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PARERE SPECIALISTICO IN MERITO A RESPONSABILITA’ PROFESSIONALE DEI
SANITARI CHE HANNO AVUTO IN CURA LA SIG.RA R. V. NATA A VV IL 22/05/19__ E
DELLA NEONATA AC., NATA A T. IL 16/11/2009, IN OCCASIONE DELLA
GESTAZIONE, DEL PARTO E DEL RICOVERO DEL NEONATO PRESSO L’AZIENDA
XX
Su incarico della parte Attrice ho proceduto ad esame della documentazione medica attinente alla
Persona Della Sig.ra R V. e della neonata A C. nato a il 16/11/2009 per il caso di cui si tratta.
Lo scopo di tale indagine di consulenza è quello di valutare l’operato dei Sanitari che hanno avuto in
cura l’interessata e se siano ravvisabili, a carico degli stessi, profili di malpractice. Le Nostre tesi si
baseranno sulle evidenze documentali ridiscusse sulla base di Linee Guida e sulla comune pratica
ostetrica-ginecologica indicata e validata dalla letteratura scientifica di riferimento.
La vicenda clinica. Dall’esame della documentazione medica prodotta, in anamnesi e di
rilevante, risultano i seguenti dati:
In data 15/11/2009 LA Paziente veniva ricoverata presso la struttura complessa di Ginecologia
ed Ostetricia dell’Azienda XX con diagnosi di “PRODROMI DI TRAVAGLIO DI PARTO IN
GRAVIDA ALLA 41 + 2 SG. PARA 0020”. Dalla copia della cartella clinica pervenuta allo
scrivente risulta foglio RAD con indicazione di ricovero urgente, senza verbale di Pronto soccorso
allegato e con ora di ingresso 01:15, inoltre nelle diarie medica ed infermieristica non risultano
valutazioni antecedenti il parto della paziente tranne quanto presente del diario di travaglio – parto –
post partum a firma della Dott.ssa YZ che appare
una relazione di quanto accaduta piuttosto che una
rendicontazione effettuata al momento degli eventi
intercorsi. In tale relazione si legge: “La Paziente
si presenta in sala parto a mezzanotte riferendo
contrazioni uterine. Inizia monitoraggio CTG alle
ore 00.04. comparsa di due decelerazioni,
rispettivamente alle ore 00.19 e alle ore 00.25
circa, con successiva ripresa della normale
1
frequenza cardiaca. La paziente fino a quel momento eseguiva il monitoraggio ctg in posizione
seduta per riferita difficoltà a restare distesa.”.
Nella copia della cartella clinica sono presenti i suddetti monitoraggio cardiotocografici:
2
Il monitoraggio riportato evidenzia una prima decelerazione variabile alle ore 00:09 con nadir tra 80
e 90 bpm seguita alle ore 00:17 da una prima decelerazione variabile severissima, di durata di tre
minuti, con nadir inferiore a 50 bpm e lento ritorno alla linea di base immediatamente seguita da
un’analoga decelerazione alle ore 00:23 a lento ritorno alla linea di base a cui seguiva alle ore 00:30
un’ulteriore decelerazione variabile della durata di circa due minuti con nadir di 100 bpm, lento
recupero e variabilità ridotta a 5 bpm.
Per comprendere il significato di tali anomalie del BCF, introduciamo alcuni contributi
scientifici:
(Freeman RK, Garite T J Nageotte MP . FETAL HEARTH RATE MONITORING Third
Edition BASIC PATTERN RECOGNITION PERIODIC CHANGES Decelerations pag. 68-83
LIPPINCOTT WILLIAMS & WILKIS 2003)
“ in accordo alla forma e ad alla relazione con la contrazione, le decelerazioni sono divise in
quattro tipi:
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1. precoci
2. tardive
3. variabili
4. prolungate
1) le decelerazioni precoci, sono decelerazioni dalla forma uniforme con un inizio graduale e un
graduale ritorno alla linea di base. Esse iniziano precocemente nel ciclo delle contrazioni uterine,
hanno il loro nadir al picco della contrazione e ritornano alla linea di base prima che la contrazione
sia completata. L’accelerazione della frequenza cardiaca generalmente non precede o segue una
decelerazione precoce. Un importante caratteristica delle decelerazioni precoci è l’ampiezza
minima. Il grado di rallentamento della frequenza cardiaca fetale è generalmente proporzionale alla
forza delle contrazioni ma raramente scende sotto 100-110 bpm, o 20 -30 bpm sotto la linea basale.
Si ritiene che le decelerazioni precoci siano provocate da una compressione della testa fetale con un
alterato flusso cerebrale che abbassa la frequenza cardiaca attraverso un riflesso vagale.
Decelerazioni precoci si osservano generalmente nella fase attiva del travaglio, tra 4-7 centimetri di
dilatazione cervicale. Non sono associate a tachicardia, perdita di variabilità od altri cambiamenti
della frequenza cardiaca. La decelerazione precoce è un aspetto della frequenza cardiaca fetale
rassicurante e non è associato con acidosi o basso punteggio Apgar del feto.
