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PRIMO PIANO
Giovedì 27 Ottobre 2016
Anche se in Italia tutti fanno gli isterici sulla lettera di rilievi mandataci da Bruxelles
La Ue poi farà marcia indietro
Se non altro perché il deficit sostiene il sistema
DI
STEFANO CINGOLANI
L’
Unione europea ha
inviato una lettera di chiarimenti
all’Italia, alla Francia, alla Spagna, al Portogallo, al Belgio e all’Olanda,
ma, allo stato attuale, solo in
Italia ha provocato l’annuale
psicodramma politico-mediatico. Non vi hanno dato grande attenzione i quotidiani che
muovono i mercati come il Financial Times e il Wall Street
Journal, i quali si dedicano
piuttosto ad esaminare la risposta di Mario Draghi alla
ondata di critiche contro gli
effetti collaterali e indesiderati del quantitative easing.
Questo sì un
tema cruciale
perché finora
la politica monetaria iperespansiva ha
trascinato la ripresa nell’area
euro e ha aiutato in modo
consistente i
Paesi più deboli a cominciare
dall’Italia. Se
cambia sono
guai, per gli
italiani e per
tutti gli altri.
A Pa r i g i ,
a Madrid e
nelle altre
capitali, nessuno è contento dei rilievi di
Bruxelles, ma i tecnici si sono
messi al lavoro per rispondere
punto per punto, E’ la solita
battaglia delle cifre che si ripete come un vecchio copione
della commedia dell’arte. La
Francia è sotto procedura di
infrazione dal 2009 e i più
probabili vincitori prossime
elezioni presidenziali, Nicolas Sarkozy e Alain Juppé,
hanno già detto che l’anno
prossimo non rispetteranno il
tetto del 3% nel rapporto tra
deficit e prodotto lordo. Altro
che le scappatelle renziane.
Ancora una volta, l’Italia mostra una sudditanza
rispetto alla commissione Ue
dovuta a un misto di provincialismo, fragilità politica e
debolezza economica. Tre mali
che non si curano alzando la
voce o battendo i pugni, ma
nemmeno usando le critiche
in modo demagogico e strumentale. Renato Brunetta
non ricorda più quando era la
sinistra a usare i suoi stessi
argomenti da tardo-keynesiano e neonazionalista? Quanto
ai pentastellati fautori di un
nuovo assistenzialismo statalista (tra proprietà pubblica
delle industrie dei servizi e
cosiddetto salario di cittadinanza) adesso attaccano
Matteo Renzi perché non
taglia la spesa pubblica?
Ovunque le opposizioni
fanno propaganda usando
anche gli argomenti più triviali, ma ci sono Paesi in cui
prevale l’interesse nazionale.
Viene in mente Luìs Zapatero il quale nelle sue memorie
ricorda il fatale 2011 quando
la Bce inviò anche a lui una
lettera contenente ricette lacrime e sangue. Ebbene, la
mise nel cassetto, chiese al
governatore della banca centrale che l’aveva controfirmata di tenere la bocca chiusa e
non si sognò minimamente di
discuterne alle Cortes. L’opposizione, quando la notizia
venne fuori in autunno, fece
finta di cadere dalle nuvole anche perché Mariano
Rajoy stava per vincere le
elezioni e immediatamente
Mario Draghi
dopo si sarebbe trovato sotto
le forche caudine della Bce
e della Ue. Ricordiamo tutti
cosa avvenne in quello stesso agosto in Italia. La lettera
venne subito fatta filtrare
sui giornali, scoppiò un putiferio sui mercati e cominciò
l’inesorabile caduta di Silvio
Berlusconi. La Spagna non
è un modello di democrazia
governante come dimostrano
anche le ultime vicende: elezione dopo elezione non si è
riusciti a trovare una maggioranza solida. Il governo che
sta nascendo ha l’appoggio
esterno di un partito socialista lacerato e decapitato.
Insomma, la malattia senile della democrazia si sta
manifestando in pieno e ne
vedremo ancora delle belle.
Tuttavia la politica spagnola
mantiene un senso delle istituzioni e dell’interesse nazionale che in Italia non esiste.
Nel merito dei rilievi, la
Ue mette insieme ragioni e
torti. Ha ragione quando rimprovera alla legge di bilancio
di contare troppo su misure
una tantum. Su quasi 27 miliardi da reperire, ben 12 sono
in disavanzo, cioè saranno assicurati stampando altri titoli
di Stato, quindi peggiorando
il debito. Quasi dieci miliardi dipendono da invenzioni
estemporanee: tre dalla rottamazione delle cartelle esattoriali, 2,5 dal recupero della
evasione Iva, due dalla nuova
voluntary disclosure estesa
al contante e 1,8 miliardi da
rinnovo delle concessioni di
telefonia Gsm, con passaggio
al 5G. Ancor più allarmante
è che 15 miliardi, quindi più
della metà del ricavato, servono non a sostenere la crescita
e gli investimenti, ma a scongiurare l’aumento dell’Iva.
Ma la commissione ha
torto nel sollevare l’eccezione sul terremoto e sugli immigrati (anche se è prevedibile che su questo farà marcia
indietro). A Bruxelles regna
un pregiudizio, non senza fondamento: che le spese eccezionali coprano in realtà spesa
pubblica ordinaria. Perché i
19 miliardi
di euro di
flessibilità
concessa più
i risparmi
per gli interessi (36
miliardi dal
2013) non
sono serviti
a ridurre il
deficit e il
debito? Le
clausole di
s a l v a g u a rdia vengono
rinviate di
un anno, ma
è realistico
pensare che
nel 2018,
anno elettorale, si taglino 20 miliardi
per far quadrare i conti? Il
governo su questo glissa e
cambia argomento, eppure
la sua risposta va presa sul
serio: le risorse disponibili
sono state usate per spingere
la congiuntura, perché lasciata al puro gioco del mercato,
tra banche che non fanno
troppi prestiti, imprese che
non investono, consumatori
che non spendono, staremmo
ancora in piena recessione.
