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PRIMO PIANO
Giovedì 10 Novembre 2016
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Oppure, entrando nella Casa Bianca e circondandosi di esperti, saprà cambiare linea politica?
Trump rimarrà populista cafone?
Mentre Hillary è arrivata alla fine della sua carriera
DI
DOMENICO CACOPARDO
S
olo pochi l’avevano ritenuto possibile: tra di
essi questo giornale.
Personalmente i contatti con ambienti americani di
area democratica mi avevano
indotto a ritenere che in fin dei
conti -e non solo- Hillary c’è
l’avrebbe fatta. Mi sono completamente sbagliato.
La vittoria di Trump è
prima di tutto di Trump. Ha
sbaragliato una decina di candidati repubblicani alla nomination ed è andato avanti senza incertezze con un linguaggio
dirompente lontano 1000 miglia
da quello dell’establishment. S’è
comportato più o meno come
Krusciov quando si levò una
scarpa e la sbatté sul ripiano
del suo scranno all’Onu. Niente
di politicamente o socialmente
corretto. Del resto il suo successo è dovuto a una serie di operazioni immobiliari sballate nelle
quali sono rimasti incagliati gli
investitori che aveva raccolto
intorno a sé.
La verità, in ogni caso, è
che la sconfitta colpisce Obama
più della Clinton. È il fallimento di 8 anni di presidenza democratica e dei suoi risultati (con
buona pace della retorica buonista che ha percorso i giornali
italiani): riforma sanitaria di
stampo pallidamente europeo e
riduzione della disoccupazione.
Il mostro del low cost cinese (e
indiano e il terremoto occupazionale che ha prodotto) ha pesato
come un macigno sui colletti
blu e su quelli bianchi americani. Giacché, se l’occupazione
è cresciuta, sono diminuite la
retribuzioni e le aspettative occupazionali: l’ascensore sociale
è fermo per manutenzioni mai
eseguite.
Frutti amari della globalizzazione a trazione finanziaria talché la crescita cino-indiana è potuta andare avanti senza
regole avendo il WTO (l’Organizzazione Mondiale del Commercio) il solo scopo della crescita degli scambi a condizioni
asimmetriche: infatti, nessuno
ha preteso che gli eredi di Mao
si assumessero gli oneri di uno
stato sociale e di garanzie simili
a quelli vigenti in Occidente.
Questa modalità di sviluppo produttivo e commerciale, a
dire il vero non era né è evitabile:
se il fine è la crescita economica
del Terzo mondo (con l’uscita
di ampie parti di popolazione
dall’area della povertà) essa si
realizzerà in un fatale Far west
industriale e commerciale.
Regolare il processo (come
sembrerebbe intenzione di
Trump) è solo una illusione viziata da infantilismo politico e
ignoranza economica.
E poi il cambiamento del
regime sanitario è rimasto a
mezza strada, lasciando insoddisfatti gli americani: coloro che
volevano l’ammissione di tutti
alla sanità federale e coloro che
volevano tutelata la propria
indipendenza (di scegliere il
medico, la cura e il luogo in cui
seguirla).
Infine, rapporti tra Casa bianca e Wall Street sono rimasti per
otto anni nell’intollerabile ambito dell’opacità tradizionale. In
sostanza, la presidenza Obama
ha salvaguardato le banche senza far loro pagare nessun prezzo
per la comunità.
Da ultimo, il disastro in
politica estera che, ora, possiamo valutare meglio alla luce
del disastro di politica interna,
certificato dagli elettori americani.
A tutto ciò si aggiunge la
personale antipatia di Hillary e
il pregiudizio familista: immaginate una candidatura della
moglie di Berlusconi o, peggio,
di Prodi e il rifiuto che avrebbe
suscitato.
Ora le questioni sono due:
rimarrà Trump il populista cafone della campagna elettorale?
Che accadrà al resto dell’Occidente?
Le sue prime indicazioni sono
allettanti: ha annunciato una
specie di New deal rooseveltiano fatto di lavori pubblici (e
derivante lavoro) che riguarderà
tutto il territorio federale.
E il resto? Tutto è da vedere
con prudenza, anzi con sana
diffidenza.
E per noi, europei e italiani?
Secondo me -se Trump sarà
coerente alle indicazioni eletto-
rali-, sono da immaginare serie
conseguenze. La prima riguarda il ritiro delle truppe americane (con relative armi atomiche)
dall’Europa occidentale. Con ciò
si certificherebbe in modo definitivo la fine dell’ormai inattuale Alleanza atlantica. Sui
dossier Russia e, Siria-Medio
Oriente occorre aspettare che il
nuovo presidente esprima una
compiuta strategia. Se il progetto fosse isolazionista, altre responsabilità ricadrebbero sulle
spalle dell’esitante e conigliesca
Europa, cioè, soprattutto, sulla
Germania, post-nazista ma non
ancora pienamente europea (in
senso comunitario).
E poi, i paesi che non hanno colto il cambio di epoca storica, avvenuta sotto gli occhi
chiusi di tutti sono destinati
a vedere la crescita impetuosa dei movimenti antisistema.
Marine Le Pen in Francia ha
davanti un’autostrada.
La potrebbe avere Grillo, se
fosse capace di esprimere una
proposta e un progetto che non
si esaurissero nel permanente
«No».
