandato lo statuto delle opposizioni ai
regolamenti parlamentari che, come è a tutti noto, sono però approvati a maggioranza assoluta. La maggioranza di governo
si è altresì opposta, durante la discussione della riforma Boschi, all’introduzione del potere d’inchiesta da parte di un quarto
dei componenti della Camera, come esiste in Germania sin dal 1919.
Il fronte del SI sostiene che con la riforma si risparmiano 500 milioni di Euro all’anno con il taglio dei Senatori.
Voi dite che non e’ così. Quali sono i dati per cui sostenete che questa è una menzogna?
L’inserimento, nel titolo della legge Boschi, del «contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni», non costituisce
un punto qualificante della riforma, poiché, a rigore, con tale locuzione si può alludere solo a due disposizioni di scarsa
importanza: il 'tetto' imposto agli emolumenti dei consiglieri regionali nel limite dell’importo degli emolumenti dei sindaci
('nuovo' art. 122 comma 1) e il divieto di finanziamento ai gruppi politici presenti nei consigli regionali (art. 40 comma 2
della legge Boschi). Se invece con tale locuzione si intende alludere alla diminuzione del numero dei senatori - come
appunto si fa dai sostenitori della riforma -, dovrebbe per contro essere obiettato, in primo luogo, che il problema dei costi è
una conseguenza delle scelte istituzionali e non la ragione di esse. Inoltre è stato giustamente rilevato che «il buon
funzionamento delle istituzioni non è prima di tutto un problema di costi legati al numero di persone investite di cariche
pubbliche (…) bensì di equilibrio fra organi diversi, e di potenziamento, non di indebolimento delle rappresentanze elettive»
(così Enzo Cheli e Valerio. Onida).
Si afferma che il vero obiettivo della riforma è lo spostamento dell’asse istituzionale a favore dell’Esecutivo?
Quali sarebbero gli elementi probanti quanto sopra?
Oltre a violare manifestamente la sentenza n. 1 del 2014, la riforma Boschi costituisce il frutto di un’iniziativa governativa, e
non parlamentare. Le gravi conseguenze sono sotto gli occhi di tutti: la sostituzione di parlamentari nella Commissione che
contestavano la violazione della vigente Costituzione da parte del d.d.l. Boschi; l’eliminazione, nella seconda tornata, del
relatore di minoranza; la votazione di un emendamento 'super-canguro' in grado di eliminare, con un colpo solo, tutta una
serie di emendamenti pericolosi per il Governo; la violazione del precedente Napolitano del 1963 che consentiva di
introdurre emendamenti anche nell’ultima tornata e così via.
Il Comitato del SI sostiene che 'La Corte Costituzionale, quando ha dichiarato incostituzionale il Porcellum, ha
detto che la sentenza non aveva nessuna incidenza sui poteri del Parlamento che in quel momento stava già
discutendo una riforma costituzionale. Se avesse voluto vietarlo, la Corte lo avrebbe detto esplicitamente'. Voi
cosa rispondete?
La Corte costituzionale, con la sentenza n. 1 del 2014, dichiarò l’incostituzionalità del c.d. Porcellum, la legge elettorale in
base alla quale l’attuale legislatura è stata eletta nel 2013. Il vizio di costituzionalità consisteva nella eccessiva sovra
rappresentazione della lista di maggioranza relativa, avendo il PD ottenuto 127 seggi in più, mente il PdL ne aveva ottenuti
51 in me.no, il M5S 58 in meno e così via. Quindi si era determinata una manifesta violazione del principio di
rappresentatività che è fondamentale in uno Stato democratico - rappresentativo. Il Parlamento avrebbe quindi dovuto
essere immediatamente sciolto e indette nuove elezioni politiche. Secondo la giurisprudenza costituzionale, le leggi elettorali
sono però 'leggi necessarie', per cui le Camere prima di poter essere sciolte avrebbero dovuto approvare le leggi elettorali
sia della Camera che del Senato. La Consulta tuttavia affermò che le leggi che fossero state approvate entro la legislatura
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sarebbero state ritenute valide ancorché le Camere non fossero state correttamente elette, in quanto esse si sarebbero
fondate sul 'principio della continuità degli organi costituzionali'. Il quale però è un principio implicito, ancorché
complementare ad in un ordinamento che si basa su periodiche elezioni popolari. Per cui un principio del genere può valere
tutt’al più per qualche mese, come appunto si evince dalle ultime battute della sentenza che cita gli artt. 61 e 77 comma 2
Cost. È quindi del tutto evidente che porre in essere una riforma costituzionale che coinvolge oltre 40 articoli con un
Parlamento non rappresentativo è stato un vero e proprio azzardo, in plateale contrasto con i principi della nostra
Costituzione.
E tra Senato e Camera che succede?
1) Non è vero che il Senato rappresenterebbe le istituzioni territoriali. Le sue funzioni sarebbero esclusivamente quelle di un
organo dello Stato. Il Senato non rappresenterebbe le istituzioni territoriali non solo perché questo è possibile solo negli Stati
federali, ma anche perché, mentre le materie di competenza bicamerale (Camera-Senato) previste dall’art. 70 comma 1
sono solo organizzative, la Camera dei deputati ha sempre l’ultima parola sulle materie d’interesse regionale. Non essendo
stato previsto, per i senatori, il vincolo di mandato da parte della Regione, come nella Repubblica federale tedesca; né
avendo le Regioni lo stesso numero di rappresentanti in Senato, come negli Stati Uniti, il Senato non avrebbe natura
territoriale ma solo politico-partitica, né più né meno della Camera dei deputati.
2) Poiché la funzione senatoriale verrebbe esercitata da sindaci o da consiglieri regionali, i senatori dovrebbero svolgere non
una ma due funzioni il che renderebbe praticamente impossibile il corretto adempimento sia dell’una che dell’altra.
Altrettanto irrazionale è la macroscopica differenza numerica tra i deputati (630) e i senatori (100), il che rende
potenzialmente irrilevante il voto dei senatori nelle riunioni del Parlamento in seduta comune per quanto riguarda l’elezione
del Presidente della Repubblica e dei componenti del Consiglio Superiore della Magistratura. Irrazionale è anche la
previsione che, per essere eletti al Senato, sarebbe sufficiente aver compiuto 18 anni (questa infatti è l’età richiesta per
essere eletti come consigliere regionale e come sindaco) mentre per essere eletti alla Camera resterebbe ferma l’età
minima di 25 anni. Infine è incomprensibile perché sia stata confermata la nomina di cinque senatori da parte del Presidente
della Repubblica, in un Senato così declassato, e per giunta per la stessa durata del Capo dello Stato.
3) I senatori verrebbero eletti non dai cittadini, come prevede l’art. 1 della Costituzione, secondo il quale la sovranità
'appartiene' al popolo che la 'esercita' nelle forme e nei limiti della Costituzione. Esercitare significa… esercitare e non già
attribuire il voto ad altri. Quanto alle 'forme' la Costituzione allude ai possibili diversi sistemi elettorali, non già alla possibilità
di sostituire il voto diretto con un voto indiretto. L’unica elezione indiretta è infatti quella per il tramite dei grandi elettori,
come accade in Francia col Senato e come accade negli Stati Uniti con l’elezione del Presidente della Repubblica. Il che però
dovrebbe essere previsto espressamente in Costituzione, come appunto l’articolo 3 della Costituzione della Repubblica
francese.
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