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Edizione di venerdì 11 novembre 2016 AGEVOLAZIONI

Usufruttuari: via libera alla detrazione degli interessi sui mutui

di Maurizio Tozzi

PATRIMONIO E TRUST

La sentenza 21614 “chiude” la questione della fiscalità del trust? – parte II

di Sergio Pellegrino

ISTITUTI DEFLATTIVI

Le cause ostative alla voluntary si eliminano con il ravvedimento

di Fabrizio Dominici

CONTENZIOSO

I versamenti dei soci alla società si presumono onerosi

di Luigi Ferrajoli

OPERAZIONI STRAORDINARIE

Trasformazione omogenea progressiva e responsabilità dei soci

di Sandro Cerato

VIAGGI E TEMPO LIBERO

Proposte di lettura da parte di un bibliofilo cronico

di Andrea Valiotto

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Edizione di venerdì 11 novembre 2016

AGEVOLAZIONI

Usufruttuari: via libera alla detrazione degli interessi sui mutui

di Maurizio Tozzi Che le circolari dell’Amministrazione finanziaria non fossero vincolanti è cosa risaputa da tempo. Altrettanto noto è però che gli uffici periferici si attengono strettamente ai chiarimenti centrali, spesso generando contrasto con i contribuenti. La situazione diventa poi particolarmente “pesante” nel mondo degli oneri deducibili e detraibili, laddove la combinazione “scarsa rilevanza degli eventuali recuperi” e “visto di conformità rilasciato dai Caf” (ovviamente nel caso prevalente del modello 730) ha elevato ad una sorta di “normativa latente” la prassi di riferimento, in pratica vero vademecum da seguire “ad ogni costo” nella compilazione delle dichiarazioni. La motivazione è semplice: da un lato i Caf preferiscono non avere contestazioni; dall’altro, anche l’eventuale recupero riferito ad un onere deducibile o detraibile solitamente viene accettato dal contribuente, posto che trattasi di importi contenuti con l’implicita conseguenza che spesso e volentieri sarebbero maggiori i costi di un ricorso tributario rispetto al beneficio fiscale dell’azzeramento del controllo.

Tale assunto, per fortuna, ogni tanto viene smentito e ciò accade soprattutto con gli oneri rilevanti, quali ad esempio gli assegni erogati all’ex coniuge, le spese di ristrutturazione o ancora il pagamento degli interessi collegati all’acquisto dell’abitazione principale, laddove recuperi infondati almeno sul piano normativo trovano la resistenza del contribuente, l’instaurazione di un contenzioso tributario e l’esito favorevole giurisprudenziale.

È il caso, recente, della sentenza n. 22191 della Corte di Cassazione, depositata lo scorso 3 novembre 2016, che ha smentito in toto la posizione consolidata dell’Amministrazione finanziaria circa l’impossibilità di detrazione degli interessi sui mutui per i soggetti usufruttari.

Senza voler ripercorrere la farraginosa normativa e le molteplici regole applicative, sia sufficiente rammentare che il beneficio in questione, nella forma della detrazione del 19% degli interessi pagati sui mutui contratti per l’acquisizione dell’immobile da adibire ad abitazione principale (onere che trova indicazione nei righi E7 del modello 730 e RP7 di Unico PF), è per esplicita previsione dedicato al contribuente contraente il mutuo che appunto acquista la sua prima casa, ovvero quella in cui i familiari dimorano abitualmente. La detrazione infatti spetta al contribuente acquirente e intestatario del contratto di mutuo, sia se l’immobile è adibito a propria abitazione principale, sia che diventi abitazione principale di un suo familiare (coniuge, parenti entro il terzo grado e affini entro il secondo grado), ancorché non a carico. La norma richiede il rispetto di precisi vincoli temporali (in linea di massima, l’acquisto deve avvenire entro l’anno antecedente o successivo alla stipula del mutuo e l’immobile deve essere adibito ad abitazione principale entro un anno dall’acquisto) ed ha come unico limite l’ammontare massimo di spesa di 4 mila euro di interessi e oneri accessori.

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Edizione di venerdì 11 novembre 2016 Il limite di spesa, inoltre, è cumulativo e pertanto in caso di due contraenti lo stesso deve essere suddiviso tra gli aventi diritto.

