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Cass. Pen., sez. II, 25 ottobre 2016, n.44942
TRUFFA ED ESTORSIONE – CRITERI DISTINTIVI – DIVERSITÁ DEL MALE MINACCIATO
La condotta di chi minaccia un male possibile ed eventuale, da lui non proveniente –né
direttamente né indirettamente– integra il delitto di truffa di cui all’art. 640 c.p. quando la persona
destinataria della minaccia medesima rimane libera di autodeterminarsi circa la possibilità di
cooperare o meno nel reato. Trattasi di una volontà pur tuttavia solo fintamente libera perché
risulta viziata dall’errore ingenerato –dal reo nella vittima del reato– mediante raggiri ed artifizi.
Quando la libertà di autodeterminazione della persona offesa del reato cede il passo a una volontà
coartata per effetto della minaccia di un male certo e realizzabile oltreché proveniente da chi lo
prospetta, si integra il delitto di estorsione di cui all’art. 629 c.p. In questo caso la volontà della
vittima non è libera poiché essa può solo scegliere se subire il male minacciato ovvero far
conseguire all'agente il preteso profitto.
TRUFFA ED ESTORSIONE – COAZIONE E MANIPOLAZIONE DELLA VOLONTÁ – ASSENZA
DI VOLONTÁ E VOLONTÁ FINTAMENTE LIBERA
Il delitto di truffa ex art. 640 c.p., realizzato mediante la minaccia di un male, si connota per la
manipolazione della volontà della vittima, la cui scelta di cooperare nel reato è solo
apparentemente libera perché viziata dall’errore ingenerato mediante raggiri ed artifizi.
Il delitto di estorsione ex art. 629 c.p. risulta caratterizzato dalla coartazione della volontà della
persona offesa del reato: la minaccia di un male certo e realizzabile pone la vittima nella situazione
di operare l’unica scelta tra subire il male minacciato ovvero far conseguire all'agente il preteso
profitto.
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS) il (OMISSIS);
avverso la sentenza della Corte d'appello di Ancona del 26 febbraio 2015, n. 918/15.
Sentita la relazione svolta dal Consigliere Dott. D'ARRIGO Cosimo;
udito il Sostituto Procuratore Generale, in persona del Dott. VIOLA Alfredo Pompeo, che ha
concluso per l'inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
La Corte d'appello di Ancona, con sentenza del 26 febbraio 2015, ha confermato la sentenza, a
seguito di rito abbreviato, del Tribunale di Fermo del 16 gennaio 2014 di condanna di (OMISSIS)
alla pena di anni due e mesi undici di reclusione ed Euro 400,00 di multa, per aver posto in essere
alcune estorsioni fingendosi carabiniere e, in tale veste, costringendo alcuni automobilisti a
consegnargli del denaro sotto minaccia di sequestro del veicolo, di ritiro della patente e di altre
sanzioni amministrative. Concorrono i reati di cui agli articoli 494, 482 e 476 c.p..
L'imputato propone ricorso allegando:
- l'erronea qualificazione dei reati di cui ai capi a) e d), trattandosi di truffa piuttosto che di
estorsione;
- il vizio di motivazione in ordine alla ricostruzione delle vicende oggetto di imputazione;
- l'erronea applicazione dell'articolo 494 c.p., perché il reato di sostituzione di persona rimane
assorbito da quello di falso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato e deve essere rigettato.
Il primo motivo di ricorso investe questa Corte della questione circa la corretta qualificazione
giuridica dei fatti di cui ai capi a) e d) dell'imputazione. In entrambi i casi l'imputato, falsamente
qualificandosi come Carabiniere, si faceva consegnare dalle vittime del denaro sotto minaccia,
altrimenti, di sequestrare un veicolo, in un caso, e di ritirare la patente di guida, nell'altro.
La falsa qualità personale spesa dall'imputato nella commissione dei reati e la conseguente natura
non reale del pericolo paventato alle vittime, pone l'alternativa fra il delitto di truffa e quello di
estorsione.
