Monastero di Bose - Ero straniero e non mi avete accolto

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Ero straniero e non mi avete accolto
enzo Lotto, San Martino divide il mantello, disegno, 1530.
Mt 25,31-46
In quel tempo Gesù disse ai suoi discepoli: «Quando il Figlio dell'uomo verrà nella sua gloria, e tutti gli angeli con
lui, siederà sul trono della sua gloria. 32Davanti a lui verranno radunati tutti i popoli. Egli separerà gli uni dagli
altri, come il pastore separa le pecore dalle capre, 33e porrà le pecore alla sua destra e le capre alla sinistra.
34Allora il re dirà a quelli che saranno alla sua destra: «Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il
regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo, 35perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho
avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, 36nudo e mi avete vestito, malato e mi avete
visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi». 37Allora i giusti gli risponderanno: «Signore, quando ti abbiamo
visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, o assetato e ti abbiamo dato da bere? 38Quando mai ti abbiamo
visto straniero e ti abbiamo accolto, o nudo e ti abbiamo vestito? 39Quando mai ti abbiamo visto malato o in
carcere e siamo venuti a visitarti?». 40E il re risponderà loro: «In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a
uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me». 41Poi dirà anche a quelli che saranno alla sinistra:
«Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli, 42perché ho avuto
fame e non mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e non mi avete dato da bere, 43ero straniero e non mi avete
accolto, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato». 44Anch'essi allora
risponderanno: «Signore, quando ti abbiamo visto affamato o assetato o straniero o nudo o malato o in carcere, e
non ti abbiamo servito?». 45Allora egli risponderà loro: «In verità io vi dico: tutto quello che non avete fatto a uno
solo di questi più piccoli, non l'avete fatto a me». 46E se ne andranno: questi al supplizio eterno, i giusti invece
alla vita eterna».
Coprire la nudità dell’altro. Gesto del Cristo che si china, nella sua condiscendenza, su un’umanità sfinita dalla miseria e
piagata dalla povertà. Gesto del Cristo che diviene gesto della Chiesa, pagina di vangelo che prende carne nelle mani di
quanti sanno vedere nel volto degli ultimi – di chi è affamato, assetato, forestiero, nudo, malato o carcerato – nel volto di
ogni altro, il volto di un fratello in umanità, riflesso e icona del volto del Figlio.
In san Martino, di cui oggi celebriamo la memoria, in questo soldato del IV secolo, divenuto uno dei padri del
monachesimo occidentale e poi vescovo di Tours, le parole di Gesù attestate dalla nostra pagina evangelica sono state
tradotte nella concretezza di un gesto e si sono fatte vita vissuta: «Ad un povero incontrato sulla porta di Amiens, che si
era rivolto a lui, Martino divide in parti uguali il riparo della clamide e con fede fervente lo mette sulle membra intirizzite.
L’uno prende una parte del freddo, l’altro prende una parte del tepore, fra ambedue i poveri è diviso il calore e il freddo, il
freddo e il caldo diventano un nuovo oggetto di scambio e una sola povertà è sufficiente divisa a due persone»
(Venanzio Fortunato, Vita Martini I,56-62).
Vestire la nudità dell’altro – come d’altronde ogni altra opera di misericordia – implica innanzitutto l’attenzione
all’altro, la capacità di «vedere» l’altro, di accorgersi di lui
, traendolo fuori dall’anonimato dell’invisibilità cui è confinato
dalla sua miseria: è incontro di sguardi, volto nel volto, occhio contro occhio; è intrecciarsi di mani, di mani vuote, tese e
supplici, di mani capaci di condividere anche solo quel poco che si ha: «Non possiedo né argento né oro, ma quello che
ho te lo do» (At 3,6).
Il vangelo vissuto, nel quotidiano dei giorni, si incarna nei gesti ordinari della cura e della delicatezza, che possono
diventare stra-ordinari momenti di tenerezza, di carità concreta, di dono gratuito: così chi apre le sue mani per
soccorrere la vulnerabilità dell’altro, si scoprirà non impoverito, ma «unito al Signore da una tenerissima
misericordia» – come scrisse Sulpicio Severo di Martino – così da appartenergli con ogni fibra della nostra esistenza e
gustare la gioia di essere davvero «suoi»: «Signore, che hai nutrito la tua Chiesa con l’Eucaristia, sacramento dell’unità,
concedi a noi tuoi fedeli di vivere in perfetto accordo con te, perché obbedendo alla tua volontà sull’esempio di san
Martino, gustiamo la gioia di essere veramente tuoi».
Fratel Emanuele
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