Bisognerà verificare quanto
l’esile ripresa italiana dipenda dalla domanda interna
(ancora poco, a quanto sembra) e quanto dalla domanda
estera (finora prevalente). Ma
cosa sarebbe successo se non
ci fosse stato nemmeno quel
deficit spending? Gli economisti si eserciteranno a lungo
su questo dilemma, tuttavia
gli eurocrati di Bruxelles dovranno raffreddare i loro eroici furori. Alla fine della fiera,
non ci sarà richiamo.
La lettera non è un ultimatum. Il governo non
sarà bocciato. La Ue farà
buon viso a cattivo gioco. Un
2017 segnato da elezioni ad
alto rischio in Francia e in
Germania, nell’antico motore d’Europa, metterà l’Italia
in un cono d’ombra. Sarebbe
davvero sciocco non approfittarne per fare, stavolta per
davvero, “i compiti a casa”.
Formiche.net
CARTA CANTA
Humanitas, fatturato
da 566 a 613 milioni
DI
ANDREA GIACOBINO
B
ilancio “double face” per Humanitas, il gruppo
ospedaliero presieduto da Gianfelice Rocca
che lo controlla attraverso Techint European
Holding Nv all’88% e partecipato da Ubi Banca
al 5,3%. Qualche settimana fa, infatti, l’assembla degli
azionisti ha deliberato la distribuzione di un dividendo
di 13,1 milioni di euro, superiore ai 10 milioni incassati
lo scorso anno, a valere su quasi tutto l’utile di 14,5
milioni segnato nel civilistico 2015, che però è dimezzato rispetto al profitto di 32 milioni del precedente
esercizio. Il crollo della redditività ordinaria si deve
imputare a minori dividendi incassati dalle partecipate, soprattutto alla cedola riveniente da Humanitas
Mirasole che anno su anno è scesa da 23 a 7 milioni.
Diverso il discorso nel bilancio consolidato
che fotografa il gruppo, di cui Ivan Colombo è
amministrator delegato, in buona crescita, con un fatturato che dai 566 milioni del 2014 sale a 613 milioni.
Humanitas, con circa 2mila 800 addetti, controllate
diverse realtà ospedaliere di eccellenza, come le Cliniche Gavazzeni, il Centro Catanese di Oncologia e il
Centro Diagnostico Catania, la Casa di Cura Cellini a
Torino e l’Istituto Clinico Mater Domini a Castellanza.
I ricavi sono formati, fra l’altro, per 300 milioni dagli
“inpatient Ssn”, cioè tutti i ricoveri ordinari e i day hospital erogati in regime di accreditamento col Servizio
sanitario nazionale, per 101 milioni dagli “outpatient
Ssn”, cioè la remunerazione delle prestazioni al di fuori
degli outpatient e a carico delle Asl, per 119 milioni
dall’attività privata e per 36,6 milioni dai farmaci a
somministrazione diretta. Il gruppo continua a comprare strutture ospedaliere, come la Clinica San Pio X
di Milano rilevata a inizio di quest’anno e il Presidio
sanitario Gradenigo di Torino.
A livello patrimoniale la posizione finanziaria
netta consolidata anno su anno è migliorata da 40,3
a 97,8 milioni, nonostante i debiti verso banche siano
saliti da 13,8 a 25,5 milioni.
Epic sim aumenta
il suo capitale
Epic sim, la piattaforma digitale per il finanziamento delle pmi fondata e guidata da Andrea Crovetto,
ex top banker di Unicredit, ha lanciato un’ulteriore
ricapitalizzazione dopo quella di inizio anno. Qualche
giorno fa, infatti, a Milano il presidente Guido Ferrarini davanti al notaio Salvo Morsello ha guidato un
consiglio d’amministrazione che ha varato un aumento
di capitale da nominali 200 mila euro. La ricapitalizzazione, di fatto, è pari a circa un milione poiché il
capitale aumenta da 2,02 a 2,83 milioni di nominale
mediante emissione di 807mila nuove azioni ordinarie
da nominali un euro ciascuna con un sovraprezzo di
0,35 euro.
Da chi saranno sottoscritti i nuovi titoli? Trentamila di essi sono riservati al socio Digital Magics
che potrà sottoscriverli entro i prossimi 3 anni mentre i restanti 777mila sono per nuovi azionisti qualificati come operatori finanziari di primario standing
secondo i regolamenti Consob. A seguito dell’aumento
di capitale di inizio anno attualmente il libro soci di
Epic sim vede Crovetto al 32%, seguito da Andrea
Moneta (anche lui ex Unicredit) al 20%, Ferrarini e
il figlio Sergio complessivamente col 25%, Prometeia
al 5,2%, Valerio de Molli (numero uno del gruppo di
consulenza The Europeam House Ambrosetti) al 4,9%
e Digital Magics al 2,8%. La società, riconosciuta come
start-up innovativa, ha chiuso il 2015 in perdita per
763mila euro, ma alla sua piattaforma hanno aderito 53
soggetti, di cui 15 emittenti, 21 investitori istituzionali
e 17 investitori privati.