Detrae colui che è contemporaneamente proprietario dell’immobile, anche in parte, ed

intestatario del contratto di mutuo.

Il punto di contrasto su cui la tesi dell’Amministrazione finanziaria è stata completamente smentita riguarda proprio il requisito di “proprietà” dell’immobile, in forza del quale la detrazione è attribuita. Secondo l’Agenzia delle Entrate, con tesi espressa nella circolare 108/1996 e mai modificata nel prosieguo (anzi, la posizione è stata successivamente confermata anche con la circolare 20/2011 ), posto che l’ articolo 15, comma 1, lett. b), del TUIR non prevede che ai fini della detrazione il contribuente debba risultare anche obbligato a dichiarare il reddito dell’unità immobiliare, è possibile, in presenza di tutte le condizioni richieste dalla norma (ivi compresa quella in base alla quale l’immobile acquistato deve essere la dimora abituale), che il nudo proprietario fruisca del beneficio in questione, che invece non compete mai all’usufruttuario in quanto lo stesso non acquista l’unità immobiliare. La posizione era evidentemente restrittiva atteso che in capo al nudo proprietario era comunque richiesto il rispetto di ogni vincolo normativo, in primo luogo che l’immobile fosse abitazione principale almeno di un familiare, circostanza in pratica irrealizzabile nel caso di acquisti presso soggetti non familiari. Allo stesso tempo, la norma era eccessivamente penalizzante nei confronti di coloro che erano interessati solo all’usufrutto dell’abitazione, dato che in questo modo sembrava smentirsi il principale obiettivo sociale che aveva condotto all’introduzione del beneficio fiscale, ossia favorire il possesso di una abitazione principale.

In materia l’intervento della Suprema Corte è deciso e sembra non ammettere soluzioni diverse, leggendosi chiaramente che: “(…) se è vero che coordinate essenziali della disposizione (…)

sono: da un verso il riferimento all’acquisto dell’unità immobiliare e, per altro, il riferimento all’esigenza dell’uomo all’abitazione, sembra ragionevole ritenere che scopo fondamentale della

norma sia quello di contribuire a realizzare (o favorire la realizzazione dell’) l’interesse primordiale

dell’uomo all’abitazione, al godimento di un luogo privilegiato ove svolgere liberamente e senza interferenze esterne la propria personalità. A ben vedere (…) la norma in esame non si limita ad applicare le agevolazioni fiscali all’acquisto della proprietà di un’unità immobiliare se questa non è destinata all’abitazione dell’acquirente, tanto da poter considerare che la norma non intende agevolare l’acquisto di un bene, ma agevolare quella situazione di fatto e giuridica che soddisfa l’esigenza dell’uomo all’abitazione. Sicchè un’interpretazione sistematica e un’interpretazione secondo ratio legis inducono a ritenere che il riferimento all’acquisto dell’unità immobiliare,

rapportato all’esigenza dell’abitazione, non può che indicare un acquisto di un diritto (reale) quale che sia, in grado, per il suo modo di essere (si pensi all’usufrutto, all’uso e all’abitazione) di

soddisfare l’esigenza dell’uomo all’abitazione”.

Dubbi pertanto non possono sussistere: la norma agevola l’esigenza primaria dell’uomo a fruire di un’abitazione, a prescindere del diritto reale (incluso l’usufrutto), con cui tale esigenza sia soddisfatta. Non resta che attendere l’auspicata variazione interpretativa da parte dell’Amministrazione finanziaria, tenendo presente sin da ora che con la nuova disposizione in

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Edizione di venerdì 11 novembre 2016 ordine alle dichiarazioni integrative a favore è possibile già recuperare il beneficio fiscale non fruito nell’anno 2011, affrettandosi alla correzione entro il prossimo 31 dicembre, per poi correggere con calma tutte le annualità successive.

Per approfondire questioni attinenti all’articolo vi raccomandiamo il seguente corso:

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PATRIMONIO E TRUST

La sentenza 21614 “chiude” la questione della fiscalità del trust? – parte II

di Sergio Pellegrino Nel contributo pubblicato ieri abbiamo analizzato le indicazioni della recentissima sentenza n.

