La Chiesa come spazio di dialogo e relazione

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La Chiesa come spazio di dialogo e relazione
di Davide Penna
Nella serata di Mercoledì 11 dicembre, a Villa Ronco, in Genova Sampierdarena, un centinaio di persone
hanno accolto l’invito dell’associazione culturale Arena Petri e dei Giovani per un mondo unito, per
l’incontro La Chiesa come spazio di dialogo e relazione, un momento di riflessione a conclusione dell’anno
della fede e quindi dai cinquant’anni dell’apertura del Concilio Vaticano II.
L’incontro è iniziato con la presentazione delle associazioni organizzatrici da parte di Eleonora Marighella,
per Arena Petri, e Giulia Chiesa, per i Giovani per un mondo unito, con l’intermezzo di un breve saluto da
parte del Vicario Foraneo di Sampierdarena, Mons. Carlo Canepa, il quale si è detto molto contento e
commosso per l’iniziativa, importante per un quartiere come Sampierdarena, e che si ricollega a quel grande
evento di luce per la storia dell’umanità e della Chiesa che è stato il Concilio.
Successivamente sono saliti sul palco, Davide Penna, presidente dell’Associazione Arena Petri, Emanuele
Pili, rappresentante dei Giovani per un mondo unito e il relatore, ospite della serata, prof. Alessandro
Clemenzia, sacerdote, teologo, professore di Ecclesiologia all’Istituto Universitario Sophia (Istituto con sede
a Loppiano, presentato nel corso della serata da due studenti, Andrea Cardinali, della laurea magistrale in
ontologia trinitaria, e Mario Agostino, dottorando in Comunicazione e politica) e alla Facoltà teologica di
Firenze.
Ha esordito Emanuele Pili cercando di presentare il fine dell’incontro: «questa serata parte da una domanda,
da una provocazione: cosa siamo chiamati a dare, come Chiesa, in questi tempi di crisi sotto diversi fronti,
sociale, economica, ma soprattutto di relazione? E, allo stesso tempo, la serata parte da un’indicazione,
quella di papa Francesco che nella recente esortazione apostolica Evangelii Gaudium afferma: “mentre nel
mondo, specialmente in alcuni paesi, riappaiono diverse forme di guerre e scontri, noi cristiani insistiamo
nella proposta di riconoscere l’altro, di sanare la ferite, di costruire ponti, di stringere relazioni e aiutarci “a
portare i pesi gli uni degli altri”(Gal 6, 2)».
In seguito la parola è passata al relatore, Alessandro Clemenzia. Viva, intensa, coinvolgente la relazione
presentata. Essa è partita dall’analisi della situazione di oggi la quale, su diversi fronti, in particolare nella
dinamica sempre più conflittuale tra globalizzazione e localismi, manifesta due ordini di sfide: 1) quella
dell’alterità, di un rapporto con l’altro da ripensare, ritrovare, riapprendere; 2) quella dell’unità, di come
pensare l’unità che siamo spinti sempre di più a realizzare in ambito politico, economico, sociale e culturale,
senza schiacciare, distorcere, subordinare, le identità particolari che ci formano, che ci individuano e che
quando si sentono minacciate possono sfociare e sfociano in localismi, in miopie culturali pericolose e
distruttive.
Da queste sfide e in queste sfide è immersa la Chiesa, che è tale perché vive dentro il suo tempo. Le
premesse poi sono state di nuovo due: 1) quella di pensare, prima di tutto, alla Chiesa come “noi”. Noi,
ciascuno dei presenti, è Chiesa, ciascuno col suo essere e vivere manifesta e testimonia la presenza della
Chiesa nel mondo; 2) quella di vedere non tanto ciò che la Chiesa deve dire o fare, ma ciò che essa è, la sua
natura, il suo esserci nel mondo.
Da questa seconda premessa, per rispondere alle due grandi sfide richiamate, la riflessione sulla Chiesa. Essa
è il luogo, lo spazio in cui Dio incontra l’uomo e l’uomo incontra Dio. Un Dio che si è rivelato Trinità e
dunque un Dio che in se stesso vuole, ha necessità dell’altro. Un Dio Padre che dice da sempre al Figlio: “Io
sono se tu sei (può esserci un Padre senza un Figlio?)” ma allo stesso tempo afferma “io sono perché tu sia”,
ovvero dà una direzione all’alterità, che non è indifferente esperienza del tu, ma relazione d’amore, dono
della vita. Un Figlio che si ridona completamente e da sempre al Padre, nel soffio di vita, citando il teologo
Piero Coda, che è lo Spirito Santo, relazione tra Padre e Figlio.
Per quanto riguarda l’uomo, si è provato a vederlo attraverso Maria, realizzazione dell’umanità. Chi è
l’uomo visto in Maria? E’ colui che è capace di accogliere Dio (che grande mistero!) e di riversarlo sul
mondo, senza tenere niente per sé, pena la sconfitta dell’accogliere. Ecco cosa è la Chiesa dunque, realtà che
ha a che fare con l’uomo e con Dio, ma che non è l’uomo né Dio: uno spazio, un vuoto, in cui sperimentare
con gli altri uomini la presenza e l’amore di Dio (“Dove due o tre sono riuniti nel mio nome, io sono in
mezzo a loro” (Mt 18, 20) e riversarla sul mondo, in un’unità che non toglie, ma si alimenta delle differenze,
le singolarità, le diversità le quali, a loro volta, restano se stesse e non si autodistruggono se mirano all’unità.
Ha concluso la serata Davide Penna il quale ha voluto rispondere alle parole del prof. Clemenzia, con
un’immagine e due citazioni. L’immagine è quella del cristiano come “serbatoio, immettitore” di autenticità,
luce, speranza e vera libertà nel mondo. Serbatoio che si alimenta nella gioia del Vangelo. Da dove nasce
questa gioia? Dalle parole dell’angelo Gabriele a Maria: “Rallegrati!”, nate dallo sguardo della Pasqua che sa
vedere in ogni morte il germe della vita nuova. Infine le due citazioni: quella del cardinale Bagnasco, che
nell’incontro con gli universitari ha ricordato l’importanza e la bellezza dei legami e il pericolo mortale del
grande nemico di oggi: l’individualismo. E quella di papa Francesco che scrive nell’Evangelii Gaudium: «il
modo di relazionarci con gli altri che realmente ci risana invece di farci ammalare, è una fraternità mistica,
contemplativa, che sa guardare alla grandezza sacra del prossimo, che sa scoprire Dio in ogni essere umano,
che sa sopportare le molestie del vivere insieme aggrappandosi all'amore di Dio, che sa aprire il cuore
all'amore divino per cercare la felicità degli altri come la cerca il Padre buono. Proprio in questa epoca, e
anche là dove sono "un piccolo gregge", i discepoli del Signore sono chiamati a vivere come comunità che
sia sale della terra e luce del mondo. Sono chiamati a dare testimonianza di una appartenenza
evangelizzatrice in maniera sempre nuova».
Un incontro, dunque, che nell’ascolto del grido di questo tempo ha voluto rispondere così: “io sono se tu sei,
io sono perché tu sia”.