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Corte Penale Internazionale: dopo la Russia, toccherà agli USA? | 1
giovedì 17 novembre 2016, 12:00
Corte Penale Internazionale: dopo la Russia, toccherà
agli USA?
Ieri è uscita la Russia, potrebbero uscire Kenya, Namibia e Uganda; gli USA di Trump potrebbero seguire
di Jeta Gamerro
Ieri, in concomitanza con l’apertura della 15° Assemblea degli Stati parte dello Statuto di Roma, l’atto istitutivo della Corte
Penale Internazionale (CPI), in svolgimento all’Aia fino al 24 novembre, la Russia ha reso noto che si ritira dalla
Corte responsabile di perseguire i crimini di guerra e contro l'umanità. Il Presidente Vladimir Putin ha firmato ieri un
decreto con il quale comunica la decisione di non ratificare il Trattato istitutivo della CPI, che Mosca aveva firmato
nel 2000. Nel decreto Putin chiede al Ministero degli Esteri di informare le Nazioni Unite della decisione presa. E il Ministero
degli Esteri ha giustificato il provvedimento sostenendo che «la Corte non ha mantenuto le speranze associate» alla sua
istituzione e «non è diventata realmente indipendente», anzi il suo lavoro viene definito «di parte e inefficiente». Il
decreto presidenziale arriva all'indomani dell'approvazione di una risoluzione della commissione diritti umani dell'Assemblea
generale dell'Onu nella quale si condanna «la temporanea occupazione della Crimea» da parte della Russia, accusata di
abusi dei diritti umani e di discriminazioni nei confronti della popolazione locale. Nelle settimane scorse, Mosca era finita
sotto accusa anche per le sue operazioni militari in Siria, con il Presidente francese Francois Hollande che ha chiesto
l'avvio di un'inchiesta per crimini di guerra commessi con i raid su Aleppo. Si tratta dell’ennesimo colpo inferto alla
credibilità e alla sopravvivenza dell’organismo. Nelle settimane scorse vi era stata l’uscita di 3 Paesi africani -Burundi,
Gambia, e, molto importante, Sudafrica- che aveva fatto parlare di ‘fuga’ dell’Africa dalla Corte. L’uscita della Russia
potrebbe dare la stura all’uscita di molti altri Paesi, africani e non solo. Kenya, Namibia e Uganda, potrebbero
seguire l'esempio di lasciare la Corte, accogliendo l'appello lanciato a fine ottobre dal Sudan a tutti i Paesi del continente di
abbandonare la Cpi. Gli Stati Uniti -che hanno firmato lo Statuto di Roma, ma non lo hanno ratificato-, sperano, ha detto il
portavoce del Dipartimento di Stato John Kirby, che la decisione della Russia di ritirarsi dalla Corte penale internazionale
non comporti la caduta dell'organismo: «Non sarei in grado di dire se questa decisione da parte della Russia è
una sorta di campana a morto per la Corte, certamente speriamo che non lo sia». Nessun pronunciamento dal neo
Presidente, Donald Trump. Il rischio che Trump -molto vicino come modalità di pensiero e di azione al Presidente russo, e
intenzionato a lavorare per ristabilire ottime relazioni con la Russia- possa decidere di seguire l’esempio di Putin in via
ipotetica c’è. Come la Russia nel momento in cui è stata messa sotto accusa da CPI ha deciso di uscirne (come
accaduto per i Paesi africani che per primi sono usciti), così potrebbero fare gli Stati Uniti di Trump. L’occasione
ghiotta potrebbe essere la possibilità che la Corte chiami gli USA a rispondere per «torture» e altri «crimini di
Estratto ad uso rassegna stampa dalla pubblicazione online integrale e ufficiale, reperibile su
http://www.lindro.it/corte-penale-internazionale-dopo-la-russia-tocchera-agli-usa/
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guerra» che avrebbero commesso soldati e agenti americani in Afghanistan. L’ipotesi di procedimento è contenuta
nel Report on Preliminary Examination Activities che descrive il possibile programma di lavoro futuro della Corte. Come
scrive Emanuele Giordana sul suo blog ‘Great Game’, infatti, una 'tegola' potrebbe arrivare sulla testa di Trump, per
responsabilità che oggettivamente non gli sono attribuibili. Alla vigilia della 15ma assemblea in corso, Amnesty
International aveva sollecitato tutti gli Stati a rafforzare, anziché abbandonarlo, l’unico strumento di giustizia
a disposizione di milioni di vittime di crimini di guerra, crimini contro l'umanità e altre gravi violazioni dei diritti
umani. «Invece di abbandonarla, gli Stati devono impegnarsi ad agire in buona fede nei confronti della Corte penale
