Sorrento I santi e i defunti: ciò che siamo e ciò che saremo! 04/11/2016

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04/11/2016
Sorrento
I santi e i defunti: ciò che siamo e ciò che saremo!
Secondo la dottrina cristiana, la morte non è per l’uomo un fatto ovvio né una necessità di natura, quanto piuttosto la
conseguenza di ciò che non doveva accadere e che si sarebbe potuto evitare, come si evince dai passi della lettera ai
Romani e della Genesi. Volendo esprimere questo concetto con la massima precisione, possiamo dire che la morte
dell’uomo non è parte integrante del suo essere, ma la conseguenza di un atto. Non ha un carattere “naturale”, ma
“storico”. La “natura” dell’uomo è sia risultato sia presupposto dell’incontro. La sua pienezza non è all’inizio, ma alla
fine. La forma dell’esistenza umana non scaturisce da se stessa, per ritornare infine in se stessa. La figura che ne
rappresenta il carattere non è il cerchio chiuso in se stesso, bensì l’arco proteso verso ciò che gli viene incontro.
L’uomo è padrone delle sue azioni e orientato verso l’esterno in un modo proprio a lui solo. Egli è l’unico capace di
realizzare l’incontro in cui continua a perfezionare se stesso. Ma l’incontro decisivo è quello con Dio, poiché Dio è il
reale per definizione, ciò che ha valore per essenza. Solo in questo incontro, se vissuto correttamente, l’uomo diventa
quell’essere che il suo Creatore ha voluto. Questa è la risposta del cristianesimo al problema della morte: ardita,
inquietante, provocatoria. Per accettarla occorre veramente una conversione dello spirito; ma se ciò accade, se lo
spirito l’accetta, anche l’esistenza naturale è investita della sua luce. La rivelazione viene da Dio e deve essere accolta
nella fede; essa illuminerà allora anche ciò che si presenta ai nostri occhi. Esperienze non chiarite, conoscenze che
non potevano farsi strada nell’interpretazione che l’uomo fornisce del mondo, ora ottengono giustizia. Con la morte di
Cristo, la morte ha subito una trasformazione radicale. La morte di Gesù è stata reale e aspra come nessun’altra,
poiché la morte è tanto più morte, quanto più alta è la vita a cui essa pone fine. Cristo è morto come nessun altro,
poiché la sua vita è stata vitale e luminosa come nessun’altra.
Questo è vero; ma è anche vero che, ogni qual volta Gesù parla della sua morte, aggiunge che risorgerà. La morte
che dovrebbe succedere al peccato, se ci si fermasse a questa connessione, la morte pura e semplice non esiste
nella concezione che Gesù ha della vita. La sua morte è stata il passo che la vita ha compiuto per lasciare la
dimensione temporale e accedere all’eternità. E non solo l’anima, ma l’essere umano nella sua interezza. Perché dopo
la morte egli è risorto a nuova vita. Alla sensibilità moderna la parola della resurrezione risulta estranea quanto il fatto
che la morte non sia necessaria. È presente nella nostra lingua come erede di una credenza antica, ma ha assunto un
significato diverso. Nel linguaggio corrente il termine «resurrezione» indica il ritorno primaverile della vita dopo i rigori
dell’inverno, o il nuovo impulso che l’uomo avverte dopo una pausa interiore. La «resurrezione» è un momento della
vita, l’ascesa da una precedente depressione. La dottrina cristiana della resurrezione di Cristo e dell’uomo redento per
suo tramite non ha nulla a che vedere con tutto questo. Ha un significato diverso, più preciso e straordinario. Insegna
che dopo la morte Cristo si è innalzato a nuova vita, umana nella potenza del Dio vivente; non solo la sua anima era
immortale e nell’eternità ha ricevuto uno splendore divino; non solo la sua figura e il suo annuncio sono diventati forza
generatrice di vita nei cuori di coloro che credevano in lui: dopo la morte il suo corpo è tornato a nuova vita, a un livello
superiore. Ora la morte non è più solo l’evento oscuro e terribile che porta il peccato alle estreme conseguenze: essa
consente all’uomo di partecipare alla trasformazione con la quale la magnanimità di Dio ha convertito la fine in un
nuovo inizio, in passaggio alla vita nuova. In Cristo è ripristinata la natura umana che tende a Dio e viene da Dio. Ed è
ripristinata in una forma nuova, straordinaria, nella forma
dell’incarnazione del figlio di Dio. La vita eterna è possibile perché egli ci ama e ci accoglie nel suo amore. Quella vita
è elargita e conservata perché egli ci dona la comunione dell’amore. Per amore, con la redenzione si è fatto carico del
nostro destino. Per lo stesso amore ci rende partecipi del suo. La morte è così l’ultima impresa rischiosa che l’uomo
affronta, guidato da Cristo verso la grande promessa. La morte di Cristo è insita in tutta la pena e la devastazione, in
tutto l’abbandono e il tormento che la morte può significare, ma questo è il rovescio visibile di quel tutto, il cui diritto si
chiama risurrezione (Cf. R. GUARDINI, Le cose ultime, Vita e Pensiero, Roma 1997, 26-38).
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