Book abstract - Congresso Simfer 2016

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Transcript Book abstract - Congresso Simfer 2016

Volume 30
N. 2/3
GIUGNO-SETTEMBRE 2016
Pubblicazione periodica bimestrale - Poste Italiane S.p.A. - Sped. in a. p. - D.L. 353/2003 (Conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 1 DCB/CN - ISSN 1827-1995 - Taxe Perçue
GIORNALE ITALIANO DI MEDICINA RIABILITATIVA
Rivista di Formazione, Informazione, Aggiornamento professionale della SIMFER
44° CONGRESSO NAZIONALE SIMFER
Presidente della S.I.M.F.E.R.
Paolo Boldrini
Presidente del Congresso
Pietro Fiore
Comitato scientifico
Ufficio di presidenza S.I.M.F.E.R.
Segreteria scientifica
Lorenzo Antonio De Candia
Francesco Farì
Chiara Giorgio
Marisa Megna
Vincenzo Monitillo
Nicola Monno
Vincenzo Multari
Roberto Nardulli
Pietro Trifone Modugno
Raffaello Pellegrino
Maurizio Ranieri
Andrea Santamato
Leonardo Trivisano
Domenico Uliano
Pubblicazione periodica bimestrale - Poste Italiane S.p.A. - Sped. in a. p. - D.L. 353/2003 (Conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 1 DCB/CN - ISSN 1827-1995 - Taxe Perçue
Comitato Organizzatore
Valentino Petruzzi
Giovanni De Nicolò
Giancarlo Za
Iolanda Cianciola
Giuseppe Caputo
Nunzia Mastrapasqua
Annamaria Terlizzi
O
Fabrizio Ciullo
Emanuela Lacatena
43° CoNGRESSO NAZIONALE SIMFER
Presidente della S.I.M.F.E.R.
Paolo Boldrini
Presidente del Congresso
Nino Basaglia
Comitato scientifico
Ufficio di presidenza S.I.M.F.E.R.
Segreteria scientifica
Susanna Lavezzi
Sofia Straudi
Antonella Bergonzoni
Mario Manca
Alessandra Botti
Efisio Lissia
Mara Stoppa
Raffaella Arveda
Segreteria Organizzativa
Medi K s.r.l. [email protected]/www.medik.net
Sede di Roma: Via Carducci 2 scala C 00187 Roma - Tel +39 06 48913318 / Fax +39 06 89280089
Sede legale e uffici: Via V.S. Breda, 30 – 35010 Limena (PD) - Tel +39 049 8170700 / Fax +39 049 2106351
44°
Nazionale
44°Congresso
Congresso
Nazionale
Società Italiana di Medicina Fisica e Riabilitativa
Società Italiana di Medicina Fisica e Riabilitativa
Sav
the dae
te
Sav
the dae
te
LA MEDICINA RIABILITATIVA
> Dall’ospedale al territorio
> Il dolore nelle disabilità
> Tecnologie e metodiche a confronto
LA MEDICINA
MEDICINA RIABILITATIVA
RIABILITATIVA
LA
28 Settembre - 1 Ottobre 2014
Innovazione
Efficacia
Sostenibilità
> Dall’ospedale al territorio
> Dall’ospedale
al territorioI
42°CONGRESSO
n
NAZIONALE
> Il dolore nelle
disabilità
SIMFER
> Il dolore nelle disabilità E
> 23-26
Tecnologie
e 2016
metodiche a confronto
Bari
ottobree
Presidente
del Congresso
>
Tecnologie
metodiche
aS
confronto
Pietro Fiore
Hotel Nicolaus
Il Presidente del congresso: Giancarlo Rovere
Il
P
ABSTRACT BOOK
Segreteria Organizzativa
MediK s.r.l.
EDIZIONI MINERVA MEDICA
Segreteria Organizzativa
MEDI K s.r.l.
Bari 23-26 ottobre 2016
BariNicolaus
23-26 ottobre 2016
Hotel
Hotel Nicolaus
Presidente del Congresso
Pietro
Presidente
delFiore
Congresso
Pietro Fiore
EDIZIONI MINERVA MEDICA
BOARD EDITORIALE
Direttore
Lorenzo Panella
Comitato Editoriale
Roberto Ballarati
Luciano Bissolotti
Fabrizio Gervasoni
Giuliano Zebellin
ORGANISMI SOCIETARI NAZIONALI (2014-2017)
UFFICIO DI PRESIDENZA SIMFER
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Direttivo S.I.M.M.F.i.R.
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V a G. Carducci, 2 - 00187 Roma
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Email Presidenza: presidente.simfe
f [email protected]
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f r.it
44° CONGRESSO NAZIONALE SIMFER
Indice
004 - pag. 49
014 - pag. 54
irene ciancarelli, daniela de amicis, emilio ciofani,
caterina pistarini
susanna podda, claudia valeria corsini
protocollo neuroriabilitativo ad hoc per i
pazienti con atassia di friedreich
prevenzione primaria e secondaria di disfunzioni
e patologie perineali
015 - pag. 54
005 - pag. 49
efficacia della verticalizzazione precoce con
“erigo” in pazienti con grave cerebrolesione
acquisita ricoverati in terapia intensiva
medicina manuale e medicina di genere
maria luisa tenaglia, ilaria parola, judit nagy, charlott
roihl, federico di leo, renato gatto
sara maffia, ilaria zivi, sara bonini, alessio zarucchi,
roberto valsecchi, katia molatore, giuseppe frazzitta,
diana matteri, giuseppe ercoli, roberto maestri, leopold
saltuari
016 - pag. 55
006 - pag. 50
serena filoni, emanuele francesco russo, eelena de
bonis, filomenavergura, daniela armillotta
effetti di un training con esoscheletro
indossabile in pazienti con sci
serena filoni, emanuele francesco russo, gianni leone,
maria teresa marino, nicola puzzolante, michele russo,
salvatore calabrò, patrizio sale
effetti qualitativi e quantitativi sulla scialorrea
in pazienti affetti da paralisi cerebrale infantile
trattati con vibrazioni muscolari focali
017 - pag. 56
la sensibilità delle misure di outcome nella
valutazione della neuropatia di charcot marie
tooth 1a (cmt1a)
007 - pag. 51
laura mori, valeria prada, francini luca, alessio signori,
susanna accogli, davide pareyson, luca padua, gian maria
fabrizi, angelo schenone
antonio petrocelli, elisa pratelli, elena torricelli,
martina morris, pietro pasquetti
018 - pag. 56
rapporti tra scoliosi idiopatica, miopia e
iperlassità legamentosa nello screening
scolastico su 11820 bambini
008 - pag. 51
proposta di approccio riabilitativo integrato nel
paziente con disabilità da sla
luigi scalzo, francesca franzè, giorgio crispino, bruna
socirnaienchi
009 - pag. 52
le sindromi amnesiche nella realtà di un centro
di riabilitazione estensiva: nostra iniziale
esperienza
l’allenamento su treadmill è il trattamento
migliore per soggetti affetti da neuropatia di
charcot marie tooth 1a (cmt1a)?
laura mori, valeria prada, luca francini, alessio signori,
susanna accogli, davide pareyson, luca padua, gian maria
fabrizi, angelo schenone
019 - pag. 57
tre diverse lunghezze d’onda della laserterapia
ad alta energia (theal therapy) per il trattamento
della lombalgia: confronto dell’efficacia
clinica
francesca franzè, luigi scalzo, pasquale bentornato,
giorgio crispino, emanuele crispino
angela notarnicola, ilaria covelli, alessandra fiore,
giacomo farì, marisa megna, biagio moretti
010 - pag. 52
020 - pag. 57
la malattia di charcot marie tooth: una realtà
spesso multiidisciplinare
sindrome da fallimento chirurgico spinale (fbss):
gestione del dolore e terapia riabilitativa. case
report
luigi scalzo, pasquale bentornato, francesca franzè,
claudia persico
matteo orfei, paolo milia, marco caserio
011 - pag. 52
021 - pag. 58
esperienza di un training posturale in un centro
di riabilitazione estensiva
francesca franzè, claudia persico, pasquale bentornato,
luigi scalzo
studio d’efficacia della terapia con eswt nella
spalla dolorosa. risultati preliminari
giovanni taveggia
022 - pag. 59
012 - pag. 53
emofilia e riabiliazione: alcune osservazioni
francesca franzè, luigi scalzo
013 - pag. 53
trattamento del dolore nella riabilitazione
dopo impianto di artroprotesi di ginocchio:
l’efficacia della regolazione biologica cellulare
(bcr) mediante microcorrenti
matteo orfei, luigi alunni ciubini, stefano baci paci,
andrea guglielmi
management della spalla dolorosa mediante
ecotomografia
giovanni taveggia, francesca vavassori, daniela arnoldi
023 - pag. 60
ergonomia occupazionale: indagine sul rischio
da sovraccarico biomeccanico del rachide
del personale che opera nelle strutture di
riabilitazione residenziali
giacomo francesco forte, serena urbano, serena filoni
Vol. 30 - N. 2/3 - GIORNALE ITALIANO DI MEDICINA RIABILITATIVA - MR
III
44° CONGRESSO NAZIONALE SIMFER
025 - pag. 60
038 - pag. 66
massimo bacchini, claudio rovacchi, michele rossi
federica lipanje, elena bocin, valeria dialti,
mariacristina dominutti, sabrina foramiti, aldo iengo,
arianna michelutti, silva polentarutti, francesca
capone, leo iona, agostino zampa
trattamento emg dinamica-guidato di
anterocollis in malattia di parkinson con tossina
botulinica e riabilitazione
026 - pag. 61
efficacia del trattamento con campi magnetici
ultradeboli nei ritardi di consolidazione e nelle
pseudoartrosi in esito a fratture scheletriche
degli arti: protocollo di studio e risultati
preliminari
la presa in carico riabilitativa precoce successiva
alla chirurgia del seno per carcinoma mammario
039 - pag. 67
power sprint: un nuovo dispositivo per
l’allenamento e il riallenamento dello sprint
nel calcio
carlo zanetti
elisa taglione, massimo amitrano, generoso della polla,
ketty del testa, ornella pierini, anna rita mirarchi,
giuseppe calvosa, paolo catitti
040 - pag. 67
027 - pag. 62
paola colombo, chiara mulè, giovanni taveggia
monitoraggio radiografico della tendinopatia
calcifica di spalla trattata con onde d’urto
giacomo farì, angela notarnicola, ilaria covelli,
alessandra fiore, marisa megna, biagio moretti
028 - pag. 62
efficacia di due differenti trattamenti
riabilitativi intensivi (con e senza lokomat®) in
pazienti con paralisi sopranucleare progressiva
ilaria clerici, fabiola bossio, laura gobbi, letizia spina,
davide ferrazzoli, gianni pezzoli, margherita canesi,
daniele volpe, giuseppe frazzitta
029 - pag. 63
percorso assistenziale - riabilitativo in paziente
con mielinolisi pontina centrale post trapianto
epatico: case report
paolo amico, antonio turitto, stefano lafranceschina,
pietro fiore, marisa megna
030 - pag. 63
onde d’urto nel trattamento delle tendinopatie:
quali i fattori prognostici di successo e
insuccesso?
alessandra fiore, angela notarnicola, ilaria covelli,
giacomo farì, marisa megna, biagio moretti
031 - pag. 64
la cartella riabilitativa come strumento
documentale e di integrazione professionale:
l’esperienza del team riabilitativo dell’asl bt
la mindfulness nel trattamento del dolore
lombare cronico: case report
041 - pag. 68
riabilitazione del cammino con esoscheletro
motorizzato in persone con lesione midollare
completa
giulia stampacchia, alessandro rustici, samuele bigazzi,
adriana gerini, carla d’avino, alessandra franchini,
stefano mazzoleni, tullia tombini
042 - pag. 68
efficacia di esoscheletro hbp nel miglioramento
del pattern del cammino nei pazienti affetti da
malattia di parkinson
lucia delpini
045 - pag. 69
da un protocollo di validazione di misure di
outcome a un possibile modello di strategia
riabilitativa nella cmt
luca padua, daniele coraci, costanza pazzaglia,
davide pareyson, angelo schenone, alessia aiello, gian
maria fabrizi, tiziana cavallaro, lucio santoro, fiore
manganelli, franco gemignani, francesca vitetta, aldo
quattrone0, anna mazzeo, massimo russo, giuseppe vita
046 - pag. 70
utilizzo dell’irrigazione trans-anale peristeen:
follow-up a 3 anni
angela costa, michele pennisi, maria pia onesta
048 - pag. 70
procedura per l’intervento di rieducazione
respiratoria pre e post-operatoria in pazienti
affetti da patologia maggiore addominale
maria ripesi, pasqua scaringella, francesca cuonzo,
mario santalucia
marco mario brocardo, nicole paillex, cristina casalino
034 - pag. 64
049 - pag. 71
tecarterapia nella lombalgia: studio clinico
sperimentale
ilaria covelli, angela notarnicola, alessandra fiore,
giacomo farì, marisa megna, biagio moretti
036 - pag. 65
recupero dell’alimentazione orale in pazienti
tracheostomizzati disfagici
mirella boselli, ilaria scola, giada de luca, giuseppina
zonca, ercole zanotti, caterina guarnaschelli
037 - pag. 66
recupero dell’alimentazione orale in pazienti
con gca vascolare tracheostomizzati: follow up
a 12 mesi
mirella boselli, ilaria scola, giuseppina zonca, roberto
maestri, caterina guarnaschelli
IV
trattamento endourologico della calcolosi
renale nei pazienti con lesione midollare (sci):
esperienza di un singolo centro
angela costa, letterio d’arrigo, michele pennisi, maria
pia onesta
050 - pag. 71
variabilità ecografica nella malattia di charcotmarie-tooth. utilità diagnostiche e riabilitative
daniele coraci, luca padua, marta lucchetta, ilaria
paolasso, costanza pazzaglia, giuseppe granata, mario
cacciavillani, marco luigetti, fiore manganelli, giuseppe
piscosquito, davide pareyson, chiara briani
051 - pag. 72
la gait analisys e riabilitazione custom made
dopo protesi di ginocchio
luigi di bisceglie
Vol. 30 - N. 2/3 - GIORNALE ITALIANO DI MEDICINA RIABILITATIVA - MR
44° CONGRESSO NAZIONALE SIMFER
052 - pag. 73
067 - pag. 79
luigi di bisceglie, maria cusmai
alessandro de sire, immacolata fatatis, antimo moretti,
dario calafiore, letizia stefano, francesca gimigliano,
giovanni iolascon, raffaele gimigliano
caso clinico:gestione integrata di paziente con
frattura laterale del femore da osteoporosi
severa
057 - pag. 73
il trattamento conservativo dell’ipercifosi con
corsetto ed esercizi: uno studio osservazionale
retrospettivo a coorte
salvatore minnella, sabrina donzelli, monia lusini, fabio
zaina, michele romano, alessandra negrini, stefano
negrini
058 - pag. 74
la riabilitazione influenza la qualità di vita in
adolescenti affetti da scoliosi idiopatica lievemoderata? studio prospettico di coorte
068 - pag. 80
valutazione del dolore, della funzione
muscolare e della disabilità dell’arto superiore
in termini di icf in donne in post-menopausa
affette da rizoartrosi: cross-sectional study
marco paoletta, antimo moretti, maria teresa giamattei,
alessandro de sire, francesca gimigliano, giovanni
iolascon, raffaele gimigliano
non solo la compliance, ma anche la costanza
nell’ indossamento del corsetto migliora i
risultati a breve termine: uno studio prospettico
sul thermobrace
069 - pag. 80
059 - pag. 74
dario calafiore, alessandro de sire, antimo moretti,
maria francesca siani, francesca gimigliano, giovanni
iolascon, raffaele gimigliano
sabrina donzelli, monia lusini, salvatore minnella, fabio
zaina, stefano negrini
utilizzo dell’icf rehabilitation set nelle scuole
di specializzazione italiane in medicina fisica e
riabilitativa. progetto simfer specializzandi 2016
alessandro de sire, irene maghini, marco gastaldo,
andrea pasquini, marco paoletta, francesca gimigliano
060 - pag. 75
il calcifediolo influenza efficacemente i
livelli sierici di 25-idrossi-vitamina d3, la forza
muscolare e la perfomance fisica in donne in
post-menopausa? studio prospettico di coorte
070 - pag. 81
performance motoria in donne in post-menopausa
a differente rischio di caduta: dati preliminari
del progetto gismo “massa ossea, funzione
muscolare e cadute”
lidocaina cerotto 5% nella spalla dolorosa del
nuotatore
raffaella frascella
ilaria domenica amico, alessandro de sire, antimo
moretti, iolanda di donato, letizia stefano, francesca
gimigliano, giovanni iolascon, raffaele gimigliano
061 - pag. 76
071 - pag. 81
customer satisfaction e qualità in riabilitazione
michele cannone, giuseppe pio pompilio, giovanna
troiano, giacomo francesco forte
studio di efficacia dell’impiego in programma
fisioterapico di ossicodone/naloxone in due
differenti dosaggi in pazienti con lombalgia
cronica riacutizzata non deficitaria
stefano gargano
062 - pag. 76
identificazione e presa in carico del paziente con
frattura da fragilitá: esperienza e risultati di un
pdta(r)
alberto piazza
063 - pag. 77
tapentadolo pr in pazienti con dolore pre e post
intervento di alluce valgo
alessio acerra, diego di marcantonio, anellina camera
064 - pag. 77
ruolo fondamentale dell’attività fisica adattata
nel mantenimento dei risultati post trattamento
con trasferimento di energia capacitivo resistivo
in pazienti affetti da lombosciatalgia
gennaro cassatella, elisenko suti, raffaele santoro,
antonella cavallaro, luigi pileo, natascia di iorio,
annalisa frisardi, emanuele francesco russo, serena
filoni
065 - pag. 78
adeguatezza dell’ausilio e qualità della vita nei
pazienti in carrozzina
daniela armillotta, venanzio gorgoglione, leonardo
volpe, serena filoni
072 - pag. 82
valutazione della sicurezza ed efficacia
di lidocaina cerotto 5% nel trattamento
del dolore superficiale e localizzato postintervento chirurgico
marco ceccarelli
073 - pag. 83
case report su un approccio integrato al
trattamento della disfagia tramite nmes
de bonis elena, maria antonietta ritrovato, filomena
vergura, daniela armillotta, laura bonghi, maria teresa
gatta, michele cannone, serena filoni
074 - pag. 83
impatto dell’irrigazione retrograda del colon
sulla qualità di vita in pazienti con disfunzione
intestinale di natura neurologica
laura bonghi, maria teresa gatta, caterina di blasio,
michele pompilio, venanzio gorgoglione, serena filoni
077 - pag. 84
impiego di diatermia e vibrazione nel
dolore lombare cronico aspecifico: studio
randomizzato controllato
antonio ammendolia, davide marchese, alessio de santis
066 - pag. 78
la massa e la perfomance muscolare delle
donne in post-menopausa sono efficacemente
influenzate dall’ipovitaminosi d e/o dall’obesità?
studio retrospettivo caso-controllo
alessandro de sire, dario calafiore, antimo moretti,
emanuela covella, francesca gimigliano, giovanni
iolascon, raffaele gimigliano
078 - pag. 84
management della disfagia in tetraplegia da
spinal cord injury dall’ospedale al territorio: un
case report
giuseppa lagioia, giovanna cristella, laura macchia,
luisa de palma, patrizia dicillo, giuseppina frasca, pietro
fiore
Vol. 30 - N. 2/3 - GIORNALE ITALIANO DI MEDICINA RIABILITATIVA - MR
V
44° CONGRESSO NAZIONALE SIMFER
079 - pag. 85
090 - pag. 91
marisa megna, alfonso camporeale, alessio matinelli,
anna claudia del re, giancarlo ianieri, riccardo
marvulli, pietro fiore
marco andreoli, maria grazia cattaneo, mariuccia
franzoni, elena berta
080 - pag. 86
091 - pag. 92
elena recubini, antonella ianni, antonella di iulio,
michele di lella, florida flocco, vitalma liotti, isidoro
pesare, carlo d’aurizio
marco andreoli, maria grazia cattaneo, mariuccia
franzoni, elena berta
trattamento riabilitativo multimodale negli
esiti di avulsione totale del tendine distale del
muscolo bicipite brachiale
riabilitazione respiratoria nel paziente con bpco
riacutizzata
081 - pag. 87
idrochinesiterapia: case report di una
paziente con resezione artroplastica secondo
girdlestone bilaterale
sofia de grandi, maurizio lopresti, anna gallo, diego
contro, alessandro tomba, lorenzo panella
082 - pag. 87
il modello dipartimentale riabilitativo
dell’azienda ulss 12 veneziana nell’integrazione
ospedale-territorio
alessandro boccignone
083 - pag. 88
la via topica nell’approccio multimodale al
trattamento conservativo della sindrome del
tunnel carpale
gregorio deinite, orazio lucio fabio ragusa
084 - pag. 89
lidocaina cerotto 5% nel trattamento del
dolore da lesioni costali post-traumatiche
orazio lucio fabio ragusa, gregorio deinite
085 - pag. 89
il recupero della mobilità articolare dopo
riparazione artroscopica di cuffia dei rotatori
rosanna izzo, giovanni pintabona, vittorio candela,
stefano gumina, riccardo savastano, valter santilli
087 - pag. 89
risultati finali dei trattamenti effettuati con
onde d’urto eseguiti su pazienti con patologia
tendinea in associazione e non a specifica
integrazione alimentare (eutend)
franco franzè, roberta la fauci, de roberto salvatore,
giancarlo rando
088 - pag. 90
la riabilitazione tecnologico-robotica dell’arto
superiore in pazienti con esiti di stroke in fase
subacuta mediante un set di dispositivi robotici
ed elettromeccanici: studio pilota
disfagie severe da lesioni periferiche
postchirurgiche dei nervi cranici: esperienza
di trattamento riabilitativo combinato con
elettrostimolazione
disfagia, respirazione, stimolazioni pressorie ed
elettrostimolazione: alcune esperienze a esine
092 - pag. 93
il protocollo andreoli/franzoni per il
trattamento riabilitativo combinato della
disfagia con elettrostimolazione
marco andreoli, maria grazia cattaneo, mariuccia
franzoni, elena berta
093 - pag. 93
le nuove frontiere del trattamento riabilitativo
combinato della disfagia
marco andreoli, maria grazia cattaneo, mariuccia
franzoni, elena berta
094 - pag. 94
efficacia della terapia con onde d’urto focali
sull’intensità e l’impatto del dolore sulle adl e
sulla qualità di vita nei pazienti con patologie
muscolo-scheletriche: studio longitudinale
prospettico
letizia stefano, guido pellegrino, antimo moretti,
francesca gimigliano, giovanni iolascon, raffaele
gimigliano
095 - pag. 95
applicazione della metodica di di “trunk
restraint “ in pazienti emiplegici
franco franzè, claudia herrera
096 - pag. 95
proposta di protocollo afa in pazienti con
disabilità di origine neurologica
deborah bartolo, emma lepiane, raffaele longo elia,
gerardo de scorpio, lidia fratto, gabriella amendola,
antonio ammendolia, maurizio iocco
097 - pag. 96
studio sul coinvolgimento degli organi tendinei
del golgi nella tendinopatia della porzione
centrale dell’achilleo
luisa perasso, laura mori, lucio marinelli, carlo
trompetto, emanuela faelli, giulio basso, filippo
d’epifanio, alessandro giannini, piero ruggeri
099 - pag. 96
effetti della mesoterapia con soluzione
fisiologica nel trattamento del dolore cronico
aspecifico del rachide
irene aprile, marco germanotta, arianna cruciani,
cristiano pecchioli, pietro spinelli, simona loreti, luca
padua
paola emilia ferrara, rossella viscito, gianpaolo
ronconi, romina pascuzzo, eugenia rosulescu, concetta
ljoca, loredana maggi, calogero foti
089 - pag. 91
100 - pag. 97
ottimizzazione del recupero funzionale in
pazienti con displasia congenita dell’anca :
un percorso innovativo per la ricostruzione
articolare e la riabilitazione
maria grazia benedetti, lorenzo cavazzuti, marilina
amabile, silvia bonfiglioli stagni, fulvia taddei,
giordano valente
VI
il ruolo del fisioterapista nella presa in carico
di pazienti con patologia oncologica attiva
in reparto dedicato, con confronto storico e
concorrente
monia allisen accogli, monica denti, sergio borghi,
giulia cappelletti, stefania costi, lisa erriu, stefania
fugazzaro, claudio tedeschi
Vol. 30 - N. 2/3 - GIORNALE ITALIANO DI MEDICINA RIABILITATIVA - MR
44° CONGRESSO NAZIONALE SIMFER
101 - pag. 98
110 - pag. 104
goal-setting collaborativo e piani d’azione in
un percorso di educazione terapeutica per il
paziente con ictus in fase riabilitativa
monica denti
102 - pag. 98
la combinazione di medicina manuale e craniocorpo-grafia nella diagnosi di trattamento
della sindrome cervicale superiore
dario carlo alpini, valentina mattei, manuela de munari,
guido brugnoni
103 - pag. 99
il laboratorio di analisi del cammino quale
proposta diagnostica innovativa
chiara basile, silvia magnani, piero galasso, anna
elisabetta cifani, sandro zucchi, antonio bray, raoul
saggini
104 - pag. 100
fattori clinici che influenzano la presa in
carico riabilitativa dei pazienti con esiti di grave
cerebrolesione acquisita
giuseppina franzone, francesca abbondanza, donatello
ammaturo, alfonsina casalena, marco d’amico, christine
de acetis, anna matani, elena recubini
105 - pag. 100
modelli organizzativi per intensità di cure:
l’ufficio ricoveri e la giusta allocazione per
l’appropriatezza dei ricoveri in riabilitazione
intensiva
biagio campana, salvatore riccardo brancaccio, aniello
laise, gabriele speranza, massimo colella, alba delli
gatti, giovanni vastola
106 - pag. 101
impiego del kinesiotaping nel trattamento del
linfedema secondario: case report
associazione fra dolore e parametri di
composizione corporea valutati con
impedenziometria in pazienti sottoposti a
programma riabilitativo dopo intervento di
protesi di ginocchio
anna gallo, alessandro tomba, diego contro, sofia de
grandi, claudia roman, maurizio lopresti, antonello
valerio caserta, lorenzo panella
111 - pag. 104
proposta di un protocollo di valutazione dello
sviluppo prassico tipico nella seconda infanzia:
dati preliminari
alessandra crecchi, alessandra tozzini, elena maria de
feo, donata maria frino, rita tavella, giulia montigiani,
federica orlandi, lucia briscese, bruno rossi, maria
chiara carboncini, luca bonfiglio
112 - pag. 105
le scoliosi nel territorio sanitario tarantino: la
nostra esperienza
annamaria terlizzi
113 - pag. 105
valutazione dell’effetto del programma
riabilitativo intensivo sul recupero motorio
nella fase tardiva delle gca
giovanni pietro salvi, laura manzoni, laura smirni,
chiara russo, marcello simonini, fabrizio togni,
annamaria quarenghi
114 - pag. 106
tecnologia avanzata nella riabilitazione dopo
lesione totale del tendine d’achille
deborah bartolo, eleonora sannia, roberto claudio
meliadò, carmelo latella, gabriella amendola, antonio
ammendolia, maurizio iocco
115 - pag. 106
cervicalgia e disturbi temporo-mandibolari:
quali relazioni? revisione della letteratura
oriana d’esposito, antonio ammendolia, mariateresa
inzitari, maurizio iocco
claudio secci, marco monticone
107 - pag. 101
116 - pag. 107
riabilitazione con stimolazione ritmicoacustica: effetti su 32 persone con malattia di
parkinson
roberta pili, mauro murgia, federica corona,
massimiliano pau, marco guicciardi, carlo casula
108 - pag. 102
spalla dolorosa e parkinson: ruolo dell’analisi
cinematica
oriana d’esposito, antonio ammendolia, gionata
fragomeni, angela carbone, angelo indino, gerardo de
scorpio, maurizio iocco
109 - pag. 103
dolore neuropatico e comorbidità psichiatrica:
un case report
antonino michele previtera, rossella pagani, fabrizio
gervasoni
117 - pag. 108
studio osservazionale sull’azione farmacologica
di un’associazione di acido-alfa-lipoico, n-acetilcarnitina, superossidodismutasi extramel® e
vitamine del gruppo b (kardinal®) sul dolore
neuropatico
bruno corrado, roberto agostino cirillo, carmela
falzarano, antonio maione, francesco perna, francesco
salemme
valutazione della necessità percepita dal
paziente fratturato di femore del bisogno di
continuità di cure dopo la dimissione dalla
struttura riabilitativa intensiva “gaetano pinicto”
118 - pag. 109
diego contro, antonello valerio caserta, anna gallo,
sofia de grandi, carolina re zurla, claudia rioman,
lorenzo panella
elisa taglione, paolo catitti, emanuele de marco,
fabrizio pasqualetti, alberto rapalli, valentina squeri,
darwin g. caldwell, jody a. saglia
sperimentazione del dispositivo robotico arbot
nella riabilitazione della caviglia a seguito
di lesioni fratturative: risultati di uno studio
clinico randomizzato controllato
Vol. 30 - N. 2/3 - GIORNALE ITALIANO DI MEDICINA RIABILITATIVA - MR
VII
44° CONGRESSO NAZIONALE SIMFER
119 - pag. 109
l’efficacia dei nutraceutici nelle malattie
muscolari primitive: scoping review
stefania mozzillo, francesca russo, sara liguori, maria
francesca siani, antimo moretti, francesca gimigliano,
giovanni iolascon
120 - pag. 110
effetti a lungo termine della chirurgia
toracica sulla cinematica della parete toracoaddominale e sulla funzione polmonare
michelangelo morrone, sandra miccinilli, letizia vita,
pierluigi granone, sterzi silvia, stefano milighetti
121 - pag. 110
low back pain e terapia manuale: un contributo
originale
accursio miraglia, carmelo pirri, andrea sorbino,
alessandra montagna, cinzia bonanni, calogero foti1)
122 - pag. 111
130 - pag. 116
la caratterizzazione dei disturbi del sonno nei
pazienti con stroke cronico: studio di coorte
maria teresa giamattei, antimo moretti, claudio curci,
francesca gimigliano, giovanni iolascon
131 - pag. 116
il genere come fattore prognostico nella
riabilitazione del dolore cervicale
stefano monami, marcello villeggia, francesco papalia,
cristina meleleo, giovanni martino, simona fattori
132 - pag. 117
controllo del dolore e della spasticità nei
pazienti con paralisi cerebrale infantile: il
ruolo dell’impianto di pompa al baclofen e della
rizotomia dorsale selettiva
anna bruna ronchetti, luca doglio, monica cella,
elisabetta traverso, paolo moretti
classificare gli interventi riabilitativi:
applicazione pratica della treatment theory
e della enablement theory in pazienti con
spasticità
133 - pag. 117
vitalma liotti, florida flocco, isidoro pesare, elena
recubini, carlo d’aurizio
alessandra del felice, anna bosco, elena demertzis,
laura bernardi, emanuela formaggio, federica izzi,
stefano masiero
123 - pag. 112
134 - pag. 118
incontinenza urinaria e qualità della vita in
pazienti oncologici sottoposti a prostatectomia
radicale
dario calafiore, lucia di capua, monica pinto
125 - pag. 112
perturbazioni posturali continue e prevedibili
nella malattia di parkinson: un metodo per
studiare l’adattamento delle risposte posturali
e per migliorare l’equilibrio
antonio nardone, paola morlino, ilaria arcolin, marica
giardini, simone guglielmetti, marco schieppati
126 - pag. 113
trattamento con radiofrequenza pulsata
endoarticolare nella rizartrosi: valutazione
clinica e strumentale
ilaria da rold, ernesta magistroni, valter verna, giuseppe
massazza
127 - pag. 114
efficacia di un’adeguata terapia antalgica postchirurgica nella presa in carico riabilitativa
precoce delle fratture del collo del femore in
età geriatrica
claudia zanetti, janis ruggeri, davide romiti, cosimo
costantino
128 - pag. 114
linfedema post-mastectomia: proposta di
percorso terapeutico territoriale
vitalma liotti, francesco ciardone, marzia damiani,
nadia di cesare, rosella occhiolini, carlo d’aurizio
129 - pag. 115
malnutrizione in pazienti afferenti ad un ciclo
di riabilitazione cardiologica residenziale:
prevalenza, associazione con capacità funzionale
e con l’outcome riabilitativo
mattia nisi, rocco lagioia, pietro fiore, giuseppina
fumarulo, andrea passantino
VIII
analisi quantitativa dell’attività eeg durante
mobilizzazione robot-assistita
indicatori di recupero funzionale nella
riabilitazione robotica dell’arto superiore della
persona con esiti di stroke
stefano paravati, daniele galafate, simone criscuolo,
debora gabbani, domenica le pera, carlo damiani,
francesco de pisi, marco franceschini
135 - pag. 119
proposta di una nuova classificazione
diagnostica del dolore benigno di origine
lombo-sacrale: riproducibilità inter-operatore
guido brugnoni
136 - pag. 119
utilizzo di un’applicazione per tablet per la
valutazione del neglect in pazienti affetti da
stroke acuto: studio pilota
francesca pianu, andrea montis, maurizio melis, valter
santilli
137 - pag. 120
trattamento con radiofrequenza pulsata nel
dolore neuropatico da lesione nervosa periferica
post-trauma. primi risultati
ernesta magistroni
138 - pag. 120
qualità di vita in pazienti con sclerosi multipla:
studio di correlazione con caratteristiche
cliniche di malattia e misure di menomazionedisabilità