2) le decelerazioni tardive in forma ed uniformità sono simili alle decelerazioni precoci ma con
cadenza ritardata rispetto alla contrazione uterina. L’inizio della decelerazione avviene spesso
trenta più secondi o più dopo l’inizio della contrazione. Il nadir della decelerazione avviene dopo il
picco della contrazione e normalmente il ritorno alla linea basale avviene dopo che la contrazione è
finita. Nel riconoscere una decelerazione tardiva ci sono, oltre la cadenza, caratteristiche molto
importanti. La discesa ed il ritorno sono graduali e dolci. Non vi sono normalmente accelerazioni
che precedono o seguono la decelerazione. La frequenza cardiaca fetale raramente scende più di 30
o 40 battiti per minuto sotto la linea basale e normalmente è non più di 10 o 20 battiti per minuto. …
[ omissis ]
3) Decelerazioni variabili l’aspetto più frequente della decelerazione della frequenza cardiaca fetale
in travaglio è una decelerazione variabile. Questo aspetto è chiamato in modo appropriato variabile
in quanto lo è in tutti i suoi aspetti: figura, forma, durata, intensità e cadenza, relativamente alle
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contrazioni uterine. È usualmente il risultato della compressione del cordone ombelicale ma può
derivare da ogni interruzione del flusso ematico ombelicale che sia acuto che intermittente. Altre
cause di interruzione del flusso cordonale includono cordone stirato e freddo (es. rapide infusione di
amnioinfusioni alla temperatura ambiente). In aggiunta la compressione della testa può determinare
o alterare la forma, la profondità e la durata di una decelerazione variabile. Poiché la compressione
del funicolo durante il travaglio avviene più frequentemente durante le contrazioni uterine,
usualmente la decelerazione variabile coincide con la contrazione uterina. Questa è tuttavia una
coincidenza inconsistente e tali decelerazioni possono apparire con una, ma non con la sua
successiva contrazione. Caratteristicamente queste decelerazioni sono repentine sia nell’inizio sia
nel ritorno alla linea basale. Piccole improvvise accelerazioni della frequenza cardiaca fetale
usualmente precedono e o seguono queste decelerazioni. Decelerazioni variabili sono osservate
anche occasionalmente durante un monitoraggio antepartum con i movimenti fetali. Sembra esservi
un’associazione tra la presenza di decelerazioni variabili in un monitoraggio anteparto ed
oligoidramnios e distress fetale in travaglio. Il grado di oligoidramnios è correlato con la frequenza
delle decelerazioni variabili severe in travaglio. La stima del volume del liquido fetale dovrebbe
essere considerata in pazienti anteparto con decelerazione variabili durante un test della frequenza
cardiaca fetale ed in pazienti con decelerazioni variabili che avvengono in una fase precoce del
travaglio. È utile pensare a quattro potenziali gruppi di cause di decelerazioni variabili, perché
questi gruppi aiutano a capire la patofisiologia determinando i migliori metodi per la correzione e
predicendo il più probabile andamento. Decelerazioni variabili che iniziano precocemente nella fase
attiva del travaglio sono spesso associate con, e causate da, oligoidramnios [….omissis]… quelle
che si sviluppano durante o appena prima dell’inizio della seconda fase del travaglio sono molto
probabilmente dovute ad uno stiramento o compressione del cordone ombelicale. Questo tempo del
travaglio coincide con un’accelerazione della discesa della parte presentata e queste decelerazioni
sono molto comunemente probabili in associazione con dei giri di funicolo attorno al collo fetale. È
presumibile che in tali circostanze le decelerazioni variabili siano dovuti allo stiramento del cordone
al momento che il feto scende. Questi eventi sono così comuni che infermiere esperte nel travaglio e
nel parto sanno che è giunto il momento di esaminare la paziente perché la nuova comparsa di
decelerazioni variabili spesso annuncia all’inizio del secondo stadio. Raramente la comparsa di una
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decelerazione variabile può annunciare la presenza del prolasso del cordone ombelicale e questa è
un’altra importante ragione per esaminare la paziente. L’ultima categoria di cause di compressione
del funicolo può essere considerata come un funicolo anomalo comprese cose come funicolo corto,
nodo vero, giri di funicolo avviluppati a piccole parti fetali, prolasso occulto del funicolo, etc.”
In aggiunta occorre riportare quanto espresso dalle linee guida RCOG del 2001 sul tracciato
cardiotocografico
(The Use of Electronic fetal Monitoring – the use and interpretation of cardiotocography in
intrapartum fetal surveillance – Evidence-based Clinical Guideline Number 8 – Royal College of
Obstetricians and Gynaecologist – May 2001)
in cui si identifica come patologico un tracciato che presenti due o più evidenze non rassicuranti o
almeno una evidenza anormale.
Nel caso concreto assistiamo alle ore 00:17 ad una decelerazione variabile anormale della durata di
tre minuti, classificabile come reperto ANORMALE, seguita alle ore 00:23 da una analoga
decelerazione classificabile come ANORMALE, quindi caratterizzando il tracciato come
PATOLOGICO, tale da richiedere, come espresso nelle succitate linee guida, l’espletamento del
parto entro un tempo ragionevole di 30 minuti, fatto non avvenuto con conseguente aggravamento
delle condizioni fetali, come individuabile dalla prosecuzione del monitoraggio cardiotocografico,
dove si assiste ad una variabilità minore di 5 bpm per più di 10 minuti a partire da un’ulteriore
decelerazione variabile delle ore 00:30, che appare ragionevole, alla luce delle decelerazioni
precedenti, ascrivere ad una situazione di ipossia fetale.