21614 della Cassazione sulla fiscalità indiretta del trust, da sempre molto controversa. La pronuncia della Suprema Corte, indubbiamente convincente nel ragionamento sviluppato, peraltro nel solco delle tesi da sempre sostenute da dottrina e notariato, non sembra però aver tenuto conto dell’impatto sulla questione delle scelte fatte dal legislatore della legge sul dopo di noi, impatto che non può però essere trascurato.

La versione originaria della disposizione, nel disegno di legge approvato dalla Camera dei deputati il 4 febbraio scorso, si limitava a stabilire soltanto l’esenzione dall’applicazione dell’imposta sulle successioni e donazioni per gli atti di dotazione nei confronti di trust istituiti a favore di soggetti con grave disabilità. Durante le audizioni al Senato, l’Agenzia delle entrate, così come peraltro il Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili, avevano evidenziato come una scelta di questo tipo potesse aprire le porte ad un utilizzo elusivo del trust, consentendo di evitare ogni imposizione.

Questa conseguenza sarebbe derivata dal fatto che la tassazione indiretta del trust, nella visione sostenuta dall’Agenzia a partire dalle

finali.

circolari 48/E/2007

e

3/E/2008

, si realizza soltanto al momento della disposizione dei beni in trust, essendo invece irrilevante ai fini impositivi il trasferimento del patrimonio, anche se nel frattempo incrementato, ai beneficiari Nel caso del trust della legge sul dopo di noi, il combinato disposto dell’esenzione “speciale” garantita all’atto di dotazione e dell’irrilevanza “generale” della devoluzione a favore dei beneficiari finali avrebbe fatto sì che il presupposto impositivo non si verificasse mai. Alla luce di queste considerazioni, l’Agenzia ha suggerito di introdurre nel corpo della norma “specifiche disposizioni normative volte a definire la tassazione da applicare al trasferimento dei beni a favore del beneficiario finale”.

Accogliendo le osservazioni formulate, il legislatore ha modificato il comma 5 dell’articolo 6 del provvedimento, stabilendo che, nel caso del trust della legge sul dopo di noi, il trasferimento del patrimonio residuo sconta l’applicazione dell’imposta sulle successioni e donazioni: non si

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tassa quindi all’inizio, ma alla fine.

Fa eccezione la fattispecie, disciplinata nel quarto comma, del “ritorno” del patrimonio ai disponenti, qualora sia questa la conseguenza prevista nell’atto istitutivo in caso di premorienza del soggetto disabile: in questo caso non si verifica alcuna imposizione, visto che i beni affluiscono nuovamente nel patrimonio degli “originali” proprietari.

È evidente che, disciplinando in questo modo la fiscalità indiretta del trust “speciale” della legge sul dopo di noi, il legislatore ha avallato la posizione dell’Agenzia in relazione a tutti gli “altri” trust: per questi, ragionando a contrariis, la tassazione si realizza quindi all’inizio e non alla

fine.

La posizione espressa dalla Cassazione nella sentenza 21614/2016 appare quindi in netta antitesi rispetto a quella assunta dal legislatore ed è destinata evidentemente a continuare ad alimentare il significativo contenzioso che si è generato sin qui su questa delicata materia.

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ISTITUTI DEFLATTIVI

Le cause ostative alla voluntary si eliminano con il ravvedimento

di Fabrizio Dominici La riapertura della nuova voluntary disclosure precede una campagna di persuasione dei contribuenti prevalentemente fondata sugli accordi e convenzioni internazionali stipulati con i paesi “irriducibili”. Da ultimo abbiamo assistito alle operazioni denominate Panama Papers (un fascicolo riservato composto da 11,5 milioni di documenti confidenziali) e Torre d’Avorio (analisi di operazioni bancarie intrattenute da 30.000 soggetti con istituti bancari sammarinesi), ove l’attività info-investigativa della Guardia di Finanza ha avuto esordio con l’invio di questionari diretti alla mera individuazione delle violazioni alla legge sul monitoraggio fiscale e alla ripresa a tassazione dei redditi prodotti all’estero e comunque anche a verificare la effettività della residenza fiscale delle persone fisiche che negli ultimi anni si sono iscritte all’AIRE nonché la possibile residenza italiana (esterovestizione) di talune società ubicate all’estero.

