L`intervista al Prof. Vincenzo Di Cataldo

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L’intervista al Prof. Vincenzo Di Cataldo
A vent’anni dall’Accordo TRIPS:
Quali sviluppi nella disciplina della proprietà Intellettuale?
Prof. Vincenzo Di Cataldo :
Professore ordinario di Diritto
commerciale- Dipartimento di
Giurisprudenza Università di Catania
1) Professore può tracciare un bilancio
dell’Accordo TRIPS, ripercorrendo le tappe
più significative per gli aspetti della
Proprietà Industriale?
È interessante e importante identificare il
preciso valore che l’Accordo ha avuto ed ha nel
contesto internazionale dei nostri giorni. Credo
che questo valore da ravvisare non tanto nelle
singole regole, anche molto rilevanti, che
l’Accordo dedica ai vari diritti di proprietà
intellettuale, ma nel fatto che esso (dopo lo
stallo della Convenzione di Unione di Parigi, che
non si è riusciti più a revisionare dopo il 1967) ha
rappresentato e rappresenta un modello
comune di disciplina e un foro comune di
discussione per tutti gli Stati aderenti al WTO,
cioè, in pratica, per quasi tutti gli Stati del
mondo. Come è a tutti noto, la proprietà
intellettuale ha una fortissima vocazione
transnazionale, e se ogni Stato elaborasse da
solo in assoluta autonomia la propria legislazione
in questa materia si perverrebbe a regole anche
molto diverse da Stato a Stato, con effetti
fortemente negativi per il commercio
transnazionale. Di fatto, l’Accordo TRIPS ha
invitato quelli che vent’anni fa erano i paesi
meno sviluppati ad adottare, in tema di
proprietà intellettuale, regole sostanzialmente
analoghe a quelle che allora erano le regole dei
paesi più evoluti. Certo, il mondo continua a
cambiare, e da allora è cambiato molto. Si sono
modificati notevolmente i ruoli di molti paesi,
Stati che allora erano puri esportatori di prodotti
agricoli e risorse naturali sono diventati
produttori di beni di consumo. Paesi allora poco
sviluppati sono oggi in prima linea.
Ma all’interno di una cornice comune, quale è
appunto l’Accordo TRIPS, le future necessarie
evoluzioni del diritto della proprietà intellettuale
possono realizzarsi più facilmente, tramite
opportune modifiche delle norme vigenti e con
una ben maggiore probabilità che anch’esse
rechino un’impronta comune.
2) Nell’ultimo periodo l’Accordo sembra
essere oggetto a una duplice lettura: da un
lato attraverso la lente del così detto
minimum standard; dall’altro, adottando il
concetto opposto di maximum standard,
con il rischio di effetti arbitrari nelle
legislazioni /declinazioni nazionali.
Come molti testi normativi, l’Accordo TRIPS ha
avuto una vita abbastanza diversa dalle volontà
e dalle previsioni di coloro che lo hanno scritto.
Esso è nato con l’obiettivo di costituire una sorta
di minimum standard, nel senso che esso
obbligava gli Stati aderenti ad adottare almeno
regole corrispondenti a quelle dell’Accordo
stesso, lasciando gli Stati liberi di dotarsi di una
disciplina che proteggesse la proprietà
intellettuale in modo più forte. È però poi
accaduto che molti paesi sviluppati hanno
iniziato a credere che il minimum standard
dell’Accordo TRIPS fosse troppo limitato, e
hanno tentato, a volte riuscendo nell’intento, a
volte no, di pervenire ad una tutela della
proprietà intellettuale che andasse oltre lo
standard dell’Accordo TRIPS.
Questo è accaduto con i numerosi accordi bi o
plurilaterali denominati TRIPS-plus e poi con il
tentativo di varo di ACTA. Una delle reazioni dei
paesi meno sviluppati è stata nel senso di
affermare la illegittimità, sul piano del diritto
internazionale, di questi accordi, proprio per il
loro andare oltre l’Accordo TRIPS, del quale, a
questo punto, si è affermato il carattere di
maximum standard, cioè di tutela cui le leggi
nazionali non potrebbero dare ulteriori sviluppi
nel senso di un ulteriore rafforzamento della
protezione accordata alla proprietà intellettuale.
Questa è una prospettiva molto interessante,
che ad oggi non è stata ancora studiata a fondo.
Probabilmente la soluzione più corretta sta in
qualche modo a metà tra i due estremi.
Probabilmente alcune regole dell’Accordo TRIPS
esprimono veramente uno standard minimo,
consentono quindi agli Stati di adottare una
disciplina di tutela più forte. Probabilmente altre
norme dell’Accordo esprimono, invece, uno
standard massimo, e quindi vietano agli Stati
l’adozione di regole più severe. Quali
esattamente siano le une e quali le altre è
difficile ancora dire, e riterrei che questo sia uno
dei compiti principali del futuro prossimo.