INVECE, decidendo per un comportamento di attesa, il parto avveniva solo alle ore 1.57 del
16.11.2009, tramite taglio cesareo a carattere di urgenza; l'esame del tracciato cardiotocografico
dimostra intorno alle ore 1.30 la gravissima sofferenza fetale.
Il taglio cesareo veniva così descritto: inizio intervento in urgenza con l'ostetrica XY in attesa
dell'arrivo del collega reperibile Dott. XX e della strumentista reperibile IP XX. …. Si estrae un feto
in presentazione cefalica, atonico, che viene affidato prontamente al pediatra presente in sala. Liquido
amniotico melmoso. Secondamento manuale completo. A questo punto giunge in sala operatoria il
Dott. XX come secondo operatore e la strumentista. Scovolamento di cavità uterina …. .
Quanto evidente dal registro di sala operatoria, evidenzia un ulteriore profilo di malpractice
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rappresentato dalla tardiva attivazione dell'équipe chirurgica nel contesto di una inescusabile
sottostima di un travaglio sicuramente patologico già da almeno un’ora.
Nonostante le cure prestate al neonato, il decesso veniva constatato alle ore 3.00 circa.
Il riscontro anatomopatologico era il seguente: anectasia polmonare con inalazione massiva di
liquido amniotico e di sostanza mecomiale in feto a termine normoconformato. Stato petecchiale,
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edema e congestione acuta pluriparenchimale. Corionamniosite subacuta; trombosi murale dei vasi
coriali e del cordone ombelicale.
Alla luce dell'esame morfologico del cadavere del feto, risulta quanto segue: assenza di
impregnazione meconiale … Versante fetale della placenta di colorito verdognolo … Membrane
presentano colorito diffusamente verdastro.
Quanto risulta così descritto porta alla conclusione che si trattava di una sofferenza fetale acuta e
collocabile nell'ora antecedente la tardiva scelta di effettuare il taglio cesareo.
Per una migliore comprensione, si riporta la definizione espressa a pag. 737 del “Compendio di
Ginecologia ed Ostetricia” – Grella, Massobrio, Pecorelli, Zichella – Seconda Edizione 2000:
“23.4 SOFFERENZA FETALE.
Prima dell’avvento del prelievo del sangue fetale dallo scalpo e della cardiotocografia, la sofferenza
fetale si diagnosticava dalla presenza di meconio nel liquido amniotico e dalla bradicardia; anche
una notevole tachicardia era considerata un sintomo preoccupante. Con i progressi della
conoscenza dei processi fisio-patologici è stato chiarito il concetto di distress fetale ed introdotto
quello di stress fetale. Ripetuti stress, ad esempio episodi transitori di ipossia, possono evolvere
verso il distress fetale. Distress o sofferenza fetale, è un’alterazione della omeostasi e delle funzioni
dei tessuti conseguente ad ipossia (scarsa quantità di ossigeno a disposizione dei tessuti), ipercapnia
(eccessiva quantità di anidrite carbonica nel sangue e nei tessuti) ed acidosi (abbassamento del pH
da consumo delle basi tampone). Quando si arriva a questa situazione vi è molto di più della
semplice emissione di meconio o della presenza di occasionali decelerazioni variabili o tardive, che
possono coesistere con eccellenti condizioni del feto. L’abuso nella diagnosi di sofferenza fetale ha
prodotto un ingiustificato aumento di interventi ostetrici. Le reali alterazioni dell’omeostasi possono
essere acute o croniche; differente è la patogenesi e la condotta clinica.
La sofferenza fetale acuta è la conseguenza di una carenza di ossigeno che avviene in breve tempo e
che costringe il feto a ricavare energia soltanto dalla glicolisi anaerobia, con produzione di
metaboliti acidi e consumo di basi tampone. Le cause di sofferenza fetale acuta sono moltiplici:
-
Carenza di ossigeno negli spazi intervillosi (indipendentemente dalla capacità della
placenta di trasferirlo al feto),
8
-
Riduzione della circolazione negli spazi intervillosi (trombosi degli spazi intervillosi,
improvvisa ipotensione materna, eccessiva contrazione dell’utero spesso da
sovradosaggio di ossitocina),
-
Insufficienza placentare acuta (distacco di placenta, placenta previa),
-
Ostruzione dei vasi ombelicali.
La sofferenza fetale acuta inizia a manifestarsi con decelerazioni tardive, a cui poi si
associa una assenza di variabilità. Aggravandosi la carenza di ossigeno subentra una
grave e persistente bradicardia che prelude alla morte fetale. La conferma della
diagnosi di sofferenza fetale acuta si ottiene con un microprelievo di sangue fetale
dallo scalp e misura dell’equilibrio acido/base. La presenza di una acidosi (pH
inferiore a 7.20) indica che lo squilibrio metabolico è già in atto; l’eccesso di basi
indica la riserva metabolica prima di cadere nello scompenso. Un ostacolo
circolatorio a livello del funicolo si manifesta con decelerazioni variabili ad
andamento capriccioso; se esse si ripetono spesso ed hanno una evidente componente
tardiva, conducono più o meno rapidamente ad una compromissione metabolica
fetale.
La sofferenza fetale acuta si risolve quando si riesce a rimuovere tempestivamente la causa della
ipossia. Se le contrazioni sono troppo intense e/o ravvicinate si possono correggere diminuendo o
sospendendo la somministrazione di ossitocina o ricorrendo ad un tocolitico; se vi è una sindrome
cavale un ostacolo funicolare si modifica il decubito.