I numeri delle diverse operazioni sono rilevanti ed è veramente difficile giustificare un ricorso così massivo all’esportazione del denaro all’estero, a meno che non si voglia giustificare tale malvezzo con le parole di Luigi Einaudi che affermava che “… gli esportatori illegali di capitale

sono benefattori della Patria, perché i capitali scappano quando i governi dissennati e spendaccioni li dilapidano, e allora portandoli altrove li salvano dallo scempio e li preservano per una futura

utilizzazione, quando sarà tornato il buon senso.” Tornando all’operazione “Torre d’Avorio” ed al suo rapporto con la voluntary disclosure, abbiamo constatato che per lo più essa si è conclusa con la contestazione della mancata dichiarazione delle attività finanziarie detenute all’estero (omissione del quadro RW) e con la mancata dichiarazione dei redditi da queste ultime prodotti (per lo più redditi di capitale), delle vere e proprie cause ostative alla voluntary disclosure. Ricordiamo che la norma preclude l’accesso alla procedura di collaborazione volontaria, a quei soggetti che abbiano avuto formale conoscenza di inizio di accessi, ispezioni o verifiche, di altre attività amministrative di accertamento, o che risultino indagati o imputati in procedimenti penali relativi a violazione di norme tributarie riconducibili alla materia evasa ed oggetto di collaborazione volontaria. Dette cause ostative vanno però lette insieme con le indicazioni fornite dall’Amministrazione finanziaria che ha chiarito che “… si ritiene che l’effetto

preclusivo riguardi soltanto le annualità interessate dall’avvio di tali attività di accertamento amministrativo. Le altre annualità, pertanto, potranno essere oggetto della procedura di

collaborazione volontaria anche se riguardano la medesima fattispecie oggetto di controllo”, ( Circolare n. 10/E del 13 marzo 2015 ). Come dire che le cause ostative vanno riferite al singolo periodo d’imposta accertato e devono essere limitate esclusivamente ai beni ed agli attivi per i quali è avvenuta la contestazione. Inoltre, dette cause ostative operano in riferimento alla singola procedura interessata, il che vuol dire che se riguardano somme evase all’estero precludono l’accesso alla procedura internazionale ma non di certo a quella nazionale e che la

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Edizione di venerdì 11 novembre 2016 presenza delle stesse blocca l’accesso alla procedura solo in riferimento all’imposta accertata o valutata dall’Amministrazione finanziaria e solo per quel singolo periodo d’imposta preso in esame, con piena facoltà di regolarizzazione degli altri tributi o della medesima imposta accertata ma riferita alle altre annualità sanabili.

Il contribuente, che abbia avuto formale conoscenza delle suddette cause ostative, potrà inoltre e comunque avvalersi della procedura anche per gli anni a cui si riferiscono tali contestazioni, qualora l’attività amministrativa si sia conclusa con un atto impositivo che sia stato definito o che si sia concluso con l’archiviazione nella fase istruttoria, ma alla condizione che la data sia anteriore a quella in cui si presenta la domanda per accedere alla procedura.

Ma allora come potremo sanare le altre eventualità e cioè quelle con causa ostativa in corso?

Semplice, mediante lo strumento del ravvedimento operoso o ancora mediante gli altri strumenti definitori della pretesa tributaria o deflattivi del contenzioso, il che ci porta a concludere che fino a quando non sarà stato notificato l’avviso di accertamento, afferente alle contestazioni relative alle attività illegittimamente detenute all’estero, si potrà beneficiare dell’istituto del ravvedimento operoso per eleminare le cause ostative e quindi per consentire al contribuente di poter accedere alla procedura di collaborazione volontaria.

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CONTENZIOSO

I versamenti dei soci alla società si presumono onerosi

di Luigi Ferrajoli Con la dell’ sentenza n. 17839/2016 la Corte di Cassazione ha ribadito la sussistenza di una presunzione di onerosità dei versamenti compiuti dai soci verso la società in base al dettato articolo 46 del D.P.R. 917/1986 (ex articolo 43 del Tuir) ove si stabilisce che “le somme

versate alle società commerciali e agli enti di cui all’articolo 73, comma 1, lettera b), dai loro soci o partecipanti si considerano date a mutuo se dai bilanci o dai rendiconti di tali soggetti non risulta che il versamento è stato fatto ad altro titolo”.

