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giovedì 17 novembre 2016, 17:00
Politica estera
Il think tank di Trump: Russia resta la vera minaccia
Un think tank conservatore rivela la superiorità militare e diplomatica di Mosca
di Sergio Flore
A sorpresa, il think tank conservatore Heritage Foundation prende le distanze dalla linea di Donald Trump sulla
Russia, suo candidato di riferimento. Nel report ‘2017 Index of U.S. Military Strength’ che analizza la forza militare degli
Stati Uniti e le possibili minacce che potrebbe dover affrontare nel mondo: si sostiene che la minaccia posta da
Mosca è aumentata nell'ultimo anno e investe una vasta regione del mondo che si estende dall'Europa centrale all'Asia.
Insomma, la Russia sarebbe effettivamente pericolosa. Molti dei Consiglieri della nuova Amministrazione provengono dalla
Heritage Foundation che ora pone il Presidente di fronte ad una realtà piuttosto grigia. Se si guarda alla sola potenza
militare, nella bilancia dei rapporti di forza tra le due Nazioni è Mosca a pesare di più. Nonostante il think tank
stesso escluda che vi sia da parte russa la volontà di utilizzare l'immenso potenziale bellico, questo spareggio nelle forze
sarà sicuramente qualcosa da prendere in considerazione se Trump, come promesso, vorrà instaurare con Vladimir Putin
dei rapporti di collaborazione e amicizia. Se da un lato gli analisti danno ragione al Presidente, che ha in passato condannato
lo stato delle forze armate americane e l'assenza di volontà politica per investire in un ammodernamento (la spesa militare è
scesa di 78 miliardi a partire dal 2011), dall'altro ci si chiede se un ritorno all'antico isolazionismo e un abbandono
della posizione degli USA come 'policemen of the World' siano la risposta giusta ad un bilanciamento di forze già
abbastanza preoccupante. Ma cosa emerge esattamente dal recente rapporto? Il documento si apre con un'aspra critica
alla NATO odierna, un tempo «fulcro della sicurezza americana post-guerra mondiale» e in grado di «garantire pace e
prosperità in varie parti del globo». Sarebbero cambiate le condizioni, stando alla Heritage Foundation: diverse le minacce,
diverse le sfide. Terrorismo e migrazioni in primis, ma anche la crisi finanziaria che, unita alla ottusa mancanza di volontà
politica, ha reso l'Europa incapace di contribuire efficacemente all'Alleanza. Almeno su questo punto, quindi, pare che Trump
avesse ragione. Il patto Atlantico si è trasformato in un impresa a direzione e portafoglio unicamente americani
e, per come probabilmente la vede il magnate, risulta essere un'azienda in perdita, anche e soprattutto per colpa dei
suoi soci. E se nuove problematiche sorgono, le vecchie nemesi dell'asse americano non spariscono, ma crescono in potenza
e ambizione. Contrariamente a quanto i 'trumpisti' hanno da tempo affermato, però, è proprio la Russia ad essere
considerata il -per ora potenziale- nemico numero uno. La sezione 'europea' del documento in effetti, si concentra
unicamente sull'enorme ex-superpotenza. «La Russia è l'unico stato della regione che ha le capacità, sia per quanto riguarda
le armi convenzionali che non, di minacciare il suolo americano. Nonostante non ci sia motivo di presumere che la Russia
pianifichi di usare la sua forza contro gli Stati Uniti, vista l'assenza di un grosso conflitto con la NATO, questo potenziale
scenario conferma la sua importanza strategica», si legge sul report. E' interessante vedere come il 'sospetto' sia reciproco.
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Nel Dicembre del 2015 la strategia per la sicurezza nazionale russa di Putin vedeva l'espansione a est della NATO e
l'appoggio al colpo di Stato in Ucraina come delle vere e proprie minacce per Mosca: «La continua costruzione di nuovo
armamento militare NATO e la sua vocazione globale conseguita in violazione delle norme internazionali, il potenziamento
degli eserciti delle nazioni del blocco, l'ulteriore espansione dell'alleanza, il posizionamento delle infrastrutture militari vicino
al confine russo creano una minaccia alla nostra sicurezza nazionale». Preoccupante in ogni caso il dato riguardante
l'armamento nucleare. Se si considerano i missili a corto raggio, la Russia è la prima tra le potenze nucleari per quantità di
testate. Sebbene l'uso indiscriminato di una tale mole di missili sia escluso, la loro presenza ha il compito di fornire un
potente deterrente contro le potenze vicine che potrebbero sentirsi minacciate dal gigante eurasiatiaco. Ancora stando al
report, i continui investimenti su questo tipo di armi sono stati fin'ora esclusi e immunizzati dai proclamati tagli
alle spese militari. L'espansionismo della NATO, seppur innegabile, non è certamente stato l'unico a investire le frontiere
dell'Europa dell'Est. Il report indica delle stime per quanto riguarda il numero di truppe schierate da Mosca e la situazione
non appare rosea, se si considera che in Ucraina il personale militare russo ammonta a ben 38mila soldati. Anche
più a sud non può che preoccupare la presenza di truppe russe in Moldova e in Georgia (paese che ha l'ambizione di aderire
all'Alleanza Atlantica), in contrasto con l'accordo di pace stipulato nel 2008. Secondo gli analisti del think tank è interesse
della Russia evitare la 'normalizzazione' di queste situazioni al limite della guerra da cui Mosca guadagna influenza e potere.