In caso di successo la frequenza cardiaca fetale ritorna alla norma, altrimenti si passa al parto
immediato, per via vaginale o laparotomia a seconda del caso. Le decisioni devono essere adottate
prima che la compromissione metabolica diventi irreversibile.
La sofferenza fetale cronica si verifica quando il feto durante la gravidanza, da qualche settimana o
da qualche mese, riceve poco nutrimento e poco ossigeno. In tale situazione il feto ha tutto il tempo
di adottare, ben inteso entro certi limiti, meccanismi di compenso che ne permettono almeno la vita,
se non una regolare crescita (difetto di crescita intrauterino). Una causa può risiedere nella
ipertensione arteriosa materna indotta dalla gravidanza o preesistente ad essa, che comporta un
scarsa crescita della placenta e un ridotto flusso ematico negli spazi intervillosi.
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Un feto al limite della sopravvivenza presenta una ipossia ed una acidosi metabolica cronica.
Il tracciato cardiotocografico presenta una variabilità progressivamente sempre più ridotta; in
queste condizioni un taglio cesareo elettivo permette di ottenere un feto che presenta una acidosi
moderata e reversibile, spesso senza danni neurologici. Se la situazione è più grave, la variabilità è
assente ed inoltre possono comparire decelerazioni spontanee, anche al di fuori della contrazione
uterina. La morte fetale è imminente, il compenso metabolico è assai precario, brevi episodi di
ipossia conseguenti a lievi contrazioni uterine possono far precipitare improvvisamente la
situazione. Una immediata estrazione mediante taglio cesareo permette di ottenere un feto vivo, ma
fortemente acidotico, il cui recupero è variabile.
Bisogna sottolineare che non esiste una stretta relazione fra i tracciati cardiotocografici, la misura
dell’equilibrio acido/base nel sangue dell’arteria ombelicale alla nascita e l’indice di Apgar, che
misura il grado di depressione neonatale.
La causa delle discrepanze dipende dalle diversità e numerosità dei fattori che intervengono in
ciascuna di queste tre tecniche. Il tipo di sofferenza fetale, la velocità con cui insorge, l’età
gestazionale e quindi la maturità fetale, il tipo di parto, il tipo di analgesia o anestesia modificano in
modo diverso i parametri clinici e strumentali. Una concordanza si verifica solo nei casi di
sofferenza fetale molto grave: ad esempio un tracciato cardiotocografico con assenza di variabilità
concorda con un basso indice di Apgar alla nascita. La diagnosi di sofferenza fetale non deve essere
basata soltanto su un tratto di tracciato cardiotocografico, ma deve invece derivare dalle
conclusioni di un esame completo di tutti i dati clinici e strumentali disponibili. Raramente avviene
che il feto nasce con un basso score di Apgar ed una acidosi, mentre il tracciato cardiotocografico
durante il travaglio di parto era normale. Una simile circostanza può dipendera da varie cause:
-
Periodo espulsivo molto stressante per i feto,
-
Feto affetto da malattie genetiche,
-
Infezioni fetali,
-
Prematurità estrema,
-
Aspirazione di meconio,
-
Effetto di farmaci (anche anestetici),
-
Sofferenza fetale acuta sopravvenuta nella fase finale del periodo espulsivo (quando
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spesso la registrazione cardiotocografica viene sospesa).
Bisogna anche tenere in debita considerazione che la cardiotocografia presenta un’alta sensibilità
nell’individuare un feto sano, ma non è altrettanto in grado di predire se un feto è sofferente. In
alcusi casi il tracciato non è interpretabile per impossibilità di ottenere un segnale soddisfacente a
causa della posizione del feto, della elevate obesità materna o dall’inadeguatezza
dell’apparecchiatura. Non è interpretabile un tracciato privo della registrazione dell’attività uterina,
anche se sono presenti accelerazioni e variabilità normale, perché possono sfuggire lievi
decelerazioni che sono erroneamente scambiate per trascurabili variazioni della frequenza di base.”
Inerentemente al liquido amniotico come espresso su “Medicina Dell'eta` Prenatale” di Borrelli,
Arduini, Cardone, Ventruto, Capito 24 – Sofferenza fetale – a cura di M. Moscarini, F. Torcia, T. Di
Netta:
Riguardo la presenza di liquido intensamente tinto di meconio, fatto che presumibilmente, in assenza
di valutazioni cardiotocografiche e flussimetriche fetali, possono aver indotto i sanitari ad evidenziare
una situazione di grave sofferenza fetale, si cita NEONATOLOGIA – M. Mendicini – Pag. 276:
Sindrome d’aspirazione meconiale: “ La sindrome da aspirazione meconiale (SAM)è un’affezione
respiratoria acuta legata al passaggio di meconio nelle vie aree del neonato prima, durante e/o
subito dopo il parto.
Il liquido amniotico tinto di meconio (LAT)si trova nel 15% di tutte le gravidanze: in circa la metà
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dei casi il meconio si rinviene in trachea dopo la nascita ma solo il 10% dei neonati con LAT
presenta la sindrome di aspirazione meconiale. La frequenza di LAT aumenta con l’età gestazionale;
così come la prevalenza della SAM che peraltro è maggiore nei neonati SGA. […] Inoltre, altri
disturbi respiratori (tachipnea transitoria, ipertensione polmonare persistente, polmonite, ecc.) si
osservano nel 5-10% dei neonati con LAT.
