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giovedì 10 novembre 2016, 17:00
Giustizia ambientale e grandi opere
All’ombra del «Terzo Valico»
Cantieri aperti, mobilitazione sociale e infiltrazioni mafiose ‘ad alta velocità’
di Virgilio Carrara Sutour
La protesta dell’8 novembre a Campomorone (Genova) ha interrotto al primo giro di collaudo il circuito dell’Infopoint mobile
sulla linea del «Terzo Valico», promosso dal commissario governativo straordinario Iolanda Romano e dalla Rete
ferroviaria italiana. Quest’ultima è subentrata nella direzione dei lavori dopo l’ondata di arresti che ha colpito il consorzio di
imprese concessionarie. Nella tensione generale, i manifestanti hanno lanciato finte ‘mazzette’ di denaro contro il camper
che inaugurava il tour promozionale del progetto. Oggi il Consorzio CoCIV (Consorzio Collegamenti Integrati Veloci),
contraente generale per la progettazione e la costruzione di una linea ferroviaria ad alta velocità tra Genova e Tortona, è
composto dalle seguenti società: Salini-Impregilo (64%), Società italiana Condotte d’Acqua (31%) e CIV S.p.a. (5%). Dopo 14
arresti (tra cui il presidente Michele Longo e il direttore generale Ettore Pagani) per corruzione, concussione e
turbativa d’asta, il CoCIV è stato subito ricomposto ai vertici e i cantieri TAV del Terzo Valico restano aperti.
Nella definizione della programmazione economica nazionale, il «Terzo Valico dei Giovi» fa parte delle grandi opere ritenute
«di importanza strategica». Il loro numero è stato ridotto dal Consiglio dei Ministri nel 2015, che ha mantenuto al primo
posto le infrastrutture stradali e le linee ferroviarie: Napoli-Bari, Torino-Lione, Terzo Valico, Milano-Venezia e Brennero. Ma
cosa intende esattamente la legge per opera ‘strategica’? La «Legge Obiettivo», emanata nel 2001 durante il secondo
Governo Berlusconi, disciplinava la programmazione e la realizzazione delle opere «strategiche e di preminente interesse
nazionale». I criteri adottati per qualificare come tale un’infrastruttura erano la «modernizzazione» e lo «sviluppo del
Paese (…) secondo finalità di riequilibrio socio-economico fra le aree del territorio nazionale». Altri scopi generali
dichiarati erano l’efficienza strategica dell’approvvigionamento di energia e un adeguamento delle infrastrutture e dei
«servizi pubblici locali di difesa dell’ambiente» agli standard comunitari. Il nuovo D.lgs. 50/2016 («Codice appalti»),
abrogando tale legge, prevede una programmazione unitaria, senza più elenchi speciali di infrastrutture e edifici, per le
«opere prioritarie di interesse statale». A parte l’ampio margine di scelta, evidente in entrambi i testi, sui modi e gli indirizzi
che porterebbero a ‘modernizzare’ il Paese, è paradossale che nel primo siano richiamati un fine redistributivo (l’equilibrio
socio-economico) e un insieme di beni comuni (l’ambiente) che risultano, entrambi, intaccati dall’impatto di un’opera come il
Terzo Valico. Eugenio Spineto, per tutti ‘Egio’, di Arquata Scrivia, ricostruisce le tappe di un progetto risalente negli anni,
alla luce della sua esperienza di portavoce del movimento No Tav Terzo Valico. “Fin dalla nostra costituzione nel 2012,
ci occupiamo dell’organizzazione e del coordinamento, sia sul campo che a livello assembleare (nei comuni si tengono
riunioni settimanali) dei diversi comitati nati localmente. Viviamo quelle ‘fasi alterne’ che sono proprie di una disobbedienza
civile non violenta, il nostro strumento fondamentale contro l’ingiustizia sociale e le cariche della polizia”. Di fronte alla
Estratto ad uso rassegna stampa dalla pubblicazione online integrale e ufficiale, reperibile su http://www.lindro.it/allombra-del-terzo-valico/
L'Indro è un quotidiano registrato al Tribunale di Torino, n° 11 del 02.03.2012, edito da L'Indro S.r.l.