Nella fattispecie oggetto della sentenza, a seguito della verifica compiuta dalla Guardia di Finanza presso una società, l’Agenzia delle Entrate aveva sostenuto che la rinuncia alla riscossione degli utili realizzati da parte dei soci integrasse, in realtà, una forma di finanziamento suscettibile di produrre interessi.

Secondo i giudici di legittimità quanto emerso dalle indagini era sufficiente per far sorgere una presunzione di mutualità ed onerosità della rinuncia alla riscossione degli utili a favore della società effettuato da ciascun socio equiparando così la mancata distribuzione degli utili agli eventuali prestiti destinati alla società. Infatti, l’unica prova ammessa per dimostrare che il versamento sia stato compiuto per finalità diverse a quelle di mero finanziamento è costituita dalla indicazione espressa dello scopo realmente perseguito dai soci nei relativi bilanci e nei rendiconti.

In tale occasione, la Corte ha richiamato quanto già sostenuto nella sentenza n. 16445/2009 laddove già si affermava che “in tema di imposte sui redditi, l’articolo 43 del D.P.R. n. 917 del

1986 prevede, con finalità evidentemente antielusive, una presunzione legale di onerosità del prestito concesso dal socio alla società, che può essere vinta da prova contraria a carico del contribuente. Tale prova, però, non può essere fornita con qualsiasi mezzo, ma soltanto nei modi e nelle forme tassativamente stabilite dalla legge, in particolare dimostrando che i bilanci allegati

alle dichiarazioni dei redditi della società contemplavano un versamento fatto a titolo diverso dal

mutuo”.

Pertanto, mentre l’Ufficio viene così dispensato dalla prova della onerosità del prestito, in conformità a quanto previsto dall’ articolo 2728 cod. civ.,

sussiste invece in capo al

contribuente l’onere di dimostrare che i bilanci sociali allegati alle dichiarazioni dei redditi presentate dalla società contemplino un versamento fatto a titolo diverso dal mutuo (in senso conforme già la sentenza della Corte di Cassazione n. 11042/1998).

Di diverso avviso è l’AIDCEC che nella norma di comportamento n. 194/2016 ha evidenziato

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Edizione di venerdì 11 novembre 2016 come “la presunzione contenuta nell’articolo 46 del Tuir serve a distinguere i versamenti effettuati

a titolo di mutuo (fruttifero o infruttifero) da quelli effettuati a titolo diverso (tipicamente ad

incremento del patrimonio netto)”. Nella massima viene inoltre precisato che qualora il versamento risulti essere stato conferito a titolo di mutuo, sulla base di quanto espresso nell’ dall’ articolo 1815 cod. civ.

si presume che esso sia fruttiferosalva diversa volontà delle parti” e che la prova possa essere data con qualunque mezzo. Solo in assenza di pattuizioni o nel caso di mutuo convenuto tra le parti come fruttifero senza una quantificazione della misura e della periodicità di maturazione degli interessi occorrerà fare riferimento a quanto disposto articolo 45 comma 2 del Tuir

computano al saggio legale”.

secondo cui “per i capitali dati a mutuo gli interessi, salvo

prova contraria, si presumono percepiti alle scadenze e nella misura pattuite per iscritto. Se le scadenze non sono stabilite per iscritto gli interessi si presumono percepiti nell’ammontare maturato nel periodo di imposta. Se la misura non è determinata per iscritto gli interessi si

Contrariamente a quanto sostenuto dalla AIDCEC, la Cassazione nella sentenza citata ha affermato nuovamente che la presunzione di onerosità sancita dall’ versamento come fatta a titolo diverso dal mutuo”.

articolo 46 del Tuir

non è

vincibile con ogni mezzo specificando inoltre che, ai fini del superamento della presunzione, è irrilevante che le somme siano state utilmente investite, sebbene quest’ultima sia una circostanza certamente utile per comprendere se le stesse siano state gratuitamente elargite dai soci; dall’altro lato viene confermato che tale presunzione possa “essere vinta solo in

ragione di precisi elementi, ossia fornendo la dimostrazione richiesta della iscrizione in bilancio del

Alla luce di tali premesse, la Cassazione ha accolto il ricorso presentato dall’Ufficio e rinviato gli atti alla Commissione tributaria di secondo grado perché si attenga al principio di diritto enunciato.