Secondo la giurisprudenza della Corte di legittimità, il criterio distintivo tra il reato di truffa e quello
di estorsione, quando il fatto è connotato dalla minaccia di un male, va ravvisato essenzialmente
nel diverso modo di atteggiarsi della condotta lesiva e della sua incidenza nella sfera soggettiva
della vittima: ricorre la prima ipotesi delittuosa se il male viene ventilato come possibile ed
eventuale e comunque non proveniente direttamente o indirettamente da chi lo prospetta, in modo
che la persona offesa non è coartata, ma si determina alla prestazione, costituente l'ingiusto
profitto dell'agente, perché tratta in errore dall'esposizione di un pericolo inesistente. Si configura,
invece, l'estorsione se il male viene indicato come certo e realizzabile ad opera del reo o di altri,
poiché in tal caso la persona offesa é posta nella ineluttabile alternativa di far conseguire all'agente
il preteso profitto o di subire il male minacciato (fra le più recenti: Sez. 2, n. 46084 del 21/10/2015
- dep. 20/11/2015, Levak, Rv. 265362; Sez. 2, n. 7662 del 27/01/2015 - dep. 19/02/2015, Lanza,
Rv. 262574).
In altri termini, la condotta criminosa è volta, in entrambi i casi, al conseguimento di un ingiusto
profitto che costituisca il "prezzo" pagato dalla vittima per evitare il male prospettatogli e il criterio
differenziale sta nella coartazione o meno della volontà di quest'ultima; se, cioè, la volontà della
vittima risulta semplicemente manipolata o, piuttosto, irresistibilmente coartata.
La coazione si distingue dalla manipolazione in quanto nel primo caso la vittima ha la percezione di
non avere alternativa per evitare il pericolo, a prescindere dalla natura reale o immaginaria del
stesso; la sua volontà, dunque, non è "indotta", bensì "costretta" nella direzione auspicata
dall'autore del reato.
Viceversa, si verte nell'ipotesi della truffa quando la minaccia del pericolo immaginario, per la sua
intrinseca consistenza, non ha diretta capacità coercitiva, ma influisce sulla volontà della vittima
attraverso l'induzione in errore. La scelta della vittima di cooperare nel reato, quindi, è
apparentemente "libera", sebbene in realtà viziata dall'errore ingenerato mediante artifizi e raggiri.
La concreta efficacia coercitiva, e non meramente manipolativa, della condotta minacciosa rispetto
alla volontà della vittima, deve essere valutata con verifica ex ante, che prescinde dalla effettiva
realizzabilità del male prospettato (Sez. 2, n. 11453 del 17/02/2016 - dep. 18/03/2016, Guarnieri,
Rv. 26712401).
L'accertamento della capacità della minaccia del pericolo immaginario di coartare in modo
irresistibile la volontà della vittima, ovvero semplicemente di deviarne il naturale percorso di
formazione mediante l'induzione in errore costituisce accertamento di merito che, se sorretto da
motivazione immune da vizi logici e giuridici, si sottrae al sindacato di legittimità.
Nella specie, il giudice di merito ha fatto corretta applicazione dei principi di diritto sopra esposti e
la qualificazione giuridica dei fatti è corretta.
Con riferimento al secondo motivo di ricorso, è sufficiente osservare che il delitto di sostituzione di
persona può ritenersi assorbito in altra figura criminosa solo quando ci si trovi in presenza di un
unico fatto, contemporaneamente riconducibile sia alla previsione di cui all'articolo 494 c.p., sia a
quella di altra norma posta a tutela della fede pubblica; per contro, si ha concorso materiale di
reati quando ci si trovi in presenza di una pluralità di fatti e quindi di azioni diverse e separate
(Sez. 6, n. 13328 del 17/02/2015 - dep. 30/03/2015, Scarano, Rv. 263076).
Nella specie, l'attività di falso ha avuto ad oggetto dei verbali di contravvenzione e, dunque, si
tratta certamente di azione diversa da quella sussumibile nella fattispecie di cui all'articolo 494 c.p.
In conclusione, il ricorso deve essere rigettato in relazione ad ogni profilo ivi dedotto.
Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.