internazionale. Devono usare il loro potere collettivo per contrastare i doppi standard, i vergognosi fallimenti e
la politicizzazione della giustizia da parte del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite», aveva dichiarato Netsaney
Belay, direttore della ricerca e dell'advocacy di Amnesty International Africa. «Questa sessione non dev`essere dominata
dalla cinica decisione politica di un piccolo numero di Stati di lasciare la Corte. Al contrario, i suoi sostenitori devono
concentrarsi sul modo migliore per farla funzionare meglio». Sebbene esistano legittime preoccupazioni sul fatto che le
indagini e i procedimenti della Corte hanno finora quasi esclusivamente riguardato l'Africa, vi sono forti segnali che la
procuratrice della Corte stia cercando di rimediare a questo squilibrio e di allargare l'azione verso altre regioni del mondo,
aveva sostenuto Amnesty. L'attenzione per Russia e USA starebbero a dimostrarlo. Ma per fare questo occorrono sostegno e
risorse, in particolare dagli Stati del sud del mondo. Amnesty International aveva poi rivolto una serie di raccomandazioni,
con l'obiettivo di rafforzare la Corte e la sua capacità di rendere giustizia alle vittime: ribadire il sostegno alla Corte e
chiedere a Sudafrica, Gambia e Burundi di riconsiderare la loro decisione di ritirarsi; chiedere agli Stati membri
permanenti del Consiglio di sicurezza di astenersi dall'usare il potere di veto per impedire il deferimento alla
Corte di situazioni che riguardano crimini di guerra, crimini contro l'umanità o genocidio; sostenere
l'approvazione di risorse sufficienti a espandere l'azione della Corte nel 2017; sviluppare modalità migliori per
assicurare la cooperazione dei governi alla Corte, in particolare nell'arresto e nella consegna di presunti criminali;
garantire che ogni emendamento alla struttura legale della Corte soddisfi i massimi standard relativi all'equità del giudizio
nei confronti degli imputati, nel rispetto dei diritti delle vittime e dei testimoni. La critica rivolta alla Corte di non
indipendenza da parte della Russia è la stessa che ha ufficialmente motivato l'uscita dei tre Paesi africani, e
riconosciuta fondata da Amnesty ma anche dalla maggior parte degli osservatori che ben conoscono l'Africa e i governi
africani. Stessa critica rivolta dalla Tanzania, la quale, però, per il momento non si è ritirata e ha, invece, chiesto l'apertura di
un dialogo. Dalla sua adozione, nel 1988, sono 124 gli Stati parte dello Statuto di Roma della Corte Penale
Internazionale: 34 di essi sono africani. Amnesty International sta anche svolgendo una campagna per chiedere al Consiglio
di sicurezza l'adozione di un codice di condotta per astenersi volontariamente dall'uso del potere di veto per bloccare
l'azione dello stesso organismo in situazioni di genocidio, crimini di guerra e crimini contro l’umanità. «Lancio un messaggio
solenne: non andate via», è stato l'appello lanciato ieri dal Presidente dell'Assemblea degli Stati membri della Cpi, il
senegalese Sidiki Kaba, aprendo i lavori all'Aia. Fondata nel 2002, «la Corte attraversa momenti difficili, ma credo
nelle virtù del dialogo costruttivo all'interno di questa assemblea», ha detto Kaba, ex ministro della Giustizia in Senegal,
dicendosi pronto ad accettare «critiche legittime». Tra queste, quelle del Governo sudafricano ritiene di essere stato trattato
in modo ingiusto dalla corte dopo che, a fronte ad «obblighi conflittuali», si è rifiutato di arrestare il Presidente sudanese
Omar al-Bashir durante una visita a Johannesburg. Contro al Bashir la Corte ha spiccato un mandato di arresto per
genocidio, crimini di guerra e contro l'umanità commessi nella regione del Darfur, ma il Presidente sudanese gode anche
dell'immunità riconosciuta dal diritto internazionale. Attualmente 9 delle 10 indagini in corso alla Cpi riguardano
l'Africa, la decima la Georgia. Per l'Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, Zeid Raad al-Hussein «non
esiste alcun sostituto alla Cpi». Ammonendo sul fatto che «una nuova tendenza all'isolazionismo e a una leadership senza
principi» si sta diffondendo nel mondo, Zeid ha aggiunto: «Non è ora il momento di lasciare. Serve risolutezza e forza. Non
tradite le vittime, nè il vostro popolo. Rimanete con la Corte».
di Jeta Gamerro
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