roberta benedetti, crecchi alessandra, maria elisabetta
girò, simone capitani, maria chiara carboncini
139 - pag. 121
action observation treatment in riabilitazione
ortopedica: studio clinico e neurofisiologico
alessandra del felice, leonora castiglia, antonio
frizziero, martina galletti, stefano masiero
Vol. 30 - N. 2/3 - GIORNALE ITALIANO DI MEDICINA RIABILITATIVA - MR
44° CONGRESSO NAZIONALE SIMFER
140 - pag. 122
uso del treadmill antigravitazionale nel
trattamento riabilitativo neuromotorio del
paziente ictato. case report
pietro paladino, federico marrazzo, nicola lioi, biagio
camapana, giovanni vastola, raffaele gimigliano
141 - pag. 122
pattern del cammino nella sindrome di dravet:
risultati preliminari di uno studio multicentrico
longitudinale prospettico
alessandra del felice, elisa spagnolo, maria grazia
benedetti, alberto rigato, giulia bellon, ann hallemans,
francesca ragona, francesca darra, marilena vecchi,
erika giannotti, stefano masiero
142 - pag. 123
esperienza riabilitativa dell’incontinenza
urinaria da sforzo e d’urgenza presso
l’ambulatorio dedicato dell’ospedale di esine,
asst valcamonica
paolo stofler, sara bertoletti, maria grazia cattaneo
149 - pag. 128
interazioni farmacologiche tra denosumab e
warfarin in pazienti osteoporotici
antonio panuccio, gianluca sottilotta, vincenzo
polimeni, f. branca, roberto dattola, nadia mammone
150 - pag. 129
il ruolo dell’ecografia e
dell’elettrostimolazione nell’inoculo di
tossina botulinica per trattamento focale della
spasticità: outcome clinico e ricerca del punto
motore
monica balugani, romina galvani, efstathios
papanastasiou, antonio de tanti, cosimo costantino
151 - pag. 130
efficacia di un campo magnetico a bassa
frequenza ed alta intensità (biomag) nel
trattamento del dolore e nella riabilitazione
della gonartrosi
emilio battisti, antonietta albanese, laura bianciardi,
antonio montella, nicola giordano
153 - pag. 130
143 - pag. 124
esperienza riabilitativa dell’incontinenza
urinaria in pazienti affetti da sclerosi multipla
(ospedale di esine, asst valcamonica)
paolo stofler, sara bertoletti, maria grazia cattaneo
144 - pag. 124
la riabilitazione nelle unita’ di terapia intensiva
(uti): valutazione di applicabilità e adesione alle
linee guida di un percorso di presa in carico
interdisciplinare
alice chiarici, michela coccia, oletta serpilli, matteo
andreolini, silvia tedesco, giovanni pomponio, claudio
martini, roberto papa, maria gabriella ceravolo
145 - pag. 125
igiene e preventiva nel paziente ictato cronico: il
caso della vitamina dopo le recenti correlazioni
tra prevenzione di ictus e sua ssunzione. studio
multicentrico, dati preliminari
valutazione dell’efficacia del trattamento
riabilitativo post- inoculazione di tba in pazienti
con spasticita’ associata a dolore
maria giovanna caruso, angelo indino, attilio morrone,
lidia fratto, roberto claudio meliadò, antonio
ammendolia, gerardo de scorpio, maurizio iocco
154 - pag. 131
tossina botulinica di tipo a nel management
della scialorrea in pazienti con sclerosi laterale
amiotrofica (sla)
riccardo marvulli, giancarlo ianieri, daniela canniello,
maria dargenio, lucia mastromauro, ersilia romanelli,
grazia de venuto, rosanna lerario, giulia alessia gallo,
rocco cortese, pietro fiore, marisa megna
155 - pag. 132
effetti del trattamento combinato di
radiofrequenza raffreddata e fisiochinesiterapia
in pazienti con gonartrosi grave non operabile:
risultati preliminari
Daniele Ferrucci - Francesco Forte - Alfonso Maria Forte
- Vincenzo De Franco - Luigi Di Lorenzo
enrica scalisi, elisa bettoni, carlo mariconda
146 - pag. 126
156 - pag. 132
impatto della vibrazione corporea (wbv) nel
trattamento rieducativo delle disfunzioni
pelviche nell’incontinenza urinaria da sforzo
michela bossa, laura giordani, leonardo pellicciari,
puggini diana, daniela caramazza, emilio piccione,
calogero foti
147 - pag. 127
valutazione degli outcomes del percorso
riabilitativo nel trattamento protesico in
pazienti con coxartrosi: indicatori di esito
patient-oriented e valutazione strumentale
cristina sava, andrea pasquini, cosimo costantino
148 - pag. 127
riabilitazione dell’ arto superiore paretico con
metodica bilateral transfer in pazienti colpiti da
stroke: uno studio controllato e randomizzato
con analisi fmri
carlo domenico ausenda, carla uggetti, cristina allera
longo, stefano tassile, gavina addis, marcello cadioli,
marta colombo, simona morlacchi, maurizio cariati,
cesare cerri
ict e riabilitazione dei disturbi cognitivi : il
progetto “casa amica” dell’a.s.o. di alessandria
salvatore petrozzino, roati gianfranco
157 - pag. 133
l’utilizzo del 6mwt come misura dell’impatto
cardiorespiratorio nel paziente con gca in
trattamento riabilitativo intensivo
salvatore petrozzino, rosario baio, michela bolla,
giulia spiotta, valeria ogliaro, francesca di rovasenda,
cristiana bacchetta, arianna mazzeo
158 - pag. 134
le storie delle persone con lesione midollare e
cerebrale. l’esperienza del d-h riabilitativo
salvatore petrozzino, manuela marchioni, gabriella
schierano, monica mantelli, patrizia valorio
159 - pag. 135
gli spazi verdi come criterio di eccellenza in
riabilitazione
salvatore petrozzino, fabrizio bologna, franca
bozzetto, alessandra vaglienti, rosa perini, laura
accornero, silvia pagetti
Vol. 30 - N. 2/3 - GIORNALE ITALIANO DI MEDICINA RIABILITATIVA - MR
IX
44° CONGRESSO NAZIONALE SIMFER
160 - pag. 136
studio retrospettivo nell’area del piemonte
orientale sulla disabilità secondaria a lesione
spinale acquisita in età evolutiva. dati preliminari
salvatore petrozzino, luca perrero, monica mantelli,
patrizia valorio*, miriam meloni, valeria busto, manuela
moretti
161 - pag. 137
evoluzione delle capacità cognitive e della
disabilità in soggetti con malattia di parkinson
dopo dieci anni di stimolazione cerebrale
profonda del nucleo subtalamico
valentina bartolini, martina pigliapoco, elisa
andrenelli, riccardo antonio ricciuti, massimo
scerrati, maria gabriella ceravolo, marianna capecci
162 - pag. 138
kinesio-taping nel trattamento della
linfosclerosi e del dolore all’arto superiore
dopo chirurgia oncologica della mammella
170 - pag. 142
la valutazione funzionale e la prescrizione
dell’attività fisica nell’anziano
lisa berti, daniela platano, silvia muscari, laura di
gianni, cecilia sedioli, giada lullini
171 - pag. 142
cambiamenti del pattern neuromuscolare
degli arti inferiori indotti dall’utilizzo di
un esoscheletro robotizzato indossabile in
soggetti emiparetici in esiti di stroke
franco molteni, giulio gasperini, marina gaffuri,
maria colombo, chiara giovanzana, nico farina, chiara
lorenzon, stefano scarano, giovanni cannaviello,
eleonora guanziroli
172 - pag. 143
modificazione della capacità di deambulazione
indotta da training con esoscheletro
robotizzato indossabile in soggetti emiparetici
in esiti di stroke
sofia cimarelli, manuela marchegiani, rachele segretti,
alice chiarici, luca latini, cristina cameli, francesco
maracci, elisa andrenelli, maria gabriella ceravolo,
marianna capecci
franco molteni, giulio gasperini, marina gaffuri,
maria colombo, chiara giovanzana, nico farina, chiara
lorenzon, stefano scarano, giovanni cannaviello,
eleonora guanziroli
163 - pag. 138
173 - pag. 144
mauro casaleggio, giorgio zanasi, andrea casaleggio
alain rocco, gaetano rinaldi, rossano di donna, luigina
misiti, carmela selvaggi, domenico d’errico, simonetta
massafra, jessica veronica faroni
elaborazione di un trattamento intensivo
individuale di stabilizzazione vertebrale (core
stability ) per i pazienti lombalgici cronici
164 - pag. 139
dati di incidenza ed outcome di pazienti
portatori di germi mdr in un reparto di
riabilitazione intensiva
maurizio massucci, antonello nocella, giuliana
orecchini
165 - pag. 139
efficacia del trattamento con acido r-tioctico
nel paziente vasculopatico diabetico amputato di
coscia: case report
174 - pag. 144
outcome valutativo in pazienti affetti da
lombalgia da ernia discale trattati con ossigenoozono terapia
alain rocco, rossano di donna, luigina misiti, carmela
selvaggi, domenico d’errico, simonetta massafra, jessica
veronica faroni
teleconsulto e gestione della complessità
del paziente post ictus cerebri in medicina
riabilitativa
175 - pag. 145
166 - pag. 140
jula laura de sanctis, nicoletta cinone, giovanni
valeno, raffaele beatrice, luca spaziante, gianmichela
iamele, raffaella armiento, pietro fiore, maurizio
ranieri, andrea santamato
giancarlo pancucci, alfredo zambuto
176 - pag. 145
franco molteni, marina gaffuri, maurizio lanfranchi,
maurizio cazzaniga, giulio gasperini, mario guidotti,
nicoletta checcarelli
la valutazione posturale con spinometria:nostre
esperienze cliniche
167 - pag. 140
frequenza e fattori predittivi di caduta in
soggetti con malattia di parkinson
ruolo dei fattori predittivi di recupero dell’arto
superiore nell’outcome dei soggetti post stroke:
studio longitudinale osservazionale prospettico
dal shared care alla costruzione di strumenti
condivisi di passaggio di consegna un intervento
formativo multidisciplinare alla casa di cura
privata del policlinico dezza
lorenzo latini, francesco maracci, elisa andrenelli,
maria gabriella ceravolo, marianna capecci
raffaella balestrieri, annalisa corbo, giulia chiocchi,
annarita marturano, giovanni borri
168 - pag. 141
177 - pag. 146
effetto della stimolazione transcranica a
corrente diretta sul freezing della marcia in
soggetti con malattia di parkinson
francesco maracci, elisa andrenellli, chiara orni, maria
gabriella ceravolo, marianna capecci
169 - pag. 141
controllo assiale e cadute in soggetti con
malattia di parkinson dopo stimolazione
subtalamica bilaterale: studio longitudinale
strumentale con follow-up a 4 anni
renato rossi, federica giacomini, anna maria monsù,
elisa andrenelli, riccardo antonio ricciuti, massimo
scerrati, maria gabriella ceravolo, marianna capecci
X
analisi della compliance al trattamento
ortesico negli adolescenti affetti da scoliosi
idiopatica: l’esperienza della riabilitazione
ortopedica dell’azienda ospedaliera – università
di padova
leila bakdounes, irene maghini, giulia bellon, andrea
pignataro, mario ermani, marta rossella valent, stefano
masiero
178 - pag. 147
valutazione clinica e funzionale del piede
reumatico:approccio riabilitativo con
prescrizione di ortesi
giada lullini, laura di gianni, silvia muscari, lisa berti
Vol. 30 - N. 2/3 - GIORNALE ITALIANO DI MEDICINA RIABILITATIVA - MR
44° CONGRESSO NAZIONALE SIMFER
179 - pag. 148
la gait analysis nel dolore cronico lombare:
sinergia tra trattamento antalgico con
radiofrequenze sulla branca mediale delle
zygoapofisi vertebrali e valutazione fisiatrica
nel planning riabilitativo
angela lopopolo, vita palmisano, ersilia romanelli,
angela dantone, pietro fiore, marisa megna, sabino
mennuni, filomena puntillo, giuseppina lelli
180 - pag. 148
impatto sulla qualità di vita dell’approccio
riabilitativo integrato nel linfedema da
chirurgia oncologica mammaria
irene maghini, simonetta patrizia ruaro, antonio
carbone, lia zanetti, stefano masiero
181 - pag. 149
analisi biomeccanica del piede diabetico:
confronto clinico - funzionale tra pazienti
affetti da diabete mellito con e senza neuropatia
giada lullini, claudia giacomozzi, paolo caravaggi,
alberto leardini, lisa berti
182 - pag. 150
modalità di infusione complessa nella terapia
al baclofen intratecale per la gestione
della spasticità generalizzata: raccolta dati
multicentrica retrospettiva
nico farina, giulio gasperini, maurizio cazzaniga,
franco molteni
184 - pag. 150
stress percepito dagli operatori in medicina
fisica e riabilitazione
irene carnino, gianluca rosso, marco demasi, giuseppe
maina, giuseppe massazza, federica gamna
185 - pag. 151
anziani ultraottantenni osteoporotici. analisi
dei fattori di rischio di cadute: una casistica
ambulatoriale
domenico maria carlucci, marcello acciaro, anna rita
storelli
186 - pag. 152
il dolore neuropatico come problema
riabilitativo
donatella schettino
191 - pag. 155
esperienza nella gestione del dolore
neuropatico periferico con la biomesoterapia
vincenzo cinquepalmi, luigi di bisceglie
192 - pag. 156
studio comparato di efficacia delle vibrazioni
focali e della terapia manuale nel contenimento
della disabilità correlata a neuropatia diabetica
laura di biagio, davide santini, emanuela cinì, rita
traversetti, marianna capecci, maria gabriella ceravolo
193 - pag. 156
efficacia della vibrazione focale a 100 hz
sull’ipertono dell’arto superiore in soggetti con
esiti cronici post-ictus
luca latini, marzia millevolte, elisa andrenelli,
matteo ferretti, anna maria monsù, rita traversetti,
elisa capanna, ilaria barboni, marianna capecci, maria
gabriella ceravolo
194 - pag. 157
valutazione del profilo di sicurezza del
trattamento intra-articolare con ossigenoozonoterapia nell’artrosi di ginocchio: studio
randomizzato controllato
alessio baricich, davide stagno, carlo cisari, marco
invernizzi
195 - pag. 158
terapia occupazionale e rischio di cadute
nell’anziano
federico salvò, monica panigazzi, giacomo bazzini, elena
dalla toffola
196 - pag. 159
trattamento infiltrativo in
monosomministrazione singola di ha in pazienti
con gonartrosi: risultati a lungo termine
danilo canzio, giusy leone, filippo leone, santi maurizio
raineri, claudia paleologo, antonino giarratano
197 - pag. 159
l’educazione terapeutica al paziente con ictus
per migliorare il self-management e facilitare
il passaggio dall’ospedale al territorio: dati
preliminari dello studio lay - look after
yourself-
188 - pag. 153
roberta bardelli, stefania fugazzaro, monia allisen
accogli, alessandra altavilla, monica denti, gennaro
maisto, enrica cavalli, maddalena filippini, valentina
wolenski, donatella pagliacci, simona calugi, paola
rucci, laura dallolio, claudio tedeschi, stefano
cavazza, mariangela taricco
enio giuseppe mantellini
198 - pag. 160
187 - pag. 152
pdtar nell’obesità complicata
paolo capodaglio
la riabilitazione respiratoria: stato dell’arte e
casistica personale
189 - pag. 154
i metodi attivi nella supervisione
multidisciplinare in riabilitazione un’esperienza
pilota in neuro riabilitazione pediatrica della
casa di cura privata del policlinico dezza
raffaella balestrieri, annalisa corbo, giulia chiocchi,
annarita marturano
190 - pag. 155
la presa in carico mediante icf della persona con
vescica neurologica avviata all’autocateterismo
intermittente
vita palmisano, angela lopopolo, giuseppina frasca,
patrizia dicillo, laura macchia, giuseppina lagioia,
marisa megna, pietro fiore, luisa depalma
trattamento a lungo termine dell’emispasmo
faciale con alte dosi di tossina botulinica tipo a
(btx-a)
ersilia romanelli, lucia mastromauro, riccardo giuseppe
marvulli, grazia de venuto, giulia gallo, rossana
lerario, giacomo farì, antonio turitto, marisa megna,
pietro fiore, giancarlo ianieri
199 - pag. 161
efficacia di un training del cammino con
tecnologia robotica per l’arto inferiore (g-eo
system) in pazienti affetti da ictus in fase cronica:
studio pilota
luciano contrino, nicoletta bergaglio, francesco
cardinale, antonella focacci, greta nunziati, susanna
garbarino, pamela belloglio, valeria leoni
Vol. 30 - N. 2/3 - GIORNALE ITALIANO DI MEDICINA RIABILITATIVA - MR
XI
44° CONGRESSO NAZIONALE SIMFER
200 - pag. 161
213 - pag. 170
giuseppe falletta, lorenza lauricella, giulia letizia
mauro
ilaria baroncini - manuela marani - jessica cambiuzzi
- ivo cassani - lorenzo chiari - carlo taccone - sabato
mellone - jacopo bonavita
nostra esperienza nel trattamento riabilitativo
e farmacologico di una sonk (osteonecrosi di
ginocchio)
201 - pag. 162
tecnologie innovative e rete per tele-servizio
di riabilitazione: progetto head (human
empowerment aging and disability)
franco molteni
202 - pag. 163
ruolo della riabilitazione nella prevenzione
dell’artropatia emofilica
dalila scaturro, alice sparacino, valentina colombo,
carlo costanza, marcello sallì, lorenza lauricella,
giulia letizia mauro
stato dell’arte sulle scale di valutazione per il
controllo del tronco nella persona con lesione
midollare e prospettive future
214 - pag. 170
valore prognostico della crs-r nei pazienti con
gca in riabilitazione ad alta intensità
emilio portaccio, francesca cecchi, roberta boni, anita
paperini, chiara castagnoli, federica vannetti, guido
pasquini, claudio macchi
215 - pag. 171
studio comparativo tra trattamento cimt, terapia
robotica e fisioterapia tradizionale nella
riabilitazione dell’arto superiore in un gruppo di
bambini con esiti di cerebrolesione acquisita
203 - pag. 163
elena beretta, ambra cesareo, emilia biffi, roberta
morganti, sandra strazzer
giuseppe d’angelo, giuseppe falletta, giulia gullo,
salvatore friscia, dalila scaturro, marcello sallì,
lorenza lauricella, giulia letizia mauro
216 - pag. 172
il trattamento riabilitativo nella gonartrosi di
i-ii grado di kellgren: nostra esperienza
204 - pag. 164
recupero funzionale post pta: linee guida per il
set-up dell’altezza della stampella
palmina braccio, francesco esposito, marco freddolini,
leonardo latella, andrea corvi, massimiliano marcucci
205 - pag. 165
ruolo della tossina botulinica nella qualità di
vita dei pazienti dipendenti nelle adl e dei care
giver nelle paresi spastiche.
fausto crapanzano, rosario ciraulo, valeria runfola,
alfredo zambuto
benefici della riabilitazione omnicomprensiva
precoce nel paziente con prevalente disabilità
cardiaca
de michelis valter, ennio mantellini, patrizia valorio,
marco pizzorno, silvia bona, salvatore petrozzino
217 - pag. 172
efficacia dell’approccio strumentale nella
valutazione e nel trattamento dell’ipertono
spastico con tossina botulinica di tipo a (btx-a)
grazia de venuto, riccardo marvulli, giulia gallo,
lucia mastromauro, ersilia romanelli, rosanna lerario,
giacomo fari’, antonio turitto, pietro fiore, marisa
megna, giancarlo ianieri
206 - pag. 166
218 - pag. 173
carla assenza, claudia scarpini, eleonora petrucci,
carmelo pirri, concetta ljoka, calogero foti
ivano mattozzi
208 - pag. 166
219 - pag. 174
trattamento del dolore lombare cronico
mediante tecniche miofasciali
valutazione funzionale elettromiografica
isoinerziale della stabilità di spalla
caterina albensi, claudia scarpini, antonio giulio
spinelli, concetta ljoka, calogero foti
209 - pag. 167
non è un paese per vecchi: sfida al dolore
persistente e ricorrente della persona fragile,
tapentadolo e attività fisica adattata
sviluppo di nuovi biomarker nella prevenzione
del linfedema correlato a tumore della
mammella: una sfida multidisciplinare
marco invernizzi, nicola fusco, gianluca lopez,
donatella gambini, letterio runza, silvano bosari, carlo
cisari, alessio baricich
eterometria tra teorie e valutazione strumentale
valida. studio sul sistema npos (new postural
solution)
220 - pag. 174
210 - pag. 168
andrea bernetti, carmine attanasi, marco paoloni,
massimiliano mangone, francesco agostini, valter
santilli
vittorio marcelli
221 - pag. 175
asmaa mahmoud, luisanna basile, caterina albensi, paolo
abundo, morena marasco, calogero foti
il dolore miofasciale: confronto tra fibrolisi,
infiltrazioni e dry needling
211 - pag. 168
relazione tra postura e bone mineral density in
donne in post-menopausa: valutazione tramite
videorasterstereografia (spinometria)
la vitamina d nella percezione del dolore nella
sindrome fibromialgica
adriana de serio
musicoterapia e dolore in età evolutiva
chiara asaro, marcello sallì, lorenza lauricella, dalila
scaturro, giulia letizia mauro
212 - pag. 169
222 - pag. 176
rita capirossi
rosin claudio, marsilio saccavini, piero scrobogna,
manuela bidin, rym bednarova, luca miceli
biomarcatori prognostici per l’outcome
funzionale dolo lesione midollare: studio
preliminare su liquor cerebrospinale
XII
appropriatezza nel campo della lombosciatalgia:
il progetto minosse
Vol. 30 - N. 2/3 - GIORNALE ITALIANO DI MEDICINA RIABILITATIVA - MR
44° CONGRESSO NAZIONALE SIMFER
224 - pag. 176
235 - pag. 183
vaglienti alessandra, perini rosa, bozzetto franca,
accornero laura, salvatore petrozzino
rosa grazia bellomo, tommaso palermo, marco supplizi,
giovann barassi, raoul saggini
225 - pag. 177
236 - pag. 184
benefici della terapia orticolturale in
riabilitazione: autoefficacia, benessere percepito
e padronanza nel “fare”
alterazioni del tonotrofismo muscolare
nelle gravi cerebrolesioni acquisite:
esperienza sull’utilizzo del trattamento di
chemodenervazione con bont-a nella fase postacuta precoce
rocco iero, nicole paillex, maurizio beatrici, giuseppe
massazza
226 - pag. 178
chi ero, chi sono, chi sarò. il racconto della mia
storia tra mare e terra
efficacia della metodica neurac nella
riabilitazione del low back pain aspecifico
cronico
le onde acustiche meccano-sonore focalizzate
nel trattamento della cefalea cronica: studio
pilota
rosa grazia bellomo, giacomo melle, niki giannandrea,
simona maria carmignano, piera attilia di felice,
giovanni barassi, raoul saggini
237 - pag. 185
valutazione elettromiografica superficiale
(semg) dell’attivazione muscolare dell’arto
inferiore in soggetti sani durante esercizi con
medislipper 1000 plus
salvatore petrozzino, patrizia valorio, miriam meloni,
franca bozzetto
luca scarcella, petraglia federica, laura galuppo,
andrea ballotta, cosimo costantino
227 - pag. 178
238 - pag. 185
critical illness polyneuropathy: a case report
maria eleonora mantovani, irene maghini, stefano
masiero
228 - pag. 179
utilizzo della mesoterapia nel trattamento del
dolore nei pazienti con distonia cervicale: prove
di efficacia in un piccolo campione di soggetti
lucia briscese, luca bonfiglio, maria chiara carboncini
229 - pag. 179
neurofibromatosi-1: case report di una deformità
spinale atipica
andrea pignataro, irene maghini, stefano masiero
training locomotorio robotizzato con
esoscheletro (ekso-gt) in pazienti con
mielolesione incompleta motoria in setting
ospedaliero; risultati preliminari di uno studio
osservazionale, non controllato
enrica bonatti, silvia volini, claudio nalon, ilaria
baron cini, alessandra areni, giovanna ferrara, jacopo
bonavita
239 - pag. 186
il trattamento della spondilite anchilosante
vertebrale con eswt focalizzate: follow-up a 5
anni
raoul saggini, emilio ancona, rosa grazia bellomo
240 - pag. 186
230 - pag. 180
il linfedema post intervento alla mammella:
ruolo del trattamento con campi
elettromagnetici a bassa frequenza
lia zanetti, alessia longo, irene maghini, stefano
masiero
trattamento della cervicalgia e lombalgia da
sindrome miofasciale: diatermia c/r e mesoterapia
antalgica riabilitativa a confronto
rosa grazia bellomo, stefania d’ettole, giacomo melle,
giovanni barassi, raoul saggini
241 - pag. 187
231 - pag. 180
idrochinesiterapia post ricostruzione del
legamento deltoideo: un caso clinico
il progetto mobile assistance for groups
individuals within the community-stroke
rehabilitation (magic)
sebastiano ortu, elena aiello, francesco pisanu, marco
corda
rosa grazia bellomo, simona maria carmignano, ilaria
pecoraro, giovanni barassi, raoul saggini
232 - pag. 181
242 - pag. 188
basi neurofisiologiche nel disegno di programma
riabilitativo nella sindrome di pisa.
elena demertzis, alessandra del felice, emanuela
formaggio, stefano masiero, daniele volpe
233 - pag. 182
idrochinesiterapia nell’artroprotesi totale di
anca: uno studio retrospettivo
elena aiello, veronica amorese, francesco mariane,
eleonora grandolfo, francesco mattia uboldi
234 - pag. 182
la lettura dei processi biologici in chiave di
biofisica quantistica attraverso la metodica
bioexplorer
raoul saggini, daniele porto, antonello marco centra,
giovanni barassi, rosa grazia bellomo
il trattamento riabilitativo delle paralisi
cerebrali infantili: studio retrospettivo e
prospettico
rosa grazia bellomo, simona maria carmignano, emilio
ancona, stefania d’ettole, giuseppe giannuzzo, giovanni
barassi, raoul saggini
243 - pag. 188
riabilitazione e neuroplasticità in paziente con
malattia di parkinson: uno studio pilota
rosa grazia bellomo, simona maria carmignano, emilio
ancona, claudia barbato, giovanni barassi, raoul saggini,
laura bonanni, marco onofrj, stefano delli pizzi
244 - pag. 189
riabilitazione nell’osteoporosi del rachide
luigi di bisceglie, maria cusmai, marina di bisceglie,
antonello mecca
Vol. 30 - N. 2/3 - GIORNALE ITALIANO DI MEDICINA RIABILITATIVA - MR
XIII
44° CONGRESSO NAZIONALE SIMFER
245 - pag. 190
esperienza del ciac punto cliente - inail bari
nella fornitura di carrozzina autobilanciante
vincenzo castaldo, maria rosaria fracella, paola
allamprese, massimo rambaldi, rinaldo sacchetti
246 - pag. 190
studio bicentrico sulla complessità clinicoriabilitativa. valutazione dell’applicabilità della
rehabilitation complexity scale in relazione
alle scale di disabilità e comorbidità in regime di
riabilitazione
irene carnino
248 - pag. 191
256 - pag. 196
cartella clinica elettronica nei pazienti con
ictus: un approccio integrato al controllo dei
processi e degli esiti in degenza riabilitativa
sara ghirmai, carla corsini, giovanna cerina, viviana
colantonio, marco augusto maria pagani, bruno
bernardini, ornella lenocini, marco albini, daniele
alberio
257 - pag. 197
effetto della somministrazione di un
complesso di integratori alimentari a base di
insaponificabili di soia e avocado in pazienti
affetti da tendinopatia della cuffia dei rotatori:
prime esperienze
pietro fiore, giuseppina lelli, marta lisa falcicchio, elisa
schivardi, marisa megna
recupero muscolare e funzionale del cammino
e dell’equilibrio in pazienti sottoposti a
ricostruzione chirurgica del legamento
crociato anteriore con innesto autologo di
tendine gracile e semitendinoso e ricostruzione
legamentosa con legamenti artificiali (lars):
studio pilota in 39 pazienti
258 - pag. 197
andrea meschieri
luisa lombardi, manolo migliorini, claudia dini, fabio
galluzzi, patrizia lazzerini
249 - pag. 192
259 - pag. 198
antonello morgantini, lorena catena, loretta bacci,
tecla zaccari, lucia d’angelantonio, raffaello raspa,
alessandro silvano, davide pasqule lombrano
valentina lavermicocca, anna rita dellomonaco,
angela tedesco, marilina notarnicola, rosa mitolo,
pietro fiore, marisa megna
250 - pag. 192
260 - pag. 199
antonello morgantini, lorena catena, loretta bacci,
lucia d’angelantonio, tecla zaccari, raffaello raspa,
alessandro silvano, davide pasqule lombrano
bruno bernardini, elisa malagamba, luigi baratto
l’uso dell’ekso gt puo’modificare il cammino nei
pazienti con sclerosi multipla?
la riabilitazione del cammino post-ictus in
fase stabilizzata con esoscheletro: effetti del
cammino
251 - pag. 193
reinnervazione dell’arto superiore di un
paziente tetraplegico c6 attraverso una tripla
neurotizzazione: case report
la metodica amst nei pazienti in pta: verifica con
scale di valutazione
telemonitoraggio logopedico nella sindrome
dell’accento straniero
identificazione di un modello di lavoro per
la compilazione della scheda di dimissione
ospedaliera con specifici indicatori di
significato riabilitativo
261 - pag. 200
training dell’arto superiore mediante sistema di
sensori inerziali indossabili e serious games
silvia olivi
federica vannetti, gabriella de luca, anita paperini,
carlo baldini, francesca cecchi, claudio macchi, sonia
verdesca, assunta pizzi
252 - pag. 193
262 - pag. 200
giulia gallo
gabriele speranza, anna maria rivignani vaccari, maria
graziano, sara della mura, aniello primiano, salvatore
giugliano, maria calabria, giovanni prisco, pietro
ferrara
tossina botulinica tipo a nel trattamento della
spasticità muscolare degli arti inferiori in
bambini con esiti di paralisi cerebrali infantili
253 - pag. 194
l’impatto dei disturbi fono-articolatori e
cognitivo-linguistici sulla qualità di vita di
un paziente con forma atipica di pantothenate
kinese-associated neurodegeneration (pkan)
angela tedesco, anna rita dellomonaco, valentina
lavermicocca, marilina notarnicola, rosa mitolo,
pietro fiore, marisa megna
254 - pag. 195
terapia riabilitativa con realtà virtuale in
pazienti con protesizzazione di ginocchio: studio
randomizzato controllato
alessandra mattioni, stefano paravati, simone criscuolo,
marco franceschini, valter santilli, carlo damiani
255 - pag. 195
consapevolezza ed autopercezione della qualità
vocale in pazienti con malattia di parkinson:
confronto tra percezione soggettiva e
valutazione acustica-strumentale
anna rita dellomonaco
XIV
l’utilizzo del k -active taping nella pratica
sportiva. nostra esperienza
263 - pag. 201
prevalenza e fattori predittivi delle
ossificazioni eterotopiche nelle persone con
gravi cerebrolesioni acquisite (gca) accolte in
degenza riabilitativa: cross-sectional survey
luisa cavasin - federico scarponi - antonio de tanti donatella bonaiuti - anna estraneo - michelangelo
bartolo - stefano masiero - stefano bargellesi
264 - pag. 202
trattamento con denosumab in mastocitosi
sistemica indolente: case report
caterina esposto, chiara asaro, lorenza lauricella, giulia letizia mauro
265 - pag. 203
misunderstanding comunicativo: nuovi approcci
alle differenze multiculturali
gabriella schierano, patrizia valorio, alessandra
vaglienti, luisa calizzano, salvatore petrozzino
Vol. 30 - N. 2/3 - GIORNALE ITALIANO DI MEDICINA RIABILITATIVA - MR
44° CONGRESSO NAZIONALE SIMFER
266 - pag. 203
276 - pag. 210
grazia de venuto, riccardo marvulli, giulia gallo,
lucia mastromauro, ersilia romanelli, rosanna lerario,
giacomo fari’, antonio turitto, pietro fiore, marisa
megna, giancarlo ianieri
maria dargenio
efficacia dell’approccio strumentale nella
valutazione e nel trattamento dell’ipertono
spastico con tossina botulinica di tipo a (btx-a)
267 - pag. 204
structural changes in the spastic muscles: the
missing link between basic researchers and
clinicians. a “rehabilitation-oriented” narrative
review.
luigi di lorenzo, alfonso maria forte, francesco forte,
daniele ferrucci
268 - pag. 204
analisi strumentale del cammino con sistema gait
rite presso il laboratorio analisi del movimento
e della postura dell’u.o. medicina riabilitativa
inrca di ancona. report anni 2013-2015
giacomo ghetti, monica errani, renato baldoni,
giovanni riccardi, flora d’ambrosio, oriano mercante
269 - pag. 205
il dolore nel grosso braccio post-mastectomia
michelini s., cardone m., failla a., moneta g., fiorentino
a., cappellino f.
