Affacciati al balcone della Reggia di Carditello

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estratto alle ore 18:11 Affacciati al balcone della Reggia di Carditello

A un certo punto, la città scompare. Superato lo svincolo di Casaluce, l’intonazione verticale e metropolitana di Napoli e dei suoi immediati dintorni, si attenua verso un’uniformità pianeggiante, lo sfondo visivo si tinge di tutte le sfumature del verde e dei minerali brunastri, le profondità modulate dai palazzi e dai quartieri lasciano il posto a una fitta teoria di campi coltivati. Via Consortile è un segmento allungato e regolare che taglia ortogonalmente le trame delle serre, una cesura ai filari degli orti e degli alberi da frutto. Alla fine della strada, innalzandosi oltre un muretto di mattoncini di tufo, la Reggia di Carditello compare come un’estensione architettonica coesa con il paesaggio, una rappresentazione ideale e neoclassica, di stampo monarchico, del canone rurale. È una mattinata di fine ottobre e i colori bianchi e rossicci della facciata della Tenuta Reale completano la prospettiva. Già si è radunata una gremita fila di persone, in attesa della cerimonia di apertura del sito, voluto da Carlo e Ferdinando IV di Borbone per la caccia e l’allevamento del cavallo Persano.

La Reggia, in posizione intermedia tra Napoli e Caserta, nel territorio del Comune di San Tammaro, venne costruita nel 1744 e faceva parte delle "Reali Delizie” dei Borbone, insieme, tra le altre, alla Reggia di Portici e a quella di Capodimonte, luoghi destinati non solo allo svago ma anche alle attività agricole, talvolta condotte con metodi sperimentali e illuministi. Si deve all'architetto Francesco Collecini, allievo di Vanvitelli, la sistemazione attuale della Tenuta, un grande complesso simmetrico, circondato da 2.100 ettari di boschi, pascoli e terreni seminativi e comprendente una residenza reale, vari ambienti destinati ad azienda e una pista riservata alle corse dei cavalli. Il Re assisteva agli spettacoli ippici, la sua passione, da una posizione privilegiata, da un tempietto circolare in stile classicheggiante, al centro del circuito.

Possiamo solo immaginare lo sfarzo di quelle occasioni, perché per la Reggia il tempo è stato inclemente, degli affreschi di Cammarano e Hackert, dei marmi e degli arredi che impreziosivano gli interni, non rimangono molte tracce, tanti pezzi sono stati sottratti nel corso degli anni, solo una parte si trova in musei o altre residenze reali.

Dopo essere stata accorpata nel Demanio dello Stato, quindi ceduta all’Opera Nazionale Combattenti, poi occupata dalle truppe tedesche e americane, nel secondo dopoguerra, la tenuta, insieme ai 15 ettari rimanenti da lottizzazioni e vendite a privati, entrò tra le proprietà del Consorzio generale di bonifica del Volturno. Da quel momento, la Reggia è stata abbandonata a se stessa, depredata ed entrata nei traffici illeciti delle varie associazioni camorristiche che controllano capillarmente la zona. Dal 2011 al 2013 è stata sorvegliata, a titolo volontario, da Tommaso Cestrone, che in più modi, insieme ad altri cittadini e associazioni come FAI, Touring Club, Agenda 21, aveva tentato di richiamare l'attenzione delle istituzioni per il recupero del complesso architettonico. La storia dell’angelo di Carditello, così era conosciuto Cestrone, è stata raccontata anche nel film Bella e perduta, di Pietro Marcello.

Poi, nel 2014, una società controllata dal Ministero dell’Economia e delle Finanze ha acquistato la Reggia, per trasferirla al Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, allora presieduto da Massimo Bray. L’anno successivo fu stipulato un accordo tra il Ministero, la Regione Campania, la Prefettura di Caserta e il Comune di San Tammaro, per la "Valorizzazione del Real Sito di Carditello”, un progetto i cui primi passi sono stati la costituzione della Fondazione per il Real Sito e lo stanziamento di più di tre milioni di euro per far partire i restauri. Presentare lo stato dei lavori e comunicare le strategie di sviluppo da intraprendere sono i motivi di questa manifestazione, per la quale è stato coinvolto il IV Reggimento Carabinieri a Cavallo che, per la rievocazione allestita nel circuito della Reggia, monta esemplari di Persano, una razza formata proprio nelle scuderie reali, per volere di Carlo III di Borbone.

Per Luigi Nicolais, succeduto a Mirella Stampa Barracco nella carica di presidente della Fondazione, questa è l’occasione giusta «non tanto per mostrare ciò che è stato fatto, piuttosto per porre altri traguardi da superare», obiettivi che sembrano procedere verso un incrocio, ancora non chiarito, tra istituzioni e finalità.