3) Uno dei temi più caldi è l’identificazione
della flessibilità vera, quali sono le criticità
più evidenti di adozione di questo
parametro?
Una delle parole più spesso messe a contatto
con l’interpretazione dell’Accordo TRIPS, a
partire almeno da una decina d’anni, è
flessibilità. Questa è stata la parola d’ordine dei
paesi meno sviluppati rispetto alla domanda dei
paesi sviluppati per una più piena e completa
attuazione dell’Accordo da parte di tutti gli Stati
aderenti. Molti Stati, infatti, hanno proceduto ad
una attuazione limitata, anche oltre i lunghissimi
e più volte prorogati termini loro fissati per
l’adeguamento. La legittimità di un
adeguamento non pieno è stata difesa
affermando che l’Accordo TRIPS presenterebbe
su molti punti ampi margini di manovra,
consentendo a ciascuno Stato di scegliere il
regime di tutela della proprietà intellettuale che
meglio si confà alle proprie esigenze
socioeconomiche, alla propria storia, alla propria
cultura, alle proprie opzioni politiche. In linea di
principio credo sia vero che vari punti
dell’Accordo TRIPS non indicano una regola
rigida, pronta perché gli Stati la riproducano
identica nel proprio diritto nazionale. L’Accordo,
invece, su molti punti lascia agli Stati alcuni più o
meno ampi margini di manovra, in modo che essi
possano adottare regole non identiche a quelle
di tutti gli altri Stati, ma ritagliate su opzioni
particolari e comunque fedeli alla visione di
fondo dell’Accordo stesso. Credo che così inteso
questo carattere di flessibilità possa offrire allo
sviluppo delle regole della proprietà intellettuale
apporti positivi, perché consente agli Stati di
esplorare meglio diverse possibili opzioni,
confrontarle e valutarle. È però essenziale che gli
Stati si rendano conto del fatto che la flessibilità
dell’Accordo, così intesa, deve muoversi entro
limiti circoscritti. Essa non può consentire agli
Stati di legiferare come vogliono in tutti i sensi.
Le opzioni di fondo della disciplina proposta
dall’Accordo TRIPS non devono poter essere
messe in gioco. Sono le regole di dettaglio che
possono essere delineate in termini non
necessariamente unitari. In questo senso la
flessibilità dell’Accordo TRIPS sarebbe
certamente un fattore positivo dell’ulteriore
evoluzione delle regole. Se invece essa fosse
intesa come piena libertà degli Stati di adottare
le regole che vogliono, essa, all’opposto,
rappresenterebbe un costo enorme.
4) Quali i nodi da sciogliere nei prossimi
appuntamenti internazionali in seno
all’Accordo Trips, di particolare valenza per
l’Italia.
I nodi da sciogliere sono tanti, e questo non è
strano. Le sfide delle tecnologie digitali al diritto
d’autore reclamano innovazioni normative
adeguate. Le continue evoluzioni del modo di
operare dei marchi, provocate dall’incessante
trasformarsi dei mercati, esigono continui
aggiustamenti delle regole dei segni distintivi. In
materia brevettuale, è necessario restituire al
brevetto una vera capacità di incentivazione
della ricerca in tutti i campi in cui abbiamo
disperato bisogno di innovazione (dalle energie
alternative alla lotta contro agenti patogeni
ormai resistenti ai farmaci oggi in uso).
Corrispondentemente, appare sempre più
indispensabile, a livello mondiale, trovare
finalmente meccanismi adeguati di
“contenimento” del brevetto, in vista, ad
esempio, ad una effettiva libera circolazione dei
farmaci generici. Io non credo che l’Italia, o altri
Stati, possano permettersi di pensare che si
possa partecipare ai prossimi appuntamenti (si
tratti di discutere dell’applicazione dell’Accordo
TRIPS o di sue future modifiche, che prima o poi
dovrebbero mettersi in cantiere) in una
prospettiva di protezione di specifici interessi
nazionali.
Da un lato, sarebbe assai difficile, forse
impossibile, identificare, in questa materia, veri
interessi nazionali, ed il rischio che l’operazione
venga effettuata in termini opportunistici in
favore di interessi di singoli settori di un singolo
paese è molto alto. Dall’altro, e soprattutto, in
un mondo globalizzato gli interessi dei vari paesi
tendono sempre più ad omogeneizzarsi, e
sarebbe assolutamente il caso che tutti gli Stati
inizino davvero a pensare, anche nel campo della
proprietà intellettuale, in una prospettiva non
egoistica ma globale.