270 - pag. 206
efficacia del trattamento riabilitativo cognitivo
con software rehacom in pazienti con danno
cerebrale acquisito
277 - pag. 211
protocollo standard di analisi laboratoristiche
per osteoporosi in pazienti con frattura
di femore degenti in reparto di medicina
riabilitativa: report preliminare
giovanni renato riccardi, oriano mercante, cristiano
maria francucci, roberta galeazzi, patrizia giacchetti,
alessandro fiè, flora d’ambrosio
278 - pag. 211
sensori inerziali indossabili per l’analisi del
movimento umano
govanni morone, pietro picerno, marco iosa, stefano
paolucci
279 - pag. 212
criteri di appropriatezza di ricovero in
riabilitazione intensiva e metodo delphi: la prima
esperienza nazionale
rodolfo brianti, francesca rodà, luciana bevilacqua,
silvana castaldi, francesco auxilia, maurizio maini,
francesco lombardi
280 - pag. 212
esercizio terapeutico intradialitico: efficacia di
un protocollo sperimentale
metodologia integrata di musicoterapia e
gardenterapia per il dolore nell’età involutiva
adriana de serio, donato forenza
giovanni valeno, jula de sanctis, sara letizia, raffaella
armiento, raffaele beatrice, andrea santamato, maurizio
ranieri
271 - pag. 206
281 - pag. 216
efficacia della riabilitazione del cammino
assistita da sistemi robotici nella malattia di
parkinson: studio multicentrico randomizzato
controllato
disabilità, malattia rara e sport: indicazioni e
controindicazioni
francesco manfredi
domenica le pera, marco franceschini, fabrizio stocchi,
maria francesca de pandis, martina grugnetti, ivan sova,
maria gabriella ceravolo, marianna capecci
282 - pag. 216
272 - pag. 207
martina venturi, luca cecchetti, vincenzo spina,
emiliano ricciardi, francesco tomaiuolo, maria chiara
carboncini
risposta inconsueta a brusca sospensione di
baclofen intratecale in persone con lesioni
midollari
angelo paolo amico, grazia de venuto, giacomo fari’,
elisa schivardi, marina napolitano, catia mennuni,
mattia nisi, rossana d’argento, sabino damiani, marisa
megna, pietro fiore
273 - pag. 208
sensibilizzazione centrale e dolore cronico di
spalla
giampaolo de sena, felice sirico
274 - pag. 209
riorganizzazione dell’attività corticale dopo
training robotizzato del passo in pazienti in esiti
di ictus
franco molteni, anna bosco, eleonora guanziroli,
emanuela formaggio, stefano masiero, alessandra del
felice
275 - pag. 210
complicanze durante la degenza riabilitativa di
pazienti sottoposti a procedura di sostituzione
valvolare per via trans apicale o trans femorale
valter de michelis, sarah fraccarollo, ennio mantellini,
alessandro gatta, salvatore petrozzino
la valutazione radiologica del carico lesionale
in fase subacuta predice il recupero funzionale
nel paziente con esiti di trauma cranico
283 - pag. 217
le regole per la presa in carico riabilitativa
ospedale-territorio: percorso a domicilio
dedicato ai pazienti con esiti di frattura di
femore
martina venturi, antonella tuzzi, anna scrofani,
manuela vacca, angela valente, gabriele gazzarri
285 - pag. 218
un progetto della provincia autonoma di
trento e dell’u.o. di riabilitazione villa rosa di
trento per prolungare la permanenza al proprio
domicilio delle persone “fragili”
giovanni guandalini, patrizia ianes, barbara gasperini,
simone cecchetto, francesco de natale, nicola conci,
antonio frattari, mariolino de cecco, giandomenico
nollo, nunzia mazzini
286 - pag. 218
un servizio di consulenza con
videoaudioconferenza della u.o. di
riabilitazione di villa rosa per la valutazione e la
prescrizione di ausili nelle rsa
giovanni guandalini, barbara gasperini, denise sighel,
orietta paoli, simone cecchetto, annamaria corona,
nunzia mazzini
Vol. 30 - N. 2/3 - GIORNALE ITALIANO DI MEDICINA RIABILITATIVA - MR
XV
44° CONGRESSO NAZIONALE SIMFER
288 - pag. 219
percorso diagnostico terapeutico assistenziale
e riabilitativo nel paziente con esiti di ictus: i
principali fattori che influenzano la presa in
carico territoriale
martina venturi, antonella tuzzi, sabrina lippi, susanna
rolla, angela valente, bruno rossi, gabriele gazzarri
289 - pag. 219
acute effects on trunk alignment and joint
r.o.m. induced by the use of the postural shirt
“posture+ shirt
andrea raggi, luca russo
290 - pag. 220
approccio riabilitativo delle disfunzioni
neurogene dell’intestino
295 - pag. 222
progetto di riabilitazione precoce nel neonato
ad alto rischio per danno cerebrale nel reparto
di terapia intensiva neonatale
francesco m.e. cavallo, barbara carlucci
296 - pag. 223
presentazione progetto s.a.r.a. (servizio di
assistenza e rete per l’alzheimer)
pietro rotolo, paola cosmo, giovanna colella, maria
gabriele, annamaria sumerano, vita maria de tommasi
297 - pag. 224
la riabilitazione neuropsicologica nel setting
ambulatoriale: evidenze sull’efficacia nella
sanità abruzzese
massimo costa, vincenzo baldassarre, immacolata
quarto, giovanni guarcello
matteo corsano, elisa mancino, valeria fiocchetti,
tatiana d’ambrogio, piero angelo pietropaolo, ira dodaj,
filippo zulli
291 - pag. 220
298 - pag. 225
come si prescrivono gli ausili in italia: risultati
della survey della sez 24 e confronto tra i
percorsi strutturati
marina capovilla, nunzia mastrapasqua
292 - pag. 220
contest ricette: vincere la disfagia si può!
l’esperienza social del dysphagia team di piacenza
michela benvenuti, roberto antenucci, rossella
raggi, cecilia cardinali, barbara olizzi, silvia barbieri,
domenico cuda
293 - pag. 221
disfagia grave nella sindrome di wallenberg:
recupero della deglutizione mediante
utilizzo combinato di terapia logopedica
“convenzionale”, elettrostimolazione e iopi
rossella raggi, roberto antenucci, michela benvenuti,
gianpiero ferrari, domenico cuda
294 - pag. 222
rilevazione del segnale
elettrogastroenterografico in soggetti affetti
da grave cerebrolesione acquisita
maurizio lanfranchi, emanuela brambilla, cristina
gramigna, samuela canobbio, mauro rossini, franco
molteni
XVI
valutazione di esito e documentazione sanitaria
in riabilitazione nel territorio della asl1 umbria
maurizio massucci, andrea moretti, simone migliorati,
giancarlo martinelli
299 - pag. 225
efficacia del trattamento con plasters di
betamethasone valerato nell’epicondilite: studio
randomizzato controllato in doppio-cieco
antonio frizziero, filippo vittadini, araldo causero,
stefano bernasconi, rocco papalia, mario longo,
vincenzo sessa, francesco sadile, pasquale greco,
umberto tarantino, stefano masiero, stefano rovati0,
valeria frangione0
300 - pag. 226
fibromatosi plantare: il possibile ruolo delle
onde d’urto a bassa intensità (2 case-report)
antonio frizziero, michele barazzuol, filippo vittadini,
giuseppe gasparre, giulia bellon, andrea meneghini,
stefano masiero
301 - pag. 226
nostra esperienza sull’ utilizzo della pompa
diamagnetica nel trattamento di gonalgia posttraumatica: studio di un caso clinico
m. nisi, g. gallo, d. canniello, a.p. amico, s. mennuni, m.
megna, p. fiore
Vol. 30 - N. 2/3 - GIORNALE ITALIANO DI MEDICINA RIABILITATIVA - MR
44° CONGRESSO NAZIONALE SIMFER
004
005
PROTOCOLLO NEURORIABILITATIVO
AD HOC PER I PAZIENTI CON ATASSIA DI
FRIEDREICH
EFFICACIA DELLA VERTICALIZZAZIONE
PRECOCE CON “ERIGO” IN PAZIENTI CON
GRAVE CEREBROLESIONE ACQUISITA
RICOVERATI IN TERAPIA INTENSIVA
Irene Ciancarelli1, Daniela De Amicis2, Emilio Ciofani3,
Caterina Pistarini4
Dipartimento di Medicina Clinica, Sanità Pubblica, Scienze della Vita e dell’ambiente, Università degli Studi dell’Aquila, l’Aquila, Italia1
Dipartimento di Medicina Clinica, Sanità Pubblica, Scienze della Vita e dell’ambiente, Università degli Studi dell’Aquila, l’Aquila, Italia2
Casa di Cura di Riabilitazione Nova Salus, Clinica Convenzionata SSN, Trasacco (AQ), Italia3
Istituto di Ricerca, Fondazione Salvatore Maugeri, Pavia, Italia4
Introduzione. L’atassia di Friedreich è una malattia neurodegenerativa i cui sintomi clinici esordiscono in età pediatrico-adolescenziale
con disturbi della coordinazione del tronco e degli arti ed atassia
della marcia. Il decorso della malattia comporta una progressione
disabilitante con perdita completa dell’autonomia motoria e funzionale anche per la concomitante presenza di deformità scheletriche
e di gravi patologie cardiopolmonari. Allo stato attuale la terapia
farmacologica è solo sintomatica e pertanto la neuroriabilitazione ha
acquisito un ruolo primario nella gestione dei pazienti con atassia di
Friedreich per garantire il mantenimento dell’autonomia funzionale
e delle performance motorie residue al fine di migliore la qualità di
vita dei pazienti in relazione alla progressione della malattia.
Materiali e metodi. Sono stati arruolati 10 pazienti con atassia di
Friedreich che sono stati seguiti in regime di ricovero e valutati con
scale di valutazione del deficit neurologico (Klockgether Scale e
Nine-Hole Peg Test), delle performance motorie generali (Physical
Performance Test) e dell’autonomia funzionale (Barthel Index) somministrate all’inizio del primo ed al termine dell’ultimo ricovero; i
pazienti hanno effettuato tre cicli/anno, della durata di 3 settimane
ciascuno, di riabilitazione neuromotoria convenzionale intensiva associata ad un training quotidiano con Balance system. Lo Student’s
paired t-test è stato utilizzato per l’analisi statistica.
Risultati. Nei 10 pazienti (età media 26.9±8.2 anni) inclusi nello studio, le valutazioni eseguite all’inizio del primo ed al termine
dell’ultimo ricovero hanno evidenziato un incremento del punteggio
del Barthel Index da 75.0±14.9 a 85.0±16.7 (P<0.05) e del Physical
Performance Test da 15.4±6.9 a 20.2±8.6 (P<0.05) e punteggi invariati alla Klockgether Scale da 21.5±5.4 a 21.1±4.4 (P=0.522) ed al
Nine-Hole Peg Test da 55.9±3.1 a 58.0±1.9 sec (P=0.185).
Conclusioni. I risultati ottenuti suggeriscono che la riabilitazione
neuromotoria convenzionale intensiva condotta con cicli ripetuti
nell’arco di un anno può garantire un miglioramento dell’autonomia funzionale e delle performance motorie globali oltre che il mantenimento delle performance motorie più specificatamente compromesse nell’atassia di Friedreich ossia la motricità fine e l’atassia della
marcia, sostenendo una buona qualità di vita e riducendo il carico
assistenziale di questi pazienti.
Bibliografia
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5.
Maring JR, Croarkin E. Presentation and progression of Friedreich ataxia and
implications for physical therapist examination. Phys Ther: 87, 1687-96, 2007
Ciancarelli C, Cofini V, Carolei A. Evaluation of neuropsychological functions
in patients with Friedreich ataxia before and after cognitive therapy. Func Neuro 2010,25,81-85
Harris-Love MO, Lohmann Siegel K, Paul SM J, Benson K. Rehabilitation
management of Friedreich ataxia: lower extremity force-control variability and
gait performance. Neurorehabil Neural Repair: 18,117-24, 2004
Lynch DR, Farmer JM, Wilson RL, Balcer LJ. Performance measures in Friedreich ataxia: potential utility as clinical outcome tools. Mov Disord: 20,77782, 2005
Milne SC, Campagna EJ, Corben LA, Delatycki MB, Teo K, Churchyard AJ,
Haines TP. Retrospective study of the effects of inpatient rehabilitation on improving and maintaining functional independence in people with Friedreich
ataxia. Arch Phys Med Rehabil 2012,93:1860-3
Sara Maffia1, Ilaria Zivi1, Sara Bonini1, Alessio Zarucchi1,
Roberto Valsecchi1, Katia Molatore1, Giuseppe Frazzitta1,
Diana Matteri1, Giuseppe Ercoli1, Roberto Maestri2,
Leopold Saltuari3
Italia Hospital S.P.A, Ospedale Moriggia Pelascini, Gravedona ed Uniti, Italia1
Istituto Scientifico di Montescano, IRCCS Fondazione “S. Maugeri” - Dipartimento di Ingegneria Biomedica, Montescano, Italia2
Dipartimento di Neurologia, Ospedale di Hochzirl, Hochzirl, Austria3
Introduzione. La letteratura dimostra come l’attivazione di un percorso neuroriabilitativo in fase acuta di malattia in pazienti colpiti
da grave cerebrolesione acquisita (GCLA) sia ben tollerata e si associ
ad una miglior prognosi. Una precoce mobilizzazione aiuta infatti a
prevenire le complicanze secondarie all’allettamento e a migliorare
il livello di coscienza e partecipazione del paziente. Il nostro gruppo
ha già dimostrato come la precoce verticalizzazione già nel reparto di
Terapia Intensiva (TI) possa essere perseguita e realizzata in sicurezza
tramite “Erigo”, un tilt table che, grazie all’associazione con un dispositivo robotico in grado di indurre passivamente un movimento
steppante degli arti inferiori, consente di limitare eventi avversi di
natura prettamente ipotensiva. Scopo del presente studio è valutare
se un protocollo di verticalizzazione precoce tramite “Erigo”, confrontato con un programma di fisioterapia convenzionale, sia in grado di determinare un miglior outcome neurologico e funzionale in
pazienti affetti da disturbo di coscienza (DOC) secondario a GCLA.
Materiali e metodi. Sono stati reclutati 40 pazienti ricoverati presso il nostro reparto di TI con diagnosi di Stato Vegetativo o Stato
di Minima Coscienza conseguenti a GCLA (traumatica, vascolare,
anossica). Criteri di esclusione erano rappresentati da sedazione,
instabilità emodinamica o della pressione intracranica, pressione
di perfusione cerebrale <60 mmHg, fratture, piaghe da decubito.
I pazienti sono stati assegnati in maniera randomizzata al gruppo
sperimentale o a quello di controllo. Tutti hanno iniziato, tra il terzo
ed il quinto giorno dall’evento, un programma di 60 minuti/die di
fisioterapia convenzionale (5 giorni/settimana). Il gruppo sperimentale, una volta raggiunta la stabilità emodinamica, respiratoria ed
intracranica, ha iniziato un protocollo di verticalizzazione precoce
tra il terzo ed il trentesimo giorno dall’evento. Il protocollo prevede
15 sedute (5/settimana per 3 settimane) di 30 minuti di graduale
verticalizzazione ottenuta con Erigo (Hocoma, Svizzera). Nel periodo di verticalizzazione i pazienti del gruppo sperimentale hanno ricevuto solo 30 minuti al giorno di fisioterapia convenzionale, mentre il gruppo di controllo ha ricevuto 60 minuti/die di fisioterapia
convenzionale per tutta la durata della degenza in TI. Una volta
stabilizzati internisticamente, tutti i pazienti sono stati trasferiti nel
reparto di Neuroriabilitazione (NR), ove sono stati sottoposti ad un
percorso riabilitativo interdisciplinare, intensivo ed individualizzato
della durata di sei mesi. Tutti i pazienti sono stati valutati, da uno
sperimentatore in cieco rispetto al trattamento, tramite la somministrazione di 4 scale (Glasgow Coma Scale –GCS-, Disability Rating
Scale –DRS-, Coma Recovery Scale-revised –CRSr-, Levels of Cognitive Functioning –LCF-) in terza giornata dall’evento (T0= presa
in carico), alla dimissione dalla TI (T1) ed alla dimissione dalla NR
(T2). Sono state quindi calcolate le seguenti differenze nei punteggi
ottenuti per ciascuna scala di valutazione: T1-T0, T2-T1 e T2-T0,
al fine di valutare il loro andamento a breve (T1) e lungo (T2) termine nei due gruppi.
Risultati. Due pazienti nel gruppo sperimentale e uno nel gruppo
di controllo sono deceduti nel corso della degenza in TI; tre pazienti
per ciascun gruppo sono deceduti durante il ricovero in NR. La po-
Vol. 30 - N. 2/3 - GIORNALE ITALIANO DI MEDICINA RIABILITATIVA - MR
49
44° CONGRESSO NAZIONALE SIMFER
polazione finale è risultata dunque composta da 31 soggetti, 15 nel
gruppo sperimentale e 16 in quello di controllo. Tutti i 31 pazienti
hanno completato il protocollo senza complicanze. La verticalizzazione è iniziata in media 12±7 giorni dall’evento acuto. Tutte le
misure di outcome hanno mostrato un significativo miglioramento
in entrambi i gruppi al termine del percorso (T2 vs T0, p<0.001).
Tale miglioramento è stato significativamente maggiore nel gruppo
sperimentale per CRS e DRS (p=0.032 e p=0.039 rispettivamente),
mentre non si sono osservate differenze per GCS e LCF (p=0.073 e
p=0.131 rispettivamente). Considerando solo la degenza in TI, tutti
i punteggi sono significativamente migliorati in entrambi i gruppi
(T1 vs T0, p<0.004); nel gruppo sperimentale il miglioramento è
risultato significativamente maggiore per CRS (p=0.006) e borderline per DRS e GCS (p=0.055 e p=0.065 rispettivamente), mentre
non è stata osservata una differenza nel punteggio LCF tra i gruppi
(p=0.256). Allo stesso modo, tutti i punteggi sono risultati significativamente migliori in entrambi i gruppi tra il termine e l’inizio della
degenza in NR (T2 vs T1, p<0.004), senza differenze.
Conclusioni. I nostri risultati mostrano come un protocollo di
verticalizzazione molto precoce in pazienti con DOC secondario a
GCLA in fase acuta, inserito in un percorso riabilitativo continuativo, consenta di migliorare l’outcome neurologico e funzionale del
paziente a breve e lungo termine.
Bibliografia
1.
Castro–Avila AC, Serón P, Fan E, Gaete M, Mickan S. Effect of Early Rehabilitation during Intensive Care Unit Stay on Functional Status: Systematic
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Traumatic Brain Injury. J Head Trauma Rehabil 2015; 30(4): 290-292.
2.
3.
006
EFFETTI DI UN TRAINING CON
ESOSCHELETRO INDOSSABILE IN PAZIENTI
CON SCI
Serena Filoni1, Emanuele Francesco Russo1, Gianni Leone1,
Maria Teresa Marino1, Nicola Puzzolante1, Michele Russo1,
Salvatore Calabro’2, Patrizio Sale3
Fondazione Centri di Riabilitazione Padre Pio Onlus, gli Angeli di Padre Pio,
San Giovanni Rotondo, Italia1
IRCCS Centro Neurolesi Bonino-Pulejo, IRCCS Centro Neurolesi Bonino-Pulejo, Messina, Italia2
IRCCS Fondazione Ospedale San Camillo, IRCCS Fondazione Ospedale San
Camillo, Venezia-Lido, Italia3
Introduzione. La lesione midollare (SCI) è una grave malattia neurologica che presenta oltre a complicazioni mediche anche una significativa perdita di mobilità e partecipazione. L’introduzione di
tecnologie robotiche per recuperare la funzione degli arti inferiori
è stata notevolmente impiegata in riabilitazione. Questo report ha
lo scopo di indagare la sicurezza, la fattibilità, l’efficacia e l’adattabilità tra esoscheletro indossabile e pazienti con SCI. Inoltre è stata analizzata anche la cinematica del sistema paziente-dispositivo e
confrontata con quella descritta da Esquenazi et al.[1], ottenuta da
pazienti affetti da lesione midollare che hanno effettuato training
con l’esoscheletro indossabile ReWalk.
Materiali e metodi. Il device utilizzato per il training è l’Ekso GT
costituito da strutture metalliche tra loro vincolate, dotate da 4 motori per la mobilizzazione di anca e ginocchio. Il movimento del binomio paziente-esoscheletro è assicurato sia da comandi del fisioterapista, sia da sensori di pressione posti sotto i piedi che permettono
al paziente, tramite trasferimento del proprio peso oltre una deter50
minata soglia, di avviare la deambulazione. Sono risultati eleggibili
per lo studio otto pazienti con SCI completa ed incompleta. Tutti i
soggetti sono stati sottoposti ad un training di 20 sessioni di 45 minuti al giorno. Alla terza seduta (T0) ed alla fine del training (T1) è
stata effettuata un’analisi del cammino ( parametri spazio-temporali,
cinematica ed elettromiografia di superficie). Inoltre i pazienti sono
stati sottoposti alle seguenti valutazioni cliniche : 6 Minutes walking
test, Time up and go, 10 meters walking test, vas, scala di borg e
questionario di soddisfazione [3][2]. È stato utilizzato il test statistico non parametrico di Wilcoxon per campioni appaiati (p<0.05)
per valutare differenze tra T0 e T1.
Risultati. I soggetti analizzati hanno mostrato un miglioramento
statisticamente significativo (Z=-2.521 p=0.004) per quanto riguarda il TUG, il 6MWT, il 10 MWT e la scala di Borg (Z=-1.897
p=0.031). Relativamente al questionario di soddisfazione si nota
un miglioramento significativo in termini di sicurezza da parte del
paziente nell’utilizzare il dispositivo alla fine del training ( domande 6 Z=-2.449 p=0.016, domanda 10 Z=-2.414 p=0.008). Inoltre
si nota anche un miglioramento dell’attività intestinale (domanda
9 Z=-2.449 p=0.016). Riguardo alla diminuzione di spasticità agli
arti inferiori (domanda 7), è presente un miglioramento già a T0 e
la valutazione non è variata a T1. Dalle analisi dei parametri spazio temporali, che derivano dalle analisi del cammino effettuate,
si evidenzia un aumento statisticamente significativo (Z=-2.524
p=0.004) della velocità normalizzata rispetto all’altezza corporea,
della cadenza e della lunghezza del passo normalizzata[3]. Per
quanto concerne la cinematica articolare si nota una riduzione
statisticamente significativa della flessione del ginocchio al contatto iniziale (Z=-2.100 p=0.020), un aumento del ROM dell’anca
(Z=-2.103 p=0.020), una diminuzione del valore minimo di dorsi/
plantiflessione (Z=-2.033 p=0.023) ed un aumento del ROM della
caviglia (Z=-2.527 p=0.004) ed Alla fine del training tali parametri si avvicinano alla cinematica di una deambulazione fisiologica.
Confrontando i grafici di cinematica acquisiti con Ekso, con quelli
ottenuti da Esquenazi con pazienti SCI che utilizzano ReWalk si
riscontra nel primo gruppo (Ekso): velocità di progressione inferiore; a livello dell’anca, ROM maggiore e anca più flessa; a livello
del ginocchio, maggiore flessione al contatto iniziale e maggior
ROM in oscillazione. Nessuna differenza a livello della tibiotarsica
(pattern di dorsiflessione).
Conclusioni. Il training con esoscheletro Ekso si è dimostrato sicuro ed efficace soprattutto nella diminuzione della spasticità, nel
regolarizzare il transito intestinale nei pazienti con alvo neurologico, nel miglioramento di outcomes clinici e nei parametri spazio
temporali e di cinematica articolare. Il training si è dimostrato sicuro e questo consolida l’ipotesi di poter, in un futuro prossimo,
utilizzare l’esoscheletro in piena autonomia da parte del paziente
utilizzando una versione Home. Nel confronto tra la cinematica
dei due dispositivi, si notano dei valori che tendono al pattern
fisiologico di deambulazione di anca e ginocchio nei pazienti che
indossano Ekso. Riguardo ai parametri spazio-temporali, i pazienti
che utilizzano Rewalk presentano una maggiore velocità.
Bibliografia
1.
2.
3.
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Vol. 30 - N. 2/3 - GIORNALE ITALIANO DI MEDICINA RIABILITATIVA - MR
44° CONGRESSO NAZIONALE SIMFER
007
RAPPORTI TRA SCOLIOSI IDIOPATICA,
MIOPIA E IPERLASSITÀ LEGAMENTOSA
NELLO SCREENING SCOLASTICO SU 11820
BAMBINI
Antonio Petrocelli1, Elisa Pratelli2, Elena Torricelli2,
Martina Morris2, Pietro Pasquetti2
Modulo Medicina Fisica e Riabilitativa, Casa di Cura Santa Rita, Taranto, Italia1
Agenzia Recupero e Riabilitazione, AOU Careggi-Cto, Firenze, Italia2
Introduzione. La causa e la patogenesi della scoliosi idiopatica restano tutt’oggi sconosciute; quello che emerge in letteratura è che la
complessa eziopatogenesi è di natura ereditaria multifattoriale. Lo
scopo di tale lavoro è di valutare se possa esistere un rapporto tra
la scoliosi idiopatica, la iperlassità legamentosa e la miopia, intendendo queste patologie come manifestazioni cliniche di un difetto
connettivale, così da sottolineare il probabile ruolo dell’alterazione
del tessuto connettivo nella eziopatogenesi della scoliosi.
Materiali e metodi. Dal Novembre 2010 al Giugno 2013, medici
dell’Agenzia Recupero e Riabilitazione del CTO-Firenze, in accordo con l’Assessorato all’educazione, hanno effettuato uno screening
delle deformità vertebrali in 178 scuole. Ai genitori, previo consenso
informato, veniva consegnato un modulo da compilare a cura del
pediatra con notizie anamnestiche. Durante lo screening di primo
livello, venivano effettuate: valutazione della lassità legamentosa
tramite scala di Beighton; ricerca di asimmetrie dei triangoli della
taglia; valutazione di sbilanciamento del tronco mediante metodo
del filo a piombo da C7; ricerca e misurazione di eterometrie degli
arti inferiori; annotazione della sede e misurazione di eventuali gibbi
al test di Adams e misurazione dell’angolo di rotazione del tronco
(ATR) con scoliometro di Bunnel; misurazione della cifosi dorsale
con inclinometro e sua riducibilità. In assenza di deformità del rachide lo screening terminava al primo livello. Gli studenti venivano
inviati allo screening di secondo livello qualora fossero presenti: gibbo ≥5° Bunnell; gibbo ≥4° Bunnell con sbilanciamento del tronco
omolaterale in assenza di eterometria degli arti inferiori; due gibbi
anche se di entità inferiore ai 5°; ipercifosi dorsale (valori >40°) non
riducibile. Al secondo livello di screening, venivano: riconfermate
le precedenti annotazioni; effettuata la misurazione del gibbo con
livella a bolla e centimetro rigido; impostato un iter diagnosticoterapeutico mediante richiesta di controlli specialistici periodici o di
indagini radiografiche.
Risultati. Sono stati visitati 11820 studenti (5845 Femmine, 5966
Maschi). 10115 (85,58%) non presentavano deformità significative
del rachide sul piano frontale (GRUPPO 1). Nei rimanenti 1658
bambini, pari al 14,02% del totale, è stato posto un sospetto clinico di scoliosi. In particolare di questi 1658 bambini in 1419 casi
(12,00 % del totale) sono stati inviati a controllo a sei mesi (GRUPPO 2), mentre in 239 (2,02% del totale) sono state richieste indagini radiografiche (GRUPPO 3). Il punteggio medio della scala
di Beighton nel campione totale esaminato è risultato di 2,012/9
punti (range 0-9), così suddiviso ne vari gruppi: GRUPPO 1 (pazienti senza dismorfismi del rachide) pari a 1,632/9, GRUPPO 2
(pazienti con diagnosi clinica di scoliosi) pari a 2,25/9 e GRUPPO
3 (pazienti con diagnosi radiografica di scoliosi) pari a 3,24/9. Passando quindi dal gruppo 1 al gruppo 3, all’aumentare della gravità
dei dimorfismi del rachide sul piano frontale, si nota un trend in
aumento, statisticamente significativo (Chi-quadrato di Pearson P
<0,0001), dei punteggi della scala di Beighton. Inoltre nel GRUPPO 3 abbiamo riscontrato un’incidenza del punteggio della scala
di Beighton ≥ a 4 (punteggio che indica la presenza di iperlassità
legamentosa) pari al 43,3% del campione, percentuale che scende al
28,6% nel GRUPPO 1 e si attesta invece al 32,4% nel GRUPPO
2. Nel campione totale abbiamo riscontrato una percentuale pari
al 14,33% di diagnosi riferita di miopia, così ripartita nei diversi
gruppi: GRUPPO 1 12,83%, GRUPPO 2 19,51%, GRUPPO 3
32,73%. Passando quindi dal gruppo 1 al gruppo 3, all’aumentare
della gravità dei dimorfismi del rachide sul piano frontale, si nota
un trend in aumento, statisticamente significativo (Chi-quadrato di
Pearson P <0,0001), della percentuale di bambini affetti da miopia.
Conclusioni. Durante lo screening (casistica numericamente più
alta in Italia), è emersa una maggiore incidenza di iperlassità legamentosa e miopia, nei soggetti affetti da scoliosi idiopatica. Questo
può essere un elemento a favore dell’ipotesi, già vagliata in letteratura, che un’alterazione primitiva del tessuto connettivo possa prendere parte al meccanismo eziopatogenetico della scoliosi idiopatica.
Sono certamente necessari altri studi volti ad analizzare in quali termini gli eventuali difetti del tessuto connettivo possano determinare
l’innesco del complesso fenomeno eziopatogenetico che porta al manifestarsi della scoliosi idiopatica e soprattutto a definire una volta
per tutte se queste modificazioni connettivali non siano invece una
conseguenza della patologia scoliotica stessa; nel contempo è però
possibile affermare, che esiste un rapporto tra scoliosi idiopatica,
iperlassità legamentosa e miopia e che queste tre condizioni patologiche potrebbero quindi riconoscere tutte alla base una alterazione
delle strutture connettivali.
Bibliografia
1.
2.
3.
Negrini S, Aulisa L, Ferraro C, Fraschini P, Masiero S, Simonazzi P, Tedeschi
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008
PROPOSTA DI APPROCCIO RIABILITATIVO
INTEGRATO NEL PAZIENTE CON DISABILITÀ
DA SLA
Luigi Scalzo1, Francesca Franzè2, Giorgio Crispino3, Bruna
Socirnaienchi3
Clinic Service Center, Mangone, Cosenza, Italia1
Università Magna Graecia, Catanzaro, Catanzaro, Italia2
Clinic Service Center, Cosenza, Cosenza, Italia3
Introduzione. La Sclerosi Laterale Amiotrofica - SLA - è una malattia rara caratterizzata da una degenerazione dei motoneuroni, le
cellule deputate al controllo del movimento volontario progressivamente siparalizzano La conseguenza di tale processo patologico è la
progressiva paralisi della muscolatura scheletrica, per cui dopo uno
- tre anni dall’esordio il paziente non è più in grado di muoversi, di
parlare, di deglutire, di respirare (1).
Materiali e metodi. Nel periodo compreso tra il 1 Gennaio 2016 e
il 29 Febbraio 2016 abbiamo osservato presso la nostra struttura 5
casi di SLA seguiti in setting domiciliare. Questi pazienti sono stati
valutati tramite valutazione delle funzioni semplici e complesse in
fase iniziale e per ognuno di questi pazienti è stata applicata la ICF
SF checklist
Risultati. Nella totalità dei casi dei (2) pazienti abbiamo osservato
come l’approccio riabilitativo globale modifichi seppure di poco il
decorso naturale della malattia. Sono paziednti con compromissione
dell’apparato buccofonatorio, delle funzioni deglutitorie e respiratorie con progressivo depauperamento delle ADL primitive e secondarie. Questo è stato documentato anche attraverso delle oscillazioni
della scala FIM.
Conclusioni. Il nostro campione è sicuramente ridotto quindi privo
della necessaria inferenza statistica. Tuttavia anche i nostri piccoli
dati ci consentono di affermare come la SLA è una malattia che
Vol. 30 - N. 2/3 - GIORNALE ITALIANO DI MEDICINA RIABILITATIVA - MR
51
44° CONGRESSO NAZIONALE SIMFER
presenta una determinata frequenza e come si può schematizzare un
preciso algoritmo riabilitativo in cui ruolo importante è dato anche
dalle istituzioni e della società (3).
Bibliografia
1.
Mora G. Vivere con la SLA: La presa in carico (aspetti psicologici ed etici) –
DE FALCO
Torri, Calderini: Tecniche di ventilazione artificiale – FOGLIAZZA EDITORE – Edizione 2000
Bach J.R.: Mechanical insufflation/exsufflation: has come of age? A commentary – European Respiratory Journal 2003.
2.
3.
009
LE SINDROMI AMNESICHE NELLA REALTÀ DI
UN CENTRO DI RIABILITAZIONE ESTENSIVA:
NOSTRA INIZIALE ESPERIENZA
Francesca Franzè1, Luigi Scalzo2, Pasquale Bentornato2,
Giorgio Crispino3, Emanuele Crispino4
Università Magna Graecia, Catanzaro, Catanzaro, Italia1
Clinic Service Center, Piano Lago, Cosenza, Italia (2)
Clinic Service Center, Cosenza, Cosenza, Italia (3)
Clinic Service Center, cosenza, cosenza, Italia (4)
Introduzione. Le sindromi dismnesiche sono forme di disfunzione della memoria a lungo termine e sono di comune osservazione nella clinica delle funzioni cognitive e psichiche superiori.
(1)
Materiali e metodi. Nel periodo compreso tra Gennaio 2016 e
Febbraio 2016 abbiamo osservato 20 pazienti che afferivano alla
nostra struttura sia come setting ambulatoriale che come setting
domiciliare con disturbi mnesici collegati a differenti etiologie.
Questi pazienti sono stati sottoposti a valutazione clinica dettagliata e a vari test neuropsicologici per l’esame delle differenti
componenti del sistema mnesico. ( metodiche esterne e metodiche interne). Si è anche lavorato sull’adattamento delle funzioni
ambientali e grande importanza è stata data alla classificazione
ICF D
Risultati. Il nostro campione è sicuramente esiguo e quindi di
scarsa inferenza statistica. Tuttavia anche il nostro picolo dato
conferma la tendenza generale della letteratura: nei disturbi di
memoria vi è una scarsa tendenza al recupero spontaneo. Abbiamo inoltre notato una specifica correlazione tra il disturbo di
memoria e l’etiologia di base della persona presa in carico. Il disturbo di memoria inoltre è stato un parametro considerato nella
programmazione dell’esercizio terapeutico e che ha influenzato
l’outome dello stesso (2).
Conclusioni. Le sindromi dismnesiche sono sindromi di notevole frequenza soprattutto nella popolaziione anziana. La conoscenza di questa patologia è di notevole importanza per l’impostazione del corretto outcome riabilitativo (3).
Bibliografia
1.
2.
3.
Sigmundsdottir L1,2, Longley WA1, Tate RL1Computerised cognitive training in acquired brain injury: A systematic review of outcomes using the International Classification of Functioning (ICF). Neuropsychol Rehabil. 2016
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Johansen T1, Skjerve A2, Jensen C1,3, Dittrich WH4 ØyeflaChanges in cognitive functioning in sick-listed participants in occupational rehabilitation: A
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Ledoux J. Emotional memory system in the brain Behavoiraul Brain Research
1993,58(1-2) 69-79.