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OPERAZIONI STRAORDINARIE

Trasformazione omogenea progressiva e responsabilità dei soci

di Sandro Cerato Nelle operazioni di trasformazione da società di persone in società di capitali uno degli aspetti più delicati riguarda la responsabilità dei soci illimitatamente responsabili per le obbligazioni sorte prima degli effetti della trasformazione, a seguito della quale i soci assumono una responsabilità limitata per tutte le nuove obbligazioni. La disciplina è contenuta nell’ articolo 2500-quinquies del codice civile secondo cui, quale principio generale, la trasformazione in

società di capitali non libera i soci dalla responsabilità illimitata per le obbligazioni sorte

prima della data in cui ha effetto la trasformazione, ossia dalla data della iscrizione della delibera presso il Registro delle imprese. Tale regola può essere derogata solo in presenza del consenso dei creditori sociali che possono quindi liberare i soci dalla responsabilità illimitata anche per le obbligazioni sorte prima della trasformazione (sul punto si evidenzia una non felice formulazione normativa laddove si prevede che i creditori sociali debbano dare il loro consenso alla trasformazione per liberare i soci).

Il comma 2 dell’articolo 2500-quinquies disciplina le modalità per ottenere il consenso dai creditori sociali, precisando in primo luogo che la richiesta di consenso deve avvenire con modalità che garantiscano la prova dell’avvenuto ricevimento da parte del creditore, indicando la lettera raccomandata come una delle modalità utilizzabili. Risulta evidente che la disposizione normativa deve essere aggiornata tenendo conto delle nuove possibilità offerte dalla tecnologia, tra cui la posta elettronica certificata che certamente consente di ottenere i medesimi effetti della “vecchia” lettera raccomandata. Ma la parte più interessante della disposizione è contenuta nella seconda parte del comma 2 secondo cui “il consenso si presume

se i creditori (…) non lo hanno espressamente negato nel termine di sessanta giorni dal ricevimento

della comunicazione”. In buona sostanza, dalla disposizione in questione emerge quanto segue: la società, al fine di poter ottenere la liberazione dalla responsabilità illimitata dei soci anche per le obbligazioni sorte prima della trasformazione, deve attivarsi inviando un’apposita comunicazione a ciascun creditore sociale (fermo restando che non è necessario l’invio a tutti i creditori, ma ci si può limitare ad una comunicazione nei confronti dei creditori più importanti o comunque per i quali si intende liberarsi dalla responsabilità); se il singolo creditore sociale non si attiva per negare il consenso alla liberazione, decorsi inutilmente sessanta giorni si applica il principio del silenzio assenso ed i soci risulteranno liberati dalla responsabilità illimitata in relazione all’obbligazione contratta nei confronti del creditore “inerte”.

La disciplina normativa costringe quindi il creditore ad un comportamento attivo se intende

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Edizione di venerdì 11 novembre 2016 non liberare i soci dalla responsabilità illimitata, richiedendo alla società il solo onere di procedere all’invio della comunicazione dell’avvenuta trasformazione della società con la richiesta di liberazione dalla responsabilità. È pur vero che nella realtà è probabile che il creditore possa “dimenticarsi” di negare esplicitamente il consenso (non rispondendo quindi alla richiesta della società) con evidenti effetti positivi per i soci della ex società di persone che potranno quindi godere di una responsabilità limitata con effetti “ex tunc”.

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VIAGGI E TEMPO LIBERO

Proposte di lettura da parte di un bibliofilo cronico

di Andrea Valiotto

Le otto montagne

Einaudi Prezzo – 18,50 Pagine – 208 Paolo Cognetti Pietro è un ragazzino di città, solitario e un po’ scontroso. La madre lavora in un consultorio di periferia, e farsi carico degli altri è il suo talento. Il padre è un chimico, un uomo ombroso e affascinante, che torna a casa ogni sera dal lavoro carico di rabbia. I genitori di Pietro sono uniti da una passione comune, fondativa: in montagna si sono conosciuti, innamorati, si sono addirittura sposati ai piedi delle Tre Cime di Lavaredo. La montagna li ha uniti da sempre, anche nella tragedia, e l’orizzonte lineare di Milano li riempie ora di rimpianto e nostalgia.

