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Afghanistan, ha vinto il narcotraffico | 1
venerdì 04 novembre 2016, 10:30
Guerra al terrorismo
Afghanistan, ha vinto il narcotraffico
I dati dell'ONU confermano la coltivazione dell'oppio come attività trainante dell'economia afghana
di Sergio Flore
Baz Mohammed Ahmadi, vice Ministro dell’Interno afghano, sventola bandiera bianca. La lotta al narcotraffico,
pubblicizzata come guerra parallela a quella ai talebani, ha fallito miseramente. La coltivazione di papavero da oppio è
ormai l’attività trainante dell’economia afghana, o di quel che ne resta. «Tre anni fa» ha dichiarato Ahmadi, «si contavano
ancora venti province totalmente esenti dalle coltivazioni del papavero. Ora non sono più di dieci».
Preoccupazioni, queste, confermate dai più recenti dati delle Nazioni Unite, che incoronano l’Afghanistan dell’infame titolo di
paese leader nella produzione di oppio, con percentuali che fanno pensare a un semi-monopolio della
sostanza: il 95% della quantità di oppio globale è coltivata nel paese centro-asiatico. Nonostante la breve diminuzione delle
colture (dovuta alla siccità dell’anno scorso), quest’anno le coltivazioni di papavero sono aumentate del 10% (per 201 mila
ettari) e l'Onu stima un ulteriore balzo del 43% nella produzione di oppio.
La causa del fallimento, per Ahmadi, è da ricercare nella mancanza di volontà politica nell’affrontare la questione
del narcotraffico. Il governo afghano è «troppo preso dalla lotta contro il terrorismo e i talebani: ma è tutto collegato», ha
spiegato il vice ministro, poichè gli introiti dei raccolti di papavero finanziano l'insurrezione. Secondo lui, «la produzione di
oppio afghano genera sette miliardi di dollari all'anno», di cui 1,2 finisce ai talebani che, insieme ai vari signori della guerra,
hanno così trovato un efficace business per ottenere armi e finanziare la propria attività. Le istituzioni afghane sono
continuamente costrette al compromesso con lobby e gruppi di pressione legati al narcotraffico. Questo ‘patto
col diavolo’ è incoraggiato dalle forze NATO che vedono l’alleanza col narcotraffico come il modo migliore per mantenere un
debole controllo sul Paese. A tutto questo si uniscono politiche umanitarie dai dubbi benefici: gli aiuti in granaglie e alimenti
distorcono il mercato locale e sono un ulteriore incentivo ai produttori locali ad abbandonare la coltivazione di qualsiasi cosa
non sia oppio.
«Il 95% del papavero è prodotto in aree instabili o sotto controllo talebano» ed è infatti in queste zone che i tentativi di
sradicamento delle colture falliscono o richiedono costi che il governo non ritiene valga la pena di affrontare. «Con
l’equipaggiamento, i materiali e la task force attuale, non siamo in grado di combattere la coltivazione di papaveri nelle aree
Estratto ad uso rassegna stampa dalla pubblicazione online integrale e ufficiale, reperibile su http://www.lindro.it/afghanistan-ha-vinto-il-narcotraffico/
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non sicure», aggiunge Ahmadi. Il suo gabinetto poteva contare, in passato, su una forza speciale di 900 uomini formati e
equipaggiati da Usa e Gran Bretagna per lo sradicamento delle colture. Ma alcuni gruppi di pressione «sono stati molto
efficaci nell'ottenere lo scioglimento della forza speciale», ha aggiunto Ahmadi, puntando il dito contro «la
propaganda delle mafie, dei trafficanti e di quelli che detengono il potere». L'unità speciale è stata sciolta nel 2010 e gli
equipaggiamenti sono andati dispersi.
Persino la perdita economica è stata notevole: «La formazione di ciascun componente della squadra», denuncia Ahmadi,
«era costata circa 50 mila dollari». Alcune competenze sono state trasferite al ministro per la Lotta alla droga, Salamat
Azimi, che ha incentrato l'attività sulla prevenzione, considerando che ci sono tre milioni di afghani, il 10% della
popolazione, dipendenti dall'eroina. Si presume che anche l’aumento dei casi di dipendenza, fenomeno molto contenuto
fino all’intervento militare statunitense, sia dietro all’esplosione della domanda di oppio. Per motivi religiosi, sotto il regime
dei talebani, la coltivazione del papavero è stata per un breve periodo proibita: nel 2001, in Afghanistan non c'erano
quasi più piantagioni. Paradossalmente, l'arrivo degli occidentali ha rilanciato il business del papavero: «Gli
americani dovrebbero essere i primi a combattere il traffico. Meno del 3% dell'oppio prodotto resta in Afghanistan: il resto va
sui mercati occidentali».
Le vittime del consumo di eroina in Russia e Europa sono state probabilmente, a loro tempo, cinicamente messe sulla
bilancia dei costi dell’occupazione afghana. La crisi colpisce infatti, per vie indirette, persino il lontano occidente: la
vasta percentuale di oppio prodotto in Afghanistan invade il mercato russo, europeo e americano. Se si guarda a queste
ultime due aree geografiche, è incredibile notare come la crisi dell’oppio afghano abbia riportato alla luce, a partire
dal 2003, il problema della diffusione dell’eroina, fino a un decennio fa considerata morta poichè giustamente
stigmatizzata da una lunga campagna di informazione che ne rivelava i tremendi effetti sul tossicodipendente. Il ricambio
generazionale (complice anche l’abbandono della vecchia siringa come metodo di assunzione, probabilmente creduta l’unico
pericolo in quanto vettore di malattie) nel mercato sembra aver lavato via ogni ricordo delle vittime dell’epidemia degli anni
‘80. Il problema tocca particolarmente il nostro Paese, che, con 18 tonnellate di prodotto annuali e 300000 eroinomani, è il
secondo consumatore di eroina in Europa dopo il Regno Unito. La correlazione di questa seconda epidemia con il boom della
produzione afghana sembra esistere: con l’intervento americano il prezzo della droga è sceso dalle 130mila lire nel
2000 agli attuali 30 euro al grammo.
Porsi domande riguardo questi costi aggiuntivi della ‘guerra al terrorismo’, come ha affermato l’allora procuratore antimafia
di Palermo Antonio Ingroia nel 2012, è lecito: «Lascia pensare il fatto che la produzione e il mercato della droga siano
cresciuti così tanto in Afghanistan, che dovrebbe essere monitorato proprio dalle forze militari di quei Paesi che
rappresentano i più grandi mercati di eroina e che dicono di voler condurre una lotta senza quartiere contro la droga. Per
carità, non bisogna essere dietrologi, ma qualche domanda ce la dobbiamo porre».
di Sergio Flore
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