Eziopatogenesi. Il meconio è un materiale denso, appiccicoso, di colore tra il nero ed il verde scuro,
che comincia a comparire nell’intestino fetale nel terzo mese di gestazione. Deriva dall’accumulo di
cellule di desquamazione intestinale e cutanea, mucina, lanugo, vernice caseosa, liquido amniotico e
secrezioni intestinali. Si è sempre ritenuto che il passaggio fisiologico di meconio nel liquido
amniotico, che inizia precocemente nel corso della gestazione, cessasse verso la 20° settimana in
concomitanza con l’innervazione dello sfintere anale. Nel 2003, però, Ramon y Cajal ha
documentato con gli US in 240 feti tra 15 e 41 settimane di gestazione il passaggio fisiologico di
meconio attraverso l’ano, che tende a ridursi con l’approssimarsi del termine. L’emissione di
meconio in utero può rappresentare un evento fisiologico legato alla maturazione dell’intestino e di
peptidi bioattivi (come la motilina) responsabili della motilità intestinale. Tant’è vero che la
presenza di LAT nel pretermine deve sempre far sospettare una polmonite (per esempio Listeria)
responsabile di liquefazione del meconio. Più spesso, però, rappresenta l’effetto di una noxa
patogena, in genere un insulto anossico: da tempo è noto che condizioni di ipoafflusso ematico
all’utero (obesità, anemia, gestosi, gravidanza protratta, infezione) si associano spesso a LAT.
L’anossia in utero, per effetto della centralizzazione del circolo (diving reflex), determina una
riduzione del flusso ematico agli organi che tollerano meglio l’ipossia (intestino, reni, polmoni,
muscoli) a vantaggio del cuore e del cervello. D’altra parte, l’ischemia intestinale provoca molto
rapidamente iperperistalsi e rilasciamento dello sfintere anale, con inevitabile emissione di meconio.
Il semplice passaggio di meconio in utero, quindi, si può considerare uno stadio di sofferenza fetale
compensata, in quanto gli organi vitali sono ancora ben ossigenati: in questa fase, infatti, il pH e la
FCF sono normali e il punteggio di Apgar a 1’ è alto. Se però perdura la noxa asfittica i
meccanismo di compenso vengono meno, come documentato dal calo di pH e dalle alterazioni della
FCF. Si creano così i presupposti per l’inalazione del meconio e l’asfissia alla nascita,che, anche in
questa fase, gioca un ruolo determinante. Senza asfissia alla nascita, infatti, l’inalazione non si
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verifica in quanto i fisiologici movimenti respiratori in utero sono superficiali e la glottide è quasi
sempre chiusa; inoltre, nel travaglio, a preparare i polmoni alla loro funzione, si instaura un flusso
continuo di liquido polmonare verso l’esterno, che contrasta l’inalazione di liquido amniotico e di
meconio. In presenza, invece, di asfissia, i movimenti respiratori fetali diventano più profondi con le
caratteristiche del gasp e la glottide rimane beante; contemporaneamente si blocca il meccanismo di
clearance del liquido polmonare. Sono tutti fattori che predispongono all’inalazione già in utero.
Probabilmente però, almeno nella maggioranza dei casi, il meconio al momento del parto si trova in
trachea o, al massimo, nei bronchi principali; solo con i primi atti respiratori, spontaneo o
provocati, tende a scendere nelle vie aree più basse. Nel caso, infine, in cui la noxa asfissiante sia
stata particolarmente grave e prolungata, già in utero si può verificare un’inalazione diffusa fino
alle vie aeree più profonde; sono forme molto rare che si manifestano subito con un quadro di di
grave insufficienza respiratoria e spesso si concludono rapidamente con il decesso. Il più delle volte,
sono i casi in cui l’ipossia cronica ha provocato un’eccessiva muscolarizzazione dei vasi polmonari,
premessa per una ipertensione polmonare persistente particolarmente grave e tenace. Talora, nelle
forme più gravi, si associa un’infezione intrauterina. Il meconio nei polmoni altera la funzione
respiratoria attraverso diverse modalità:
-
Ostruzione delle vie aeree più o meno diffusa e completa a seconda della quantità
inalata. Molto raramente l’aspirazione massiva nelle vie aeree principali provoca un
quadro di asfissia acuta e di cuore polmonare rapidamente mortale. Quasi sempre la
quantità di meconio inalato è modesta e l’occlusione si verifica a carico delle vie
aeree profonde; se questa è completa provoca atelettasia, quando invece è parziale si
stabilisce un meccanismo a valvola responsabile, almeno in un primo momento, di
enfisema.
-
Irritazione, già dopo 24-48 ore, a opera soprattutto dei Sali biliari, della parete
bronco alveolare fino a una vera e propria polmonite chimica con infiltrazione di
polimorfo nucleati e macrofagi, edema, distruzione dell’epitelio, essudazione
protinacea e necrosi cellulare. Sembra che il LAT, non il meconio in sé, abbia una
attività chemio tattica verso i polimorfo nucleati mediati dall’interlukina 8.
-
Infezione. Il meconio è sterile, ma rappresenta con la sua componente
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mucopolisaccaridica un eccellente pabulum per i batteri. Inoltre, inibisce la
fagocitosi e il burst ossidativo dei polimorfo nucleati. Pertanto il LAT rappresenta un
importante fattore di rischio per l’infezione in utero.