Quando scoprono il paesino di Grana, ai piedi del Monte Rosa, sentono di aver trovato il posto giusto: Pietro trascorrerà tutte le estati in quel luogo «chiuso a monte da creste grigio ferro e a valle da una rupe che ne ostacola l’accesso» ma attraversato da un torrente che lo incanta dal primo momento. E lí, ad aspettarlo, c’è Bruno, capelli biondo canapa e collo bruciato dal sole: ha la sua stessa età ma invece di essere in vacanza si occupa del pascolo delle vacche. Iniziano cosí estati di esplorazioni e scoperte, tra le case abbandonate, il mulino e i sentieri piú aspri.

Sono anche gli anni in cui Pietro inizia a camminare con suo padre, «la cosa piú simile a un’educazione che abbia ricevuto da lui». Perché la montagna è un sapere, un vero e proprio modo di respirare, e sarà il suo lascito piú vero: «Eccola lí, la mia eredità: una parete di roccia, neve, un mucchio di sassi squadrati, un pino». Un’eredità che dopo tanti anni lo riavvicinerà a Bruno. Paolo Cognetti, uno degli scrittori piú apprezzati dalla critica e amati dai lettori, entra nel catalogo Einaudi con un libro magnetico e adulto, che esplora i rapporti accidentati ma

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Edizione di venerdì 11 novembre 2016 granitici, la possibilità di imparare e la ricerca del nostro posto nel mondo.

Des mois

Tommaso Landolfi Adelphi Prezzo – 19 Pagine – 169 Luogo deputato a radunare «le deiezioni dell’anima», il diario è il più degradato, il più «gloriosamente abietto» dei generi: ma in Landolfi, ha scritto Manganelli, subisce una radicale metamorfosi. Anziché catalogo di eventi ed emozioni quotidiane, diventa un’invenzione retorica dove passato e futuro si fondono in un «perituro istante» e il tempo risulta annullato; anziché documento privato, diventa, nella sua instabile tessitura di temi, rifiuto di sé.

Mutevolmente, in Des mois – terzo pannello dopo La biere du pecheur e Rien va – Landolfi trascorre infatti dalla particolare coloritura delle immagini di sogno, irriproducibili dalla parola, alla segreta fraternità con una gatta (i gatti sono per lui i soli animali che conoscano la noia umana, quella legata al vuoto, al «tempo senza fondo»); dal conflitto tra la «lusinga dei miei vizi» (cioè il richiamo della vita) e la mediocrità borghese (cioè l’abiezione) allo stile, che nei grandi scrittori è distanza, capacità di considerare frasi e parole meri strumenti e non già «sacri arredi»; dal naturale stato di sottomissione agli eventi che ci impedisce di adattarci alla desiderata e aborrita libertà al rapporto con i figli, che, usciti dal «malevolo nulla», lo sfidano con la loro presenza miracolosa e accusatrice, lasciandolo lacerato tra «una tragica sollecitudine e la coscienza della metafisica inanità di qualsiasi affettuoso intervento». Centro di questo simulato e veritiero diario è del resto – sono ancora parole di Manganelli – «il sacrilegio, la violazione, la violenza per diniego, la clandestina e blasfema celebrazione di una irreparabile impurità, una fessura che ferisce il mondo da parte a parte, e ne annuncia la vocazione catastrofica».

Il possidente

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Edizione di venerdì 11 novembre 2016 Elliot Prezzo – 19,50 Pagine – 315 John Galsworthy Primo capitolo della fortunatissima saga di John Galsworthy dedicata alle generazioni della famiglia Forsyte, Il possidente è la storia di Soames Forsyte, astro nascente della nuova borghesia capitalista, convinto di poter esercitare il diritto di proprietà su tutto ciò che desidera, compresa una moglie. Candidata a questo ruolo è Irene, che però si oppone al matrimonio, non riuscendo a provare alcun sentimento di affetto per il marito e cercando le attenzioni di un altro uomo. Ma, come avviene per il capitalismo più avido e crudele, anche per Soames è impossibile limitare la propria voglia di possesso, fino alle conseguenze più drammatiche. Vincitore del Premio Nobel per la Letteratura, Galsworthy diede vita a uno dei personaggi più drammatici, protagonista di una delle saghe più amate e appassionanti della letteratura inglese.

