Decarbonizzare le economie, un percorso tra luci e

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Decarbonizzare le economie, un percorso tra luci e ombre d
Decarbonizzare le economie, un percorso tra luci e
ombre dalla Cina all’Italia
L’intensità di carbonio sta calando a livello globale: Cina, Gran Bretagna e Stati Uniti ottengono i
risultati migliori nell’indice di PwC. Male invece l’Italia, anche se in valori assoluti la nostra economia
è tra le più "pulite" al mondo quanto a emissioni di CO2 per unità di PIL.
Redazione QualEnergia.it
Come sta procedendo la decarbonizzazione del mix energetico? Nel 2015 c’è stato un calo record
dell’intensità di carbonio - carbon intensity nella dicitura inglese - pari al 2,8% su scala
internazionale. Significa che le emissioni complessive di CO2 sono rimaste pressoché stabili, mentre
il PIL mondiale è cresciuto del 3,1% circa.
Eppure, questi risultati non bastano secondo PricewaterhouseCoopers (PwC). La società di
consulenza con sede a New York ha pubblicato il Low Carbon Economy Index 2016 per monitorare i
progressi delle principali economie.
Il grafico sotto riassume il quadro attuale e futuro. Per evitare gli effetti più disastrosi del
surriscaldamento globale, evidenzia infatti PwC, la decarbonizzazione dovrebbe avanzare con un
ritmo molto più accelerato: -6,5% in media ogni anno da qui al 2100.
Questa proiezione assume un incremento approssimativo del PIL del 3% ogni dodici mesi e tiene
conto del rimanente carbon budget, cioè la quantità di CO2 che i paesi potranno ancora immettere
nell’atmosfera compatibilmente con un innalzamento medio delle temperature di due gradi
centigradi.
Il problema è che alla Cop21 di Parigi le nazioni si sono impegnate a ridurre le emissioni attraverso
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dei piani volontari denominati INDC (Intended Nationally Determined Contributions) che però
faranno diminuire mediamente l’intensità di carbonio del 3% l’anno.
Troppo poco, insomma, da riuscire a mantenere la traiettoria dei due gradi indicata dall’IPCC
(Intergovernmental Panel on Climate Change), il braccio scientifico dell’ONU che studia i
cambiamenti climatici. Vediamo più in dettaglio come si stanno comportando alcuni paesi,
aiutandoci con lo schema sotto.
Partiamo dal fondo della classifica: la ragione è qui troviamo proprio l’Italia, in compagnia di
Argentina, Indonesia, Brasile e Arabia Saudita. L’intensità di carbonio nello Stivale è peggiorata del
4,7% dal 2014 al 2015, anche se poi la situazione è più rosea se guardiamo gli altri indicatori.
L’intensità è comunque diminuita in media dell’1,8% nel periodo 2000-2015 arrivando a 153
tonnellate di CO2/unità di PIL, un valore che riporta il nostro paese tra le migliori cinque nazioni
classificate.
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In cima alla graduatoria di PwC troviamo Cina e Gran Bretagna con riduzioni della carbon intensity
nell’ordine del 6% lo scorso anno in confronto al 2014; in terza posizione ci sono gli Stati Uniti
(-4,7%).
Va detto che la Cina, in termini assoluti, resta la seconda nazione più “sporca” della classifica,
perché emette in media 475 tonnellate di CO2/unità di PIL - solamente il Sudafrica inquina di più con
583 tonnellate di CO2 - evidenziando ancora una volta quanto sia denso di luci e ombre il suo
percorso verso l’efficienza energetica e le fonti rinnovabili.
La domanda cruciale è se l’utilizzo di carbone abbia raggiunto il picco. Pechino da sola, è bene
ricordare, assorbe circa metà della domanda mondiale di questa risorsa fossile. I consumi nel 2015
sono scesi: -1,5% secondo PwC mentre le stime ufficiali cinesi riportano un -3,7% rispetto al 2014.
L’economia del colosso asiatico continua a evolversi con rapidità: alle manifatture tradizionali si
stanno affiancando i servizi soprattutto finanziari, che insieme ai vari settori dell’economia verde
possono contribuire ad alleggerire un po’ le emissioni cumulative di gas-serra legate
all’energia.
Difatti, nel 2015 tali emissioni hanno ristagnato (0,04%) a fronte di una crescita del PIL pari al 6,9%
con un chiaro effetto-decoupling, cioè disaccoppiamento tra sviluppo industriale e concentrazione
di CO2.
Da notare, infine, i miglioramenti della Gran Bretagna, che abbiamo già sottolineato parlando del
boom solare (Gran Bretagna: a maggio la produzione da fotovoltaico supera del 50% quella da
carbone). L’economia inglese si sta trasformando da diversi anni, sempre più orientata ai servizi a
scapito dei comparti produttivi e manifatturieri.
Il risultato, frutto anche della decisione di chiudere le centrali più inquinanti entro il 2025, è che i
consumi di carbone sono crollati ai minimi storici, vedi anche il grafico sotto. Il carbone oggi
vale il 12% circa del mix elettrico - due anni fa era tre volte tanto - mentre le rinnovabili si sono
portate al 9% della torta complessiva di generazione.
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URL di origine (Salvata il 08/11/2016 - 18:23):
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