52
010
LA MALATTIA DI CHARCOT MARIE TOOTH:
UNA REALTÀ SPESSO MULTIIDISCIPLINARE
Luigi Scalzo1, Pasquale Bentornato1, Francesca Franzè2,
Claudia Persico2
Clinic Service Center, Piano Lago, Cosenza, Italia1
Università Magna Graecia, Catanzaro, Catanzaro, Italia2
Introduzione. La Malattia di Charcot Marie Tooth è una neuropatia
motoria sensitiva ereditaria a carico del sistema nervoso periferico. Il
trattamento riabilitativo di questa patologia è sicuramente importante
e va inserito in un contesto di presa in carico globale. (1)
Materiali e metodi. Nel periodo compreso tra il 1 Gennaio 2016 e
il 29 Febbraio 2016 abbiamo osservato presso la nostra struttura 3
casi di CMT seguiti in setting domiciliare. Questi pazienti sono stati
valutati tramite valutazione delle funzioni semplici e complesse in fase
iniziale e per ognuno di questi pazienti è stata applicata la ICF SF
checklist
Risultati. Nella totalità dei casi dei (2) pazienti abbiamo osservato
come l’approccio riabilitativo globale modifichi seppure di poco il decorso naturale della malattia. Sono pazienti in cui è necessaria la presa
in carico globale intervendo con differenti professionalità anche nel
setting domiciliare ( area sensitivo motoria con rinforzo dei muscoli prossimali , area delle competenze comunicativo relazionali, area
dell’intervernto psicologico, area della stabilità internistica).
Conclusioni. Il nostro campione è sicuramente ridotto quindi privo
della necessaria inferenza statistica. Tuttavia anche i nostri piccoli dati
ci consentono di affermare come la CMT è una malattia che presenta
una determinata frequenza e come si può schematizzare un preciso
algoritmo riabilitativo in cui ruolo importante è dato anche dalle istituzioni e della società(3)
Bibliografia
1.
2.
3.
Kenis-Coskun O, Matthews DJ. Rehabilitation issues in Charcot-Marie-Tooth
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Watanabe K. Treatment for Patients with Charcot-Marie-Tooth Disease: Orthopaedic Aspects. Brain Nerve. 2016 Jan;68(1):51-7.
011
ESPERIENZA DI UN TRAINING POSTURALE IN
UN CENTRO DI RIABILITAZIONE ESTENSIVA
Francesca Franzè1, Claudia Persico1, Pasquale Bentornato1,
Luigi Scalzo1
Università Magna Graecia, Catanzatro, Catanzaro, Italia1
Introduzione. La postura rappresenta una funzione complessa
quindi interconessa al corretto funzionamento di una serie di sistemi regolatori : vestibolare, oculare, odontostomatologico, muscolo
scheletrico (1)
Materiali e metodi. Nel periodo compreso tra il 1 Gennaio 2016 e
il 29 Febbraio 2016 abbiamo osservato presso la nostra struttura 50
pazienti per posturopatia di differente natura ( ascendente o discedente). I pazienti sono stati sottoposti a esame posturale completo
sia con metolodogia semeiologica classica che con metodologia di
tipo strumentale. (2)
Risultati. I risultati in nostro possesso ci consentono di stratificare il
campione in almeno due sottoclassi tenendo presente che le disfunzioni maggiormente riscontrate (oltre il 40% del nostro campione)
erano di pertinenza odontoiatrica ( patologia disfunzionale a carico
dell’ATM) o di tipo oculare (oculogiria o oculocefalogiria spesso responsabili o conresponsabli di cefalee).(3)
Conclusioni. Il nostro campione è sicuramente ridotto quindi privo
Vol. 30 - N. 2/3 - GIORNALE ITALIANO DI MEDICINA RIABILITATIVA - MR
44° CONGRESSO NAZIONALE SIMFER
della necessaria inferenza statistica. Tuttavia anche i nostri piccoli
dati ci consentono di affermare come soltanto dopo una corretta
presa in carico globale è possibile definire in maniera esatta la clinica
di una disfunzione posturale proponendo poi il corretto approccio
riabilitativo che passa spesso dall integrazione tra piu figure professionali.
Bibliografia
1.
2.
3.
Bourdiol RJ, Bortolin G. CefaleEMIcraniE – Nuova classificazione nosologica
e approccio terapeutico multidisciplinare – Edizioni Gemmer Italia – Rasai di
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012
EMOFILIA E RIABILIAZIONE: ALCUNE
OSSERVAZIONI
Francesca Franzè1, Luigi Scalzo1
Università Magna Graecia, Catanzaro, Catanzaro, Italia1
Introduzione. L’emofilia è una patologia congenita del sistema coagulativo che può avere numerose ripercussioni nell’ambito di numerosi organi e apparati e modificare la qualità di vita delle persone che
sono affette da questo disturbo.
Materiali e metodi. Nel periodo compreso tra il 1 Novembre e il
31 Dicembre 2015 abbiamo preso in carico 4 pazienti emofilici
monitorando come durante il percorso riabilitativo l’emofilia possa
incidere sulle ADL primitive e secondarie e come possa modificare le principali funzioni semplici e complesse. I pazienti sono stati
sottoposti a visita fisiatrica e a valutazione tramite ICF SF e tramite
scale di valutazione specifiche in rapporto alla situazione clinica per
cui venivano alla nostra osservazione. (1)
Risultati. In tutti i pazienti si è notato un decorso clinico visibilmente più lento rispetto al paziente con la stessa situazione ma senza
emofilia ( variabilità dello 0.02% ). Si sono inoltre notate modifiche
importanti sia della scala FIM soprattutto degli items motori della
FIM che di alcuni qualificatori ICF. Anche alcuni parametri del passo studiati tramite la scala OGA si sono modificati in rapporto alla
patologia in questione. (2)
Conclusioni. L’emofilia è una patologia spesso misconosciuta. Tuttavia la sua comnoscenza deve essere messa in conto nella programmazione dell’esecizio terapeutico e nella definizione della presa in
carico globale sia in setting ambulatoriale che domiciliare. (3)
Bibliografia
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3.
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hemophilia on young adults (aged 18-30 years) with hemophilia Am J Hematol. 2015 Dec;90 Suppl 2:S3-10. doi: 10.1002/ajh.24220.
David JA, Feldman BM2. Assessing activities, participation, and quality of life
in hemophilia: relevance, current limitations, and possible options - Semin
Thromb Hemost. 2015 Nov;41(8):894-900. doi: 10.1055/s-0035-1552564.
Epub 2015 Oct 20.
Oymak Y, Kaygusuz A, Turedi A, Yaman Y, Eser E, Cubukcu D, Vergin C
Comparing the Quality of Life of Patients With Hemophilia and Juvenile Idiopathic Arthritis in Which Chronic Arthropathy Is a Common Complication J Pediatr Hematol Oncol. 2015 Nov;37(8):600-4. doi: 10.1097/
MPH.0000000000000429
013
TRATTAMENTO DEL DOLORE NELLA
RIABILITAZIONE DOPO IMPIANTO
DI ARTROPROTESI DI GINOCCHIO:
L’EFFICACIA DELLA REGOLAZIONE
BIOLOGICA CELLULARE (BCR) MEDIANTE
MICROCORRENTI
Matteo Orfei1, Luigi Alunni Ciubini1, Stefano Baci Paci1,
Andrea Guglielmi1
Casa di cura Liotti SPA, UO riabilitazione, Perugia, Italia1
Introduzione. L’effetto terapeutico delle micro correnti è conosciuto
in letteratura ed è principalmente dovuto alla stimolazione dell’attività
fisiologica e del metabolismo cellulare. Gli effetti quantitativi delle
microcorrenti al livello cellulare comprendono l’aumento della produzione di ATP, l’aumento degli scambi intra-extracellulari, l’attivazione
del metabolismo cellulare e di sintesi delle proteine. A livello terapeutico ciò si traduce in una diminuzione del dolore sia per patologie
croniche che acute e riduzione dei tempi di recupero in riabilitazione.
Obiettivo dello studio è quello di valutare l’efficacia del trattamento
biologico cellulare (BCR terapia) mediante l’utilizzo di micro correnti
nel controllo del dolore durante la riabilitazione in pazienti sottoposti
ad impianto di protesi di ginocchio.
Materiali e metodi. Studio clinico osservazionale in aperto. Sono stati arruolati da novembre 2015 30 pazienti provenienti dal reparto di
ortopedia che hanno subito impianto di artroprotesi di ginocchio e
successivamente ricoverati nel reparto di riabilitazione intensiva dove
sono stati sottoposti a trattamento fisioterapico per almeno 3 ore al
giorno per 2 settimane. Età media 69,75 anni (18 donne, 12 uomini).
I pazienti sono stati divisi in maniera casuale in due gruppi: un primo gruppo (A) veniva sottoposto a trattamento riabilitativo standard
comprendente mobilizzazione passiva, esercizi attivi e training del
cammino. Il secondo gruppo (B) oltre al programma standard veniva
sottoposto a 10 sedute con frequenza giornaliera di terapia fisica strumentale con trattamento biologico cellulare (BCR) mediante micro
correnti generate da apparecchio Clinic Master professional. Tutti i
pazienti sono stati valutati con scale VAS e Knee Pain Scale prima
dell’inizio del trattamento (in seconda giornata post operatoria), dopo
dieci sedute di terapia ed a circa 30 giorni dall’intervento.
Risultati. Nel gruppo A il dolore al ginocchio alla prima valutazione
risultava essere in media: VAS 5,42, Knee pain scale 42,85; nel gruppo
B: VAS 5,7, Knee pain scale 60. Dopo dieci sedute di riabilitazione
abbiamo ottenuto in media i seguenti risultati: gruppo A- VAS 2,8 –
Knee pain scale 26,42. Nel gruppo B- VAS 2,1; Knee pain scale 22.
Dopo circa trenta giorni abbiamo riscontrato i seguenti risultati: nela
gruppo A- VAS 1,9; Knee pain scale 20,18. Nel gruppo B- Vas 1,8;
Knee pain scale 20,11.
Conclusioni. In conclusione i dati preliminari suggeriscono che l’utilizzo del trattamento biologico cellulare (BCR) tramite microcorrenti
può contribuire ad ottenere un migliore e precoce controllo del dolore
durante il programma riabilitativo dopo impianto di artroprotesi di
ginocchio rispetto ai programmi fisioterapici standard.
Bibliografia
1.
2.
3.
Randomized clinical trial on patient-centered usage of BCR therapy in patients
following knee replacement surgery resulted in clinically significant therapeutic
effects - Bavaria Kreischa Clinic, G. Rockstroh Dipl.Phy., Prof F. Krummenauer, W. Schleicher M.D.(2010)
Determining the influence of nano-photonic technology on cellular cultures
in vitro - Master of Science (M.S.) thesis – Anna Karutz, tutor Dr. Christiane
Wetzel; Fraunhofer FEP 20.12.2012
Observations in neurological patients with Parkinson’s disease, multiple sclerosis, amyotrophic lateral sclerosis and restless leg syndrome during treatment
with BCR therapy - Inge Metag, Keil City Hospital, 2008–2010
Vol. 30 - N. 2/3 - GIORNALE ITALIANO DI MEDICINA RIABILITATIVA - MR
53
44° CONGRESSO NAZIONALE SIMFER
014
PREVENZIONE PRIMARIA E SECONDARIA DI
DISFUNZIONI E PATOLOGIE PERINEALI
Susanna Podda1, Claudia Valeria Corsini2
Fisiatra SRRF, Ospedale San Michele Azienda Ospedaliera “Brotzu”, Cagliari,
Italia1
Fisiatra Centro riabilitativo disabili, Casa di cura Sant’Antonio, Cagliari, Italia2
Introduzione. I disturbi perineali (incontinenza urinaria e fecale, stipsi, prolasso genitale, dolore perineale cronico, disturbi
sessuali) costituiscono un importante motivo di disabilità interessando almeno il 30% della popolazione femminile con una
pesante ripercussione sulla sfera personale, emotiva e comportamentale. Negli ultimi decenni la letteratura scientifica e la nostra
recente casistica hanno messo in evidenza una relazione tra Incontinenza Urinaria (I.U.) e attività fisica e sportiva. L’obiettivo
di questo lavoro è dare informazioni a varie figure professionali,
anche nel corso dei loro studi (medici dello sport, fisioterapisti,
preparatori atletici, allenatori, laureati in Scienze Motorie), per
promuovere la prevenzione primaria e secondaria di disfunzioni e
patologie perineali che l’attività fisica e il gesto atletico possono
favorire, soprattutto nelle donne (atlete e non), qualora non si
tenga conto dell’importanza del pavimento pelvico. Tale obiettivo rientra nell’ottica di collegamento fra Ospedale e Territorio
per la prevenzione primaria, il trattamento e la prevenzione secondaria delle disfunzioni e patologie perineali.
Materiali e metodi. Nel nostro studio epidemiologico sull’I.U.
sono state incluse prevalentemente atlete che praticano sport ad
alto e medio impatto. Lo studio è stato condotto somministrando alle atlete un questionario di auto-compilazione (ICIQ-UI
Short Form Italian and English versions a seconda della nazionalità). Le domande sono state formulate in modo tale che le partecipanti allo studio potessero indicare con un segno la risposta
corrispondente ai propri disturbi. I risultati sono stati in parte
già esposti durante seminari universitari, corsi e congressi ma
contiamo di ampliare il numero dei discenti delle varie figure
professionali nel corso di altri Seminari, Congressi di Fisiatria,
Medicina dello Sport, Lezioni nelle varie Facoltà Universitarie.
Durante tali relazioni, oltre a fornire i dati epidemiologici, si
danno nozioni di anatomia e fisiopatologia dei disturbi pelvi-perineali, indicazioni sulle modalità di prevenzione primaria e cenni
di Riabilitazione. Sulla scia di positive esperienze di Attività Fisica Adattata per il pavimento pelvico si propone uno schema di
programma di AFA attuabile in futuro in palestre convenzionate
e con trainers specificamente formati.
Risultati. Sul totale delle atlete, a cui è stato somministrato il
questionario ICIQ-UI, si è riscontrata un’alta prevalenza di I.U.
con interferenze sulla qualità di vita. Per ciò che riguarda i risultati ottenuti con il programma di Attività Fisica Adattata, dai
lavori citati nella Bibliografia, si può rilevare che alla fine del
trattamento vi è stato un miglioramento globale di tutti i parametri considerati.
Conclusioni. I risultati del nostro studio epidemiologico indicano che un’alta percentuale delle atlete che hanno compilato il
questionario validato (ICQI-SF) presenta un problema di incontinenza urinaria. La I.U. e i disturbi pelvi-perineali in generale
sono causa di disagio e, per un’atleta, di allontanamento dal campo di gara e di sospensione dell’attività fisica per lunghi periodi
di tempo. In tutte le donne possono determinare disagio nelle
ADL, nei rapporti sociali, nell’attività fisica e lavorativa. Riteniamo opportuno, in un programma di prevenzione primaria, far
conoscere ai medici dello sport, ai fisioterapisti, ai preparatori
atletici, agli allenatori e ai laureati in Scienze Motorie, il rischio
di perdita urinaria e di patologie perineali legato all’attività fisica
per attuare un’efficace prevenzione mediante il coinvolgimento
54
del diaframma perineale durante l’allenamento fisico e durante
il gesto atletico. È inoltre necessario introdurre nel programma
di allenamento una sessione di training specifico per i muscoli
del pavimento pelvico. Il nostro scopo è quello di demandare al
territorio aspetti educativi e preventivi. Per ciò che riguarda la
prevenzione secondaria di I.U. in pazienti già trattate con rieducazione perineale, si dovrà valutare la possibilità di programmare,
nelle palestre, una specifica Attività Fisica Adattata anche sulla
base delle esperienze descritte nelle pubblicazioni di vari Autori.
Bibliografia
1.
2.
3.
Smith JH et al. Adult conservative management. In: Abrams P, Cardozo L,
Khoury S, Wein A. Incontinence. Health Publications, Paris. 4th International
Continence Consultation, Paris 2008, 4th Edition, 2009
Di Benedetto P, Floris S, Coidessa A. Rationale of pelvic floor muscle training
in women with urinary incontinence. Minerva Ginecol 2008;60:529-41
Cattarossi Luisa, Tasso Laura, Di Stefano Antonella, Delneri Cristina. Pelviperineologia Vol.30-N.2. Giugno 2011 Valutazione dell’influenza dell’attività
fisica adattata (AFA) nella patologia perineale femminile
015
MEDICINA MANUALE E MEDICINA DI
GENERE
Maria Luisa Tenaglia1, Ilaria Parola1, Judit Nagy1, Charlott
Roihl1, Federico Di Leo1, Renato Gatto1
Clinica Santa Rita, Policlinico di Monza, Vercelli, Italia1
Introduzione. La Medicina di genere, di crescente interesse nell’ultimo ventennio, si propone di studiare l’influenza del sesso e del genere sulla fisiologia, fisiopatologia e patologia umana. Non sempre,
tuttavia, è compresa nel suo reale significato. Il termine stesso può
generare false interpretazioni. Non si tratta, infatti, di una nuova
specializzazione, di una via parallela al resto della Medicina. Una
Medicina “a misura di persona”, uomo o donna, deve ampliare e
rivedere la conoscenza delle patologie nell’ottica di una Medicina
genere-specifica (MGS), da insegnare e applicare in modo generespecifico in ogni specialità. Ha quindi carattere precipuo di dimensione interdisciplinare. La Medicina manuale (MM) può offrire
alla MGS un contributo di esperienze già orientate allo studio di
patologie differenziate in base al sesso e al genere. Per il suo approccio globale al paziente, inteso come individuo unico in rapporto
dialettico con l’ambiente, per lo stretto contatto medico-paziente,
la MM è molto vicina a essere una “medicina della persona”. Oggetto dello studio è la “Sindrome delle zone transizionali associate”
(SZTA), quadro clinico di grande interesse genere-specifico perché
declinabile prevalentemente al femminile, con un elevato picco di
frequenza in una particolare classe d’età e in un particolare contesto socio-ambientale. È costituita da un insieme di sintomi e dolori
d’origine vertebrale, situati a diversi livelli e tutti dallo stesso lato,
causati dalla contemporanea presenza di Disturbi Dolorosi Intervertebrali minori (DDIM) in zone transizionali vertebrali (ZT), e dalle
manifestazioni cellulo-teno-mialgiche (CTM) da essi provocate. In
questo studio, rispetto ai precedenti, l’osservazione è più focalizzata
sull’appartenenza al sesso e all’età, nonché al “genere”, cioè a quei
fattori psicologici, culturali e socio-ambientali che insieme al sesso
biologico contribuiscono a creare un’identità individuale.
Materiali e metodi. Lo studio, condotto negli anni 2013-20142015, ha coinvolto 1012 pazienti con dolori comuni d’origine vertebrale, 509 donne e 503 uomini, suddivisi in 3 fasce d’età (15-24;
25-49; 50-90 anni). Outcome primario era la frequenza della SZTA
in rapporto al sesso, al genere e all’età. Altro scopo, non secondario, era la ricerca di fattori causali o co-fattori che spiegassero sia il
meccanismo patogenetico della sindrome, sia la ragione di una così
netta prevalenza nel sesso femminile, in una determinata fascia d’età
e in un particolare contesto socio-ambientale. Grande importanza si
è data quindi, più che alla compilazione di questionari standard, a
un colloquio medico-paziente tale da far luce sul paziente-persona,
Vol. 30 - N. 2/3 - GIORNALE ITALIANO DI MEDICINA RIABILITATIVA - MR
44° CONGRESSO NAZIONALE SIMFER
considerato nel suo stile di vita, nel suo vissuto, nel rapporto con la
famiglia, la società, l’ambiente e con se stesso. Nell’intento di formulare ipotesi patogenetiche, si è ampliata l’indagine a quegli elementi che possono rientrare nel vastissimo, spesso insondabile campo
dell’interazione “mente-cervello-corpo”, con una variabile in più: il
sesso biologico. Si sono anche precisati i criteri di diagnosi differenziale con la Fibromialgia, anch’essa prevalente nel sesso femminile.
Risultati. I dati numerici mostrano: 1) maggior riscontro della sindrome sul totale dei pazienti giunti all’osservazione (8,59%), rispetto a studi precedenti. 2) significativa prevalenza della sindrome nel
sesso femminile. Sul totale dei pazienti con SZTA, le donne sono
l’83,90%, gli uomini il 16,09%. 3) Nell’ambito della fascia “25-49
anni” delle donne con dolori comuni, la SZTA presenta un picco
incredibile del 30,43%. Il trattamento manuale dei DDIM vertebrali e della coccigodinia meccanica, che consideriamo ormai parte
integrante della sindrome, ha condotto a buoni risultati (72,80%)
nell’immediato, trattando tutti i DDIM, attivi e inattivi. In fase riabilitativa sono stati corretti errori posturali, gestuali e comportamentali. Le recidive, tuttavia, sono piuttosto frequenti, soprattutto
nelle donne che manifestano segni di sovraccarico allostatico, e in
soggetti giovani, maschi e femmine, dediti ad attività sportiva agonistica di tipo asimmetrico.
Conclusioni. Per la MGS, la SZTA è un buon esempio di studio
da portare avanti in modo pluridisciplinare. La MM ha messo in
luce un quadro clinico, ma sono necessari apporti di altre discipline
per chiarire l’eziopatogenesi della sindrome, al fine di evitarne le
recidive. Non è semplice condurre studi che integrino correttamente
il genere e il sesso. Un grande contributo viene dalle Neuroscienze,
grazie agli attuali metodi d’indagine non invasivi, che consentono
un approccio più scientifico ad aree e funzioni cerebrali alla base delle differenze tra cervelli maschili e femminili. Altro contributo può
venire dalla riflessione di matrice sociologica, alla quale si richiede
più attenzione per le caratteristiche di genere nel mondo del lavoro.
Bibliografia.
1.
2.
3.
Baggio G., Corsini A., Floreani A., Giannini S., “Gender Medicine: a task for
the third Millennium”. Clin Chem Lab Med 2013;51:713-27
Verma R., Gur R.C., Gur R.E., Ingalhalikar M., Smith A., Parker D., Satterthwaite T.D., Elliott M.A., Ruparel K., Hakonarson H., “Sex differences in
the structural connectome of the human brain”. Pennsylvania Univerity – 2013
Gatto R., La sindrome delle zone transizionali associate. Low Back Pain 7°
Corso di aggiornamento in Medicina Manuale. Leonessa. Colli sul Velino (RI)
– 12-13 Dicembre 2015
016
EFFETTI QUALITATIVI E QUANTITATIVI
SULLA SCIALORREA IN PAZIENTI AFFETTI DA
PARALISI CEREBRALE INFANTILE TRATTATI
CON VIBRAZIONI MUSCOLARI FOCALI
Serena Filoni1, Emanuele Francesco Russo1, Eelena De
Bonis1, FilomenaVergura1, Daniela Armillotta1
Fondazione Centri di Riabilitazione Padre Pio Onlus, gli Angeli di Padre Pio,
San Giovanni Rotondo, Italia1
co[2]. Il Cro®System consiste in una leggera vibrazione meccanica a
100 Hz di frequenza che si applica su singoli muscoli. Il trattamento
dura 30 minuti. La sonda, nel caso della scialorrea, si applica sotto la
sinfisi mentoniera. Gli obiettivi dello studio tuttora in corso sono di
valutare l’efficacia e la sicurezza del trattamento con Cro®System per
ridurre o eliminare la scialorrea in bambini affetti da CP.
Materiali e metodi. I criteri di inclusione sono: diagnosi di CP;
punteggi alla scala Drooling Frequency and Severity Scale ≥6; nessun trattamento effettuato per la scialorrea da almeno tre mesi prima
della data di inclusione; Consenso informato; età compresa tra 3 e i
18 anni. I criteri di esclusione sono: paziente arruolato per altri studi
di ricerca, uso di tossina botulinica che diminuisce la produzione di
saliva; interventi chirurgici che hanno diminuito la produzione di
saliva. I pazienti eleggibili sono stati sottoposti a valutazioni soggettive e oggettive. Le valutazioni soggettive sono la Drooling Impact
Scale che valuta l’impatto della scialorrea nella vita del paziente, la
Drooling Frequency and Severity Scale che valuta la frequenza e la
gravità della scialorrea, la VAS che valuta la percezione dello stato
della scialorrea da parte del paziente o del caregiver (da asciutto ad
estremamente bagnato). Le valutazioni oggettive sono state: il Drooling Quotient che quantifica gli episodi di scialorrea nei 5 minuti di
somministrazione sia durante la fase di attività che durante il riposo;
la Salivary Flow Rate che valuta la produzione quantitativa di saliva
da parte delle ghiandole sottomandibolari e sottolinguali e parotidee
in 3 minuti. Tutti i pazienti eleggibili sono stati valutati al momento dell’inclusione (T0), dopo 10 gg dalla fine del trattamento con
Cro®System (T1), dopo 1 mese dalla fine del trattamento (T2) e
dopo 3 mesi dalla fine del trattamento (T3).
Risultati. Attualmente sono risultati eleggibili 6 pazienti che hanno
completato le fasi T0, T1 T2. I risultati preliminari sono i seguenti:
la Drooling Impact Scale è migliorata passando da 62/100 al T0 a
18/100 nel T1, tale risultato è rimasto pressoché invariato anche nel
T1. La scala DFSS è migliorata passando da 6/9 al T0 a 4/9 al T1
e T2. La VAS somministrata al cargiver è migliorata passando da
65/100 a 30/100, tale miglioramento si è ridotto al T2 passando a
45/100. Il Drooling Quotient a riposo è migliorato passando dall’
85% al 30%; nella fase di attività dal 70% al 50%. La Salivary Flow
Rate è passata da un flusso di 2,06 mg/min nel T0 ad un flusso di
1,82 mg/min nel T1 e T2.
Conclusioni. Dai risultati preliminari si evince che il trattamento
con Cro®System non è invasivo, è efficace e sicuro nel trattamento
della scialorrea, infatti diminuisce la produzione di saliva soggettivamente che oggettivamente. Tale trattamento risulta ben tollerato dal
paziente visto che finora tutti i pazienti arruolati hanno completato
il trattamento. Lo studio è tuttora in corso e non ci permette di
stimare per quanto tempo vengono mantenuti i risultati raggiunti.
Si ritiene utile in futuro confrontare il trattamento con Cro®System
con quello con tossina botulinica.
Bibliografia
1.
2.
Walshe M1, Smith M, Pennington L., Interventions for drooling in children
with cerebral palsy, Cochrane Database Syst Rev. 2012 Nov 14.
Porte M, Chaléat-Valayer E, Patte K, D’Anjou MC, Boulay C, Laffont I., Relevance of intraglandular injections of Botulinum toxin for the treatment of sialorrhea in children with cerebral palsy: A review , Eur J Paediatr Neurol. 2014
Nov.
Introduzione. La scialorrea è definita come un eccesso di saliva nella bocca. È un fenomeno normale nei bambini prima dello sviluppo
del controllo neuromuscolare orale a 18-24 mesi di età, dopo i 3
anni è considerata patologica. La scialorrea è un problema comune
per i bambini con paralisi cerebrale (CP)[1]. Le conseguenze della
scialorrea includono il rischio di rifiuto sociale, l’odore sgradevole, la
pelle screpolata ed irritata, le infezioni della bocca, la disidratazione,
i gravi rischi respiratori per le possibili continue inalazioni salivari.
La scialorrea quindi è causa di problematiche fisiche e psicosociali
che possono avere un impatto negativo sulla qualità di vita. Il trattamento della scialorrea può essere medico (ad es farmaci anticolinergici, tossina botulinica tipo A), chirurgico o logopedico/fisioterapiVol. 30 - N. 2/3 - GIORNALE ITALIANO DI MEDICINA RIABILITATIVA - MR
55
44° CONGRESSO NAZIONALE SIMFER
017
Bibliografia
LA SENSIBILITÀ DELLE MISURE DI OUTCOME
NELLA VALUTAZIONE DELLA NEUROPATIA DI
CHARCOT MARIE TOOTH 1A (CMT1A)
2.
Laura Mori1, Valeria Prada1, Francini Luca1, Alessio
Signori2, Susanna Accogli1, Davide Pareyson3, Luca Padua4,
Gian Maria Fabrizi5, Angelo Schenone1
DINOGMI, Università degli Studi di Genova, Genova, Italia1
DISSAL, Università degli Studi di Genova, Genova, Italia2
Fondazione IRCCS - Istituto Neurologico Carlo Besta, Carlo Besta, Milano, Italia3
Dipartimento Geriatria Neurologia Ortopedia, Università Cattolica Sacro Cuore, Roma, Italia4
Dipartimento Scienze Neurologiche e Visive, Università di Verona, Verona, Italia5
Introduzione. Abbiamo sottoposto una coorte di 53 soggetti affetti da malattia di Charcot Marie Tooth tipo 1A (CMT1A) ad uno
studio prospettico, multicentrico, randomizzato, controllato, in singolo cieco, per valutare l’efficacia e la sicurezza di un innovativo protocollo riabilitativo basato su un allenamento aerobico su treadmill
associato a stretching ed esercizi propriocettivi (TreSPE). Abbiamo
quindi estrapolato i dati delle valutazione al baseline per verificare la
sensibilità di ognuna delle scale utilizzate e quantificare il grado di
disabilità del paziente e le possibili correlazioni tra le diverse misure
di outcome.
Materiali e metodi. La valutazione completa dei pazienti affetti da
CMT1A comprendeva diverse scale cliniche: il six minute walk test
(6-MWT), il ten meters walk test (10-MWT), la Walk 12 e la Short
Physical Performance Battery (SPPB), la valutazione dinamometrica della stenia segmentale agli arti inferiori misurata come massima
contrazione isometrica volontaria, la scala Berg per la valutazione
dell’equilibrio (BBS), il CMT neuropathy score (CMTNS) e la valutazione soggettiva della qualità della vita per mezzo della Medical
Outcomes Study Short Form 36 (SF-36). L’analisi statistica è stata
effettuata con il coefficiente di correlazione di Pearson per le caratteristiche di tipo continuo mentre per i dati non parametrici è
stato utilizzato il coefficiente di Spearman. Per verificare eventuali
differenze tra soggetti di sesso femminile e soggetti di sesso maschile
è stato invece usato il test T di Student per campioni indipendenti.
Risultati. La durata media di malattia dei 53 soggetti reclutati (32
donne con un’età media di 52.1±11.9 anni) era di 30 anni, senza differenze significative tra maschi e femmine (p = 0.37). Come previsto,
il 6-MWT e la BBS si sono confermate scale di misura affidabili e sensibili nel rilevare disabilità e il grado di danno neurologico in soggetti
affetti da CMT1A. Inoltre, abbiamo riscontrato correlazioni significative tra 6-MWT, 10-MWT, BBS, SPPB e Walk 12 e tra scale della
performance motoria e stenia segmentale distale degli arti inferiori, in
particolare nei muscoli dorsiflessori. Questo risultato non sorprende
se si considera che nella malattia di CMT i disturbi principali si manifestano a carico dei segmenti distali degli arti inferiori, ma dimostra
come un disturbo a carico di questi settori possa influenzare propriocezione ed equilibrio. Risultato interessante è la correlazione negativa
riscontrata tra 6-MWT e 10-MWT, che suggerisce come ad una miglior performance sul piano spaziale corrisponda una miglior performance temporale. Il punteggio alla CMTNS correla unicamente con
la SPPB, probabilmente perché i parametri di resistenza non vengono
presi adeguatamente in considerazione in questa scala. Come previsto,
i punteggi in tutti gli otto sottodomini della scala SF-36 erano inferiori rispetto ai dati normativi di riferimento della popolazione italiana.
Conclusioni. In conclusione, i risultati dell’analisi dei dati baseline
di questo studio confermano come l’utilizzo di altre scale di valutazione oltre alla CMTNS sia importante per una completa quantificazione del grado di disabilità nei soggetti affetti da CMT (Piscosquito 2015; Mannil 2014) e suggeriscono che, tra le diverse misure
di valutazione, il 6-MWT, 10-MWT e la BBS siano le più affidabili
nella valutazione di questi pazienti.
56
1.
Piscosquito G et al. “Responsiveness of clinical outcome measures in CharcotMarie-Tooth disease”. Eur J Neurol. 2015 Dec;22(12):1556-63.
Mannil M. et al. “Selected items from the Charcot-Marie-Tooth (CMT) Neuropathy Score and secondary clinical outcome measures serve as sensitive clinical markers of disease severity in CMT1A patients”. Neuromuscul Disord.
2014 Nov;24(11):1003-17.
018
L’ALLENAMENTO SU TREADMILL È IL
TRATTAMENTO MIGLIORE PER SOGGETTI
AFFETTI DA NEUROPATIA DI CHARCOT
MARIE TOOTH 1A (CMT1A)?
Laura Mori1, Valeria Prada1, Luca Francini1, Alessio
Signori2, Susanna Accogli1, Davide Pareyson3, Luca Padua4,
Gian Maria Fabrizi5, Angelo Schenone1
DINOGMI, Università degli Studi di Genova, Genova, Italia1
DISSAL, Università degli Studi di Genova, Genova, Italia2
Fondazione IRCCS - Istituto Neurologico Carlo Besta, Carlo Besta, Milano, Italia3
Dipartimento Geriatria Neurologia Ortopedia, Università Cattolica Sacro Cuore, Roma, Italia4
Dipartimento Scienze Neurologiche e Visive, Università di Verona, Verona, Italia5
Introduzione. La neuropatia di Charcot Marie Tooth (CMT) è uno
dei più comuni disordini neurologici. Attualmente, non vi sono terapie efficaci e il ruolo del trattamento riabilitativo è poco chiaro
(Schenone 2011). L’allenamento su treadmill è stato riconosciuto
utile in molte patologie neurologiche (malattia di Parkinson, sclerosi multipla, stroke, paralisi cerebrale infantile) e nei soggetti sani
anziani. In letteratura è stato evidenziato l’effetto positivo di un
allenamento di tipo aerobico nei soggetti affetti da CMT (Kilmer
2002). Nel 2011 abbiamo eseguito uno studio pilota basato sul trattamento con treadmill in una piccola popolazione di pazienti affetti
da CMT, dimostrando un effetto positivo sulla resistenza aerobica
(Maggi 2011). Per confermare questi risultati preliminari, abbiamo
sottoposto una coorte di 53 soggetti affetti da malattia di Charcot
Marie Tooth tipo 1A (CMT1A) ad uno studio prospettico, multicentrico, randomizzato, controllato, in singolo cieco, per valutare
l’efficacia e la sicurezza di questo innovativo protocollo riabilitativo.