Oltre a Sebastiano Maffettone, delegato alla cultura della Regione Campania, a Gaetano Manfredi e Giuseppe Paolisso, rettori delle Università Federico II e SUN, garanti di una collaborazione interdipartimentale, sono presenti alla conferenza anche Dario Franceschini, che fa leva sul peso della Reggia all’interno di un flusso internazionale di turismo interessato agli itinerari borbonici, e Maurizio Martina, che parla della rilevanza delle produzioni agricole locali, come la mozzarella di bufala, le cui sorti, dopo i disastri della terra dei fuochi, sono da rilanciare. Da anni, tutta la zona è sotto la lente mediatica per le vicende legate agli sversamenti illeciti di rifiuti tossici, motivo per il quale lo Stato è già stato ripetutamente condannato, dalla Corte di Giustizia Europea, al pagamento di ingenti multe.

A parte l’indiscutibile pregio dei prodotti agricoli e la rilevanza storica della razza equina, l’impressione è che per portare una ventata di nuove possibilità non solo alla Reggia ma a tutta l’area, ci sia bisogno di un tassello ulteriore.

Ottimistico pensare che possano bastare la squisitezza dei latticini, un’accademia di equitazione e il fascino del guscio architettonico a deviare il flusso del turismo da grandi numeri che, pur spinto da un impulso irrefrenabile e combinato per i formaggi e i cavalli, più in là dello splendore della Reggia di Caserta difficilmente vuole e può arrivare, contando anche lo stato delle infrastrutture e la vocazione dell’area, segnatamente agricola e mai impegnata in altri settori. Interessanti sembrano le proposte avanzate dai Rettori che, con i Dipartimenti di Agraria e di Medicina Veterinaria della Federico II e di Scienze Ambientali e di Beni Culturali della SUN, attiveranno un programma di collaborazioni, impegnando gli studenti in attività mirate al restauro degli ambienti e al recupero delle coltivazioni e degli allevamenti. Un’idea stimolante ma ancora insufficiente per garantire sostenibilità a un sito nel cuore di un territorio martoriato da illegalità e abbandono istituzionale.

Franceschini parla di «sfida che interessa tutta l’Italia», la situazione della Reggia e, per riflesso, di tutto il territorio che la circonda, è uno dei banchi di prova della credibilità del Governo e anche un simbolo delle difficoltà endemiche nelle quali il meridione continua ad affogare, bruciando le identiche speranze, puntando sugli stessi termini. Oggi, la definizione di specificità è instabile, il suo campo semantico si apre a sperimentazioni e la tipicità può essere rappresentata come un’immagine da interpretare su livelli sfalsati.

Proponendo l’immagine oleografica della cartolina, affidandosi ai parametri storicizzati del prodotto tipico, da vendere al minuto, si corre il rischio di trasformare la peculiarità in soffocamento, in un elemento di chiusura, soprattutto nel caso di un’area universalmente conosciuta più per la diossina che per il neoclassico.

In questo senso, la nomina di Angela Tecce come direttore del sito sembra aprire nuovi spiragli. Tecce ha una lunga e consolidata esperienza nel settore dell’arte contemporanea – in particolare, come direttore del Museo del Novecento a Napoli – e potrebbe inserire un

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altro elemento nella via già dichiarata dell’agroalimentare, come la stessa nomina lascerebbe presupporre. Una struttura dalla storia fascinosa e dalla forma altamente significante, inserita in un contesto suscettibile di declinazioni linguistiche eterogenee, dall’ecologia ai temi sociali, potrebbe naturalmente convogliare l’interesse di molti artisti e, di conseguenza, accendere le attenzioni del sistema dell’arte. Puntando su un programma di altissimo profilo e di respiro internazionale, articolato tra residenze, laboratori e mostre, la Reggia potrebbe proporsi non come prodotto tipico, un bell’oggetto destinato a scomparire, seguendo il destino degli arredi che una volta ne ornavano le sale, ma come un organismo complesso, uno strumento per l’innesco di un circuito in grado di autoalimentarsi, un dispositivo in cui l’ambito specifico lavora nella profondità delle relazioni e dei movimenti, per dare luogo a nuove peculiarità.

Una parte dei lavori si è conclusa, la struttura esterna è stata rinforzata, gli ambienti sono quasi totalmente percorribili e in sicurezza. Per assistere alla celebrazione equestre inscenata dal Reggimento dei Carabinieri a Cavallo, si può salire fino al terrazzo, attraversando saloni e corridoi in cui gli stucchi superstiti accentuano il senso di vuoto. Sono pronti cinque milioni di euro per continuare con la prossima fase, la più difficile della lunga storia della Reggia.

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