Una vita come tante

Sellerio Prezzo – 22,00 Pagine – 1104 Hanya Yanagihara

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Edizione di venerdì 11 novembre 2016 L’uscita di questo imponente romanzo ha suscitato un sentimento quasi unanime di stupore. Il repertorio dei commenti descrive nella maggior parte dei casi una qualità particolare del libro, ossia la capacità di far scaturire una passione trascinante per i suoi personaggi e la loro storia, di far trascorrere il tempo come fosse in accelerazione, di donare la sensazione, ormai desueta, che la lettura di un romanzo possa impadronirsi delle nostre vite. «Non capita spesso di leggere un romanzo di queste dimensioni e di pensare “vorrei che fosse più lungo”» (Times); «Totalmente coinvolgente, meravigliosamente romantico, a volte straziante, mi ha tenuto sveglio fino a tarda notte, una sera dopo l’altra» (Edmund White). Sembrano considerazioni ingenue, o furbescamente commerciali, ma le fonti di certo non lo sono. Si potrebbe dire che il romanzo di Hanya Yanagihara è una favola, e ciò spiegherebbe alcune delle reazioni che ha provocato. Una grande favola contemporanea, a tratti di malinconica dolcezza, spesso crudele ed efferata. In una New York fervida e sontuosa vivono quattro ragazzi, ex compagni di college, che da sempre sono stati vicini l’uno all’altro. Si sono trasferiti nella metropoli da una cittadina del New England, e all’inizio sono sostenuti solo dalla loro amicizia e dall’ambizione.

Willem, dall’animo gentile, vuole fare l’attore. JB, scaltro e a volte crudele, insegue un accesso al mondo dell’arte. Malcolm è un architetto frustrato in uno studio prestigioso. Jude, avvocato brillante e di enigmatica riservatezza, è il loro centro di gravità. Nei suoi riguardi l’affetto e la solidarietà prendono una piega differente, per lui i ragazzi hanno una cura particolare, una sensibilità speciale e tormentata, perché la sua vita sempre oscilla tra la luce del riscatto e il baratro dell’autodistruzione. Intorno a Jude, al suo passato, alla sua lotta per conquistarsi un futuro, si plasmano campi di forze e tensioni, lealtà e tradimenti, sogni e disperazione. E la sua storia diventa una disamina, magnifica e perturbante, della crudeltà umana e del potere taumaturgico dell’amicizia. Come accade di rado, da una inconsueta immaginazione narrativa si è distillato un oggetto singolare: un romanzo classico e al tempo stesso modernissimo, capace di creare un mondo di profonda, coinvolgente umanità.

L’arte di essere fragili. Come Leopardi può salvarti la vita

Mondadori Prezzo – 19,00 Alessandro D’Avenia Pagine – 209 “Esiste un metodo per la felicità duratura? Si può imparare il faticoso mestiere di vivere giorno per giorno in modo da farne addirittura un’arte della gioia quotidiana?” Sono domande comuni,

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Edizione di venerdì 11 novembre 2016 ognuno se le sarà poste decine di volte, senza trovare risposte. Eppure la soluzione può raggiungerci, improvvisa, grazie a qualcosa che ci accade, grazie a qualcuno. In queste pagine Alessandro D’Avenia racconta il suo metodo per la felicità e l’incontro decisivo che glielo ha rivelato: quello con Giacomo Leopardi. Leopardi è spesso frettolosamente liquidato come pessimista e sfortunato. Fu invece un giovane uomo affamato di vita e di infinito, capace di restare fedele alla propria vocazione poetica e di lottare per affermarla, nonostante l’indifferenza e perfino la derisione dei contemporanei. Nella sua vita e nei suoi versi, D’Avenia trova folgorazioni e provocazioni, nostalgia ed energia vitale. E ne trae lo spunto per rispondere ai tanti e cruciali interrogativi che da molti anni si sente rivolgere da ragazzi di ogni parte d’Italia, tutti alla ricerca di se stessi e di un senso profondo del vivere. Domande che sono poi le stesse dei personaggi leopardiani: Saffo e il pastore errante, Nerina e Silvia, Cristoforo Colombo e l’Islandese… Domande che non hanno risposte semplici, ma che, come una bussola, se non le tacitiamo possono orientare la nostra esistenza.

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