Materiali e metodi. I 53 soggetti reclutati (32 donne con un’età media di 52.1±11.9 anni) sono stati randomizzati in cieco in 2 gruppi
di trattamento: SPE (esercizi respiratori, propriocettivi e stretching)
o TreSPE (esercizi respiratori, propriocettivi e stretching in aggiunta
ad un allenamento su treadmill). Il protocollo prevedeva che i soggetti venissero valutati al baseline (T0), dopo 3 mesi di trattamento
(2 sessioni alla settimana di 2 ore) (T1) e dopo 6 mesi dalla fine del
trattamento (T2). La valutazione completa dei pazienti affetti da
CMT1A comprendeva diverse scale cliniche: il six minutes walk test
(6-MWT), il ten meters walk test (10-MWT), la Walk 12 e la Short
Physical Performance Battery (SPPB), la valutazione dinamometrica della stenia segmentale agli arti inferiori misurata come massima
contrazione isometrica volontaria, la scala Berg per la valutazione
dell’equilibrio (BBS), il CMT Neuropathy Score (CMTNS) e la valutazione soggettiva della qualità della vita per mezzo della Medical
Outcomes Study Short Form 36 (SF-36). I criteri di inclusione allo
studio erano diagnosi clinica e genetica di CMT1A, età compresa tra
18 e 65 anni, deambulazione senza ausili, punteggio alla SPPB compreso tra 2 e 10. La randomizzazione è stata effettuata da un’unità di
randomizzazione centrale (Dipartimento di Biostatistica, Università
di Genova) secondo un disegno a blocchi permutato, e stratificato
per centro. Per l’analisi statistica è stato utilizzato un modello lineare
ad effetti misti con intercetta casuale.
Risultati. Per quanto riguarda le caratteristiche demografiche e cliniche (età, durata di malattia, CMTNS o BMI) non è stata trova-
Vol. 30 - N. 2/3 - GIORNALE ITALIANO DI MEDICINA RIABILITATIVA - MR
44° CONGRESSO NAZIONALE SIMFER
ta nessuna differenza tra i 2 gruppi, confermando l’omogeneità del
campione. La compliance al trattamento è stata sufficiente, riportando pochi drop-out a T1 (6 soggetti) e a T2 (12 soggetti). A T1 abbiamo trovato un miglioramento significativo in entrambi i gruppi
al 6-MWT (p=0.01), 10-MWT (p=0.013), BBS (p=0.029) e SPPB
(p=0.006), mentre a T2 abbiamo riscontrato un ulteriore miglioramento al 6-MWT (p=0.03) nel gruppo SPE. Nessuna variazione
di rilievo è stata riscontrata al Walk 12 né a T1 né a T2 (p=0.27).
Quasi tutti i soggetti (42/47; 89.4%) hanno mostrato un miglioramento in almeno una delle scale di valutazione testate al primo o al
secondo timepoint (38/40; 95%) senza differenze significative tra i
2 gruppi mentre 36/47 soggetti (76.6%) a T1 e 34/41 (82.9%) a T2
hanno mostrato un miglioramento consistente (>25%) in almeno
una performance. Per quanto riguarda la qualità della vita, abbiamo osservato un trend diminutivo (p=0.058) solo nel sottodominio
“physical activity” in particolare a T2, con una diminuzione media
di 8.1 punti (SE: 3.5). Nessun sottodominio esplorato ha mostrato
cambiamenti significativi nei diversi follow up e non è emersa alcuna differenza statistica tra i 2 trattamenti.
Conclusioni. I risultati di questo studio possono portare a diverse
riflessioni. Innanzitutto, il protocollo riabilitativo ha dimostrato di
essere ben tollerato e non gravato da overwork weakness. Il non aver
riscontrato differenze tra i 2 gruppi nei follow up potrebbe suggerire
che l’allenamento su treadmill non aggiunga alcun miglioramento
al trattamento convenzionale. È però possibile che la potenza dello
studio non sia sufficiente a cogliere un ulteriore miglioramento, o
che, dati gli stretti criteri di inclusione, i pazienti selezionati in questo studio non fossero compromessi al punto da richiedere l’ausilio
di un trattamento aggiuntivo oltre a quello convenzionale. È inoltre
possibile che il lavoro su treadmill abbia migliorato la resistenza aerobica e i parametri respiratori, senza però averne riscontro nei test
motori utilizzati. In lavori futuri potrebbe essere utile confrontare
separatamente il trattamento su treadmill e il trattamento SPE. Tale
valutazione non è stata effettuata nel presente studio poiché abbiamo ritenuto che non fosse etico trattare i pazienti con un protocollo
innovativo, sebbene assolutamente innocuo. Potrebbe inoltre essere
interessante valutare i 2 gruppi confrontandoli con un gruppo di
controllo formato da soggetti che, per motivi personali (lavorativi o
per la provenienza geografica) decidano di non sottoporsi al trattamento riabilitativo.
Bibliografia
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019
TRE DIVERSE LUNGHEZZE D’ONDA DELLA
LASERTERAPIA AD ALTA ENERGIA (THEAL
THERAPY) PER IL TRATTAMENTO DELLA
LOMBALGIA: CONFRONTO DELL’EFFICACIA
CLINICA
Angela Notarnicola1, Ilaria Covelli1, Alessandra Fiore1,
Giacomo Farì1, Marisa Megna1, Biagio Moretti1
Dipartimento Scienze Mediche di base, Neuroscienze e Organi di Senso, Università degli studi di Bari Aldo Moro, Bari, Italia1
Introduzione. Il trattamento lombalgia cronica (LBP) si avvale di diverse metodiche di bio-stimolazione. Nell’ambito della laserterapia,
sono state adoperate diverse lunghezze d’onda, ma prevalentemente a
bassa energia. La laserterapia ad alta energia (HLLT) rappresenta un
nuovo trattamento per la lombalgia (LBP). Tuttavia, le differenze tra
le varie lunghezze d’onda della HLLT non sono ancora state studiate
in ambito clinico.
Materiali e metodi. Abbiamo impostato uno studio clinico prospettivo sperimentale randomizzato in cui abbiamo reclutato pazienti affetti
da lombalgia cronica in un quadro clinico di discopatie e/o ernie discali. Tutti i pazienti sono stati trattati con laserterapia ad alta energia
(THEAL THERAPY, Mectronic, Bergamo) e sono stati randomizzati
a tre diversi protocolli che differivano in base alla lunghezza d’onda
(650 nm, 810 nm e TRIAX, che è una emissione simultanea di 810
nm, 980 nm e 1064 nm). Gli altri parametri sono rimasti costanti (5
W e 50 J / cm2 per dieci sessioni giornaliere). Il monitoraggio clinico
è stato condotto al momento del reclutamento (T0), a termine del
trattamento (T1) e dopo 1 (T1), 2 (T2) e 4 mesi (T4). La valutazione
clinica ha monitorato il dolore, con scala analogica visiva (VAS) e il
recupero funzionale con le scale Roland e Oswestry Score.
Risultati. Tutta la popolazione dello studio ha presentato un miglioramento statisticamente significativo dopo terapia, persistente nel
tempo (p <0.01). Il gruppo trattato con lunghezza d’onda 810 nm
ha mostrato una migliore remissione del dolore sulla scala VAS e della
disabilità sulla scala Oswestry al T4 (p = 0.01).
Conclusioni. Possiamo inquadrare questi risultati alla luce delle conoscenze sperimentali che dimostrato una più spiccata azione di rigenerazione dei nervi e di modulazione della trasmissione nocicettiva di
questa lunghezza d’onda. La laserterapia ad alta energia, modulando
la lunghezza d’onda in relazione agli effetti biologici attesi, rappresenta una valida e nuova potenzialità nelle mani del fisiatra per la gestione
della lombalgia cronica.
Bibliografia
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Santamato A, Solfrizzi V, Panza F, TondiG, Frisardi V, Leggin BG, Ranieri M,
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020
SINDROME DA FALLIMENTO CHIRURGICO
SPINALE (FBSS): GESTIONE DEL DOLORE E
TERAPIA RIABILITATIVA. CASE REPORT
Matteo Orfei1, Paolo Milia1, Marco Caserio1
Istituto Prosperius Tiberino, Clinica di Riabilitazione, Umbertide (PG), Italia1
Introduzione. Il termine di sindrome da fallimento chirurgico spinale (failed back surgery syndrome) si riferisce al quadro clinico caratterizzato dalla persistenza di dolore e disabilità dopo un intervento
di laminectomia. Le cause principali sono una degenerazione del segmento vertebrale adiacente, cicatrice chirurgica che ingloba le radici
nervose o scelta inappropriata del tipo di intervento. Riportiamo la
nostra esperienza nella gestione del dolore di una paziente con lombosciatalgia cronica. Donna di 62 anni ricoverata nella nostra clinica
riabilitazione con dolore lombare cronico irradiato all’arto inferiore
sinistro in esito a laminectomia L4-L5.
Materiali e metodi. All’anamnesi della paziente si evidenzia: ipertensione arteriosa, tetania ipocalcemica neonatale, nel 1982 sottoposta
ad artrodesi della colonna secondo Harrington per grave scoliosi. Da
allora situazione di benessere fino al 2001 quando compare sintomatologia algica lombare con irradiazione all’arto inferiore sinistro; esegue RMN rachide LS: ernia discale L4-L5 e L5-S1. Nel 2002 viene
sottoposta ad intervento chirurgico di rimozione dei mezzi di sintesi e
abbondante tessuto cicatriziale e laminectomia L4-L5. Dopo relativo
Vol. 30 - N. 2/3 - GIORNALE ITALIANO DI MEDICINA RIABILITATIVA - MR
57
44° CONGRESSO NAZIONALE SIMFER
periodo di benessere nel 2012 ricomparsa di lombosciatalgia sinistra,
eseguiva EMG che evidenziava sofferenza neurogena cronica L4-L5
a sinistra e L4 a destra. Nel 2013 RMN rachide LS che evidenziava
ED L4-L5 a dx e L5-S1 a sx. Eseguiva cicli di FKT e terapia medica
con Ibuprofene e diclofenac con relativo benessere ma successive riacutizzazioni. All’ingresso nel nostro reparto (30/09/2015) la paziente
si presenta con rachide rigido in toto, dolore prevalente al passaggio
lombosacrale; parestesie diffuse all’arto inferiore sinistro su territorio
di L5-S1. Lasegue positivo a sinistra a 30°. Massima difficoltà nei
passaggi posturali e cammino per brevi tratti con zoppia e cedimenti
all’avvio. Il piano di trattamento proposto è stato: chinesiterapia del
rachide con metodo McKenzie, idrochinesiterapia e terapia medica
con associazione Ossicodone/naloxone 10/5MG, 1cp ore 8, 1cp ore
20; eseguiva una seduta giornaliera di fisioterapia e di idrochinesiterapia per 6 giorni a settimana. La paziente è stata valutata all’ingresso
(T0), dopo 2 settimane di terapia (T1) e dopo 4 settimane dall’inizio
della terapia (T2) con scale NRS, e Barthel index. Le è stato chiesto
di compilare il questionario Roland Morris disability questionnaire a
T0-T1 e T2.
Risultati. All’ingresso la paziente presentava dolore al tratto lombare e irradiato all’arto inferiore sinistro pari a NRS 8/10, Barthel index 40/100, Roland Morris disability questionnaire 16/24. Dopo 2
settimane di trattamento medico e riabilitativo abbiamo osservato i
seguenti risultati: dolore NRS 4/10, Barthel index 60/100, Roland
Morris disability questionnaire 11/24. Alla dimissione (31/10/2015)
il dolore è quasi completamente regredito NRS 1/10, la disabilità
quantificata come bassa: Barthel index 80/100, Roland Morris disability questionnaire 16/24. La paziente alla dimissione si presenta
autonoma nei passaggi posturali, una mobilità del rachide pressoché
completa e in assenza di dolore all’arto inferiore. Permane tuttavia sintomatologia parestesica all’arto inferiore sinistro. La paziente veniva
dimessa con terapia medica ossicodone/naloxone 10/5mg, 1cpx2/die
e con un programma di esercizi da svolgere a domicilio.
Conclusioni. In considerazione della componente neuropatica del
dolore si è preferito inserire in terapia l’associazione di ossicodone/
naloxone come da indicazione nelle linee guida EFNS. Infatti questo
ha permesso di ottenere un buon controllo del dolore senza comparsa
di effetti collaterali, come una ridotta funzione intestinale. Inoltre con
il programma di esercizi e la terapia in acqua si è ottenuto un ripristino della funzionalità del rachide e dei movimenti degli arti inferiori
in assenza di dolore.
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ahead of print]
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3.
4.
021
STUDIO D’EFFICACIA DELLA TERAPIA CON
ESWT NELLA SPALLA DOLOROSA. RISULTATI
PRELIMINARI
Giovanni Taveggia1
Habilita Care & Research Rehabilitation Hospitals, Istituto Clinico di Sarnico,
Sarnico (BG), Italia1
Introduzione. Le onde d’urto focalizzate (ESWT) sono considerate una valida ed efficace scelta terapeutica in numerose patologie
della spalla. Il dolore della spalla è generato nel 75% dei casi nello
58
spazio subacromiale (1). Spesso la terapia si limita al trattamento del sintomo dolore e non sempre è possibile porre una precisa
diagnosi. Nello spettro di possibili cause di dolore la tendinopatia
calcifica della cuffia dei rotatori rappresenta uno dei riscontri più
frequenti (2). Anche se poco conosciamo sui fattori precipitanti
il calcio, la sede di deposito di gran lunga più accertata dei cristalli, probabilmente per ragioni anatomiche, risiede nel tendine
sovraspinato (3). Altre cause ben conosciute di dolore persistente
della spalla sono le tendinopatie degenerative non calcifiche della cuffia dei rotatori, che genericamente determinano tendinosi e
rotture di piccole dimensioni e che instaurano, cronicamente nel
tempo, limitazioni della funzionalità del cingolo scapolo omerale
(4,5). Possiamo trovare in letteratura casististiche poco numerose
di spalla dolorosa trattate con ESWT nelle capsuliti adesive, nelle
teninopatie primarie del capolungo del bicipite e nelle osteolisi
della clavicola. Nonostante la molteplicità di cause muscoloschelettriche responsabili di dolore della spalla, l’applicazione di onde
d’urto consente di ristabilire favorevoli condizioni di microcircolo
tissutale con drenaggio di mediatori chimici dell’infiammazione ed
il dilavamento dei depositi di calcio (2,3).
Materiali e metodi. Sono stati reclutati 112 pazienti (57 M 55 F)
di età compresa fra 35 e 84 anni (età media 62.14), sottoposti nel
periodo settembre-dicembre 2015 a terapia settimanale con onde
d’urto focalizzate con cicli di 3 / 6 sedute (media sedute 3.2), per
un totale di 3000 impulsi a seduta, ad intensità variabile da 0 a
20 (intensità media 8.72), alla profondità variabile di 15 - 20 mm
(profondità media 15.28). La fonte generatrice dell’onda terapeutica
è una calotta sferica piezoelettrica autofocalizzante a densità di energia compresa fra 0.05- 1.48 mJ/mm2.Diagnosi d’invio: Tendinopatia calcifica 43 pazienti, Spalla dolorosa 36 pazienti, Tendinosi 25
pazienti, Periartrite 4 pazienti, Artrosi acromionclaveare 2 pazienti, Artrosi gleno omerale 1 paziente, Tendinopatia clbo 1 paziente.
Outcome: Visual Analogic Scale (VAS 0) prima del trattamento e
Visual Analogic Scale (VAS 1) alla fine del trattamento per la rilevazione del dolore; Questionario Dash prima del trattamento (tempo
0) e Questionario Dash alla fine del trattamento (tempo 1) per la
rilevazione del dolore e della funzione dell’arto superiore.
Risultati. I pazienti reclutati e sottoposti a terapia ESWT hanno
tutti concluso il trattamento. Non sono stati registrati eventi avversi
dovuti alla terapia, alcuni pazienti hanno riferito temporaneamente un lieve incremento della sintomatologia dolorosa nelle prime
sedute di trattamento e transitori episodi di eritema della cute, comunque nessun paziente ha dovuto ricorrere a farmaci analgesici o
antinfiammatori durante il ciclo di cure per controllare il dolore.
I miglioramenti registrati sono significativi in termini di riduzione del dolore (p<0.01) ed anche della funzione dell’arto superiore
(p<0.003) nel campione di pazienti studiati.
VAS
Tempo 0
MEDIA e
DEV STAN
7,00 ± 1,69
VAS
Tempo 1
MEDIA e
DEV STAN
4,25 ± 1,95
VAS
T0-T1
MEDIA e
DEV STAN
2,66 ± 1,72
Questionario
DASH tempo 0
MEDIA e
DEV STAN
74.3 ± 19.0
Questionario
DASH tempo 1
MEDIA e
DEV STAN
69.0 ± 13.0
DASH
T0-T1
MEDIA e
DEV STAN
10.35±
11.27
P< 0.01
P< 0.003
Conclusioni. Analizzando i risultati del nostro campione di pazienti
trova riscontro un’elevata efficacia del trattamento con ESWT nella
Vol. 30 - N. 2/3 - GIORNALE ITALIANO DI MEDICINA RIABILITATIVA - MR
44° CONGRESSO NAZIONALE SIMFER
sindrome dolorosa della spalla. Sebbene possano essere numerose
le cause responsabili del dolore e della limitazione funzionale del
cingolo scapolo omerale, il trattamento focalizzato nello spazio subacromiale risulta essere estremamente efficace. Alcuni autori raccomandano, in presenza di calcificazioni, un trattamento precoce
prima che i cristalli di calcio si addensino e si aggreghino in conglomerati difficili da trattare conservativamente (6). Non esistono
in letteratura opinioni convergenti sulle caratteristiche fisiche della
stimolazione (7), esistono esperienze personali con casistiche limitate e con popolazioni di pazienti disomogenee per età e diagnosi (1).
La nostra casistica è fra le più numerose e potrebbe rappresentare un
buon punto di partenza per futuri studi randomizzati. Il trattamento conservativo con ESWT nella cura della sindrome dolorosa della
spalla rappresenta, nelle tendinosi calcifiche e degenerative, l’opzione di prima scelta in quanto considerate terapie efficaci, sicure e non
invasive.
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022
MANAGEMENT DELLA SPALLA DOLOROSA
MEDIANTE ECOTOMOGRAFIA
Giovanni Taveggia1, Francesca Vavassori1, Daniela Arnoldi1
Habilita Care & Research Rehabilitation Hospitals, Istituto Clinico di Sarnico
(BG), Sarnico (BG), Italia1
Introduzione. La sindrome dolorosa della spalla rappresenta una frequente condizione clinica a genesi multifattoriale. Con l’aumentare
dell’età aumentano sia l’incidenza delle limitazioni funzionali che
della sintomatologia dolorosa. In genere i pazienti con una ridotta
sintomatologia dolorosa hanno danni limitati ed una prognosi più favorevole, viceversa quando il dolore diventa il sintomo più importante aumentano anche i rischi di rapida progressione degenerativa(1).
Un aggravamento improvviso del dolore è spesso preceduto da una
progressione del danno della cuffia dei rotatori e richiede approfondimenti diagnostici per stabilire l’entità della rottura. Lesioni della cuffia
dei rotatori superiori a 1.0-1.5 cm hanno una elevata probabilità di
progressione verso una lesione massiva e dovrebbero essere riparate
chirurgicamente in tempi rapidi, per limitare la possibilità di danni permanenti delle strutture capsuloligamentose e muscolari della
spalla(2). La diagnostica ultrasonografica rappresenta ad oggi il gold
standard nello studio della cuffia dei rotatori e permette di guidare i
clinici nella scelta più appropriata di trattamento (3,4). Comunque
la decisione ultima verrà presa, anche in presenza di una rottura estesa, dopo un’approfondita valutazione clinica che consideri il rapporto
vantaggi/svantaggi di una soluzione chirurgica rispetto a quella conservativa.Riportiamo di seguito la nostra casistica di pazienti studiati
mediante diagnostica ecotomografica della spalla che si sono rivolti al
nostro istituto di riabilitazione.
Materiali e metodi. Abbiamo eseguito uno studio retrospettivo della
casistica di 322 pazienti, 194 maschi e 128 femmine, di età compresa
fra 21 e 83 anni (età media 60), sottoposti ad esame ecotomografico
della spalla nel periodo gennaio-dicembre 2015 presso il servizio di
radiologia e diagnostica per immagini dell’Istituto Clinico Habilita
di Sarnico (BG)
Risultati. Dall’analisi dei dati della nostra casistica la motivazione
principale che conduce pazienti ambulatoriali a sottoporsi ad accertamento ecografico della spalla è in assoluto (99%)(319/322) il sintomo dolore e in minima percentuale 3.7% (12/322) la limitazione
funzionale del cingolo scapolo omerale. La spalla destra è più studiata
59% (190/322). Nella refertazione degli esami spesso coesistono artrosi acromionclaveare 49.6% (160/322), distensione infiammatoria
della borsa subacromiale 48.7% (157/322), aspetto degenerativo del
CLBO nel 34.1% (110/322) e la rottura completa del tendine in 1
solo caso. In elevata percentuale 80.4% (259/322) vengono riconosciute calcificazioni dei tendini della cuffia dei rotatori. Le rotture
totali riconosciute della cuffia dei rotatori sono 25 (7.7%) mentre le
rotture parziali (inferiori a 15 mm) sono 60 (18.6%).
Conclusioni. Esiste una correlazione diretta fra numerosità di fattori
che determinano dolore della spalla ed età dei pazienti. Nella popolazione anziana (oltre gli 80 anni) circa la metà delle persone presenta
danni da usura delle strutture articolari intrinseche della spalla (1). La
lacerazione degli elementi stabilizzatori (capsula legamenti tendini),
dovuti a microtraumi ed i traumi maggiori, altera la fisiologia articolare e predispone la spalla a fenomeni degenerativi progressivi. Non
sempre la sintomatologia dolorosa avverte per tempo il paziente di un
fenomeno degenerativo graduale ed incessante che inesorabilmente,
se sottovalutato, può determinare lesioni irreversibili della cuffia con
severa limitazione funzionale e disabilità. Con il passare del tempo anche le forme all’esordio asintomatiche o poco sintomatiche progrediscono e manifestano tardivamente dolore che peggiora accentuandosi
negli anni. Anticipare la diagnosi rappresenta il target primario nella
prevenzione delle complicanze e dell’aggravarsi della sintomatologia
dolorosa. Il ruolo dell’ecotomografia nella diagnostica precoce rappresenta quindi un elemento di fondamentale importanza nella strategia
di studio dello spazio sub acromiale ed in particolare della cuffia dei
rotatori. Il riscontro precoce di lesioni di piccole dimensioni (comprese fra 1-1.5 cm) permette di prediligere interventi mirati di tipo conservativo, spesso utili ad arrestare la progressione del danno articolare
e del dolore. Un’ulteriore specifica funzione dell’ecografia della spalla
è di consentire lo studio dinamico dei tendini e di diagnosticare con
anticipo eventuali manifestazioni precliniche di conflitto sub acromiale (4). Riferendoci alla nostra casistica si evince come, nonostante le
fasce d’età studiate fossero ampie e l’età media relativamente bassa (60
anni), l’esame ecografico è stato condotto tardivamente. Nella metà
dei casi oltre a dolore conclamato venivano descritti danni strutturali
della borsa sub acromiale e dell’articolazione acromionclaveare. Sebbene le rotture della cuffia accertate fossero ancora poche, è ipotizzabile che le numerose tendinosi calcifiche rinvenute possano anticipare,
col passare degli anni, un’ulteriore progressione della degenerazione
tendinea con elevata probabilità di rottura. Suggeriamo in conclusione di prescrivere precocemente accertamenti ecotomografici della
spalla, che consentano di orientare al meglio una scelta terapeutica
conservativa, prima che danni irreversibili espongano il paziente a dolore e limitazione funzionale permanenti.
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59
44° CONGRESSO NAZIONALE SIMFER
023
ERGONOMIA OCCUPAZIONALE: INDAGINE
SUL RISCHIO DA SOVRACCARICO
BIOMECCANICO DEL RACHIDE DEL
PERSONALE CHE OPERA NELLE STRUTTURE
DI RIABILITAZIONE RESIDENZIALI
Giacomo Francesco Forte1, Serena Urbano2, Serena Filoni1
Fondazione Centri di Riabilitazione Padre Pio Onlus, Gli Angeli di Padre Pio,
San Giovanni Rotondo, Italia1
Fondazione Casa Sollievo della Sofferenza, Casa Sollievo della Sofferenza, San
Giovanni Rotondo, Italia2
Introduzione. Le patologie muscoloscheletriche della colonna vertebrale rappresentano le più importanti cause di inabilità e assenza
dal lavoro per malattia nei Paesi industrializzati (1). Nell’Unione
Europea il 25% dei lavoratori dichiara di soffrire di mal di schiena, il 46% di lavorare in posizioni dolorose o stancanti ed il 35%
di trasportare o movimentare carichi pesanti (2). In Italia, secondo alcune stime epidemiologiche, almeno 5 milioni di lavoratori
svolgono abitualmente attività con movimentazione manuale dei
carichi. Il NIOSH (National Institute of Occupational Safety and
Health) ha stabilito che un operatore non dovrebbe sollevare più
di 23 kg in circostanze controllate e limitate (3). Questo riferimento però non può essere applicato in ambito sanitario-assistenziale.
La tutela della salute e della sicurezza negli ambienti di lavoro,
rientra nella missione delle strutture riabilitative che attraverso le
funzioni di controllo, vigilanza e di promozione della salute e della sicurezza, incrementano e attuano la prevenzione delle malattie
professionali e degli infortuni sul lavoro. L’Ufficio Qualità della
Fondazione Centri di Riabilitazione Padre Pio Onlus ha affrontato le problematiche legate all’ergonomia occupazionale in uno
dei principali Presidi dell’Ente attraverso un’indagine sullo stato di
salute iniziale del personale operante, sulle attività svolte durante
la giornata nel tempo libero e sul lavoro, e le conseguenti problematiche insorte a carico del rachide.
L’obiettivo è stato quello di indagare sia le attività della vita quotidiana e dello stato di salute, sia l’incidenza dell’attività lavorativa
sul benessere del rachide del personale addetto ai servizi riabilitativi al fine di apportare gli accorgimenti necessari alla prevenzione
degli effetti conseguenti a movimenti o posture disergonomiche
con ricadute positive anche sulla gestione del personale e del costo
del lavoro.
Materiali e metodi. Per l’analisi e la rilevanza sulle attività della vita quotidiana dello stato di salute del rachide del personale,
è stata ideata, realizzata e validata una scheda/questionario che è
stata somministrata al personale diretto all’assistenza che opera nel
Presidio di riabilitazione extraospedaliero a ciclo continuativo. La
scheda/questionario si compone di due parti, la prima prevalentemente anagrafica e la seconda indirizzata a indagare lo stato di
salute del rachide. La popolazione lavorativa oggetto dell’indagine
è formata da n.40 operatori, 65% donne, età media 45 aa, e 45%
uomini, età media 35 aa, appartenenti alle seguenti qualifiche:
medici (5%), fisioterapisti (35%), terapisti occupazionali (8%),
terapisti della neuro psicomotricità dell’età evolutiva (10%), infermieri (15%) e OSS (27%).
Risultati. L’indagine ha rilevato che le donne sono più esposte
alla movimentazione dei carichi degli uomini e tra le qualifiche, i
fisioterapisti, più delle altre. Il 57% delle donne non svolge attività
fisica ma lavori domestici, di studio o di lettura mentre il 78% degli uomini svolge attività fisica. Ha più di 5anni di servizio il 74%
del personale, il restante meno di 5aa. Il 65 % dei lavoratori svolge
le attività di movimentazione in coppia. Gli ausili non vengono
60
mai utilizzati dal 10% del personale, non sempre dal 63%, un solo
lavoratore ha dichiarato che gli ausili non sono disponibili. Il 64%
dei lavoratori dichiara di non avere una formazione specifica per
la movimentazione manuale dei carichi. Le movimentazioni letto/
carrozzina sono <10 volte/die per il 45% mentre quelle di oggetti
inanimati sono ≥10 volte/die per il 35%. Il 60% del personale ha
segnalato dolori e disturbi della regione lombare con coinvolgimento patologico nel 10% per lombalgia e del 12,5 % per ernie o
protrusioni. Dei lavoratori sottoposti ad indagine, il 68%, di cui
27,5% fisioterapisti, ha avuto episodi di mal di schiena nei 6 mesi
precedenti la rilevazione: 35% più di 3 episodi, il restante meno.
La media del dolore, registrato su scala VAS, è stata pari a 5 con
durata 1-3 giorni per 55% dei casi, 3- 6 giorni per il 35% e > 7
giorni per il 10%. Tuttavia, solo il 7,5% ha dichiarato di essersi
assentato da lavoro da 3 a 7 giorni.
Conclusioni. I risultati dell’indagine hanno evidenziato che il personale del Presidio di riabilitazione è esposto a rischio da sovraccarico biomeccanico del rachide. Lo stesso, non sempre svolge un’attività preventiva ed ergonomica per ridurre tale rischio. La motivazione di tale comportamento, rileva questo lavoro, è da ricercarsi
nella scarsa informazione/formazione ad hoc sull’argomento del
personale e dalla giovane età dello stesso. In questo contesto occorrono nuovi modelli formativi sull’ergonomia occupazionale tali
da assicurare competenza nella movimentazione e migliorare l’uso
degli ausili.
Bibliografia
1.
2.
3.
National Institute for Occupational Safety and Health, NIOSH (1997). Musculoskeletal Disorders and Workplace Factors: A Critical Review of Epidemiologic Evidence for Work-Related Musculoskeletal Disorders of the Neck,
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Nelson A, Fragala G, Menzel N. Myths and facts about back injuries in nursing. Am J Nurs 2003;103:32-40.
025
TRATTAMENTO EMG DINAMICA-GUIDATO
DI ANTEROCOLLIS IN MALATTIA DI
PARKINSON CON TOSSINA BOTULINICA E
RIABILITAZIONE
Massimo Bacchini1, Claudio Rovacchi1, Michele Rossi1
Fondazione Don Carlo Gnocchi - Onlus - Parma, Unità Operativa Riabilitazione Intensiva, Parma, Italia1
Introduzione. L’anterocollis, frequentemente presente nella malattia di Parkinson, è definita come una marcata flessione distonica del
collo (> 45%), sproporzionata alla flessione del tronco [1]. Esistono
due tipi di anterocollis: complessa, associata a camptocormia, e pura
da iperattività anomala del muscolo lungo del collo. Gli scopi di
questo studio erano di diagnosticare con parametri clinici, radiografici, di elettromiografia dinamica e statica l’anterocollis complessa,
differenziandola da quella pura, ai fini di inoculazione di tossina
botulinica e programma riabilitativo mirato.
Materiali e metodi. 12 pazienti con anterocollis (7 maschi e 5 femmine; di età media di 66 anni) hanno partecipato a questo studio. È
stata eseguita l’analisi di 9 prove, con registrazione elettromiografia
dinamica (Pocket EMG, BTS, Milano, Italia) di sternocleidomastoidei (SCM), splenio del capo (SC), trapezi (TR), paravertebrali
cervicali (PC), paravertebrali dorsali (PD), paravertebrali lombari
(PL), retti addominali inferiori (RAI), obliqui esterni (OE) ed ileopsoas (IP). I pazienti sono stati sottoposti a valutazione clinica (scala
di disabilità di distonia del tronco: TDDS), radiografica ed elettromiografica dinamica in due tempi: al reclutamento ed un mese dopo
Vol. 30 - N. 2/3 - GIORNALE ITALIANO DI MEDICINA RIABILITATIVA - MR
44° CONGRESSO NAZIONALE SIMFER
l’iniezione di tossina botulinica. Le valutazioni sono state eseguite in
condizioni “on” un’ora dopo la regolare somministrazione della terapia antiparkinsoniana. L’elettromiografia dinamica ha evidenziato
pattern di tonica iperattività con potenziali di più di 100 μVolts/sec
per più di 500 msec, a riposo e durante i movimenti, dei muscoli
sternocleidomastoidei, retti addominali inferiori ed obliqui esterni
bilateralmente. Per escludere la tonica iperattività anomala del muscolo lungo del collo è stata impiegata l’elettromiografia ad ago. Sotto guida elettromiografica, abbiamo inoculato la tossina botulinica
(Dysport, 500 U in 2,5 mL di soluzione fisiologica) nei muscoli
sterno-cleido-mastoidei bilateralmente con 25 U, distribuite in tre
inoculi, nei retti addominali inferiori bilateralmente con 60 U, suddivise in due inoculi, ed obliqui esterni bilateralmente con 60 U,
suddivise in due inoculi. Inoltre i pazienti sono stati sottoposti a
regolare programma di riabilitazione quotidiana.
Risultati. Dopo il trattamento, abbiamo evidenziato aumento significativo nel range di movimento articolare del rachide cervicale,
miglioramento dell’estensione del rachide dorsale, ripresa del ritmo
sinusoidale di bacino nel piano sagittale con riduzione della retroversione del bacino. Le radiografie di controllo hanno indicato significativa riduzione dei valori della cifosi cervicale (34.6° ± 7.1° vs
46.2° ± 8.9°). L’elettromiografia dinamica ha registrato riduzione di
anomala tonica iperattività dei muscoli inoculati.
Conclusioni. Il trattamento di scelta dell’anterocollis complessa è
la tossina botulinica, ma i muscoli da iniettare devono essere attentamente selezionati con l’elettromiografia dinamica. In presenza di
anterocoIlis complessa va valutata la catena muscolare cinetica anteriore comprensiva di flessori cervicali e flessori addominali. Deve
esser contemplata la possibilità di trattare oltre ai muscoli flessori
superficiali (sternocleidomastoidei), anche i muscoli addominali,
previa esclusione di tonica iperattività anomala a carico dei muscoli flessori cervicali profondi, in particolare il longus colli [1]. L’elettromiografia dinamica fornisce informazioni da più muscoli in
contemporanea, registrandone l’attivazione sotto carico e rispetto
ai baricentri; essa è indispensabile ai fini di diagnosi topografica,
individuando i muscoli responsabili di anterocollis e camptocormia,
e di diagnosi qualitativa, identificando il tono plastico distonico dei
gruppi muscolari affetti. La componente distonica presenta timing
di attivazione fluttuante con potenziali di ampiezza compresa tra
100 e 200 μVolts di durata pari a 500 msec., mentre quella contratturale presenta potenziali di ampiezza > a 200 μVolts, di durata superiore a 500 msec. [2 e 3]. Riteniamo che il trattamento con tossina
botulinica fornisca una “finestra normotonica” su cui reimpostare in
contemporaneità il programma riabilitativo. Non ci deve essere una
diastasi tra intervento botulinico e momento fisioterapico, ai fini di
riottimizzare il coefficiente visco-elastico muscolare. Il suddetto trattamento integrato fornisce risultati clinici e strumentali significativi
[3]. La tossina botulinica agisce direttamente sulla funzionalità contrattile muscolare ed indirettamente, sinergizzata in contemporanea
con la fisioterapia, anche sulla micro-struttura anatomica e sulla viscosità muscolare. Il trattamento pur prevedendo un limite di tempo di efficacia, permette verosimilmente anche modifiche strutturali
delle miofibrille, incrementate ad ogni ripetizione terapeutica.
