Trump, la Russia e la NATO: il gioco dei quattro cantoni?

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venerdì 11 novembre 2016, 18:30
Scenari futuri
Trump, la Russia e la NATO: il gioco dei quattro
cantoni?
Il nuovo inquilino della Casa Bianca potrebbe svolgere una funzione stabilizzante
di Gianluca Pastori
Al di là delle dichiarazioni ‘di circostanza’, l’elezione di Donald Trump alla presidenza degli Stati Uniti ha
agitato parecchio le acque all’interno dell’Alleanza Atlantica. Nel congratularsi con il Presidente eletto e nel
riaffermare la volontà dell’organizzazione di continuare a contare sulla collaborazione statunitense, l’attuale Segretario
Generale, il norvegese Jens Stoltenberg, ha ritenuto opportuno osservare, fra l’altro, come la NATO sia stata
importante per la sicurezza collettiva in Europa ma anche per gli Stati Uniti, ‘tanto che l’unica volta che è stato
invocato l’articolo 5 per la difesa collettiva è stato dopo l’attacco all’America dell’11 settembre’. Il ruolo del legame
transatlantico è stato affermato anche dell’ex Segretario Generale, Rasmussen (in carica: 2009-14), che, nel
manifestare la sua convinzione che il Presidente Trump sarebbe stato molto diverso dal candidato Trump, si è detto certo
di come il nuovo inquilino della Casa Bianca saprà essere al fianco dell’Alleanza nelle sfide che essa è oggi
chiamata ad affrontare ‘con mano ferma’, in particolare quelle poste dalla Russia e dell’ISIS. Due aperture di
credito, quindi, che tuttavia, si collocano sullo sfondo delle dichiarazioni in cui Trump aveva etichettato la NATO come
‘obsoleta’, adombrando la possibilità di un’uscita di Washington dal sistema di sicurezza collettiva. Premesso che l’uscita
degli Stati Uniti dell’Alleanza Atlantica rappresenta un’ipotesi – quanto meno – improbabile, quanto l’arrivo di
Donald Trump alla Casa Bianca influirà, quindi, sul funzionamento di un’organizzazione che negli ultimi anni ha
dimostrato più di una difficoltà nel definire i propri equilibri interni? La possibilità (questa sì credibile) di un
ridimensionamento della presenza militare USA in Europa è destinata ad attizzare i timori di quanti, sino a oggi, sono stati i
maggiori beneficiari dell’accresciuta tensione fra Mosca e Washington, primi fra tutti i Paesi dell’Europa centro-orientale
che, come la Polonia e la tre repubbliche baltiche, hanno visto il loro peso politico-militare crescere stabilmente (e
considerevolmente) dopo lo scoppio della crisi ucraina. Negli ultimi mesi del suo mandato, Barack Obama ha
aumentato in maniera significativa la presenza USA nella regione, seguito in ciò dalla NATO. Anche se tale
accresciuta presenza risponde a una logica essenzialmente di ‘reassurance’ e non costituisce un effettivo deterrente alle
possibili iniziative russe, essa rappresenta tuttavia un allontanamento significativo dalla logica dell’‘understretching’ che
aveva presieduto al suo mandato e si traduce, sul piano concreto, nel ritorno degli Stati Uniti a un teatro che
l’amministrazione aveva sino allora mostrato di considerare sostanzialmente secondario. Da questo punto di vista, la
Estratto ad uso rassegna stampa dalla pubblicazione online integrale e ufficiale, reperibile su http://www.lindro.it/trump-la-russia-e-la-nato-il-gioco-dei-quattro-cantoni/
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politica estera della futura amministrazione Trump potrebbe tradursi in una specie di paradossale ritorno al
passato. D’altro canto, anche la ‘détente’ che il Presidente eletto prefigura nei rapporti con Mosca non appare
molto diversa dal ‘reset’ che ha caratterizzato i primi anni dell’amministrazione Obama. Al momento non è facile
dire quanto lontano questa ‘détente’ potrà spingersi. Il Congresso (repubblicano ma non necessariamente ‘amico’ del
tycoon newyorkese) giocherà un ruolo non da poco nel definire i dettagli del riavvicinamento degli Stati Uniti a Mosca, sia
direttamente, sia condizionando (attraverso il potere di approvazione di cui gode il Senato) le nomine dei vertici
dell’amministrazione. Senza dimenticare che il confronto fra Russia e Stati Uniti si gioca solo in minima parte sul teatro
europeo. Prima che in Europa, è oggi sulla scena mediorientale che si gioca, infatti, il confronto fra Mosca e
Washington, sia in termini di immagine, sia di ‘realpolitik’. La composizione diplomatica che si riuscirà a trovare per
la crisi siriana rappresenterà una cartina di tornasole importante per comprendere quanto Trump e Vladimir Putin sono
pronti a sacrificare, dei loro interessi regionali, sull’altare della normalizzazione dei rapporti fra i rispettivi Paesi. In tutto
ciò, quale può essere il futuro dell’Alleanza Atlantica? Alle prese con le tensioni che oppongono i Paesi della
‘trazione orientale’ e quelli del ‘fronte sud’, l’Alleanza può forse trovare nella ‘détente’ trumpiana la via verso
un ribilanciamento dei suoi compiti, ribilanciamento che avrebbe dovuto costituire il primo punto dell’agenda del
deludente vertice di Varsavia dello scorso 8-9 luglio. In un’ottica di medio/lungo periodo, l’arrivo di ‘The Donald’ alla Casa
Bianca potrebbe, quindi, svolgere una funzione stabilizzante rispetto ai problemi attuali dell’Alleanza. Rimane aperto il
punto di quale potrà essere la risposta di chi ha fatto, a suo tempo, della scelta di aderire all’Alleanza lo
strumento per costruire una relazione privilegiata con Washington e che ora vede la futura presidenza Trump
come una minaccia a tale ‘rendita di posizione’. Altro punto che rimane aperto è quello della volontà/capacità
della nuova amministrazione USA di continuare a svolgere una funzione di compensazione fra le istanze
nazionali che si esprimono nell’Alleanza. Sia l’esperienza storica, sia le vicende recenti dimostrano come la capacità
della NATO di esprimere una posizione comune dipenda, in buona misura, dalla capacità/volontà di Washington di agire
come centro di mediazione fra le diverse spinte che la attraversano. La rinuncia a esercitare questa funzione – più che
qualsiasi considerazione in materia di ‘burden sharing’ – rischia di essere il vero problema di un Trump ‘astensionista’ sui
temi della NATO e della difesa collettiva.
di Gianluca Pastori
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