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crudezza dei fatti, il tempo pare subire una compressione: se i governi cambiano, i vuoti di garanzia e gli squilibri nei
rapporti di forza sembrano mantenersi e riprodursi, secondo quella ‘comunanza di interessi’ (nell’espressione del gip Cinzia
Perroni) così familiare alla nostra storia imprenditoriale. “Il progetto relativo alla linea ad alta velocità Genova-Milano risale
al 1991 e si inserisce nel piano nazionale di potenziamento dell’alta velocità, che comprende le tratte Bologna-Firenze,
Roma-Napoli e Roma Milano. Esistono, in tutti questi casi come in quello della Val di Susa, meccanismi di potere
ricorsivi, descritti in dettaglio dal giudice Ferdinando Imposimato nel suo saggio Corruzione ad alta velocità. Il libro è l’esito
di una relazione destinata alla Commissione parlamentare antimafia, di cui il magistrato faceva parte, relazione ‘evitata’ e
mai votata dai suoi membri. “Si tratta”, afferma Egio, “di un nuovo sistema con cui si intendono finanziare i grandi gruppi
imprenditoriali”. Ciò comporta rischi elevati di infiltrazioni mafiose mediante collusione politica. In linea con questa
tendenza, deleteria per l’interesse pubblico e le responsabilità dei suoi garanti, Egio ricorda che “il progetto del Terzo Valico
è stato annunciato la sera di Capodanno del 1991, così da eludere la tempistica necessaria a indire un bando europeo per la
concessione dell’appalto, che passò direttamente in capo al consorzio controllato da ‘Marcellino’ Gavio e Salvatore Ligresti”.
Resta significativo il fatto che, dalla presentazione del progetto preliminare ad opera del CoCIV, nell’aprile del 1990,
all’assunzione della concessione da parte di quest’ultimo, non vi sia la minima traccia di un piano di fattibilità economicofinanziaria. “Nel giugno del 1992, dopo sei mesi di incontri, si costituisce il Comitato Interregionale «Alt al supertreno MilanoGenova», che comprende diversi comitati locali (Comuni di Castelnuovo Scrivia, Tortona, Voghera, Novi Ligure, Gavi Casei
Gerola, Locate di Triulzi). L’attività congiunta del Comitato (con 7000 firme raccolte su un territorio che va da Genova
Brignole all’hinterland milanese) e di diverse associazioni cittadine, agricole e ambientaliste a base locale e regionale (tra cui
Legambiente Piemonte) produrrà un fascicolo contenente documentazioni, osservazioni critiche e istanze collettive di
tutela”. Questo lavoro, costantemente aggiornato negli anni a venire, sta alla base della decisione del Ministero
dell’Ambiente di bocciare il «Progetto Milano-Genova» (2 giugno 1994). Ciononostante, negli anni 1996 e 1997, con un
nuovo progetto parzialmente modificato e in assenza di approvazione, si avviano due perforazioni geognostiche: “Sondaggi”,
chiarisce Egio, “o, come si dice, «fori-pilota» che avrebbero dovuto misurare la consistenza geologica dello scavo. Di fatto,
saranno invece scavate due gallerie di servizio profonde 600 metri per una spesa pubblica pari a 165 miliardi di lire.
Nel 1998, I cantieri del CoCIV attivi nei Comuni di Fraconalto e Voltaggio sono posti sotto sequestro e i responsabili accusati
di truffa aggravata ai danni dello Stato (reato poi prescritto per l’estrema lentezza dei procedimenti)”. Nello stesso anno, la
storia si ripete e un successivo progetto non passa il vaglio del Ministero dell’Ambiente. La stessa sorte toccherà, nel 2000,
al (terzo) Progetto «Alta Capacità – Terzo Valico» e la concessione al CoCIV sarà revocata. Peraltro, nei discorsi pubblici
ricorrono, generando frequenti confusioni, due formule: alta capacità (AC) e alta velocità (AV). “La differenza è di natura
funzionale: aumentare il numero dei treni o ridurre i tempi di percorrenza? Merci o passeggeri? Per il Terzo Valico ora si parla
di ‘alta capacità veloce’, un collegamento ‘potenziato’ tra il porto di Genova e gli snodi ferroviari nordeuropei , senza mai
parlare del fatto che esistono già due linee storiche sfruttate pochissimo”. La compatibilità tra AV e AC comporta, però, costi
elevati (come nel caso della Firenze-Bologna), per non parlare delle fitte interconnessioni con le linee locali. Nel 2001, con