Bibliografia
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2.
3.
Glass G.A., Ku S., Ostrem J.L., Heath S., Larson P.L. Fluoroscopic, EMGguided injection of botulinum toxin into the longus colli for the treatment of
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Werdelin L., Dalager T., Fuglsang-Frederiksen A., Regeur L., Karlsborg M.,
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Di Matteo A., Fasano A., Squintani G., Ricciardi L., Bovi T., Fiaschi A., Barone P. Tinazzi M. Lateral trunk flexion in Parkinson’s disease: EMG features
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026
EFFICACIA DEL TRATTAMENTO CON CAMPI
MAGNETICI ULTRADEBOLI NEI RITARDI DI
CONSOLIDAZIONE E NELLE PSEUDOARTROSI
IN ESITO A FRATTURE SCHELETRICHE DEGLI
ARTI: PROTOCOLLO DI STUDIO E RISULTATI
PRELIMINARI
Elisa Taglione1, Massimo Amitrano1, Generoso Della
Polla1, Ketty Del Testa1, Ornella Pierini1, Anna Rita
Mirarchi1, Giuseppe Calvosa2, Paolo Catitti3
Istituto Nazionale per l’Assicurazione contro gli Infortuni sul Lavoro, Centro di
Riabilitazione Motoria INAIL di Volterra, Volterra, Italia1
U.O. di Ortopedia e Traumatologia degli Spedali Riuniti Santa Maria Maddalena di Volterra, Azienda USL Toscana nord ovest2
Infortuni sul Lavoro, Centro di Riabilitazione Motoria INAIL di Volterra, Volterra, Italia3
Introduzione. L’incidenza di ritardo di consolidazione o evoluzione in pseudoartrosi delle fratture scheletriche è stimata tra il 5
e il 10%, con notevole impatto sulla qualità della vita dei soggetti
colpiti e sui costi a carico del sistema sanitario ed assicurativoprevidenziale. LIMFA Therapy® è un innovativo dispositivo medico per la terapia mediante campi magnetici complessi ultradeboli
a campo variabile costruito dalla LIMFA TECHNOLOGIES srl,
che trova indicazione nel trattamento delle patologie osteoarticolari, sia degenerative che post-traumatiche, e delle condizioni
secondarie alla chirurgia ortopedica. LIMFA Therapy®, utilizza
segnali magneto-elettrici complessi multi-frequenziali a bassissima frequenza (Extremely Low Frequency – ELF, compresa tra 1
e 80 Hz), con intensità di campo da 1 a 100 μT, paragonabili alle
forze elettromagnetiche endogene generate dall’attività cellulare.
A differenza della magnetoterapia tradizionale (PEMF), che utilizza uno o al massimo due segnali pulsanti con la stessa geometria d’onda, LIMFA Therapy®, utilizza fino a 30 diverse geometrie
d’onda e differenti frequenze in sequenze combinate, in grado di
trasferire ai tessuti specifiche informazioni riparative i cui effetti si
protraggono nel tempo anche dopo il termine del ciclo di applicazioni. In assenza, ad oggi, di studi clinici controllati ad hoc, Il
CRM INAIL si è fatto promotore di un trial esplorativo che si propone di acquisire dati preliminari sull’efficacia del trattamento con
LIMFA Therapy® nell’indurre una progressione RX-percepibile dei
fenomeni di consolidamento osseo in un breve periodo di osservazione (5 settimane).
Materiali e metodi. Lo studio, in aperto, randomizzato e controllato, prevede l’arruolamento di 30 pazienti adulti, di età compresa
tra i 18 e i 65 anni, con ritardo di consolidazione o pseudoartrosi
di fratture scheletriche degli arti per eventi traumatici riportati in
occasione di lavoro. Sono considerati criteri di esclusione l’infezione - in atto o sospetta - a livello del sito di mancata consolidazione e l’assunzione in atto o pregressa (nelle 4 settimane precedenti
l’arruolamento) di farmaci attivi sul metabolismo osseo. I pazienti
assegnati al gruppo sperimentale ricevono il trattamento con il dispositivo LIMFA Therapy® come unica terapia fisica, secondo il
programma denominato “rigenerazione ossea”, predefinito dal costruttore; i controlli sono trattati con i convenzionali programmi
di terapia fisica. Per entrambi i gruppi di studio la terapia fisica è
associata a un programma di rieducazione neuro-motoria e funzionale adeguato allo specifico quadro lesionale e disfunzionale, della
durata di 5 settimane. Un esame radiografico del sito di frattura in
2 proiezioni ortogonali viene acquisito o eseguito entro 4 settimane dall’inizio del trattamento, ed un secondo esame viene eseguito
al termine delle 5 settimane di terapia. I due esami vengono stadiati in cieco da un ortopedico esperto indipendente dal gruppo degli
sperimentatori facendo riferimento allo score di Hammer (che co-
Vol. 30 - N. 2/3 - GIORNALE ITALIANO DI MEDICINA RIABILITATIVA - MR
61
44° CONGRESSO NAZIONALE SIMFER
difica il grado di riparazione ossea secondo un punteggio da 1 a 5,
dove 1 identifica la guarigione).
Risultati. Ad oggi hanno completato il protocollo di studio 10 pazienti. Sei di essi (5 maschi e 1 femmina; età media 47,67 ± 6,80;
5 casi di pseudoartrosi e 1 caso di ritardo di consolidazione) sono
stati assegnati al trattamento sperimentale ed hanno tutti (100%)
mostrato evidenza RX di progressione dei fenomeni riparativi ossei.
Al gruppo di controllo sono stati assegnati 4 pazienti (3 maschi
e 1 femmina; età media 48,8 ± 16,92; 1 caso di pseudoartrosi e
3 casi di ritardo di consolidazione). Tutti sono stati trattati con
un programma di magnetoterapia convenzionale (con apparecchio
Biorem Supera, n. medio di sedute per paziente: 28 ). In 2 casi su
4 (50%) la stadiazione secondo Hammer ha dimostrato un incremento del grado di consolidazione.
Conclusioni. Il piccolo numero di pazienti osservati sino ad oggi
non consente di trarre conclusioni definitive. I risultati preliminari appaiono incoraggianti, considerato anche il breve periodo di
osservazione (il più breve periodo di osservazione riportato nella
letteratura riguardante l’efficacia della magnetoterapia tradizionale
è pari a 12 settimane). La durata del programma di trattamento
per la rigenerazione ossea di LIMFA Therapy® (una seduta di 30’
ogni 2 giorni, per un totale di 10 sedute) è inoltre molto più breve
rispetto ai cicli di cura con PEMF e può essere condotto anche in
presenza di sistemi per la fissazione esterna della frattura. Occorrerà attendere la conclusione dell’arruolamento e l’analisi finale dei
dati per poter esprimere valutazioni più attendibili.
Bibliografia
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Victoria G, Petrisor B, Drew B, Dick D: Bone stimulation for fracture healing:
What’s all the fuss? Indian journal of orthopaedics 2009, 43:117–120.
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Hammer RRR, Hammerby S, Lindholm B. Accuracy of radiologic assessment
of tibial shaft fracture union in humans. Clin Orthop 1985;199:233-8.
2.
3.
027
MONITORAGGIO RADIOGRAFICO DELLA
TENDINOPATIA CALCIFICA DI SPALLA
TRATTATA CON ONDE D’URTO
Giacomo Farì1, Angela Notarnicola1, Ilaria Covelli1,
Alessandra Fiore1, Marisa Megna1, Biagio Moretti1
Dipartimento di Scienze Mediche di Base, Neuroscienze e Organi di Senso, Università degli Studi di Bari, Bari, Italia1
Introduzione. La terapia con Onde d’Urto viene utilizzata da circa
vent’anni nel trattamento delle tendinopatie, in particolare quelle
calcifiche. Allo stato dell’arte non abbiamo indicazioni su quali calcificazioni abbiano una migliore risposta disgregante e di remissione
clinica.
Materiali e metodi. Abbiamo impostato uno studio clinico prospettico osservazionale in cui abbiamo reclutato 174 spalle affette
da tendiniti calcifiche. Lo studio ha previsto la valutazione prima e
dopo la terapia con onde d’urto, utilizzando le classificazioni radiografiche tramite le scale di Gartner e Heyer, di Bosworth e di Molè.
Risultati. Tre mesi dopo la terapia con onde d’urto, abbiamo osservato la scomparsa delle calcificazioni nel 36,8% delle spalle, la
riduzione delle dimensioni nel 21,8%, mentre non si sono registrate differenze rispetto all’inizio nel 41,4% dei casi. Le calcificazioni
di grandi dimensioni secondo la classificazione di Bosworth hanno
presentato una risposta alla disgregazione in maniera significativa
(p=0,004). La probabilità di risoluzione aumentava con l’aumentare
dell’età (p=0,011), per le calcificazioni di medie dimensioni secondo
Bosworth (p=0,001) e di tipo A (dense) secondo Molè.
Conclusioni. I risultati preliminari del nostro studio suggeriscono
che le caratteristiche radiografiche delle tendiniti calcifiche della cuf62
fia dei rotatori potrebbero influenzare la risposta disgregativa della
terapia. La conoscenza della prognosi della risposta alla terapia con
Onde d’Urto potrebbe fornirci un valido strumento per definire i
tempi del trattamento e la scelta terapeutica.
Bibliografia
1.
2.
3.
Bosworth BM. Calcium deposits in the shoulder and subacromial bursitis: a
survey of 12,122 cases. J Am Med Assoc 1941;116: 2477–2482
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the treatment of rotator cuff calcifying tendinitis. Knee Surg Sports Traumatol
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Ioppolo F, Tattoli M, Di Sante L, Venditto T, Tognolo L, Delicata M, et al. Clinical improvement and resorption of calcifications in calcific tendinitis of the
shoulder after shock wave therapy at 6 months’ follow-up: a systematic review
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028
EFFICACIA DI DUE DIFFERENTI
TRATTAMENTI RIABILITATIVI INTENSIVI
(CON E SENZA LOKOMAT®) IN PAZIENTI CON
PARALISI SOPRANUCLEARE PROGRESSIVA
Ilaria Clerici1, Fabiola Bossio1, Laura Gobbi1, Letizia
Spina1, Davide Ferrazzoli1, Gianni Pezzoli2, Margherita
Canesi2, Daniele Volpe3, Giuseppe Frazzitta1
Dipartimento di Neuroriabilitazione Malattia di Parkinson e Disturbi del Movimento, Ospedale Generale di Zona Moriggia Pelascini, Gravedona ed Uniti,
Italia1
Parkinson Institute, Istituti Clinici di Perfezionamento, Milano, Italia2
Dipartimento di Neuroriabilitazione, Casa di Cura Villa Margherita, Arcugnano, Italia3
Introduzione. La Paralisi Sopranucleare Progressiva (PSP) è una forma di parkinsonismo caratterizzata da precoce instabilità posturale
con frequenti cadute (prevalentemente all’indietro), paralisi verticale
dello sguardo, bradicinesia, rigidità assiale e demenza sottocorticale.
Ad oggi non esistono terapie che determinino una influenza positiva
sul decorso della malattia. Recenti studi hanno dimostrato l’efficacia
del Trattamento Riabilitativo Intensivo Multidisciplinare (MIRT) in
pazienti affetti da Malattia di Parkinson (PD). In particolare, nel contesto di questo trattamento, il training con treadmill si è dimostrato
utile nel migliorare i parametri del cammino e l’equilibrio dei soggetti Parkinsoniani. Mentre ad oggi non esistono studi che abbiano
indagato l’efficacia di questo trattamento in pazienti con PSP, negli
ultimi anni l’utilizzo di dispositivi robotici come il Lokomat® è risultato essere vantaggioso nell’implementare e integrare la riabilitazione
convenzionale nelle malattie neurodegenerative. Obiettivo di questo
studio è quello di valutare nei pazienti con PSP l’efficacia del MIRT e
se l’utilizzo del Lokomat® sia utile nella riabilitazione di questi soggetti.
Materiali e metodi. Abbiamo reclutato 24 pazienti affetti da PSP
ricoverati presso il nostro Dipartimento per effettuare un ciclo di
trattamento riabilitativo intensivo. 12 pazienti sono stati sottoposti
al protocollo MIRT convenzionale che prevede l’utilizzo del treadmill 5 giorni alla settimana, i restanti 12 soggetti sono stati sottoposti
a protocollo MIRT+Lokomat® nel quale il training con treadmill è
stato sostituito dall’utilizzo del Lokomat® per 5 giorni alla settimana.
Come misure di outcomes sono state utilizzate: 1) scale di valutazione funzionali e motorie: PSP rating scale (PSP-RS), Six Minutes
Walking Test (6MWT), Berg Balance Scale (BBS), Timed up and Go
test (TUG); 2) parametri del cammino (ottenuti tramite valutazione
con treadmill): lunghezza media del passo destro, lunghezza media
del passo sinistro; 3) parametri posturografici (ottenuti con pedana
stabilometrica): lunghezza, area e velocità del centro di pressione.
Risultati. La Total PSP-RS (inclusi i sub-items del cammino), 6MWT,
BBS, TUG e la lunghezza media del passo destro e sinistro sono migliorati significativamente alla fine del trattamento in entrambi i gruppi
(MIRT e MIRT+Lokomat®). I miglioramenti ottenuti indicano che l’effetto dei due trattamenti riabilitativi è comparabile.
Vol. 30 - N. 2/3 - GIORNALE ITALIANO DI MEDICINA RIABILITATIVA - MR
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Conclusioni. Il protocollo MIRT risulta essere efficace per la riabilitazione del cammino e dell’equilibrio nei pazienti affetti da PSP. Nell’ambito di questo protocollo intensivo il training con Lokomat®, comparato
con l’utilizzo del treadmill, non aggiunge significativi benefici.
Bibliografia
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Frazzitta G et al. Intensive rehabilitation treatment in early Parkinson’s disease:
a randomized pilot study with a 2-year follow-up. Neurorehabil Neural Repair
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Sale et al effects of robot assisted gait training in progressive supranuclear palsy
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029
PERCORSO ASSISTENZIALE - RIABILITATIVO
IN PAZIENTE CON MIELINOLISI PONTINA
CENTRALE POST TRAPIANTO EPATICO: CASE
REPORT
Paolo Amico1, Antonio Turitto1, Stefano Lafranceschina2,
Pietro Fiore1, Marisa Megna1
U.O. Unità spinale unipolare - Medicina Fisica e Riabilitazione, Ospedale Policlinico, Bari, Italia1
Centro Trapianti Epatico, Ospedale Policlinico, Bari, Italia2
Introduzione. La mielinolisi pontina centrale (MPC) rappresenta
una temibile complicanza di pazienti che si sottopongono ad un
trapianto epatico ortotopico. L’iponatriemia o la sua rapida correzione è stata associata a tale condizione. Anche altri fattori tra cui
l’encefalopatia pretrapianto epatico, alcolismo cronico e cachessia
possono aumentare il rischio di demielinizzazione osmotica pontina. Solitamente tale sindrome si presenta con ipostenia improvvisa,
disfagia, disartria, perdita di coscienza fino alla sindrome locked –
in (1). La MPC è stata riportata nell’ 1-8 % dei pazienti sottoposti
a trapianto epatico (2). Noi riportiamo il caso di un paziente in cui
si è verificata la Sindrome da demielinizzazione osmotica a seguito
di trapianto epatico ed in particolare ne descriviamo la gestione e
l’outcome riabilitativo.
Materiali e metodi. Abbiamo preso in carico un paziente ricoverato presso l’ U.O. del Centro Trapianti del Policlinico di Bari,
di anni 52, sottoposto a trapianto ortotopico di fegato per cirrosi epatica HCV-ALD correlata ed HCC. Dopo circa tre giorni
dall’intervento, il paziente si presentava in uno stato soporoso a
seguito di una iponatriemia di grado moderato. In data 03/11/15
il paziente veniva sottoposto ad una RM Encefalo che concludeva
per “evidente alterazione del segnale in corrispondenza della sostanza bianca periventricolare bilaterlamente, dei nuclei della base
ed anche, in modo più marcato, della regione centro - pontina. I
reperti sono compatibili con un quadro di sofferenza parenchimale da alterazioni elettrolitiche e dismetaboliche a tipo Mielinolisi
pontina”. Il paziente inoltre è stato sottoposto ad E.O. neurologico: paziente soporoso. Allo stimolo nocicettivo vi è una risposta
finalizzata con smorfia facciale, non segni di lato. Pupille midriatiche ma reagenti alla luce. Inoltre è stata effettuata una valutazione
fisiatrica: paziente soporoso, scarsamente risvegliabile e collaborante. Allo stimolo nocicettivo il paziente flette l’arto superiore
destro; non elicitabili movimenti attivi a carico degli arti inferiori.
Si consiglia di effetuare riabilitazione neuromotoria con mobilizzazione passiva e qualora risvegliabile, anche riabilitazione attiva
assistita ai quattro arti; nursing posturale; prevenzione delle ulcere
da decubito. Dopo adeguata correzione dei disquilibri elettrolitici
nella fase acuta, si è successivamente provveduto ad instaurare una
terapia a base di Palmitoiletanolamide 700 mg + Luteolina 70 mg
(1 bust per 2 vv/die) per un mese circa e con Tiamina 1 fl im per
2 vv/die per dieci giorni. In data 04/11/15 sono state effettuate
alcune scale di valutazione tra cui: la Glasgow Coma scale (GCS),
Barthel Index Modificato (BIM) e Disability Rating Scale (DRS);
tali valutazioni sono state ripetute a distanza di due mesi. È stata
inoltre eseguita una RM encefalo di controllo a distanza di quattro
mesi con esito di “reperti sovrapponibili al precedente controllo
RM del 03/12/15, dove persiste la sfumata alterazione di segnale
in sede centrale pontina ed in corrispondenza del pallido e del
putamen, non visibile in DWI e che non si impregna dopo mezzo
di contrasto. Invariati i restanti reperti”.
Risultati. I risultati delle rispettive scale di valutazione testate a
novembre sono stati: GCS con un punteggio di 9/15 (gravità della cerebrolesione di tipo Moderato); BIM pari a zero (livello di
dipendenza totale); DRS pari a 17 (disabilità estremamente severa). Dopo stabilizzazione clinica e riabilitazione neuromotoria
intensiva consistente in mobilizzazione passiva e attiva assistita ai
quattro arti, training deambulatorio del passo, esercizi posturali
propriocettivi e posizionamento sullo standing, il paziente è stato
valutato in data 26/11/2015 dove si presentava vigile, cosciente
e collaborante, ben orientato nel tempo e nello spazio. Presentava una forza segmentale pressochè nei limiti ai 4 arti; moderata
ipotrofia ai 4 arti, lieve deficit della coordinazione motoria fine.
Lieve frènage e dismetria alla prova indice –naso (sinistra > destra).
Paziente in grado di deglutire liquidi e solidi senza tosse intra e
post-deglutitoria, nè desaturazione e con buone prassie bucco e
oro-linguali. Manteneva la stazione eretta con minima assistenza
e con appoggio bilaterale. Il paziente era in grado di deambulare
per brevi tratti con il deambulatore a sostegno ascellare. Al fine di
ottenere una valutazione oggettiva sono state ripetute le scale di
valutazione a distanza di due mesi con il seguente risultato: BMI
90 (livello di dipendenza lieve, ore di assistenza necessarie per settimana < 13), DRS 6 (disabilità moderata).
Conclusioni. In generale i pazienti sottoposti a trapianto epatico con mielinolisi pontina centrale hanno un tasso combinato
di mortalità e disabilità pari al 77,4 %, comparato con il 44,7
% dei pazienti che non sono stati sottoposti a trapianto epatico
(P<0,001). Una prognosi favorevole è possibile in pazienti con demielinizzazione osmotica pontina, anche con una presentazione
neurologica severa (3). La nostra esperienza dimostra che la mielinolisi pontina, quale conseguenza della fase post-operatoria di un
trapianto epatico, è sicuramente causa di notevole deterioramento
del quadro clinico e neurologico; tuttavia, un trattamento tempestivo sia dal punto di vista internistico sia come presa in carico
riabilitativa, può consentire un adeguato recupero globale con una
prognosi più favorevole.
Bibliografia
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030
ONDE D’URTO NEL TRATTAMENTO
DELLE TENDINOPATIE: QUALI I FATTORI
PROGNOSTICI DI SUCCESSO E INSUCCESSO?
Alessandra Fiore1, Angela Notarnicola2, Ilaria Covelli2,
Giacomo Farì2, Marisa Megna2, Biagio Moretti2
Dipartimento Scienze Mediche di Base, Neuroscienze e organi di senso, Università degli studi di Bari A. Moro, Bari, Italia1
Dipartimento Neuroscienze e organi di senso e apparato locomotore, Università
degli sudi di Bari A. Moro, Bari, Italia2
Introduzione. La terapia con onde d’urto è una biostimolazione efficace nel trattamento delle forme non responder alla FKT
di tendinopatie e fascite plantare. Abbiamo disegnato uno studio
clinico prospettico osservazionale in cui abbiamo monitorato le
Vol. 30 - N. 2/3 - GIORNALE ITALIANO DI MEDICINA RIABILITATIVA - MR
63
44° CONGRESSO NAZIONALE SIMFER
caratteristiche epidemiologiche, cliniche e i parametri energetici
modulabili del protocollo di trattamento. Queste variabili sono
state correlate con la risposta al trattamento per individuare i possibili fattori prognostici.
Materiali e metodi. Nello studio sono stati reclutati tutti i pazienti sottoposti a trattamento con onde d’urto nel corso di un
anno solare. Le patologie analizzate sono state eterogenee: tendinite della cuffia dei rotatori, epicondilite, tendinopatia dell’achilleo,
trocanterite, tendinite del rotuleo o fascite plantare. Il successo
terapeutico è stato monitorato a due mesi dal termine del trattamento con la scala Roles and Maudsley.
Risultati. Il 54.9 % dei pazienti ha riportato un miglioramento
clinico significativo. I fattori prognostici di successo terapeutico
sono stati il genere maschile e un elevato indice di massa corporea,
mentre la contro-lateralità rispetto all’arto dominante e ripetuti
trattamenti con onde d’urto sono stati fattori prognostici sfavorevoli.
Conclusioni. Incrementando la casistica è possibile ipotizzare di
realizzare un algoritmo decisionale per definire target, timing e
protocolli di trattamento integrato, con maggiore possibilità di ottimizzare il percorso terapeutico nelle tendinopatie.
Bibliografia
1.
Moretti B, Iannone F, NotarnicolaA, Lapadula G,Moretti L, Patella,
V,GarofaloR(2008) Extracorporeal shock waves down-regulate the expression
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2.
3.
031
LA CARTELLA RIABILITATIVA COME
STRUMENTO DOCUMENTALE E DI
INTEGRAZIONE PROFESSIONALE:
L’ESPERIENZA DEL TEAM RIABILITATIVO
DELL’ASL BT
Maria Ripesi1, Pasqua Scaringella1, Francesca Cuonzo1,
Mario Santalucia1
ASL BT, Azienda Sanitaria Pubblica, Andria, Italia1
Introduzione. La raccolta dei dati relativi alle pratiche terapeutiche
poste in atto, rappresenta un momento imprescindibile per ogni disciplina, che tenda al miglioramento ed al controllo della qualità del
lavoro svolto. Documentare la riabilitazione è un atto dovuto e va fatto attraverso una procedura condivisa A tal fine nell’ASL BT, in particolare nel S.S.M.F.R.(Servizio Sovradistrettuale di Medicina Fisica e
Riabilitazione), si è deciso di istituire un tavolo tecnico con l’obiettivo
di documentare la riabilitazione attraverso l’elaborazione di una cartella multidisciplinare e multiprofessionale, con percorsi valutativi e
riabilitativi comuni. Il Progetto, coordinato della Dirigente delle Professioni Sanitarie della Riabilitazione e sostenuto dal Direttore f.f. del
Servizio Sovradistrettuale di Medicina Fisica e Riabilitazione dell’ASL
BT e dall’azienda, coinvolge i professionisti della riabilitazione (medici, fisioterapisti, logopedisti, educatori professionali, psicologi, infermieri, assistenti sociali), fruitori e compilatori della cartella riabilitativa integrata, come raccolta organica e funzionale dei dati attinenti il
percorso riabilitativo dell’assistito, dalla presa in carico alle dimissioni,
attraverso la compilazione delle schede di ciascun professionista intervenuto nel Progetto Riabilitativo Individuale. Lo scopo del lavoro è
di implementare una cartella come strumento unico ed interprofessionale, con l’obiettivo di aumentare l’integrazione e la collaborazione
tra i professionisti, ridurre la dispersione delle informazioni e la loro
ridondanza, ottenere un documento chiaro, sintetico, veritiero, accu64
rato, obiettivo e completo e standardizzare la procedura documentale.
Materiali e metodi. Si è partiti dalla ricerca e studio della letteratura
sulla cartella riabilitativa, il Benchmarking nei confronti di altre organizzazioni e l’Analisi del contesto aziendale. Si è scelta la modalità
del Team working, costituendo gruppi di lavoro specifici a seconda
del profilo professionale e dell’attività riabilitativa svolta, con condivisione delle regole generali di lavoro e delle modalità di costruzione
della cartella. Perseguendo il circolo virtuoso del miglioramento continuo della Clinical Governance, utilizzando la metodologia del PDCA
(Plan Do Check Act), si è costruita una matrice di progettazione, si
sono stabiliti le fasi e gli attori, si è previsto un cronoprogramma e si è
effettuata una continua verifica dei risultati attraverso audit organizzativi e check-up procedurale.
Risultati. Il progetto, in corso da più di un anno, ha già dato il risultato di implementare una cartella come strumento condiviso dai
professionisti della riabilitazione dell’ASL Bt, con l’implementazione
di schede per ciascun profilo e differenziate per ambito di intervento
per un totale di 9 cartelle e 27 schede specifiche, selezionando anche
le scale valutative da utilizzare. Si sono svolti 42 audit per l’implementazione delle schede e 16 audit di addestramento per tutto il personale
del Servizio SMFR, per un totale di 180 ore di lavoro. L’obiettivo di
implementazione della cartella è divenuto anche Obiettivo di Budget
aziendale 2015/2016. Vi sono stati momenti informativi e formativi
di grande integrazione tra le professioni, che hanno compreso anche
la formazione sull’ICF per tutti i professionisti del SSMFR. Infatti è
tra i prossimi risultati attesi l’introduzione nella cartella anche della
Classificazione Internazionale della Funzionalità, della Disabilità e
della Salute. Si è curata la stesura di un documento conclusivo dell’attività fin qui svolta da presentare a dimostrazione del raggiungimento
dell’obiettivo di budget.
Conclusioni. La Cartella Riabilitativa Integrata prima di essere uno
strumento operativo è uno strumento culturale che, oltre ad arricchire il confronto fra i vari professionisti, favorisce l’approccio olistico
alla persona. Una consapevolezza collettiva dà sicuramente maggiori
garanzie sulla omogeneità e sulla completezza della documentazione,
contribuisce ad una visione più ampia e condivisa del lavoro di equipe; oltre, ovviamente, a migliorare la qualità del lavoro e rendere visibile l’operato. La formula del Team Working si è dimostrata vincente
rispetto all’obiettivo di concretizzare un lavoro interprofessionale. La
realizzazione di questo Progetto ha dato la possibilità di migliorare
l’integrazione tra i professionisti della Riabilitazione e di produrre uno
strumento documentale condiviso a garanzia del Governo Clinico.
Bibliografia
1. Basaglia-Baldrini-Sarti-Ponti-Morelli-Filippini La cartella integrata o “cartella paziente” come strumento del team riabilitativo interprofessionale. da Giornale Italiano di Medicina Riabilitativa. Sett.2000
2. Perfetti C. Una cartella per la riabilitazione. da Riabilitazione
oggi. 1998
3. Jones R. Management in Physiotherapy. London. 1990
034
TECARTERAPIA NELLA LOMBALGIA: STUDIO
CLINICO SPERIMENTALE
Ilaria Covelli1, Angela Notarnicola1, Alessandra Fiore1,
Giacomo Farì1, Marisa Megna1, Biagio Moretti1
Dipartimento Scienze Mediche di Base Neuroscienze ed Organi di Senso, Università degli Studi di Bari, Bari, Italia1
Introduzione. Il dolore lombare cronico è molto frequente, particolarmente nei paesi industrializzati. Le cause principali della patologia del rachide lombare sono squilibri posturali, spondiloartrosi,
discopatie, protrusioni ed ernie discali. Localmente si verifica il rilascio di mediatori della flogosi (IL3, IL6 e IL8), responsabili di
Vol. 30 - N. 2/3 - GIORNALE ITALIANO DI MEDICINA RIABILITATIVA - MR
44° CONGRESSO NAZIONALE SIMFER
iperalgesia e di una progressiva sensibilizzazione recettoriale a livello dei gangli dorsali. La tecar acronimo di trasferimento energetico
capacitivo-resistivo è una apparecchiatura a radiofrequenza che proietta energia utilizzando un segnale di frequenza relativamente bassa
rispetto alla apparecchiature per ipertermia classiche. La tecarterapia
si basa su radiazioni della banda “High Frequency” (HF), cioè con
frequenza dell’ordine del MHz e con lunghezza d’onda di tipo metrico. L’effetto termico endogeno prodotto da tali correnti alternate ad alta frequenza presenta il vantaggio, rispetto ad altre terapie
utilizzate in ambito fisioterapico, di una maggiore penetrazione del
fenomeno nel tessuto stesso e di conseguenza una maggiore efficacia
del trattamento. Allo stato attuale la tecarterapia viene utilizzata in
ambito terapeutico per il trattamento di strappi muscolari, contratture muscolari, patologie flogistiche muscolo-scheletriche, disturbi
di circolo linfatico. Abbiamo disegnato uno studio clinico sperimentale prospettico con lo scopo di verificare l’effetto terapeutico di un
protocollo trattamento di tecarterapia in pazienti affetti da lombalgia da causa meccanica o artrosica, quantificando il miglioramento
del dolore e del recupero funzionale.
Materiali e metodi. Verranno reclutati 26 pz di età compresa tra i
25 e 85 anni con diagnosi di lombalgia e sintomatici da almeno 3
settimane; dolore compreso tra 5 e 10 sulla Scala Analogica Visiva
(VAS). I pazienti sarannosottoposti ad una prima valutazione T0
durante la quale sarà valutata la storia anamnestica, l’esame obiettivo, VAS, Roland Morris Disability Questionnaire, Oswestry Low
Back Pain Disability Questionnaire modificato; T1 (a termine del
ciclo di trattamento), T2 (dopo 1 mese dal reclutamento), T3 (sei
mesi dopo il reclutamento). Il protocollo prevede 10 sedute di trattamento con tecarterapia (Doctor Tecar, Mectronic Medicale, Grassobbio, BG, ITALY), in media a frequenza giornaliera.
Risultati. Abbiamo risultati preliminari che mostrano l’efficacia della terapia.
Conclusioni. Questo studio potrebbe permettere di validare l’efficacia clinica della tecarterapia a fronte di un ampio uso clinico in quasi
totale assenza di trial clinici.
Bibliografia
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2.
3.
Wiegerinck JL, Kerkhoffs GM, van Sterkenburg MN, Sierevelt IN, van Dijk
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Ganzit GP., Stefanini L., Stesina G. La tecarterapia nel trattamento di patologie
acute e croniche. Evidenze cliniche.
036
RECUPERO DELL’ALIMENTAZIONE ORALE IN
PAZIENTI TRACHEOSTOMIZZATI DISFAGICI
Mirella Boselli1, Ilaria Scola1, Giada De Luca1, Giuseppina
Zonca1, Ercole Zanotti1, Caterina Guarnaschelli1
Fondazione Salvatore Maugeri, Istituto Scientifico di Montescano, Montescano
(PV), Italia1
Introduzione. La disfagia è una frequente comorbidità (50-83%)
nei pazienti che sono stati sottoposti a tracheostomia in quanto la sua presenza, indipendentemente dalle cause che ne hanno
determinato il confezionamento, influenza di per sé la funzione
deglutitoria. Sebbene recenti studi non sempre confermino tale
stretta relazione, numerose ricerche tentano di fornire indicazioni relativamente alle modalità di ripresa dell’alimentazione orale e
svezzamento dalla cannula tracheale con ottimizzazione degli interventi riabilitativi relativamente a tali problematiche in diverse
popolazioni (1,2). Scopo della presente ricerca è stato verificare
l’efficacia delle procedure applicate presso il nostro servizio di lo-
goterapia per il recupero della nutrizione orale lungo il percorso di
decannulazione in pazienti con patologie primitive respiratorie e
neurologiche alla prima presa in carico riabilitativa.
Materiali e metodi. Lo studio è stato condotto attraverso un’analisi retrospettiva dei dati provenienti dalle cartelle cliniche di
68 pazienti disfagici e tracheostomizzati ricoverati consecutivamente presso i reparti di riabilitazione del nostro istituto, e presi
in carico dal servizio di logopedia. I 68 pazienti considerati (46
maschi e 22 femmine) avevano età media di 65 anni (range 3786), comprendevano 35 degenti del reparto di pneumologia per
insufficienza respiratoria, di cui 12 con coesistente malattia neurologica; 33 degenti di neuroriabilitazione per Grave Cerebrolesione
Acquisita (GCA), di cui 20 di origine vascolare e 13 non vascolare (traumatica/ipossica). Il tempo trascorso dalla tracheostomia
all’ingresso era di 30 giorni. All’ingresso in reparto tutti i pazienti
erano responsivi, portatori di cannula tracheale cuffiata (26 erano in ventilazione artificiale), in nutrizione enterale /parenterale
totale. Dalle cartelle sono stati ricavati i dati clinico-anamnestici
con particolare riguardo a quelli relativi alla cannula tracheale e
alle problematiche respiratorie. La valutazione della deglutizione è
stata effettuata secondo quanto indicato dalla letteratura e quando
possibile è stato impostato un approccio riabilitativo individualizzato multidisciplinare per la gestione della ripresa della nutrizione
orale e la rimozione della cannula tracheale. Oltre ai dati relativi
ai due principali obiettivi è stata verificata l’eventuale influenza di
alcuni fattori clinici su tale recupero funzionale.
