Il filosofo Mancini: «Perché il cristianesimo è meglio

Download Report

Transcript Il filosofo Mancini: «Perché il cristianesimo è meglio

GENTE VENETA | Attualità
Venerdi, 18 Novembre 2016
Il filosofo Mancini: «Perché il cristianesimo è
meglio del liberismo»
Se non ci convinciamo, dal basso, che il Vangelo indica la forma migliore e più conveniente di
vita per tutti, c'è poco da fare: la logica del denaro e del potere continuerà a farla da padrone.
Con conseguenze pessime.
Lo dice con forza Roberto Mancini (foto), docente di Filosofia teoretica all'università di
Macerata, ospite nei giorni scorsi a Mestre.
La sua tesi è che possiamo organizzare la convivenza su altre basi rispetto a quelle del
cannibalismo sociale prodotto dal liberismo e dalla stella polare del profitto e
dell'accumulazione. Ogni tanto c'è chi, come lei, lancia queste tesi, che però poi
rimangono patrimonio di un'élite. Come mai?
La situazione è creata dall'esaurirsi delle radici popolari della politica. In Italia la Costituzione è
nata dall'incontro di tradizioni radicate: quella cattolica e quella laica, socialista e comunista.
Tutto questo, negli anni e come esito di una società di mercato che si è insinuata nel sangue e
nel corpo vivo della popolazione, è cambiato: queste falde culturali si sono esaurite nella nostra
politica. Quindi è rimasta una politica della gestione del quotidiano, quando va bene, se non una
mala politica o comunque una politica autoreferenziale. In questo contesto le intuizioni migliori,
che pensano a uno sviluppo democratico della società e alla valorizzazione della qualità della
coesistenza, restano minoritarie, marginali e incomprese, prima ancora che contrastate. Oggi
mettere in discussione il principio del mercato e della pura competizione è cosa che va fuori
dalla mentalità comune. Non solo è impresa estranea alla politica istituzionale, ma anche a
quello che il cittadino medio percepisce ed è disposto a fare.
Quindi non basta, secondo lei, una diversa strategia di comunicazione, ma serve una
metamorfosi antropologica...
Purtroppo sì. La risposta è più profonda: si trova nei processi educativi culturali, nella vita delle
persone nelle comunità locali. Il pensiero e la vita della democrazia - e quindi le migliori istanze
sociali: di accoglienza, solidarietà, di tutela della natura - passano per la vita concreta delle
comunità e poi, via via, si elevano al grado di una convivenza nazionale. Non c'è una
scorciatoia dall'alto. Quindi la questione non è riducibile ad un problema di strategia
comunicativa o di marketing. Questo da un lato è un limite perché allunga i tempi. Dall'altro è
una grande occasione perché vuol dire costruire una cultura diversa con radici vere, quindi
innervate nelle coscienze, negli stili di vita, nei legami comunitari. Tutto quello che non ha radici
a questo livello è superficiale.
L'esito di queste considerazioni sembra evidentissimo nell'elezione di Trump...
Questo accade perché è passata questa ideologia trionfante, il liberismo. E' l'idea che il denaro
sia il potere che decide della forma e degli andamenti della società; e tutto il resto è relativo,
anche la dignità e i diritti delle persone. Quando un Paese così grande e importante come gli
Usa è imbevuto di questa ideologia - scambiandola per pragmatismo, efficienza, senso del
progresso e crescita - da un lato è chiaro che quel Paese prende la via di una politica che, se
va bene, è autoreferenziale e tesa al primato; dall'altro anche nel personale politico si arriva ad
una selezione al peggio. Trump non è che esprima la coscienza etica e il meglio della tradizione
americana, che ha avuto momenti importanti.
Quasi incomprensibile dopo otto anni di Obama che almeno in termini di messaggi ideali
è stato altro...
Sì, qui si sconta la difficoltà a coagulare le forze democratiche che sono sparse e fanno lobby:
si misurano sui diritti della comunità nera, ispanica o gay, e quasi ognuna vede solo il proprio
interesse e il proprio diritto da difendere; ma manca un pensiero progettuale che unisca le varie
istanze e diventi un corpo democratico diffuso, che poi diventa elettorale. La svolta di Obama è
