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GENTE VENETA | Società e cultura
Giovedi, 10 Novembre 2016
Il Patriarca e il Procuratore: L'incontro buono è tra giustizia coscienziosa e misericordia seria
Chissà se e come misericordia e giustizia s'incontrano davvero (non solo alla fine). Di certo spesso si incrociano e si avvicinano. Tante volte, però, sono non solo distinte ma anche distanti (e molto). Il dialogo sul tema tra il Patriarca Francesco Moraglia e il Procuratore aggiunto della Repubblica Adelchi D'Ippolito ha, di sicuro, interessato e coinvolto moltissime persone - autorità comprese - che hanno affollato venerdì scorso la splendida Scuola Grande di S. Rocco a Venezia.
Di misericordia, almeno formalmente, non si parla mai nelle sentenze della giustizia umana: lo afferma il Procuratore che ha scandagliato la banca dati degli ultimi 25 anni e solo una volta (tolti i riferimenti anagrafici o nominativi) compare questo termine. «Nelle decisioni non compare mai, non si discute di misericordia. Tra misericordia e giustizia non sembra esserci territorio comune».
Il magistrato ha una soggezione assoluta della legge. La giustizia, precisa D'Ippolito, «è necessità di tutti, il giudice la esercita in nome del popolo. Lo stesso Gesù afferma il valore della giustizia, anche se poi andrà ben oltre. E la misericordia non è mai contro o al posto della giustizia. Il magistrato ha una soggezione assoluta della legge. Se essere misericordioso significa tradire questo mandato, non sarebbe un buon magistrato».
Misericordia e giustizia possono incontrarsi in momenti precisi: «Se misericordia significa assenza di accanimento e il sostenere l'accusa solo fin dove è possibile, in questo possono avere un punto di contatto. Il pubblico ministero non deve porsi come giustiziere o castigatore».
Un punto d'incontro c'è pure nella consapevolezza dei propri limiti e nel fatto che «magistrato indipendente non significa magistrato indifferente». Di fronte alla giustizia invocata dalla piazza afferma che «la giustizia non va tirata per la giacchetta. E' giustizia complessiva, equilibrata, serena, che sa volare alto, non è vincolata o psicologicamente ricattata da emozioni e istanze del momento».
Nell'espiazione della pena fa capolino la misericordia. Sostiene D'Ippolito che «la giustizia degli uomini ha l'assoluta necessità di sottoporre a pena chi ha commesso un reato, quand'anche la persona si fosse sinceramente pentito. Lo Stato deve punire perché la pena, oltre alla funzione rieducativa, ha quella retributiva: ristabilisce il patto sociale infranto da quel reato. Credo che il momento dell'espiazione della pena sia quello in cui la misericordia può arrivare di più ad incidere sull'amministrazione della giustizia. Qui forse giustizia e misericordia si incontrano». Compito del sistema penitenziario è «fornire al detenuto gli strumenti per metterlo in condizione di vincere la propria sfida di riscatto personale».
«Un giudice è misericordioso quando fa bene il giudice, è questa la misericordia che deve dispensare»: inizia qui la riflessione del Patriarca Francesco. La stessa parola "giurisprudenza" sollecita il magistrato ad essere persona competente e prudente perché la sua decisione «segna la vita di una persona e non tutte le persone hanno la stessa storia, anche se commettono lo stesso reato».
Misericordia ingiusta non è misericordia. Parlare di giustizia è «andare alla radice della nostra umanità. La giustizia fa parte dell'uomo, è dare quello che è giusto». La misericordia
«non appartiene al diritto come qualcosa che lo distorce. Non è fare sconti, non è qualcosa che cancella la giustizia. Non posso frodare lo Stato, gonfiare le parcelle o non timbrare nel momento giusto il cartellino tanto poi mando alle missioni... Misericordia ingiusta non è misericordia, come anche giustizia crudele non è giustizia».
La misericordia, per un credente, è l'evento della croce «dove Dio si compromette con l'uomo e gli dice: non sono stato a guardarti, mi sono fatto carico di te».
Si tratta «di recuperare una fede amica dell'umanità, capace di dare a Cesare quello che è di Cesare. La misericordia è un compiersi della giustizia, non è mai in contraddizione con essa».
Se è salutare che la giustizia non sia "buonista" ma punisca chi ha commesso un reato, il Patriarca chiede però: «A chi è consegnato quel condannato? Che cammino farà? Di accompagnamento e rieducazione? Penso ci siano degli strumenti per una giustizia umana, se non vogliamo dire misericordiosa, che non consegni chi è stato giustamente condannato ad un percorso non dignitoso».
La riconciliazione non va banalizzata. Nella vita sacramentale della Chiesa «il sacerdote perdona, ma se ci sono le condizioni. Forse abbiamo preso una strada sbagliata nell'amministrare il sacramento della riconciliazione, lo abbiamo banalizzato o ridotto a formalità... Il peccato è realtà devastante, chiede di essere espiato, ci deve essere un atto del penitente che soddisfa e ricompone una giustizia che è stata lesa».
Parla di indulgenze: «Non è andare al discount, è cosa terribilmente seria. E ha una condizione: convertirsi in modo pieno e totale». Per mons. Moraglia «giustizia e misericordia si possono incontrare nel rispetto delle specificità, non imbastardendosi, ma capendo che la giustizia, quando ha fatto bene tutte le cose, è sempre giustizia imperfetta e umana. Allora la misericordia incontra e accompagna la giustizia come questa accompagna la misericordia».
Alessandro Polet
Tratto da GENTE VENETA, n.42/2016
Articolo pubblicato su Gente Veneta
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