Risultati. Il 66,2 % dei pazienti ha recuperato l’alimentazione
orale durante il periodo di ricovero riabilitativo. In particolare il
51,4% dei pazienti pneumologici e 81,8% dei GCA (75% dei vascolari e 92,3% dei non vascolari). I restanti pazienti hanno proseguito la NET dopo il periodo di osservazione: il 48,6% dei pneumologici ed il 18,2% dei GCA. Durante il percorso riabilitativo la
cannula tracheale è stata rimossa nel 51,5% dei pazienti: 20% dei
pazienti penumologici e 84,8% dei GCA. La cannula tracheale è
stata mantenuta alla dimissione nei restanti pazienti a causa delle
problematiche respiratorie e ORL coesistenti. Il 91% dei pazienti
con persistente nutrizione enterale ha mantenuto la cannula tracheale in situ, cuffiata nel 76% di questi.
Conclusioni. Il percorso riabilitativo ha consentito di raggiungere
gli obiettivi prefissati nella maggioranza dei soggetti considerati.
I pazienti che hanno ripreso l’alimentazione orale hanno iniziato il percorso con la cannula in situ che, nella maggior parte dei
casi è stata poi rimossa. Nella maggior parte dei casi di mancata
ripresa della nutrizione orale è stato invece necessario mantenere la cannula tracheale in situ, cuffiata, dato clinico che sembra
sottolinearne il ruolo interferente sulla disfagia. In conclusione il
presente lavoro conferma l’esistenza di differenti pattern clinici di
recupero tra le popolazioni di pazienti relativamente alla decannulazione ed alla ripresa della nutrizione orale, supportando l’ipotesi
di personalizzare la gestione riabilitativa multidisciplinare adattando l’algoritmo di intervento alle singole patologie che hanno reso
necessaria la tracheostomizzazione.
Bibliografia
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Vol. 30 - N. 2/3 - GIORNALE ITALIANO DI MEDICINA RIABILITATIVA - MR
65
44° CONGRESSO NAZIONALE SIMFER
037
RECUPERO DELL’ALIMENTAZIONE ORALE
IN PAZIENTI CON GCA VASCOLARE
TRACHEOSTOMIZZATI: FOLLOW UP A 12
MESI
Mirella Boselli1, Ilaria Scola1, Giuseppina Zonca1, Roberto
Maestri1, Caterina Guarnaschelli1
Fondazione Salvatore Maugeri, Istituto Scientifico di Montescano, Montescano
(PV), Italia1
Introduzione. La disfagia orofaringea, frequentemente presente
durante la fase acuta dello stroke e responsabile di morbidità e mortalità, è stata scarsamente studiata in relazione al prolungato recupero longitudinale (1). Quando la situazione clinica del paziente
ha determinato uno stato di Grave Cerebrolesione Acquisita (GCA)
vascolare , gli obiettivi relativi alla disfagia, con ripresa dell’alimentazione orale, devono realizzarsi in un percorso comprensivo della
concomitante gestione dello svezzamento dalla cannula tracheale. Le
linee guida relative alla GCA hanno negli ultimi anni fornito indicazioni per l’ottimizzazione degli interventi riabilitativi relativamente
a tali problematiche (2). Intento del presente studio è stato verificare
l’efficacia degli interventi riabilitativi applicati per il recupero della
nutrizione orale e lo svezzamento dalla cannula tracheale fino a 12
mesi dalla prima presa in carico riabilitativa ospedaliera.
Materiali e metodi. Lo studio è stato condotto analizzando retrospettivamente i casi clinici di 20 pazienti responsivi ( 11 maschi e
9 femmine) con GCA vascolare (GCS in fase acuta 3-8) ricoverati
presso il nostro reparto negli ultimi due anni per la prima presa in
carico riabilitativa. L’età media era 59 anni (range 37-78). Il tempo
trascorso dall’evento indice all’ingresso era di 33 giorni. Relativamente alla sede ed all’eziologia dell’evento ictale: 13 pazienti avevano un danno nel territorio cerebrale vascolare anteriore (4 ischemici ed 9 emorragici) e 7 un danno nel territorio cerebrale vascolare
posteriore (3 ischemici e 4 emorragici). Tutti i pazienti erano stati
sottoposti ad almeno un intervento neurochirurgico in fase acuta.
All’ingresso in reparto tutti i pazienti avevano LCF >=4, erano portatori di cannula tracheale cuffiata, 16 erano in nutrizione enterale
totale e 4 parziale (Orale/SNG); 12 pazienti avevano avuto episodi
infettivi polmonari nei reparti di provenienza. È stato applicato un
percorso valutativo /riabilitativo di reparto, multiprofessionale, relativo alla gestione di cannula e nutrizione, nell’ottica di recuperare
quanto prima un’alimentazione orale efficace e sicura. I dati clinici
relativi ai tempi di svezzamento dalla cannula tracheale e di svezzamento dalla nutrizione enterale con recupero progressivo di dieta
libera sono stati analizzati, in rapporto alla sede del danno cerebrale,
ad uno, tre, sei e dodici mesi dal primo ricovero.
Risultati. Il 75 % dei pazienti ha recuperato l’alimentazione orale
durante il periodo di osservazione analizzato. Ad un anno dalla
presa in carico il 25 % dei pazienti era in nutrizione enterale totale, stabile dagli ultimi sei mesi, i rimanenti pazienti erano invece
alimentati per os: il 30% con dieta modificata e il 45 % con dieta
libera. Relativamente al territorio vascolare cerebrale del danno si
è osservato che ad un anno i pazienti con lesione anteriore erano
53,8 % in dieta libera, 38,5 % dieta orale modificata, 7,7 % NET;
i pazienti con lesione posteriore erano 28,6 % dieta libera, 14,3 %
dieta orale modificata, 57,1 % NET. Durante tutto il periodo di
presa in carico si sono osservati miglioramenti relativi alla deglutizione in particolare nei primi 3-6 mesi per la sospensione della
nutrizione enterale (50 gg) e anche fino ai 12 mesi per riduzione
dei compensi necessari.
Il 90% del pazienti è stato svezzato dalla cannula tracheale, con
tempi leggermente superiori rispetto alla sospensione della NET
(72 gg) e comunque con miglioramenti fino al ultimo periodo di
follow up. La cannula tracheale è stata mantenuta in 2 pazienti per
problematiche pneumologiche ed ORL.
66
Conclusioni. I risultati di questo studio confermano che in un
gruppo di pazienti con GCA vascolare la deglutizione migliora con
possibilità di ripresa dell’alimentazione orale e rimozione della cannula tracheale. Come già segnalato in letteratura i miglioramenti
della disfagia con sospensione della nutrizione enterale sembrano
più importanti nel primi 3-6 mesi e per i pazienti con lesioni anteriori rispetto a quelli con lesioni posteriori. I miglioramenti comunque proseguono fino a 12 mesi dalla presa in carico relativamente
alla ripresa di dieta libera invece che con compensi, migliorando così
la qualità della vita di pazienti e care giver. I casi di mancato recupero dell’alimentazione orale si sono osservati soprattutto in pazienti
con lesione posteriori, con stabilità clinica dai 6 mesi dalla presa in
carico.
Bibliografia
1.
2.
Terrè R, Mearin F. Resolution of tracheal aspiration after the acute phase of
stroke-related oropharyngeal dysphagia. Am J Gastroenterol 2009¸104: 923932
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038
LA PRESA IN CARICO RIABILITATIVA
PRECOCE SUCCESSIVA ALLA CHIRURGIA DEL
SENO PER CARCINOMA MAMMARIO
Federica Lipanje1, Elena Bocin1, Valeria Dialti1,
Mariacristina Dominutti1, Sabrina Foramiti1, Aldo
Iengo1, Arianna Michelutti1, Silva Polentarutti1, Francesca
Capone1, Leo Iona1, Agostino Zampa1
Dipartimento di Medicina Riabilitativa, Istituto di Medicina Fisica e Riabilitazione “Gervasutta”, Udine, Italia1
Introduzione. Il carcinoma mammario rappresenta il tumore più
frequente nel sesso femminile, costituendo il 29% dei tumori che
colpiscono la popolazione femminile. La presa in carico riabilitativa, nell’ambito di un approccio multidisciplinare, deve iniziare
nell’immediato post intervento e prosegue successivamente, accompagnando le pazienti nel recupero della propria autonomia e
nella prevenzione di eventuali complicanze. Lo scopo dello studio
è valutare l’efficacia di una pronta presa in carico riabilitativa nel
post intervento dopo chirurgia del seno tramite un ciclo di fisioterapia di gruppo, per favorire un completo recupero funzionale
dell’arto superiore omolaterale alla sede dell’intervento, con adeguato controllo del dolore e per la precoce diagnosi di un linfedema.
Materiali e metodi. Sono state studiate 130 persone, sottoposte
ad intervento chirurgico di mastectomia, di quadrantectomia e di
dissezione ascellare omolaterale, associati eventualmente ad intervento di chirugia plastica, presso l’Azienda Ospedaliero Universitaria di Udine, nel periodo compreso tra gennaio 2015 e dicembre
2015.
L’età media era di 59.5 anni (± 14.4), mediana 56. Il giorno successivo all’intervento le pazienti hanno effettuato una seduta di
fisioterapia durante la quale sono state valutate ed educate su come
aver cura dell’arto superiore. In tale occasione hanno ricevuto un
opuscolo informativo con alcuni esercizi da eseguire dopo la dimissione a domicilio. Dopo la dimissione, tutte le pazienti hanno
eseguito una visita specialistica fisiatrica ambulatoriale. Il 60% delle persone ha effettuato il ciclo di sedute di rieducazione funzionale di gruppo, a cadenza trisettimanale, della durata di 45 minuti.
Durante le sedute, la fisioterapista ha valutato individualmente la
ferita chirurgica e, quando questa era ben cicatrizzata, è stato insegnato come effettuare l’automassaggio a domicilio. Durante la
sessione di gruppo sono stati insegnati esercizi attivi per il recupero
della motilità della spalla, nell’arco del non dolore. In particolare
in presenza di axillary web syndrome, quando gli esercizi svolti in
Vol. 30 - N. 2/3 - GIORNALE ITALIANO DI MEDICINA RIABILITATIVA - MR
44° CONGRESSO NAZIONALE SIMFER
gruppo non erano sufficienti a favorire un miglioramento del recupero funzionale della spalla, veniva prescritto anche un ciclo di
rieducazione funzionale individuale (24% del totale delle pazienti afferenti al servizio). Durante queste sedute venivano effettuati
massaggio di frizione e di sfregamento sulla corda e dei tessuti circostanti, integrati con esercizi di mobilizzazione attiva e passiva ed
esercizi di stretching della corda. Analogamente è stato prescritto
un trattamento individuale nei casi dove era stato individuato un
deficit del nervo toracico lungo. In presenza di linfedema è stato
prescritto un ciclo di drenaggio linfatico. A distanza di 4 mesi in
media dall’intervento chirurgico, le persone hanno effettuato una
visita fisiatrica di controllo.
Risultati. Al momento della prima visita la valutazione dell’NRS
dava una media di 2.8 (±2.1), mediana 4; la flessione 113° (± 26°),
l’abduzione 108° (± 28°); la WAS era presente in 42 casi, (32.3%),
ipodisestesie in 106 (81.5%). Solo 3 casi presentavano scapola alata. Linfostasi era presente in 17 casi (13.1%). Al momento della
visita di controllo, che avveniva in media dopo 118 giorni (± 45,
mediana 111), l’NRS era sceso a 0.9 (±), la flessione era migliorata
(media 144° ± 14°), come l’abduzione (media 144° ± 13°). Solo
10 casi presentvano ancora WAS, mentre la linfostasi era presente
in 28 casi (21.5%), che in 22 casi ha richiesto l’esecuzione di un
ciclo di linfodrenaggio manuale. I miglioramenti di NRS, flessione
ed abduzione sono statisticamente significativi (paired T test due
code, P<0.001).
Conclusioni. La precoce presa in carico riabilitativa dopo l’intervento di chirurgia al seno consente di evidenziare prontamente
eventuali problematiche, come la frequente axillary web syndrome la cui presenza può condizionare negativamente l’evoluzione
funzionale. L’approccio rieducativo di gruppo, considerato meno
specifico rispetto a quello individuale ha il vantaggio di prendere
in carico un numero importante di pazienti fin da subito, riducendo il problema della lista d’attesa. I miglioramenti si sono rivelati comunque soddisfacenti, anche se naturalmente l’assenza di
un gruppo di controllo rende i risultati puramente descrittivi. Ciò
nondimeno aver attuato un programma in grado di rispondere alle
esigenze della gran parte dell’utenza con miglioramenti apprezzabili al follow up può rappresentare un approccio valido dal punto
di vista pratico alla gestione di una patologia tanto importante sia
per frequenza che per impatto sulla qualità di vita.
Bibliografia
1.
2.
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A Testa, C Iannace, L Di Libero Strength of early physical rehabilitation programs in surgical breast cancer patients: results of a randomized controlled study. Eur J Phys Rehab Med 2014;50:275-84
039
POWER SPRINT: UN NUOVO DISPOSITIVO
PER L’ALLENAMENTO E IL RIALLENAMENTO
DELLO SPRINT NEL CALCIO
Carlo Zanetti1
Università degli Studi di Pavia, Pavia, Italia1
Introduzione. L’allenamento per lo sprint contro resistenza si è diffuso come un metodo per migliorare la velocità del calciatore. Inoltre i lavori di sprint contro resistenza possono essere usati nella fase
di riallenamento utilizzando carichi adeguati. L’obiettivo di questo
studio è proporre un nuovo metodo per aumentare la velocità di
sprint nei calciatori con l’uso di Power Sprint: un dispositivo per l’allenamento che permette al soggetto di correre contro una resistenza
meccanica continua.
Materiali e metodi. Lo studio ha coinvolto due gruppi di calciatori
adulti. Sia il gruppo sperimentale sia il gruppo di controllo sono
composti di 5 soggetti. Prima della somministrazione dei due protocolli di allenamento (allenamento con Power Sprint e allenamento
tradizionale con salti e ripetizioni di sprint per un periodo di 4 settimane durante la stagione agonistica), il gruppo sperimentale è stato
sottoposto a un test con Power Sprint per individuare la potenza
massima di ogni soggetto e una prova di controllo: una prova di
sprint di 15 metri con due cambi di direzione di 90°. Il gruppo di
controllo ha effettuato solo la prova di sprint.
Risultati. Il gruppo sperimentale si è allenato usando Power Sprint
mentre il gruppo di controllo è stato sottoposto a un allenamento
tradizionale per migliorare l’abilità di sprint. I dati mostrano come
l’allenamento con Power Sprint migliori la velocità nella prova di
sprint di 15 metri con due cambi di direzione di 90° (p=0.03) mentre con l’allenamento tradizionale non si ha alcun miglioramento
(p=0.82).
Conclusioni. L’allenamento con Power Sprint migliora significativamente la velocità del calciatore che corre senza palla eseguendo
dei cambi di direzione. Power Sprint può essere usata per migliorare
la velocità del calciatore che sprinta su distanze brevi con cambi di
direzione. Nel caso si utilizzi il dispositivo nella fase di riallenamento
post infortunio, i carichi utilizzati saranno modulati sulla capacità
del soggetto.
Bibliografia
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2.
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040
LA MINDFULNESS NEL TRATTAMENTO DEL
DOLORE LOMBARE CRONICO: CASE REPORT
Paola Colombo1, Chiara Mulè1, Giovanni Taveggia1
Habilita, Ospedale, Sarnico (BG), Italia1
Introduzione. Negli ultimi decenni si è assistito ad un progressivo
incremento di ricerche scientifiche sull’efficacia dei trattamenti basati
sulla Mindfulness nella gestione dei pazienti affetti da dolore cronico;
molti sono gli studi che confermano la sua validità soprattutto nella
cura della fibromialgia, del dolore lombare e di altre molteplici condizioni dolorose (1). La terapia basata sulla Mindfulness ha come obiettivo principale l’accettazione e la consapevolezza dell’insorgenza di
pensieri negativi e il raggiungimento del distacco da questi contenuti
mentali (2). Tale terapia agisce sulle componenti emotive e sensoriali
della percezione del dolore e le modula facendo utilizzare al paziente
l’autoregolazione dell’attenzione; a questa modulazione inoltre è associata l’attivazione del SNA che produce rilassamento muscolare e
porta alla riduzione del dolore stesso (3). Nel nostro studio esponiamo
il caso clinico di una paziente affetta da dolore lombare cronico non
resposivo alle terapie mediche e riabilitative convenzionali che ha beneficiato di un trattamento psicoterapeutico basato sulla Mindfulness.
Materiali e metodi (case report). Paziente donna di anni 46 giunge
al servizio di psicologia per un intervento mirato alla gestione del dolore cronico lombare in sindrome delle faccette articolari. Nel 2014,
in seguito ad una caduta accidentale, la paziente lamentava riacutizzazione di dolore lombare acuto con irradiazione all’arto inferiore sx. È
stata trattata inizialmente con terapia conservativa (anti-infiammatori
e cinesiterapia) con scarso beneficio. La paziente è stata quindi sottoposta a ciclo di infiltrazioni di cortisonico associata a cicli di cinesiterapia in acqua e sedute di agopuntura con riduzione solo parziale
della sintomatologia dolorosa. Associata alla sintomatologia dolorosa
la paziente ha presentato comparsa di insonnia ingravescente, defles-
Vol. 30 - N. 2/3 - GIORNALE ITALIANO DI MEDICINA RIABILITATIVA - MR
67
44° CONGRESSO NAZIONALE SIMFER
sione del tono dell’umore con interruzione delle attività lavorative,
ritiro sociale e attacchi di panico con agorafobia. È stata impostata
terapia con antidepressivi e ansiolitici con riduzione della sintomatologia psichiatrica ma senza effetti su quella algica. Tale sintomatologia
ha condotto la paziente a rivolgersi nel maggio 2015 al servizio di
psicologia: la valutazione iniziale con scala NRS documentava valori alti nella percezione del dolore (Numerical Rating Scale-NRS 9)
e alla Beck Depression Inventory Scale (BDI) emergeva depressione
moderata-severa. Alla riabilitazione tradizionale è stata quindi associata la psicoterapia: la paziente ha intrapreso un percorso di psicoterapia
cognitivo-comportamentale che ha previsto l’utilizzo di due tecniche
Mindfulness per la gestione del dolore: la tecnica del respiro e il body
scan.
Risultati. A circa 2 mesi dal trattamento psicoterapeutico si evidenziava un notevole miglioramento delle condizioni psico-fisiche della
paziente. In particolare la paziente ha mostrato un recupero significativo di tre importanti aspetti della vita quotidiana: incremento delle
attività, riduzione della sintomatologia ansiosa e miglioramento del
tono dell’umore. Inoltre la valutazione dell’intensità del dolore con
la scala NRS mostrava un netto miglioramento con una diminuzione
dei valori da 9, alla presa in carico, a 3 dopo 8 settimane di trattamento. Allo stesso modo, si è verificato un miglioramento della qualità
della vita con notevole riduzione, durante le settimane di trattamento,
degli attacchi di panico, degli evita menti e con il progressivo recupero
di molte attività e un netto miglioramento del tono dell’umore documentato nella Beck Depression Inventory Scale.
Conclusioni. Il caso descritto rappresenta un esempio di come i meccanismi cognitivo-comportamentali implicati nell’esperienza dolorosa
siano responsabili dello sviluppo di emozioni negative e di pattern
comportamentali disfunzionali, quali ad esempio i comportamenti di
evitamento che, a circolo vizioso, incrementano il dolore, le emozioni
negative associate e la generale condizione di disabilità. Il caso clinico
trattato consente di sottolineare che possono essere ottenuti buoni risultati nella gestione del dolore cronico lombare grazie al trattamento
basato sulla Mindfulness. La nostra esperienza ha infatti dimostrato
che favorire l’accettazione e la consapevolezza dell’insorgenza di pensieri negativi e il distacco da questi contenuti mentali agisce positivamente sulle componenti emotive e sensoriali della percezione del
dolore.
Bibliografia
1.
Lush E, Salmon P, Floyd A, Studts JL, Weissbecker I, Sephton SE, (2009).
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Mindfulness-based stress reduction for chronic pain conditions: variation in
treatment outcomes and role of home meditation practice. J Psychosom Res.
Jan;68(1):29-36.
2.
3.
riavvio al cammino dei mielolesi incompleti (1). Negli ultimi anni,
inoltre, sono stati costruiti esoscheletri motorizzati che, indossati
dalle persone paraplegiche, permettono un cammino anche in caso
di lesione midollare completa. Scopo del lavoro è la valutazione
dell’effetto dell’allenamento con esoscheletro motorizzati in persone con mielolesione completa.
Materiali e metodi. Undici persone affette da mielolesione completa motoria (9 ASIA A e 2 ASIA B), con diverso livello lesionale
( 1 C7, 2 D5-6, 8 L1-2) , 8 maschi e 3 femmine, hanno effettuato
un allenamento al cammino con esoscheletro motorizzato (Ekso),
tre volte la settimana per 6-7 settimane per un totale di 20 sessioni. La capacità deambulatoria con l’esoscheletro veniva valutata applicando, a inizio e a fine “training” i seguenti test: tempo
necessario per effettuare 10 Metri (10M), distanza percorsa in 6
Minuti (6M), tempo necessario per alzarsi dalla sedia e camminare (TUG), tempo massimo di Resistenza (R) a camminare senza
riposo. Veniva inoltre valutata la spsticità muscolare applicando
la scala di Ashworth ai segmenti articolari degli arti inferiori, la
scala degli spasmi, la scala Numerica (NRS) 0-10 per quantizzare
la percezione soggettiva di spasticità.
Risultati. Con il test 10M risultava un incremento della velocità
di cammino da 0.10±0.03 a 0.14±0.05 m /sec , p<0.004; il percorso in 6 M passava da 33.6±11.7 a 46.6±11.9 metri, p<0.001;
inoltre il tempo TUG si riduceva da 113.6±41.4 a 75.4±15.1 secondo, p<0.001; infine la resistenza R da 21.6±8.4 aumentava a
32.3±17.1 minuti, p<0.001. Si riduceva la spastictà muscolare
sia oggettivamente con una riduzione del punteggio della scala di
Ashworth da 5.1±5.2 a 2.6±3.6, p<0.01, che soggettivamente passando da 3.5±2.2 a 2.5±2.5.
Conclusioni. I risultati di questa esperienza dimostrano che le
persone con lesione midollare completa posso effettuare un allenamento al cammino indossando un esoscheletro motorizzato; i
test del cammino comunemente utilizzati per valutare i progressi
funzionali delle persone con lesione midollare incompleta sottoposti a riabilitazione al cammino (ref ) vengono applicati alla valutazione del cammino con esoscheletro anche ai mielolesi completi e
dimostrano che la riabilitazione con esoscheletro consente loro di
incrementare la capacità di utilizzo dello strumento per camminare su terreno. Infine si osserva che un periodo di riabilitazione al
cammino con esoscheletro motorizzato determina una riduzione
della spasticità muscolare nei soggetti trattati.
Bibliografia
1.
2.
S. Mazzoleni, E. Boldrini, G. Stampacchia, C. Laschi, B. Rossi, M. C. Carrozza, Changes on EMG activation in healthy subjects and incomplete SCI patients following a robot-assisted locomotor training, International Conference
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B. Jackson, C T. Carnel,J F. Ditunno, Measures for Gait and Ambulation in the
Spinal Cord Injury Population . J Spinal Cord Med. 2008;31:487–499
041
042
RIABILITAZIONE DEL CAMMINO CON
ESOSCHELETRO MOTORIZZATO IN PERSONE
CON LESIONE MIDOLLARE COMPLETA
EFFICACIA DI ESOSCHELETRO HBP NEL
MIGLIORAMENTO DEL PATTERN DEL
CAMMINO NEI PAZIENTI AFFETTI DA
MALATTIA DI PARKINSON
Giulia Stampacchia1, Alessandro Rustici1, Samuele Bigazzi1,
Adriana Gerini1, Carla D’Avino1, Alessandra Franchini1,
Stefano Mazzoleni2, Tullia Tombini1
Centro Mielolesi, Azienda Ospedaliero Universiatria Pisana, Pisa, Italia1
Istituto di Biorobotica, Scuola Superiore Sant’Anna Pisa, Pisa, Italia2
Introduzione. L’utilizzo di nuove tecnologie in riabilitazione hanno incoraggiato l’introduzione del ripristino del cammino tra gli
obiettivi del progetto riabilitativo di molte persone con lesione midollare. In particolare il cammino su tappeto ruotante con allevio
del peso, con o senza esoscheletro, risulta utile nelle prime fasi di
68
Lucia Delpini1
Dipartimento di Malattia di Parkinson e disturbi del movimento, Moriggia e
Pelascini, Gravedona ed Uniti, Italia1
Introduzione. La Malattia di Parkinson (PD) è una patologia
neurodegenerativa cronica clinicamente caratterizzata da acinesia,
rigidità, tremore a riposo, disturbi posturali e di equilibrio. Recentemente è stato dimostrato il coinvolgimento del sistema somatosensoriale, in particolare della propriocezione, nella patogenesi dei
disturbi dell’equilibrio, del cammino e delle alterazioni posturali.
Vol. 30 - N. 2/3 - GIORNALE ITALIANO DI MEDICINA RIABILITATIVA - MR
44° CONGRESSO NAZIONALE SIMFER
Ad oggi sono stati effettuati pochi studi che hanno descritto il
possibile impatto di device specifici sulla modulazione della propriocezione. In particolare, l’esoscheletro, chiamato Human Body
Posturizer (HBP), si è dimostrato utile nel migliorare le afferenze
somatosensoriali e, conseguentemente, la postura in pazienti con
PD. L’obiettivo del nostro studio è quello di veriuficare gli effetti
di questo device sul cammino nei pazienti con PD.
Materiali e metodi. Abbiamo arruolato 50 pazienti affetti da Malattia di Parkinson (stadio 2-3 della classificazione Hoehn & Yahr)
ricoverati presso il nostro Dipartimento per effetturare un ciclo di
riabilitazione intensivo multidisciplinare di 4 settimane ( Multidisciplinary Intensive Rehabilitation Treatment - MIRT). Tutti i
pazienti sono stati sottoposti a due test effettuati su Gait Trainer:
un test del cammino di 3 minuti indossando HBP e un test del
cammino di 3 minuti senza HBP. Le misure di outcome cliniche
e funzionali al tempo T0, al momento dell’ospedalizzazione e, alla
dimissione dopo 4 settimane (T1) sono state: Unified Parkinson’s
Disease Rating Scale, sezione III (UPDRS III), il walking test dei
6 minuti (6MWT), il Time Up-and-Go Test (TUG). Al tempo T0
e T1 sono stati anche misurati i parametri del camminocon Gait
Trainer (GT): velocità, ciclo e lunghezza del passo, coefficiente di
varianza e tempo su ogni piede.
Risultati. Al T0 i parametri del passo misurati con Gait Trainer
non sono risultati significativamente diversi con o senza HBP. Al
T1 indossando HBP al test del cammino il ciclo del passo risultava
migliorato e la lunghezza era significativamente aumentata. Inoltre, si osservava una riduzione del coefficiente di varianza a carico
dell’arto inferiore di sinistra.
Conclusioni. Il nostro studio suggerusce che la modulazione della propriocezione ottenuta tramite HBP influenzi positivamente
i parametri del cammino nei pazienti affetti da Malattia di Parkinson. Sulla base dei dati ottenuti è possibile ipotizzare che l’uso
prolungato di questo device, anche in ambiente domestico, possa
contribuire a migliorare altri disturbi (alterazioni posturali e disequilibrio) sulla cui patogenesi esiste un coinvolgimento del sistema
propriocettivo. Saranno necessari ulteriori studi a supporto della
nostra ipotesi.
Bibliografia
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Frazzitta G1, Maestri R2, Bertotti G et al.”Intensive rehabilitation treatment in early Parkinson’s disease: a randomized pilot study with a 2-year
follow-up”.Neurorehabil Neural Repair. 2015 Feb;29(2):123-31. doi:
10.1177/1545968314542981. Epub 2014 Jul 18.
045
DA UN PROTOCOLLO DI VALIDAZIONE
DI MISURE DI OUTCOME A UN POSSIBILE
MODELLO DI STRATEGIA RIABILITATIVA
NELLA CMT
Luca Padua1, Daniele Coraci2, Costanza Pazzaglia3,
Davide Pareyson4, Angelo Schenone5, Alessia Aiello5, Gian
Maria Fabrizi6, Tiziana Cavallaro7, Lucio Santoro8, Fiore
Manganelli8, Franco Gemignani9, Francesca Vitetta9, Aldo
Quattrone10, Anna Mazzeo11, Massimo Russo12, Giuseppe
Vita13
Università Cattolica del Sacro Cuore/Fondazione Don Carlo Gnocchi Onlus,
Dipartimento di Geriatria, Neuroscienze e Ortopedia, Roma/Milano, Italia1
Università “Sapienza”/Fondazione Don Carlo Gnocchi Onlus, Dipartimento di
Scienze Ortopediche/Azienda Policlinico Umberto I, Roma, Italia2
Fondazione Don Carlo Gnocchi Onlus, Neuroriabilitazione, Milano, Italia3
Fondazione “Carlo Besta” IRCCS, Istituto Neurologico “Carlo Besta”, Milano,
Italia4
IRCCS AOU San Martino, Ospedale San Martino, Genova, Italia5
Università degli Studi di Verona, Dipartimento di Neuroscienze, Biomedicina e
Movimento, Verona, Italia6
AOUI Verona, UOC Neurologia B, Verona, Italia7
Università degli Studi “Federico II”, Dipartimento di Neuroscienze e Scienze riproduttive ed odontostomatologiche, Napoli, Italia8
Università di Parma, Dipartimento di Neuroscienze, Parma, Italia9
Università degli Studi “Magna Graecia”, Università degli Studi “Magna Graecia”, Catanzaro, Italia10
Università di Messina, Dipartimento di Scienze Neurologiche, Messina, Italia11
Azienda Ospedaliera Universitaria Policlinico “G. Martino”, Centro Clinico
NEMO Sud, Messina, Italia12
Università di Messina/ Azienda Ospedaliera Universitaria Policlinico “G. Martino”, Dipartimento di Scienze Neurologiche/Centro Clinico NEMO Sud, Messina, Italia13
Introduzione. La Medicina basata sulle evidenze, scienza fondata su specifiche e riconosciute metodologie statistiche basate su
studi longitudinali, ha difficile applicazione nella Riabilitazione.
L’influenza di numerose variabili sull’outcome è uno dei fattori
più importanti che rendono l’uso di metodologie classiche difficile. Un secondo fattore che rende complesso valutare il risultato
della Riabilitazione è la difficoltà nel misurare oggettivamente i
risultati del trattamento, e questo problema è amplificato nelle
malattie rare dove la numerosità del campione è molto limitata.
Per questo negli ultimi anni la comunità scientifica si è concentrata sulle misure di outcome (outcome research movement). Uno
degli obiettivi principali della Riabilitazione, oltre quello di ridurre la disabilità, è migliorare la qualità della Vita del paziente.
Da uno studio, finanziato da Telethon, finalizzato alla validazione di misure di outcome in una patologia neurologica rara, sono
emersi risultati e considerazioni che suggeriscono un possibile
approccio metodologico, in gran parte basato su evidenze ma
con una modalità tipo post-hoc, che identifica un trattamento
riabilitativo finalizzato al miglioramento della qualità della Vita.
La sindrome di Charcot-Marie-Tooth (CMT) è la più comune
forma di neuropatia ereditaria. Fino ad ora, le uniche terapie
possibili sono conservative o chirurgiche. In passato i trial farmacologici non hanno fornito risultati positivi probabilmente
anche a causa delle misure di outcome utilizzate. Recentemente
il nostro gruppo ha condotto uno studio multicentrico nel corso
del quale sono stati validati il 6-minute walk test (6MWT) e
lo StepWatchTM Activity Monitor (SAM) nella CMT. Tuttavia,
il SAM ha fornito alcune caratteristiche relative al cammino che
risultano maggiormente legate alla qualità della vita e che, di
conseguenza, risultano particolarmente utili per indirizzare i futuri studi in ambito riabilitativo. Il presente studio si propone
come obiettivo quello di raccogliere dati longitudinali delle due
suddette misure di outcome con lo scopo di valutare la loro sensibilità al cambiamento in un intervallo di tempo che potrebbe
essere utile a testare l’efficacia dell’approccio terapeutico.
Materiali e metodi. Abbiamo condotto uno studio multicentrico di follow-up; sono stati rivalutati 149 pazienti affetti da
CMT dopo 12 mesi, negli stessi Centri Italiani di riferimento
per la malattia, usando il SAM, il 6MWT ed altre misure di outcome comunemente usate per valutare la CMT quali: 1) CMT
neuropathy score (CMTNS); 2) test del cammino dei 10 metri
(10MWT); 3) la massima contrazione volontaria isometrica di
gruppi di muscoli distali con un miometro rilevando: la stretta
della mano, la presa con tre dita, la dorsiflessione/flessione plantare del piede 4) la qualità della vita con i 36 item dello short
form questionnaire (SF-36).
Risultati. Al fine di ottenere dati più consistenti abbiamo fissato la significatività statistica a p≤ 0.001. L’analisi statistica ha
mostrato un peggioramento significativo del CMTNS, della forza dei muscoli distali misurata dal miometro e degli output del
SAM. Al contrario, il 10MWT, il 6MWT, la forza muscolare
(rilevata attraverso la valutazione clinica), il dolore e la qualità
della vita non mostravano cambiamenti.