-
Broncospasmo a seguito dell’irritazione delle vie aeree.
-
Vasocostrizione polmonare e, quindi, ipertensione polmonare persistente, secondarie
all’ipossia e all’acidosi.
-
Inibizione e/o spostamento del surfattante dalla superficie alveolare da parte degli
acidi grassi del meconio con conseguente tendenza all’atelettasia e alla formazione
di materiale ialino. Dargaville nel 2001 ha documentato nel liquido di lavaggio
polmonare dei neonati con SAM una maggiore concentrazione, rispetto ai controlli,
degli inibitori del surfattante, a fronte di livelli normalli di fosfolipidi tensioattivi e
SP-A.
Fisiopatologia. L’alternarsi di aree di enfisema e di atelettasia è responsabile di numerose
alterazioni funzionali, tra cui soprattutto l’alterazione del V/Q che, se prevalgono le atelettasie,
assume le caratteristiche dello shunt dx-sn intrapolmonare, come nella HMD. Ne derivano ipossia e
acidosi mista, con ipercapnia e accumulo di acidi fissi, secondario all’ipossia. Tali alterazioni
contribuiscono a mantenere elevate le resistenze vascolari polmonari e, quindi, a porre le basi per
l’ipertensione polmonare persistente, con shunt dx-sn extrapolmonare. Probabilmente, a tutto ciò
partecipa anche l’enfisema diffuso sia mediante l’aumento della capacità funzionale residua sia
tramite la riduzione del ritorno venoso e, quindi, della gittata cardiaca. La riduzione della
compliance specifica si spiega con la già citata azione del meconio sul surfattante; alla riduzione
della compliance dinamica contribuirebbero sia la ridotta elasticità polmonare sia l’aumento delle
resistenze delle vie aeree, fenomeni legati entrambi all’azione irritante del meconio. Il volume
corrente è ridotto, anche per il difetto di diffusione secondario alla polmonite chimica, mentre il
volume/minuto è aumentato grazie alla tachipnea.
Anatomia patologica. Nel coniglio l’inalazione sperimentale di meconio provoca in un primo
momento (a 6h), oltre a sporadiche aree di atelettasia, soprattutto iperespansione; inoltre, il danno
iniziale della parete è rappresentato dall’infiltrazione di polimorfonucleati nei setti alveolari e da
perdita delle ciglia nell’epitelio delle vie aeree. Successivamente (a 24 h) si osserva una diffusione
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sia delle zone atelettasiche sia di quelle iperespanse; il danno della parete progredisce con aumento
dell’infiltrazione di polimorfonucleati e presenza di materiale ialino negli alveoli. Alla fine (48 h)
domina il quadro dell’atelettasia diffusa e solo alcuni segmenti polmonari sono enfisematosi.
L’epitelio bronco alveolare appare necrotico, con aumento dell’infiltrazione di polimorfonucleati.
Analogamente, nell’uomo, nelle forme più gravi arrivate al decesso, le lesioni appaiono come il
risultato di un danno meccanico seguito da una polmonite chimica ingravescente: oltre
all’atelettasia si osserva danneggiamento della parete bronco-alveolare, con essudazione ed
emorragia.
Quadro clinico. Varia moltissimo in rapporto alla quantità di meconio inalato e alle conseguenze
dell’eventuale asfissia perinatale concomitante sui vari apparati (SNC, cuore, reni, ecc.): da forme
asintomatiche a quadri, ormai rari, d’inalazione massiva rapidamente mortali. Nella maggioranza
dei casi si tratta di neonati a termine o postmaturi, spesso con anamnesi di asfissia perinatale, con
vernice casosa, unghie e cordone ombelicale di colore giallo verdastro per l’impregnazione
meconiale. Questo dipende essenzialmente dalla durata dell’esposizione in utero al meconio: sono
sufficienti 6 ore per le unghie e 12-14 ore per la vernice caseosa. Una sindrome respiratoria analoga
a quella della HMD compare subito dopo la nascita nelle forme più gravi, più tardivamente nelle
altre: dopo 6-12 h quando il meconio si sposta nelle vie aeree più profonde. E’ caratterizzata da
cianosi, tachipnea, segni di dispnea e rientramenti inspiratori, che sono però meno marcati rispetto
alla HMD, data la maggiore stabilità della gabbia toracica del neonato a termine. Inoltre, il torace
appare iperespanso (a botte), mentre nella HMD è ipoespanso. Non sono rari i segni dell’asfissia
perinatale a carico di diversi apparati, soprattutto del SNC. Nelle forme più gravi l’asfissia acuta
perinatale si aggiunge a quella cronica in utero: sono quelle in cui si instaurea più spesso
un’ipertensione polmonare persistente particolarmente grave e tenace, con tutte le sue conseguenze.
Per quanto riguarda le principali alterazioni emogasanalitiche, l’ipossia è di solito di ggrado lieve e
si corregge con FiO2 medio basse, se è secondaria soprattutto a ipoventilazione e/o alterazione del
V/Q; è invece grave se coesiste IPP e non si corregge neppure con l’ossigeno ad alte concentrazioni.
Dell’acidosi prevale di solito la componente metabolica; l’ipercapnia, in genere modesta se è
conseguenza dell’alterazione del V/Q, è più grave quando entra in gioco anche l’ipoventilazione per
depressione del SNC. Le complicanze sono rappresentate principalmente dal pneumotorace e
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dall’ipertensione polmonare persistente: il primo presente nel 20% dei pazienti non ventilati
meccanicamente, arriva anche al 40% in quelli in ventilazione meccanica; la seconda è frequente
soprattutto nelle forme più gravi.