stata una svolta più dall'alto, con qualche assonanza con ciò che fece Gorbaciov in Unione
sovietica. Ma quando una svolta è dall'alto e non riesce a mettere radici nella popolazione,
innervata di comunità realmente democratiche, non ha successo duraturo. Finito quel momento,
c'è una reazione, un contraccolpo, un risentimento collettivo. Ogni organismo collettivo, se
matura complessivamente, allora si sviluppa; se invece c'è un unico centro avanzato e non si
innerva nel vissuto della gente, caduto quel riferimento avanzato, il contraccolpo poi si sente.
Ecco perché un personaggio come Trump, così non credibile, è diventato il nuovo presidente.
La Chiesa, qualche anno fa, ha prodotto - attraverso il Pontificio Consiglio Giustizia e
Pace - un documento che proponeva tra l'altro un governo mondiale della finanza.
L'enciclica Caritas in Veritate propone principi di fondo come giustizia, responsabilità e
logica del dono nell'impresa, per un'economia umana e per ciò stesso efficiente. Il
magistero precedente e la predicazione attuale di papa Francesco, nella concretezza
delle logiche dominanti sembrano però avere un successo relativo. Perché?
Perché da un lato il capitalismo come forma di società e di civiltà - non come modello
economico - è penetrato davvero nelle coscienze e negli stili di vita, tanto da mandare molti
cittadini in un meccanismo automatico di comportamento. Chi di noi può smarcarsi dalla
coazione a competere, a sopravvivere, essere flessibili, stare sul mercato? Il capitalismo ha
questa potenza. Il cristianesimo vissuto, se non diventa esperienza reale di comunità, comunità
diffusa nelle nazioni e nei popoli, ma resta qualcosa di un po' istituzionalizzato, di dualistico - da
un lato il rito e dall'altro i cristiani che aderiscono al modello di vita dominante - non attecchirà.
Oggi i migliori strumenti per leggere la realtà vengono dalle encicliche papali. Ma quei
pronunciamenti così lucidi e avanzati restano marginali perché non trovano corrispondenza
nell'esperienza delle comunità, se non in parte. E, in questo scollamento, i poteri dominanti
citano ideologicamente la difesa del cristianesimo occidentale, ma di fatto disegnano un
cristianesimo a loro uso e consumo. Ma hanno buon gioco nel farsi paladini del cristianesimo
proprio per la debolezza del cristianesimo realmente evangelico e vissuto, scarsamente capace
di proporre un'altra forma di vita centrata sul rispetto, sulla solidarietà, sulla cura del creato. Il
magistero sta facendo moltissimo per questo, ma chi deve attivarsi sono le comunità cristiane di
base: le diocesi, le parrocchie, i movimenti...
Cosa potrebbero fare di più e di meglio, in concreto?
Tre cose. La prima, che è un passaggio obbligato per i cristiani, è esporsi nuovamente alla
Parola di Dio. È stata tanto addomesticata, secondo le nostre convenzioni; invece il Vangelo è
da un lato un testo sorprendente che restituisce il senso della realtà. Dall'altro è una forma di
vita, non è soltanto un testo. Se non c'è questo passaggio, il cristianesimo diventa un'ideologia
religiosa tra le altre. Seconda cosa: assumere e assorbire la lettura lucida della realtà sociale,
economica, ecologica che viene fatta, per esempio, negli scritti di Papa Francesco. Terzo:
riappropriarsi della pratica della giustizia restitutiva dei diritti, che non è solo assistenza e non è
solo volontariato. Per capirci: non delegare solo alla Caritas la frontiera del rapporto con le
vittime di questo modello di società, ma riassumerla in pieno come comunità cristiana, a livello
di diocesi, parrocchie e movimenti. Assumere che la giustizia non è solo promozione umana,
ma è davvero esperienza della presenza di Dio e della comunione che l'amore di Dio fonda. A
queste tre condizioni i cristiani darebbero un contributo formidabile alla società, certamente
incontrando persecuzioni, ostilità e accuse, ma sarebbero realmente un segno di speranza nel
contesto attuale. La speranza non è solo un annuncio, ma una prassi concreta che ridà vita alle
persone.
Giorgio Malavasi
Tratto da GENTE VENETA, n.43/2016
Articolo pubblicato su Gente Veneta
http://www.genteveneta.it/public/articolo.php?id=8900
Copyright 2016 © CID SRL P.Iva 02341300271