una legge ad hoc (la già citata «Legge Obiettivo», oggi sostituita dal nuovo «Codice appalti»), sono modificati i parametri di
valutazione ambientale delle opere «strategiche». L’urgenza da tempo lamentata di un appalto europeo è vanificata con la
riconferma (2002) della concessione al CoCIV, malgrado il parere contrario dell’Autorità Antitrust. Inoltre, il Terzo Valico,
come segmento dell’asse Genova-Novara-San Gottardo-Rotterdam (il «Corridoio Reno-Alpi»), sarà inserito dalla
Commissione europea tra le opere ritenute prioritarie solo nell’ottobre del 2003. Negli anni successivi, oltre a una
lievitazione dei costi del 700% rispetto al 1991, ossia 5200 miliardi di euro (come relazionato al Convegno di Genova
del 30 maggio 2009), al centro del discorso si alternano le rotte commerciali, la capacità (si pronosticano 10 milioni di TEU,
ossia l’unità equivalente a un container da 20 piedi) e la velocità (una decina di minuti risparmiati per i 2000 passeggeri che
viaggeranno tra Genova e Milano), in una sorta di ‘crisi di identità di funzione’ dell’opera. Parallelamente, emergono dati
allarmanti sull’inquinamento delle acque lungo la TAV passante per il Mugello, per cui sono coinvolti in reati
ambientali i vertici di un consorzio controllato, ancora, da Impregilo. Tuttavia, tra il 2006 e il 2008, i finanziamenti destinati
al Terzo Valico sono ‘congelati’ dall’allora Ministro per le Infrastrutture e i Trasporti, Antonio Di Pietro. Nonostante la
disponibilità limitata di fondi, i rinvii e gli stanziamenti sempre e solo pubblici (500 milioni di euro nel 2010, contro
l’impegno originario assunto dal CoCIV di una copertura privata del 60%), il Comitato Interministeriale per la
Programmazione Economica rilancia l’opera, nella cronica mancanza di analisi comparative fondamentali: costi/ricavi e
costi/benefici sociali. Nel 2011, mentre tramonta il quarto Governo Berlusconi, riprende la corsa alle grandi opere, indirizzo
perseguito anche dal successivo Governo Monti. L’attuale valutazione preventiva dei costi della linea ammonta a 6,2
miliardi di euro per una tratta di 54 km, 37 dei quali costituiti da gallerie (ossia il 70 %). Chiediamo a Egio di parlarci
dell’impatto ambientale. “Con l’assistenza di geologi e ingegneri vicini al Movimento, abbiamo confrontato la mappatura
sovrapponendo le carte dell’IGM a quelle del Progetto: La differenza è lampante in relazione alla massiccia presenza di rocce
serpentinifere, o ‘pietre verdi’, contenenti amianto. Fino al 2015 siamo stati accusati di terrorismo psicologico nei confronti
della popolazione. Nei mesi di novembre e dicembre, il cantiere di Cravasco (Genova) da noi presidiato è stato posto sotto
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sequestro per l’alta percentuale di polveri di amianto presenti nella galleria. Il piano di smaltimento delle rocce di cava
prevede, né più né meno, lo stoccaggio sigillato dello smarino” - il detrito di scavo contenente amianto - “e il suo trasporto in
altre cave o perfino in Germania, a costi esorbitanti. Il «Protocollo amianto», stilato dalla Regione e dall’ARPA, non sembra
offrire valide garanzie, demandando i controlli a un geologo assunto dallo stesso CoCIV! ”. A meno di un anno di distanza,
l’appalto per la galleria di Cravasco è coinvolto nel giro di tangenti che ha portato alla metamorfica ricomposizione del
Consorzio. C’è, poi, il problema dell’inquinamento dell’acqua. “Il tunnel vero e proprio” fa notare Spineto, “intercetterà
sorgenti e altre risorse idriche, con rischi di contaminazione delle falde e degli acquedotti. Nel caso di Arquata, per ovviare in
parte al danno sarebbero necessari pompe e impianti di drenaggio dal basso verso l’alto (carissimi!). Le prove esistono già:
nel Mugello, oltre 40 corsi d’acqua sono andati persi, con un danno devastante per gli agricoltori e gli allevatori della
regione”. A Novi Ligure, tra il 2006 e il 2010, il geologo Davide Fossati, collaborando con tecnici della Regione Piemonte a
un piano di assetto idrogeologico, rilevò il carattere superficiale (tra 3 e i 6 metri) della falda che interessa la piana di Novi.