In Italia sono pronti a esplodere alcuni irrisolti problemi: il
primo è, logicamente, l’occupazione, ma al medesimo rango
va collocato quello dell’immigrazione.
È certo che i fondamentali
dell’economia dicono che l’immigrazione, con il massiccio
incremento di aspiranti a un’occupazione, comunque retribui-
SCOVATI NELLA RETE
ta e disciplinata, costituisce un
volano di sviluppo. Ma il prezzo
che pagheremo sarà sempre più
alto proprio nel campo dell’occupazione regolare, quella che ha
subito i colpi dell’inarrestabile
globalizzazione e dell’immigrazione massiccia e -di fatto- tollerata.
Intorno a questi due fattori
della vita sociale aumenteranno le tensioni: non si tratta di
manifestare buona volontà e
movimentismo riformista, come
fa Renzi.
Si tratta di uscire dal
seminato della tradizione
adottando provvedimenti radicali come chiudere il fiume di
denaro che va in accoglienza
(e nelle tasche di speculatori) e
aprirne uno altrettanto corposo
in assistenza e formazione ai
lavoratori nonché in sostegno a
iniziative produttive.
Ben ha detto Matteo Renzi al
maggiordomo Juncker: l’Italia
non accetterà più di erogare
all’Unione 20 miliardi in cambio di 12, ma pretenderà che il
nostro contributo serva a ristabilire condizioni di parità decisionale e di peso tra gli stati.
Si tratta dell’unica via
possibile per impedire la dissoluzione del mostro burocratico
creatosi da Maastrischt in poi. A
prescindere da Trump e dai guai
o dai benefici che ci arrecherà.
www.cacopardo.it
IL CONSIGLIERE RAI È UNA DELLE POCHE ECCEZIONI A SINISTRA
Carlo Freccero: Trump, e lo dico
da mesi, è molto meglio di Hillary
DI
P
ANDREA PICARDI
rima del voto negli Stati Uniti
era stato uno dei pochi italiani
ad esprimersi apertamente a
favore di Donald Trump. «È
molto meglio di Hillary», aveva detto già
mesi fa il consigliere di amministrazione
della Rai Carlo Freccero. Un commento
che il manager televisivo ha confermato
adesso, dopo una nottata passata sveglio
a seguire lo spoglio elettorale in diretta.
Domanda. Donald Trump ce l’ha
fatta. Perché?
Risposta. Perché Hillary Clinton era
il candidato delle banche e della finanza
internazionale. Per questa ragione la mia
opinione nei suoi confronti è sempre stata
negativa.
D. Il popolo americano ha votato
contro le élite?
R. Gli Stati Uniti sono un Paese impoverito, gravato da un forte debito pubblico, messo in difficoltà nella sua leadership mondiale dall’ascesa dei Brics e dal
ritorno della Russia e decaduto a livello
produttivo per colpa dello strapotere della
finanza. La risposta a questa crisi senza
precedenti non poteva essere rappresentata da Hillary la cui unica soluzione per
recuperare il primato americano era co-
stituita dalla guerra.
D. E le banche?
R. Hanno reso l’America più triste e più
povera. Hillary rappresenta quell’1% della popolazione mondiale che la crisi continua a rendere sempre più ricco, mentre il
restante 99% scivola verso la povertà. E’
a questa maggioranza di americani che
Trump ha rivolto il suo appello. Solo la
propaganda dei media mainstream ha
permesso a Clinton e al suo entourage di
conservare una popolarità che contrasta
con la situazione reale del Paese.
D. Non rappresenta anche Trump
quell’1% della popolazione mondiale
di cui lei parla? In fondo è pur sempre un multimiliardario.
R. Ne fa parte, ma il candidato di quel
mondo era Hillary. Trump - al contrario
- ha proposto un programma che mira
a ricostruire l’industria spazzata via
dall’economia finanziaria: solo in questo
modo si potranno garantire posti di lavoro
e benessere alla classe media impoverita
da questa interminabile crisi.
D. Trump dunque le piace?
R. Non è questo il punto: dopo Brexit,
è un’altra risposta alla propaganda delle
élite. Adesso, ovviamente mi auguro che
si adegui all’importanza del ruolo che è
stato chiamato a ricoprire.
D. Ha fatto riferimento a Brexit:
per la seconda volta in pochi mesi
i grandi media hanno dimostrato di
essere completamente scollati dalla
realtà. Cosa sta succedendo?
R. I media mainstream sono dei megafoni di manipolazione e non di informazione. Questa è la ragione per cui stanno
sbagliando tutto.
D. Qual è il messaggio di fondo che
arriva dall’America?
R. Che è in corso una rivolta antisistema: la crisi del pensiero unico finalmente è cominciata.
D. Tutto ciò però sembra arrivare da destra e non da sinistra.
Perché?
R. Perché la sinistra ha abbracciato
completamente il pensiero unico liberista. Mi riferisco in particolare alla sinistra della cosiddetta terza via di Clinton e di Blair: la sinistra che ha fatto
la guerra, eliminato la differenza tra
banche commerciali e banche d’investimento e ridotto i diritti dei lavoratori.
D. Trump è la medicina alla crisi
- non solo economica - che l’occidente e gli Stati Uniti stanno vivendo?
R. No, è solo la prima reazione. Però
almeno lui si è fatto portavoce di questo
grande malessere popolare.
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