Diagnosi. Si basa, oltre che sul rilievo del LAT e del meconio sulla cute del neonato, sul quadro
radiografico del torace, che nella forma tipica mostra iperespansione polmonare con zone di
addensamento grossolane e diffuse. Talora questo aspetto è limitato al polmone destro o al suo lobo
superiore. L’eventuale polmonite batterica si manifesta con una maggiore estensione delle opacità
fino all’opacamento completo di un intero lobo. Quest’ultimo si verifica, a carico di entrambi i
polmoni, associato a congestione del disegno vasale e cardiomegalia, nelle rare forme di aspirazione
massiva. Sono frequenti raccolte aeree iperdiafane, pseudo cistiche, che possono rompersi nella
cavità pleurica, provocando pneumomediastino e/o pneumotorace. La normalizzazione del quadro
radiografico avviene in genere in 48 ore; raramente è più lenta, arrivando anche a 10 giorni.
Prognosi. La presenza di LAT si associa, non solo a depressione alla nascita (20-30% dei casi) ma
anche a una maggiore mortalità perinatale (1,5 per mille contro lo 0,3 per mille dei casi senza LAT),
legata soprattutto alla SAM. La mortalità per SAM, appannaggio quasi esclusivo dei casi con grave
asfissia perinatale e/o IPP, si aggirava fino a qualche anno fa intorno al 4%. Wiswell nel 2000 ha
documentato con uno studio controllato che l’aspirazione tracheale accurata subito dopo la nascita
nei neonati con LAT fa crollare la mortalità per SAM allo 0,5%. Tuttora controverso è il valore
prognostico dell’aspetto del meconio, denso (thick) o fluido (thin). Classicamente il meconio fluido,
verde chiaro o giallo, s’interpreta come espressione di un passaggio fisiologico moderato nel corso
della gravidanza. Il meconio denso, verde scuro, sarebbe invece la conseguenza di un insulto
anossico recente durante il travaglio o poco prima. Probabilmente l’aspetto del meconio è legato
soprattutto alla quantità che ne è passata in utero: tanto questa è maggiore tanto più grave e
prolungata è stata la noxa asfissiante e tanto più gravi saranno le conseguenze a seguito
dell’inalazione. Tra le sequele, è stata osservata un’incidenza di asma bronchiale, o più
genericamente di broncospasmo, maggiore rispetto a quella della popolazione generale.
Profilassi.
Prima del parto. Nelle ultime fasi della gravidanza e durante il travalgio il rilievo di LAT
rappresenta un segnale che impone l’assiduo monitoraggio della FCF e, possibilmente, del pH. In
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presenza di segni di sofferenza fetale e di meconio denso, potrebbe essere utile l’amnioinfusione, che
consiste nell’introduzione in utero per via trans cervicale di 1 litro di soluzione fisiologica ogni 6 ore
fino all’espletamento del parto, al fine di diluire il meconio e di correggere il frequente
oligoidramnios; in tal modo si mira anche a previnire la compressione del cordone e, quindi, la
stimolazione vagale, possibile causa di emissione del meconio e di gasping fetale.
In sala parto. Si basa su:
-
aspirazione accurata dell’orofaringe e delle fosse nasali, che in presenza di LAT va
attuata al perineo materno prima del disimpegno delle spalle o, in caso di taglio
cesareo, al tavolo operatorio prima del primo vaggito; nella maggioranza dei casi,
infatti, la quantità più rilevante di meconio viene inalata nelle vie aeree profonde con
i primi atti respiratori validi. Anche se uno studio controllato di Vain, concluso nel
2004, ha dimostrato che tale politica non modifica sostanzialmente la prevalenza
della MAS, la necessità e la durata della ventilazione meccanica, la durata
dell’ossigenoterapia e dell’ospedalizzazione, la mortalità.
-
Aspirazione della trachea, previa intubazione, da riservare ai neonati depressi. Si
raccomanda di utilizzare un tubo oro-tracheale di diametro adeguato (almeno 3,5
mm.) che va collegato direttamente all’aspiratore. Comunque, in assenza di
respirazione spontanea, l’aspirazione tracheale va interrotta al massimo dopo due
minuti dalla nascita, per consentire le manovre di rianimazione (ventilazione
artificiale ed eventuale massaggio cardiaco); solo dopo che queste hanno avuto
successo (colorito roseo e FC > 100 bpm) l’aspirazione può essere completa.
Terapia. Ha l’obiettivo di combattere l’insufficienza respiratoria e prevenire
l’instaurarsi dell’IPP, minimizzando il rischio di rottura alveolare; inoltre, mira a
correggere i danni della sindrome postasfittica negli apparati più sensibili. “
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CONSIDERAZIONI SPECIALISTICHE
Nel caso di specie l’analisi dei fatti su riportati, dopo consulto con specialista ginecologo,
permette le seguenti considerazioni:
A fronte di una evidentissima sofferenza fetale come da riscontro cardiotocografico delle ore
00.04 (inizio registrazione) del 16.11.2009, l'équipe ostetrica non considerava tale evidentissimo
dato quale previsione di outcome fetale sfavorevole, tanto da non ritenere di dover attivare i
sanitari reperibili e quindi ricorrendo tardivamente alla esecuzione del taglio cesareo che aveva
inizio solo alle ore 1.57 (nascita del feto ore 2.02), quando ormai le condizioni ossigenative del
feto erano inesorabilmente compromesse. Il feto nasceva senza segni vitali e se ne poteva
constatare il decesso ad un'ora dalla nascita. Pertanto una gestione del travaglio imperita ed
imprudente, poiché carente nella valutazione dei gravi ed inequivocabili segni di sofferenza
fetale.