La costruzione di una deviazione ferroviaria in cemento (c.d. ‘shunt’) di 6 km tra Novi e Pozzolo taglierebbe in due la falda,
creando un dissesto permanente, con conseguente depauperamento dei campi della piana e innalzamento di livello delle
acque verso le abitazioni ubicate a monte. L’eliminazione dello shunt, richiesta a più riprese dai sindaci e promessa dai
gestori, non è mai stata rimossa dal Progetto. “Perché ‘Terzo’ Valico?” Parlando della controversa ‘utilità’ dell’opera, Egio
non ha dubbi in proposito: “Esistono già due linee ferroviarie (ecco perché si chiama ‘Terzo’ Valico), utilizzate al 20 % del
loro potenziale: la linea storica dei Giovi e quella di Mignanego. In realtà, contando anche quelle che partono da Savona
verso Torino, da Genova verso Ovada e da La Spezia verso Parma, le linee salgono a cinque: tutte linee merci che
raggiungono la Pianura Padana; la loro sinergia garantirebbe, da sola, un’alta capacità… Poi arriva il fantasma dell’alta
velocità che, nel silenzio-assenso di tante amministrazioni locali, affonda ogni logica legata ai costi di manutenzione e ai
reali benefici dell’opera”. I territori delle valli interessate (Val Lemme, Valle Scrivia, Val Verde, Val Polcevera) non sono
protetti da particolari normative paesaggistiche o ambientali, non sono patrimonio di speciali enti, ma di una cittadinanza
storicamente agricola e operaia, oggi esposta a pesantissimi rischi di danno alla salute, al mercato degli espropri e
all’orientamento di opinione su gomma degli Infopoint. “Come ogni fatto di coscienza civile, la mobilitazione sociale è,
anzitutto, un processo spontaneo. Abbiamo indetto un centinaio di assemblee pubbliche e organizzato 10 manifestazioni
significative. A partire dal 2012, in seguito all’invio delle lettere di esproprio da parte del CoCIV, abbiamo occupato per
mezzo di ‘blocchi’ non violenti i terreni interessati, azioni che hanno portato, in molti casi, a una mancata immissione in
possesso. In seguito, secondo un’evoluzione prevedibile, sono iniziate le trattative private di compravendita ad alto prezzo. Il
30 luglio del 2014, durante una dimostrazione pacifica contro l’acquisizione di 11 terreni situati fra Pozzolo Formigaro,
Serravalle e Arquata, siamo stati più volte caricati da un ampio dispiegamento di forze di polizia, Celere compresa, con tanto
di manganelli e lacrimogeni al gas CS”. La ‘cantierizzazione’ è una pratica diffusa di recinzione anticipata dei terreni ritenuti
«di pubblica utilità»: “Tra le nostre iniziative di resistenza, sono previste giornate di ‘bonifica’ sul territorio, durante le quali
rimuoviamo le reti metalliche. Il 22 febbraio del 2014, giornata di lotta solidale con il Movimento della Val di Susa, a Pozzolo
abbiamo abbattuto 5 km di recinzione nel cantiere della Romanellotta, uno dei siti di destinazione dello smarino contenente
amianto”. Esistono anche gli espropri eseguiti ‘a distanza’, come quello del 19 luglio scorso: “ Nel 2013 abbiamo acquistato
collettivamente, in 101 persone, un terreno ‘strategico’. Dopo l’invio delle consuete lettere di esproprio, il 16 luglio di
quest’anno, alle 4 del mattino, le forze dell’ordine hanno circondato l’area mentre, dalle recinzioni, si scattavano fotografie
del terreno, ritenendosi così avvenuto l’esproprio. Secondo il relativo Testo Unico (aggiornato nel 2016), l’esproprio deve
avvenire con modalità precise, prima fra tutte la chiamata dei legittimi proprietari sul terreno. Ciò non è mai successo e, in
ottobre, le reti abusivamente rimosse sono state reinstallate insieme a un tendone. Contro l’esproprio illegittimo è stato
fatto ricorso al TAR”. Per citare un fatto recente, sabato 5 novembre è stato organizzato ad Alessandria un evento sul tema
delle compensazioni, intitolato «60 milioni di opportunità per lo sviluppo del territorio». Grazie a un accordo firmato con il
MIT, 11 comuni della Provincia saranno beneficiari di 60 milioni di euro, stanziati come incentivo di «sviluppo» nell’ambito
delle «opportunità generate dal Terzo Valico», per «migliorare l’economia, l’ambiente e il turismo dei nostri luoghi».
“Abbiamo manifestato”, racconta Egio, “contro la ‘svendita’ del nostro territorio e siamo stati nuovamente caricati”. Da
questi resoconti, soggetti dello scontro sembrano essere, da un lato, le imprese, che assolvono con metodi propri e spesso
illegali alla funzione di operatori dello sviluppo promosso dal governo centrale; dall’altro, i movimenti sociali e le
associazioni, nella quasi-assenza di rappresentanze politiche di supporto. “L’unica organizzazione che ci ha appoggiati è il
Movimento 5 Stelle: il senatore Marco Scibona, oltre a diversi consiglieri regionali e comunali che hanno protestato insieme a
noi. I sindaci sono troppo vincolati ai bilanci comunali e al Patto di Stabilità. Quello che ci fa sentire vivi, da ormai 5 anni, è il
fatto di poter rappresentare le comunità per intero, nelle loro molteplici voci: dall’anziano che osserva la posa abusiva delle
reti allo studente che cerca di immaginare un futuro possibile e a misura d’uomo. Mentre stiamo di fronte a cordoni
polizieschi in assetto di guerra, siamo definiti ‘violenti.’ La nostra unica arma è la presenza fisica, una presenza consapevole:
protestiamo con il nostro corpo, con la nostra parola, a volto scoperto”.
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