Meno discussa, ma non per questo sottovalutata da russi e americani è la questione dell'Artico, area geografica in cui
l'installazione di infrastrutture militari (e di qualsiasi altro tipo) non ha scoraggiato Putin, il cui piano decennale di
militarizzazione non esclude un'espansione all'estremo nord e prevede già addestramenti e il dispiegamento di una flotta.
Dall'analisi non è stato escluso nemmeno il 'soft power' o comunque i mezzi non militari e non convenzionali con cui la
Russia può esercitare pressioni e minacce su molti degli alleati americani minori. La politica dei rifornimenti di gas all'Europa
rappresenta un esempio. Il tentativo di instaurare una sorta di mercato comune con l'Unione Economica Eurasiatica organizzazione in cui, per ovvie ragioni geografiche, la Russia è il centro e la nazione più potente - è un altra politica vista
dall'Heritage Foundation come simbolo dell'espansionismo, anche economico, di Putin. Non passa inosservata una pratica
che, dato l'immaginario collettivo, in molti relegherebbero alla passata Guerra Fredda: Lo spionaggio, che «è un altro
metodo che la Russia usa per danneggiare gli interessi americani. Nel 2015, la Finlandia e la Svezia hanno notato un
incremento dell'attività di intelligence straniera». Gli svedesi infatti, già da un anno, considerano le attività di spionaggio
russe di livello 'estensivo' e hanno riportato che un terzo dei diplomatici russi consiste in effetti in personale dei servizi
segreti. E' in questo contesto che vanno inseriti i recenti arresti di spie negli Stati Uniti, in Portogallo e nei Paesi del Baltico.
Incredibilmente avanzati sembrano anche i progressi di Mosca in quella che è tutto sommato una nuova frontiera e «la più
contesa in Europa»: quella del Cyberspazio. Sebbene sia quasi impossibile individuare con certezza la fonte politica degli
'cyberattacchi' (molti dei quali sono lone-wolves, o fanno capo a 'bande' ben poco interessate alla geopolitica), il report parla
di gruppi di 'hacker patriottici' e la natura stessa degli attacchi (coordinati e indirizzati verso obbiettivi importanti a fini
politici e militari, come le centrali elettriche in Ucraina) fa ovviamente pensare al Cremlino come mandante di questa
campagna militare senza sangue né proiettili. Anche la propaganda gioca un ruolo importante nella diplomazia russa.
Nei paesi del baltico e dell'Est Europa, in cui sono presenti minoranze, anche sostanziali, di lingua russa, i canali televisivi e
le agenzie stampa di Mosca rappresentano una voce ascoltata, al pari di emittenti come 'Radio Free Europe' o 'Radio Liberty'
che, nate in piena guerra fredda ma ancora attive, trasmettono una prospettiva filo-occidentale nei paesi dell'ex-unione
sovietica. E mentre Mosca ha varato una legge che impedisce a imprenditori stranieri di possedere più del 20% del valore di
un'azienda nel campo delle telecomunicazioni, in Lettonia il Governo, già dai primi conflitti in Ucraina, ha vietato le
trasmissioni dell'agenzia di stampa russa 'Sputnik'. L'area europea e del Caucaso non è ovviamente l'unica zona 'calda' dei
rapporti con la Russia. Il think tank indica in Medio Oriente l'Iran, insieme al problema del terrorismo, come nemico
principale. Dando ragione allo scetticismo di Trump riguardo all'accordo firmato da Tehran con Obama, gli analisti
confermano i benefici che il Paese persiano ha ottenuto uscendo dall'isolamento forzato dalla politica estera americana
precedentemente all'approccio dell'ultimo Presidente. L'accordo ha sostanzialmente messo l'Iran nella posizione di
sviluppare un sistema di armamenti che potranno, se completati, colpire parte dell'Europa occidentale. L'occasione è
evidentemente troppo ghiotta per Mosca che dal 2015 ha instaurato degli stretti rapporti commerciali col Paese vedendovi
un potenziale ricco cliente nel mercato delle armi. L'Iran ha anche concesso ai russi l'uso di diverse basi aeree per operare in
Siria, altra zona in cui Mosca è attiva. Insomma, se Donald Trump ha davvero intenzione di stabilire buoni rapporti con Putin,
è certo che l'eredità delle Amministrazioni precedenti non facilità per nulla il compito. E a testimoniarlo sono gli analisti
stessi che hanno sostenuto la sua campagna e con cui dovrà necessariamente consultarsi. Nelle contrattazioni, ambito in
cui Donald si ritiene uno specialista, stavolta sono i russi ad avere il coltello dalla parte del manico.
di Sergio Flore
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