LA CAUSA/concausa DELLA MORTE INTRAUTERINA DEL FETO, è la grave sofferenza
asfittica, iniziata almeno alle ore 00.09 del 16.11.2009, a cui è da ricondurre la successiva
massiva inalazione di liquido amniotico melmoso e tale da impedire qualsivoglia tentativo di
rianimazione. Giova a tale riguardo segnalare la assoluta normalità del Battito Cardiaco Fetale sino
alla registrazione cardiotocografica iniziata alle ore 8.04 del 15.11.2009. Pur potendosi ipotizzare
nella corionamniotite (di grado non determinabile da quanto in atti presente, ma comunque non di
così grave entità) la causa dell’insulto ipossico-asfittico avvenuto nelle ultime ore vita intrauterina del
feto, risulta logico e più probabile quanto una tempestiva estrazione del feto (90 minuti prima di
quanto avvenuto) avrebbe probabilmente interrotto la letifera cascata degli eventi; risulta evidente
che il non grave grado di trombosi del piatto placentare non era stata così determinante nella
causazione del decesso del feto, tanto da risultare lo stesso vivo e vitale sino a pochi minuti prima
della tardiva esecuzione del taglio cesareo.
Sulla scorta di quanto esposto, discusso e dimostrato, la condotta sanitaria di chi ebbe a
prendere in carico il caso trattato, risulta censurabile per l’imperita e negligente omissione
dell’approfondimento diagnostico richiesto per il caso specifico che avrebbe condotto al TC.
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CONCLUSIONI MEDICO LEGALI
In considerazione di quanto detto precedentemente bisogna dunque partire da pochi concetti ma
provati e di importanza superiore.
In data 15 novembre 2009 il bambino godeva di ottima salute e ciò è certificato non solo dal CTG
effettuato in mattinata, ma dal normale andamento della gravidanza e dal normale sviluppo accertato
ecograficamente e sul tavolo autoptico.
La paziente si ricoverava comunque nella stessa giornata per una ripresa di contrazioni. Tutto
procedeva regolarmente fino a quando verso mezzanotte la paziente si presentava in sala parto per
contrazioni uterine. Iniziato un CTG alle 00.04, si registrava una prima decelerazione variabile alle
ore 00:09 con nadir tra 80 e 90 bpm seguita alle ore 00:17 da una prima decelerazione variabile
severissima, di durata di tre minuti, con nadir inferiore a 50 bpm e lento ritorno alla linea di base
immediatamente seguita da un’analoga decelerazione alle ore 00:23 a lento ritorno alla linea di base a
cui seguiva alle ore 00:30 un’ulteriore decelerazione variabile della durata di circa due minuti con
nadir di 100 bpm, lento recupero e variabilità ridotta a 5 bpm.
Quindi non si può non far rilevare che i segnali del tracciato indicavano un atteggiamento più
prudente che doveva far allertare la sala operatoria e gli operatori per accogliere la paziente ed
effettuare un TC.
Il feto alle 00.30 era vivo e vegeto per cui un TC effettuato entro 15 minuti avrebbe certamente fatto
nascere un bambino vivo.
Non si può non rappresentare la catena causale che ha condotto a morte il feto:
corioamniosite > emocoagulazione intravascolare placentare e del cordone ombelicale > anossia
acuta fetale trattata tardivamente > morte intrauterina del feto > parto alle ore 02.02 del 16-11-09
Tale catena causale, dopo attenta analisi istopatologica degli annessi fetali, vede il suo punto critico
(concausa efficiente) nella ipossia acuta perinatale da imperizia e negligenza dei sanitari in quanto:
1) Il tracciato CTG non era gravemente patologico da far prevedere una morte intrauterina del
feto se eseguito immediatamente (tempi fisiologici) il TC;
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2) Gli infiltrati flogistici e l’essudazione fibrinosa erano di recente insorgenza e in stadio di
precoce evoluzione (1-3 ore);
3) I fenomeni emocoagulativi erano parziali all’esame istologico.
Dunque non si può ravvisare una concausa efficiente preesistente che escluda totalmente o
parzialmente l’ipossia perinatale non approfondita e trattata con TC.
Che il feto sarebbe stato vitale con un TC effettuato oltre un’ora prima non può essere smentito,
dunque si deve stabilire se l’assistenza neonatale precoce avrebbe evitato il decesso del neonato o
comunque ritardato.
Quindi si dovrà parlare di mancato raggiungimento di un risultato sperato e solo in subordine di una
perdita della possibilità di raggiungere un risultato sperato.
Per lo scrivente non esistono fatti documentali o scientifici che possano escludere la sopravvivenza
della piccola A o che ragionevolmente avrebbero proibito alla stessa di sopravvivere più a lungo.
Si rimette dunque al medico valutare nominando la valutazione di congruità di quanto affermato.
11.10.2016
IL CTP
Dr. XY
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