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ESTERO - LE NOTIZIE MAI LETTE IN ITALIA
Venerdì 28 Ottobre 2016
Per poter disporre di una vita meno cara e proteggersi dalle correnti migratorie
Molti tedeschi fuggono in Ungheria
Il fenomeno è cresciuto dopo l’apertura delle frontiere
DI
ANDREA BRENTA
S
ono sempre più numerosi i tedeschi che
trovano nell’Ungheria dell’ultraconservatore Viktor Orban una
seconda patria. Alla ricerca
di una vita meno cara, certo, ma anche più «sicura»,
spiegano i nuovi expat, che
per «più sicura» intendono
«senza migranti».
«Otto su dieci dei miei
clienti tedeschi fuggono
dall’arrivo dei migranti in
Germania», racconta un
agente immobiliare al quotidiano francese Le Figaro.
«Si lamentano della politica
di accoglienza della Merkel
e non vogliono più vivere
nella paura, circondati da
musulmani radicali».
Günter Schwarz, titolare dell’agenzia Balaton Immobilen, si sfrega le mani.
«Non ho mai avuto così tante richieste di informazioni
provenienti dalla Germania:
una quindicina al giorno,
talvolta anche una ventina… È cinque volte di più
rispetto a un anno fa».
Nelle vetrine della sua
agenzia i prezzi delle case
in vendita variano tra i 30
mila e i 300 mila euro. «I
tedeschi, che sono la quasi
totalità della mia clientela», aggiunge Schwarz, «in
genere cercano un immobile
tra i 50 mila e i 100 mila
euro. Tutti mi parlano del
In Ungheria i tedeschi cercano immobili con un prezzo compreso tra i 50 e i 100 mila euro
loro timore di essere invasi
dagli stranieri: è la principale ragione del loro trasferimento».
Come i Brandt. Moglie
(Birgit, 53 anni, cassiera),
marito (Udo, camionista),
nonno (Johan, ex minatore,
81 anni), figli e anche cane
(Bonny), originari dell’area
di Francoforte, confessano
di averne «abbastanza« di
questo paese che cominciano «a non riconoscere più».
«Io e le mie colleghe abbiamo paura quando usciamo
tardi la sera dal supermercato. Con tutte le storie di
stupri che si sentono…»,
racconta Birgit. «Ci si chiede quanto questa politica di
accoglienza ci costerà, sia in
termini di aggressioni sia
finanziariamente», rincara
Udo. «Siamo preoccupati
per il futuro dei nostri figli
e dei nostri anziani». Per
nonno Johan, infine, «qui
(in Ungheria) siamo in un
paese cristiano, non ci sono
moschee né kebab a tutti gli
angoli».
Entro sei mesi («il tempo
di sbrigare le formalità»), i
Brandt si installeranno a
Marcali, a una quindicina
di chilometri dalle spiagge
del lago Balaton. «Cercheremo lavoro e impareremo
l’ungherese», annuncia Udo.
«Faremo quello che vorremmo che i migranti facesse-
ro in Germania», gli fa eco
Birgit. «Imparare la lingua,
adattarsi alle usanze, lavorare… in breve, non essere
un peso per la società».
I dintorni del lago Balaton
hanno già attirato una importante comunità tedesca,
che ha anche un giornale, la
Balaton Zeitung, la cui versione online conta 50 mila
lettori abituali. Al ristorante i menu sono in tedesco e
sugli scaffali dei supermercati Aldi e Lidl i concittadini
della Merkel possono trovare i loro prodotti preferiti.
A ciò si aggiungono eleganti
stazioni termali dove vengono offerti massaggi a prezzi
imbattibili, una cucina sapo-
rita, vini eccellenti e un’imposta con aliquota unica al
16%. E poi a Keszthely, la
città principale della sponda
Sud del Balaton, la scuola
materna privata Heidi, dove
ai bambini si parla in tedesco, attende con impazienza
l’arrivo di giovani coppie.
Tuttavia, secondo le statistiche ufficiali, nel 2015
sono emigrati in Ungheria
935 tedeschi, ma 755 sono
poi tornati in patria. «In
generale, quando diventano
molto vecchi e molto malati», osserva l’agente immobiliare Laszlo Kozma, «preferiscono farsi curare nel
loro paese natale».
Per il politologo Zoltan
Kiszelly, specialista di
questioni europee, «non si
deve parlare di fenomeno
di massa: i tedeschi non
sbarcano a migliaia come
a Maiorca! Ma la tendenza
è interessante», sottolinea.
«Con la crisi dei migranti
l’immagine dell’Ungheria è
migliorata: non sui media,
ma tra i cittadini europei.
Per i conservatori, per i
quali la Chiesa e la famiglia
sono valori importanti, l’Ungheria è una buona scelta: ci
si sente come nella Germania di trent’anni fa. E finché
Orban sarà al potere, tutto
lascia supporre che verrà rieletto nel 2018, avranno la
garanzia di non incrociare
troppi migranti».
© Riproduzione riservata
IL PARTITO COMUNISTA ELEVA XI JINPING AL RANGO DI MAO. MA LA SUA IMMAGINE NON DEVE ESSERE OFFUSCATA DAGLI SCANDALI
Cina, torna in auge il culto della personalità del leader
Disciplina e lotta alla corruzione le nuove parole d’ordine
DI
MAICOL MERCURIALI
D
isciplina compagni! E riverenza verso il presidente Xi Jinping, elevato a
nucleo, centro, «core» del
Partito comunista cinese come i
grandi leader del passato: Mao
Zedong, Den Xiaoping e Jiang
Zemin. Non stiamo parlando di un
titolo onorifico, ma di un’autorità
conferita praticamente assoluta: il
verbo di Jinping non potrà essere
messo in discussione, un fattore
non secondario considerando che
potrebbe quindi avere voce in capitolo per la sua successione, nella
selezione del nuovo segretario del
partito e presidente della Repubblica popolare che lo sostituirà nel
2022.
Dal sesto plenum del Partito comunista cinese, una quattro giorni
a porte chiuse che si è conclusa ieri
a Pechino, è emerso un sostanziale
rafforzamento di Jinping al vertice
del centro di potere della Repubblica, anche in vista del prossimo
congresso di partito che si terrà a
metà del prossimo anno. L’inner
circle comunista non vuole sor-
Xi Jinping è assurto al rango dei grandi leader cinesi del passato
prese e, dopo quattro anni seduti
sulle poltrone più importanti del
paese, spinge sul culto dell’immagine del leader. Un’immagine
che non può essere offuscata da
fallimenti o scandali legati a dirigenti comunisti corrotti. E così
dal plenum sono arrivate nuove re-
gole per l’attuale classe dirigente
cinese, quella che più di altre deve
conciliare i precetti della falce e
martello con il capitalismo galoppante del Dragone. La scelta è di
serrare i ranghi: nuove norme interne per limitare la corruzione,
uno dei punti forti del mandato
del segretario-presidente, a capo
anche delle forze armate cinesi.
Lotta alla corruzione e rilancio
della crescita del paese vanno di
pari passo, e poi il Comitato centrale ha voluto introdurre nuove
procedure per supervisionare la
vita di partito e il processo decisionale interno. Più controllo, più
culto della personalità, più unità
attorno agli organi di partito.
«Insieme dobbiamo costruire un
ambiente politico pulito e giusto»,
ha ribadito il Comitato centrale in
una nota al termine del plenum, «e
far sì che il partito unisca e conduca il popolo ad aprirsi a nuove prospettive per il socialismo cinese».
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Le pagine di Esteri
sono a cura di Sabina Rodi