Vol. 30 - N. 2/3 - GIORNALE ITALIANO DI MEDICINA RIABILITATIVA - MR
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44° CONGRESSO NAZIONALE SIMFER
Conclusioni. In conclusione, il presente studio di follow-up dimostra un peggioramento della condizione clinica, il SAM è in
grado di cogliere questi cambiamenti nel corso del tempo risultando, di conseguenza, in grado di rilevare i minimi cambiamenti occorsi in un anno in una patologia caratterizzata da una lenta
progressione della malattia. Al contrario il 6MWT e il 10MWT
non sono risultati in grado di rilevare cambiamenti nell’arco di
12 mesi. Queste osservazioni potrebbero essere utili nel definire
futuri trial farmacologici e riabilitativi. Inoltre come sottolineato
nell’introduzione, questo studio potrebbe rappresentare un modello abduttivo fonda un approccio basato sul seguente assioma
“se nella tua quotidianità sono in grado di identificare la modalità
di funzione più correlata a una qualità della Vita migliore, posso
provare a indirizzare il trattamento in quella direzione” e su test
statistici di correlazione per i pazienti affetti da CMT. Il limite
di questo approccio, tipico della logica “abduttiva”, è che non
contiene in sé la sua validità ma che questa deve essere confermata per via “empirica”, per tale motivo alla ipotesi di trattamento
deve seguire la verifica attraverso uno studio longitudinale.
Bibliografia
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Maggi G, Monti Bragadin M, Padua L, et al. Outcome measures and rehabilitation treatment in patients affected by Charcot-Marie-Tooth neuropathy: a
pilot study. Am J Phys Med Rehabil 2011; 90: 628–637.
Pareyson D, Schenone A, Fabrizi GM, et al. A multicenter, randomized,
double-blind, placebo-controlled trial of long-term ascorbic acid treatment
in Charcot-Marie-Tooth disease type 1A (CMT-TRIAAL): the study protocol
[EudraCT no.: 2006-000032-27]. Pharmacol Res 2006; 54: 436–441.
Piscosquito G, Reilly MM, Schenone A, et al. Responsiveness of clinical outcome measures in Charcot-Marie-Tooth disease (CMT-TRIAAL and CMTTRAUK Group). Eur J Neurol 2015; 22: 1556–1563.
2.
3.
046
UTILIZZO DELL’IRRIGAZIONE TRANS-ANALE
PERISTEEN: FOLLOW-UP A 3 ANNI
Angela Costa1, Michele Pennisi1, Maria Pia Onesta2
Unità Spinale Unipolare - Unità operativa di urologia, Azienda ospedaliera Cannizzaro, Catania, Italia1
Unità Spinale Unipolare, Azienda ospedaliera Cannizzaro, Catania, Italia2
Introduzione: Valutazione dell’outcome dell’uso del peristee a domicilio.
Materiali e metodi: Sono stati considerati 42 pazienti trattati con Peristeen presso l’Unità Spinale Unipolare di Catania. 6 tetraplegie complete di cui 3 pazienti in totale autonomia nella gestione del presidio e
con caregiver, 2 bambini, uno paraplegico ed uno con spina bifida. 2
traumi del bacino, 1 sclerosi multipla, 3 mieliti, 24 paraplegie. Tutti i
pazienti sono stati contattati telefonicamente e rivalutati ambulatoriamente. Gli strumenti utilizzati sono stati: questionario di gradimento;
NBD score; diario intestinale; diario minzionale.
Risultati: La maggior parte dei pazienti continua ad utilizzare Peristeen a giorni alterni con un follow-up di 3 anni ed in assenza di
farmacoterapia. 2 pazienti hanno abbandonato il trattamento per
scarsa motivazione a circa 3 mesi dalla dimissione. 4 pazienti hanno
utilizzato il presidio in maniera discontinua con una elevata percentuale di disturbi intestinali quali costipazione incontinenza fecale e/o
urinaria e spiccata batteriuria. Solo in 2 pazienti è stato necessario
aumentare l’introito di acqua. 1 paziente ha riferito problemi con l’apparecchiatura (palloncino). Il grado di soddisfazione in tutti i pazienti
che usano abitualmente la TAI è stato di 9/10. L’NBD score è stato
di 12. Non è stata riscontrata alcuna problematica di subocclusione e
perforazione intestinale.
Conclusioni: Lo studio ha dimostrato che l’utilizzo del Peristeen in
modo regolare riduce l’assunzione dei farmaci, i rischi di costipazione
e/o incontinenza fecale ed urinaria e la batteriuria. L’NBD score è
migliorato ed il grado di soddisfazione è elevato in tutti i pazienti che
continuano regolarmente il trattamento. L’abbandono del Peristeen
70
avviene entro 3 mesi dall’utilizzo a domicilio. Non esistono molti dati
in letteratura che valutino l’outcome a lungo termine. Sarebbe utile
migliorare i criteri di selezione del paziente e valutare casistiche più
ampie con follow-up a lungo termine.
Bibliografia
1.
2.
3.
Hamonet-Torny J1, Bordes J, Daviet JC, Dalmay F, Joslin F, Salle JY. Long
term transanal irrigation’s continuation at home. Preliminary study. Ann Phys
Rehabil Med. 56:134-42, 2013.
Del Popolo G1, Mosiello G, Pilati C, Lamartina M, Battaglino F, Buffa P, Redaelli T, Lamberti G, Menarini M, Di Benedetto P, De Gennaro M. Treatment
of neurogenic bowel dysfunction using transanal irrigation: a multicenter Italian study. Spinal Cord. 46: 517-22, 2008.
Christensen P, Bazzocchi G, Coggrave M, Abel R, Hultling C, Krogh K, Media
S, Laurberg S. A randomized, controlled trial of transanal irrigation versus conservative bowel management in spinal cord-injured patients. Gastroenterology.
131: 738-47, 2006.
048
PROCEDURA PER L’INTERVENTO DI
RIEDUCAZIONE RESPIRATORIA PRE E POSTOPERATORIA IN PAZIENTI AFFETTI DA
PATOLOGIA MAGGIORE ADDOMINALE
Marco Mario Brocardo1, Nicole Paillex2, Cristina Casalino1
Ospedale Regionale Umberto Parini (Aosta), Ospedale Regionale Umberto Parini, Aosta, Italia1
Università degli Studi di Torino, Scuola di Specializzazione in Medicina Fisica e
Riabilitativa, Torino, Italia2
Introduzione. A partire da Gennaio 2013, la S.C.RRF dell’Ospedale U. Parini di Aosta, in collaborazione con l’S.C. di Chirurgia
e con la fisioterapia dell’area territoriale, ha avviato un programma
di intervento di rieducazione respiratoria pre e post-operatoria per i
pazienti oncologici candidati ad un intervento di chirurgia maggiore addominale, con l’obiettivo di ridurre le complicanze respiratorie
(in particolare polmoniti ed atelettasie polmonari) post-intervento.
Materiali e metodi. L’attivazione della procedura avviene con la richiesta, da parte della SC Chirurgia, di visita fisiatrica urgente, che
viene evasa entro 24 ore e si conclude con la stesura di un progetto
riabilitativo individuale, articolato in:
• sei sedute pre-operatorie, per insegnare al paziente la tecnica
e l’uso dell’incentivatore volumetrico, che gli viene consegnato sino al ricovero. Le sedute vengono effettuate in ospedale
a cura dei terapisti della SC RRF, oppure presso la sede distrettuale più vicina al paziente, da parte dei terapisti dell’area
territoriale;
• refresh degli esercizi respiratori da parte del fisioterapista della
SC RRF, il giorno del ricovero;
• rivalutazione fisiatrica per ridefinire il progetto entro la prima
giornata post-intervento;
• inizio della rieducazione respiratoria post-operatoria.
Risultati. I pazienti trattati secondo questa procedura, da gennaio
2013 ad ottobre 2015 sono stati in totale 91. La degenza media è
stata di 13 giorni, il 60% dei pazienti ha avuto un tempo di degenza
minore o uguale alla media. Nel post-operatorio, solo 23 pazienti (20%) hanno avuto una qualche complicanza e solo nel 5% di
tipo respiratorio. Solo uno dei 16 pazienti con anamnesi positiva
per patologie respiratorie ha presentato complicanze di tipo respiratorio nel post-intervento. Le complicanze respiratorie che hanno
richiesto diagnostica dedicata, antibioticoterapia e prolungamento
della degenza hanno riguardato il 7% dei pazienti sinora inseriti
nella procedura.
Conclusioni. Alla luce dei risultati ottenuti, isorisorse, con l’esclusivo costo dell’acquisto degli incentivatori, la procedura è stata estesa a tutti i pazienti della chirurgia addominale, ed è stata proposta
anche per i pazienti della Chirurgia Toracica ed Urologica dello
stesso Ospedale.
Vol. 30 - N. 2/3 - GIORNALE ITALIANO DI MEDICINA RIABILITATIVA - MR
44° CONGRESSO NAZIONALE SIMFER
Bibliografia
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049
TRATTAMENTO ENDOUROLOGICO DELLA
CALCOLOSI RENALE NEI PAZIENTI CON
LESIONE MIDOLLARE (SCI): ESPERIENZA DI
UN SINGOLO CENTRO
Angela Costa1, Letterio D’Arrigo2, Michele Pennisi3, Maria
Pia Onesta4
Unità Spinale Unipolare - Unità operativa di urologia, Azienda ospedaliera Cannizzaro, Catania, Italia1
Unità operativa di Urologia, Azienda ospedaliera Cannizzaro, Catania, Italia2
Unità Spinale Unipolare. Unità operativa di Urologia, Azienda ospedaliera Cannizzaro, Catania, Italia3
Unità Spinale Unipolare, Azienda ospedaliera Cannizzaro, Catania, Italia4
Introduzione. La mielolesione è una condizione clinica caratterizzata da alterazioni della funzione sensitiva, motoria ed
autonomica con riduzione delle attività fisiche, generando nei
pazienti un quadro di alvo e vescica neurogena associato spesso ad alterazioni metaboliche. Le disfunzioni vescicali possono
provocare aumento della pressione detrusoriale, reflusso vescico ureterale, ridotto svuotamento vescicale, deterioramento del
muscolo detrusore, infezioni urinarie croniche , condizioni che
favoriscono la calcolosi. Le calcolosi, in questi pazienti, è primariamente struvite (magnesio ammonio fosfato), correlata alla
presenza di Proteus, Ureoplasma o Klebsiella. Alcuni dati di
letteratura dichiarano che i pazienti affetti da danno midollare
presentano un più elevato rischio di calcolosi rispetto al resto
della popolazione. I maggiori rischi di complicare il trattamento sono correlati:
1. alle infezioni del tratto urinario(UTI), urosepsi;
2. alla posizione del paziente spesso obbligata dalla spasticità
muscolare degli arti;
3. alle comorbilità.
Scopo dello studio. Scopo del lavoro è stato la valutazione
dello stone free rate (SFR) e dell’incidenza di complicanze in
pazienti con lesione midollare (SCI) affetti da calcolosi renale
sottoposti a trattamento endourologico rispetto alla popolazione generale.
Materiali e metodi. Nel periodo compreso tra il 2013 ed il
2015 presso la Divisione di Urologia del nostro ospedale sono
stati trattati 9 pazienti con calcolosi renale. Sono stati analizzati
i seguenti parametri: caratteristiche dei pazienti, tempi operatori, presenza di alterazioni metaboliche, caratteristiche e sede
del calcolo, stone free rate, complicanze. La valutazione preoperatoria includeva: routine ematochimica, es. urine ed urinocoltura, ecografia, URO TC con contrasto. Tutti i pazienti sono
stati sottoposti ad antibiotico profilassi o terapia in accordo
all’esito degli esami colturali. Le procedure eseguite sono state:
litotrissia retrograda intrarenale (RIRS) e litolapassi percutanea
(PCNL).
Risultati. Dei 9 pazienti con SCI, di età compresa tra 23 e 52
aa (media 42 anni) 6 maschi e 3 femmine, 2 pazienti affetti da
tetraplegia, 3 da paraplegia, 4 da sclerosi multipla. 5 pazienti
presentavano una calcolosi renale sinistra ed 4 una calcolosi del
rene destro. Un solo paziente presentava una singola calcolosi
pielica, 6 una pielica e caliceale inferiore , 1 pielica e caliceale
media ed in 1 caso una calcolosi a stampo pielica e caliceale
media ed inferiore; 3 pazienti presentavano un’idronefrosi associata. Le dimensioni del calcolo erano comprese tra 1.4 e 4.6
cm di diametro (media 2,6 cm). In 6 pazienti abbiamo eseguito
una PCNL e in 3 una RIRS. I tempi operatori medi sono stati
per i pazienti sottoposti a RIRS 54.1 min. a PCNL 40.3 min.
Le procedure sono state eseguite tutte dallo stesso operatore.
Lo SFR è stato è stato del 96%. In 6 casi era presente urinocoltura positiva trattata con terapia antibiotica mirata, i restanti
pazienti sono stati sottoposti a antibiotico profilassi ad ampio
spettro. I tempi di ospedalizzazione sono stati di 3 giorni. Si
è verificata una sola complicanza postoperatoria risoltasi con
embolizzazione selettiva. Non è stata rilevata nessuna febbre
postoperatoria.
Conclusioni. Il trattamento endourologico nei pazienti affetti
da SCI rappresenta il gold standard nella calcolosi renale. Lo
SFR e l’incidenza delle complicanze sembra essere sovrapponibile con il resto della popolazione. La procedura va eseguita in
un centro altamente specializzato e con un elevato volume di
trattamenti.
Bibliografia
1.
2.
3.
Tepeler A, Sninsky BC, Nakada SY: Flexible ureteroscopic laser lithotripsy for
upper urinary tract stone disease in patients with spinal cord injury. Urolithiasis. 43:501-5, 2015.
Nabbout P, Slobodov G, Mellis AM, Culkin DJ: Percutaneous nephrolithotomy in spinal cord neuropathy patients: a single institution experience. J Endourol. 26:1610-3, 2012.
Ramsey S, McIlhenny C: Evidence-based management of upper tract urolithiasis in the spinal cord-injured patient. Spinal Cord. 49: 948-54, 2011.
050
VARIABILITÀ ECOGRAFICA NELLA MALATTIA
DI CHARCOT-MARIE-TOOTH. UTILITÀ
DIAGNOSTICHE E RIABILITATIVE
Daniele Coraci1, Luca Padua2, Marta Lucchetta3, Ilaria
Paolasso4, Costanza Pazzaglia4, Giuseppe Granata2,
Mario Cacciavillani5, Marco Luigetti2, Fiore Manganelli6,
Giuseppe Piscosquito7, Davide Pareyson7, Chiara Briani3
Dipartimento di Scienze Ortopediche, Università “Sapienza”, Roma, Italia1
Dipartimento di Geriatria, Neuroscienze ed Ortopedia, Università Cattolica del
Sacro Cuore, Roma, Italia2
Dipartimento di Neuroscienze, Università di Padova, Padova, Italia3
Dipartimento di Neuroscienze, Fondazione Don Carlo Gnocchi, Milano, Italia4
CEMES, Data Medica Group, Padova, Italia5
Dipartimento di Neuroscienze, Scienze Riproduttive ed Odontostomatologia,
Università Federico II, Napoli6
Dipartimento di Neurologia, Istituto Carlo Besta, Milano, Italia7
Introduzione. La malattia di Charcot-Marie-Tooth (CMT) è una
neuropatia genetica sensitivo-motoria eterogenea. Presenta differenti forme con differenti caratteristiche cliniche e neurofisiologiche.
La riabilitazione attualmente risulta essere il principale trattamento.
L’identificazione della patologia è fondamentale per la gestione del
paziente e per l’inserimento in un corretto programma riabilitativo,
specifico per la malattia. L’esame clinico e neurofisiologico sono indispensabili nello studio dei pazienti con neuropatie periferiche, inclusa la CMT. Quest’ultima necessita inoltre dell’esame genetico per
una conferma definitiva, talvolta non sempre possibile. L’ecografia
del nervo si è recentemente rivelata un efficace supporto agli esami
sopra menzionati. È in grado di valutare morfologicamente le strutture del sistema nervoso periferico, permettendo talvolta al clinico di
suffragare/confutare una ipotesi diagnostica [1]. Lo scopo del nostro
Vol. 30 - N. 2/3 - GIORNALE ITALIANO DI MEDICINA RIABILITATIVA - MR
71
44° CONGRESSO NAZIONALE SIMFER
studio è stato quello di valutare ecograficamente i principali nervi per
comprendere: 1) specifiche caratteristiche ecografiche della CMT; 2)
se l’ecografia del nervo può fornire informazioni sulla diagnosi delle
differenti forme di CMT; 3) possibili relazioni tra ecografia e clinica.
Materiali e metodi. Sono stati reclutati 70 pazienti (30 donne) di età
12-78 anni (30 CMT1, 22 CMT2, 8 CMTX, 10 HNPP). La valutazione clinica è stata basata sulla CMT examination score (CMT-ES).
L’ecografia è stata eseguita, con sonda 12-18 MHz, bilateralmente
sui nervi ulnare, mediano, peroneo, tibiale, surale. I nervi ulnare e
mediano sono stati studiati a livello di polso, avambraccio, gomito,
braccio; il nervo peroneo al capitello peroneale ed al poplite; il nervo
tibiale al poplite; il nervo surale al terzo medio della gamba. Sono state
misurate le dimensioni del nervo come cross sectional area (CSA). Un
nervo è stato considerato anormale quando presentava l’aumento di
dimensioni in almeno un sito. Sono stati eseguiti i seguenti calcoli.
Indice di simmetria (separando arti superiori ed inferiori): [numero di
nervi patologici (lato più affetto)/numero di nervi studiati] - [numero
di nervi patologici (lato meno affetto)/numero di nervi studiati]. Modified intra-nerve variability (mod-IN): massima CSA/minima CSA
per i nervi mediano, ulnare, escludendo i normali siti di intrappolamento, e peroneo. È stata effettuata una correlazione tra le dimensioni
del nervo ed i parametri clinici. I dati delle dimensioni sono poi stati
posti in un grafico per visualizzare la relazione tra età e valore di CSA.
Risultati. I valori di CSA sono risultati più elevati, sia agli arti superiori che agli arti inferiori, nei pazienti affetti da CMT1, con valori
sempre maggiori dei limiti superiori ed una tendenza ad un più marcato aumento nei siti prossimali. Il nervo surale è risultato patologico
solo nella CMT1. Nella forma CMTX e nella HNPP, le dimensioni
del nervo ulnare al gomito sono risultate più elevate rispetto agli altri
siti. Una maggiore suscettibilità del nervo alla sofferenza negli usuali
siti di intrappolamento è stato trovato nella CMTX e nella HNPP,
ma non nella CMT1. Nella CMTX, le dimensioni del nervo peroneo
risultavano generalmente normali. La CMT2 presentava invece valori
di CSA entro i limiti superiori. È stato riscontrato un alto livello di
simmetria in tutte le forme di CMT studiate ed inoltre la mod-IN ha
mostrato un simile comportamento nelle diverse forme, con valori
più elevati negli arti superiori. La CSA ha mostrato una correlazione
inversa con i valori di forza dei muscoli intrinseci delle mani, nella
CMT1 e nella CMT2. Infine, le dimensioni dei nervi risultavano,
nella CMT1, molto elevati nei soggetti con età media (quinta decade), essendo invece inferiori nei soggetti più giovani e più anziani.
Conclusioni. Il nostro studio mostra differenti caratteristiche ecografiche nelle varie forme di CMT. La CMT1, demielinizzante, si è rivelata quella con maggiori alterazioni ecografiche. Al contrario, la forma
assonale CMT2 ha presentato dimensioni dei nervi assai più ridotte.
Questi dati confermano i risultati di precedenti studi ecografici [2].
Il nostro studio ha esteso la valutazione fino alle porzioni prossimali
dei nervi, dimostrando un coinvolgimento anche in questi siti. L’alterazione ecografica poi si è dimostrata diffusa, simmetrica, differente,
a seconda dei tipi di CMT, e non ha rivelato la presenza di ingrandimenti focali (tipici di altre neuropatie). Tale dato può rivelarsi importante per gli scopi diagnostici. Inoltre il picco di aumento di CSA
proprio della CMT1 potrebbe essere un indizio dell’andamento di
questa forma di CMT. La riduzione delle dimensioni del nervo con il
progredire degli anni potrebbe infatti indicare un cambiamento da un
originale processo demielinizzante ad uno prevalentemente assonale.
Questo elemento risulta stimolante per nuove ricerche sul miglior
trattamento riabilitativo da impostare in relazione alla progressione
della patologia.
Bibliografia
1.
2.
Martinoli C, Schenone A, Bianchi S, Mandich P, Caponetto C, Abbruzzese M,
Derchi LE. Sonography of the median nerve in Charcot-Marie-Tooth disease.
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Zaidman CM, Al-Lozi M, Pestronk A.Peripheral nerve size in normals and
patients with polyneuropathy: an ultrasound study. Muscle Nerve. 2009
Dec;40(6):960-6.
72
051
LA GAIT ANALISYS E RIABILITAZIONE
CUSTOM MADE DOPO PROTESI DI
GINOCCHIO
Luigi Di Bisceglie1
Istituti Ospedalieri Don Uva, U.O.C. di Riabilitazione Neuro-Ortopedica, Bisceglie, Italia1
Introduzione. La chirurgia protesica è diventata per tipo e qualità
degli interventi la chirurgia d’elezione che più di altre, ha contribuito a migliorare la qualità di vita dei pazienti.In particolare, la
sostituzione rotesica del ginocchio ha permesso il ritorno ad una
vita sociale e lavorativa efficiente di un gran numero di soggetti
artrosici condannati, secondo la storia naturale della malattia, ad
un’invalidità precoce e progressiva. Scopo del nostro lavoro è individuare le migliori strategie riabilitative per un recupero il più
veloce e completo possibile dei pazienti sottoposti ad intervento
di artroprotesi del ginocchio, monitorandole con metodiche strumentali.
Materiali e metodi. La metodica utilizzata è la Gait Analysis della
BTS. Abbiamo seguito 5 casi di pazienti sottoposti ad artroprotesi
di ginocchio, 3 di sesso femminile e 2 di sesso maschile, con valutazione della marcia prima dell’intervento e durante il percorso
riabilitativo permettendoci di adeguare il piano riabilitativo alle
condizioni di recupero funzionale del paziente, in maniera dinamica; abbiamo utilizzato come gruppo di controllo 5 pazienti protesizzati che hanno seguito il normale iter riabilitativo. Abbiamo
quindi valutato i tempi di recupero del ROM, delle autonomie
personali, della deambulazione autonoma, dello stato di ansia e
di depressione, della percezione della qualità di vita e dei tempi di
degenza. Nei pazienti del gruppo di studio, inoltre, è stato possibile applicare un nostro protocollo specifico (KRP) di cui abbiamo
testato l’efficacia.
Risultati. Nel gruppo di studio abbiamo potuto costatare un più
rapido recupero della funzione articolare, una deambulazione fisiologica in minor tempo, una interazione tra terapista e paziente
più efficace, una progressione basata su rilievi strumentali e non
“ad occhio” ed una validazione dell’efficacia del nostro protocollo
riabilitativo dedicato (Knee Rehabilitation Prothocol) utilizzando
la Gait Analisys come mezzo di misura e monitoraggio , unitamente alle scale di valutazione fisiatrica, utilizzate per tutti e due
i gruppi.Nel gruppo di studio si sono evidenziati in tutti i casi un
netto miglioramento di tutte le performances , un più rapido ritorno alle normali occupazione con riduzione dei tempi di degenza di
oltre il 30% e un risparmi netto per il SSR di circa € 3000/paziente
Conclusioni. La riabilitazione grazie alla specializzazione in Medicina fisica e riabilitativa che ha delimitato e precisato il ruolo e
le attribuzioni esclusive del Fisiatra, ha subito in Italia una grande
evoluzione, determinando un passaggio epocale dalla fase di utilizzo di metodiche valutative e riabilitative empiriche (l’occhio del
fisiatra e pochi altri mezzi) verso l’impiego di tecnologie che oltre
a produrre valutazioni oggettive ne consentono la riproducibilità scientifica e quindi il confronto tra i vari operatori impegnati
in questo campo, parlando un linguaggio comune. L’analisi computerizzata del cammino (o Gait Analysis) è uno dei frutti degli
impulsi innovativi in atto e si sta sempre di più diffondendo in
ambito nazionale. Questo esame non invasivo fornisce valutazioni
funzionali dell’apparato locomotore in condizioni normali e patologiche attraverso sistemi computerizzati per l’analisi strumentale
quantitativa del movimento. Ho seguito il lavoro di ricerca sperimentale svolto nel laboratorio di analisi del passo presso gli Istituti
Ospedalieri Opera Don Uva- Bisceglie nell’unità operativa di Medicina Fisica e Riabilitativa. Nell’ambito del lavoro di ricerca del
laboratorio di analisi del movimento umano, e in particolare del
cammino, seguendo opportuni protocolli di ricerca definiti abbia-
Vol. 30 - N. 2/3 - GIORNALE ITALIANO DI MEDICINA RIABILITATIVA - MR
44° CONGRESSO NAZIONALE SIMFER
mo voluto concentrare l’attenzione sulle artroprotesi di ginocchio.
Con tali strumenti si è in grado di monitorare con grande dettaglio
la cinematica e dinamica dei segmenti e delle articolazioni coinvolte nella locomozione.
Bibliografia
1.
2.
3.
De Nicola, Nicola Pace; “La protesi di ginocchio di Primo Impianto”; 10-18;
220-225; 295-330(2005) .
Perry J., Edizione italiana a cura di Maria Grazia Benedetti; “Analisi del Movimento”; 3-121; 139-149; 183-201(2005) .
Brotzman “La riabilitazione in ortopedia”; 2 edizione 458-473 (luglio 2004).
052
CASO CLINICO:GESTIONE INTEGRATA DI
PAZIENTE CON FRATTURA LATERALE DEL
FEMORE DA OSTEOPOROSI SEVERA
Luigi Di Bisceglie1, Maria Cusmai2
Istituti Ospedalieri Don Uva, U.O.C. di Riabilitazione Neuro-Ortopedica, Bisceglie, Italia1
Finservice SPA, Centro Vita, Cerignola, Italia2
Introduzione. La frattura laterale del femore in paziente
osteoporotica,implica problemi di sintesi,di healing della frattura e
di gestione.Nel caso in oggetto la presenza di fratture vertebrali multiple Genant 4-5 condizionava la concessione del carico pur con una
frattura stabile con sintesi ottimali.La tempestività dell’intervento,la
terapia con teriparatide,il carico e la riabilitazione precoci ha cambiato la storia naturale di questa paziente,annoverandolo tra i pazienti che sopravvivono all’evento frattura, miglioramento della
sintomatologia algica, riduzione della limitazione funzionale,veloce
recupero delle autonomie e dello stato di benessere
Materiali e metodi. Paziente di sesso femm.,anni 78, corporatura esile (B.M.I. 21),menopausa ad anni 52,scarso apporto di
calcio (500 mg),intake di vit D non precisabile,non tabagismo,
astemia;isteroannessiectomia a 56 anni,ipertensione moderata, pregresse fratture di L1,L3,L4 in trattamento con risedronato 35 mg/
sett.Nel 2014 frattura pertrocanterica a sin senza trauma evidente;
riduzione e sintesi nelle 48 ore successive.Inizio precoce del teriparatide e ricovero in riabilitazione, carico precoce,rinforzo muscoli antigravitari, training al passo con progressione rapida,deambulazione
autonoma, allenamento alle manovre paracadutee ginnastica propriocettiva.Gait analisys per valutazione del piano riabilitativo.
Risultati. Accelerando il timing dalla diagnosi al recupero funzionale, con il teriparatide per favorire l’healing della frattura,in soggetto
a rischio affetto da frattura pertrocanterica del femore da osteoporosi severa, con fratture vertebrali di tipo 4-5 sec Genant. Il caso della
signora C.T. è esempio di best practice nella gestione della frattura
laterale del femore da osteoporosi severa che ha prodotto risultati
sensibili,ottimizzando il percorso assistenziale dall’evento frattura al
recupero funzionale.Il modello operativo integrato tra ortopedia,ri
abilitazione,trattamento farmacologico e percorso educazionale del
paziente e dei care-givers ha consentito,un’abbattimento completo
delle problematiche relative alla sindrome da allettamento, rapido
recupero dell’ortostasi e della deambulazione rispetto alla media e
durata di ricovero del 30% in meno. La valutazione a tre, sei mesi ed
ad un anno hanno confermato i risultati funzionali,le performances
deambulatorie,la migliorata qualità dell’osso;l’educazione del paziente e dei care-givers ha ridotto la probabilità di cadute. L’evoluzione favorevole delle scale di valutazione dal basale ai controlli
seriati e degli outcomes a tre e sei mesi,la rapida riduzione del dolore
(scala VAS a riposo e nei movimenti), il miglioramento della forza
e della deambulazione (FAC), della autonomia (ADL, IADL, B.I.),
la percezione della qualità di vita (Qualeffo, scala di Hamilton per
la depressione e di Zung per l’ansia) hanno dimostrato un ottimale percorso terapeutico rispetto alla media effettuata sullo storico
del reparto che merita una valutazione su più larga scala. I vantaggi
misurati e presenti in tutte le valutazioni effettuate ci spingono ad
affinare sia le metodiche e la loro integrazione cercando di personalizzare il programma terapeutico-riabilitativo.
Conclusioni. Il recupero funzionale è strettamente dipendente dalla
guarigione anatomica. L’esecuzione tempestiva della sintesi,la terapia precoce con teriparatide,il ricovero sequenziale in riabilitazione,
l’ortostasi ed un training al passo a steps ravvicinati,il monitoraggio
con scale di valutazione e con gait analisys, un programma educazionale per la prevenzione delle cadute anche per i care-givers, consentono di ottimizzare la gestione del paziente con frattura laterale del
femore da osteoporosi severa.
Bibliografia
1.
2.
3.
Journal of bone and mineral research:Musculoskeletal Rehabilitation in
Osteoporosis:A Rewiew (Agosto 2004).
Silman AJ. et al. Influence of physical activity on vertebral deformity in men
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La marcia: un miracolo dell’equilibrio”. G. Guidetti, D. Marchioni,
M. Trani, M. Daidone; 2000.
057
IL TRATTAMENTO CONSERVATIVO
DELL’IPERCIFOSI CON CORSETTO ED
ESERCIZI: UNO STUDIO OSSERVAZIONALE
RETROSPETTIVO A COORTE
Salvatore Minnella1, Sabrina Donzelli2, Monia Lusini2,
Fabio Zaina2, Michele Romano2, Alessandra Negrini2,
Stefano Negrini3
ISICO, Istituto Scientifico Italiano Colonna Vertebrale, Milano, Italia1
ISICO, Istituto Scientifico Italiano Colonna Vertebrale, Milano, Italia2
IRCCS Don Gnocchi-Milano, Università di Brescia, Milano, Italia3
Introduzione. Ci sono differenti tipi di ipercifosi, che richiedono specifiche strategie di trattamento sebbene ci sia ancora però
poca evidenza riguardo il suo trattamento conservativo. Lo scopo
di questo studio è quello di valutare il trattamento conservativo
dell’ipercifosi idiopatica e da Scheuermann con corsetto ed esercizi
specifici.
Materiali e metodi. Disegno. Studio osservazionale retrospettivo
su pazienti ambulatoriali consecutivi da un database prospettico
nato nel marzo 2003. Setting. Pazienti ambulatoriali di una clinica di riferimento di terzo livello specializzata nel trattamento
conservativo delle deformità vertebrali. Partecipanti. Nel dicembre
del 2013, tra tutti i pazienti con meno di 18 anni di età in prima
visita, presenti nel database, abbiamo selezionato quelli che rispettavano i seguenti criteri di inclusione:
• diagnosi di ipercifosi idiopatica o da Scheuermann;
• almeno due valutazioni cliniche al tempo di inizio (T0) e fine
terapia (T1);
• Rx rachide in toto in proiezione laterolaterale al tempo T0 e
T1.
Trattamenti. Tutti i pazienti sono stati sottoposti a trattamento
conservativo con corsetto rigido, specifico per ipercifosi, associato
ad esercizi specifici. Il corsetto veniva prescritto, ad inizio terapia,
per non meno di 18 ore/die. Statistica. Abbiamo comparato le variazioni cliniche e radiografiche tra inizio e fine terapia. Criteri di
outcome primario: percentuale di pazienti peggiorati (> 5°), stabili
o migliorati. Secondari: cifosi toracica (TK), lordosi lombare (LL),
distanza di C7 ed L3 dal filo a piombo, indice sagittale (SI), che
è la distanza dal filo a piombo di C7 più L3. Abbiamo usato la
statistica descrittiva per evidenziare i valori medi dei parametri di
outcome secondari e la loro deviazione standard.
Risultati. Abbiamo incluso 35 pazienti, età media 14.2± 1.8 (19
maschi).La durata media del trattamento è stata di 3.06± 1.03
anni. Per ciò che attiene l’outcome primario son stati osservati 23
pazienti migliorati (66%), 8 stabili (23%) e 4 peggiorati (11%).
Vol. 30 - N. 2/3 - GIORNALE ITALIANO DI MEDICINA RIABILITATIVA - MR
73
44° CONGRESSO NAZIONALE SIMFER
Miglioramenti altamente significativi sono stati riscontrati per i
principali parametri spinali: TK si è ridotta da 54.8± 10° a 44.8±
10° (p< 0,001), LL da 55.1± 8.28° a 50.9± 9° (p=0,04), SI da
113.1± 21 mm a 89± 30mm (p=0,003) e C7 da 58.6± 12mm a
47.5± 13mm (p=0,001); mentre L3 è cambiata solo da 53± 12mm
a 47± 13mm (NS).
Conclusioni. Secondo i nostri risultati il trattamento conservativo
mediante corsetto rigido ed esercizi specifici costituisce una terapia efficace per l’ipercifosi. Essa può cambiare significativamente
sia i parametri clinici che radiografici riportandoli verso valori più
fisiologici.
Bibliografia
1.
De Mauroy et al. Historical Lyonaise brace treatment for adolescent
hyperkyphosis. Results of 272 cases reviewed 2 years minimum after removal
of the brace. Scoliosis 2010 5(Suppl 1): 069.
Weiss HR et al. Brace treatment for patients with Scheuermann’s disease- a
review of the literature and first experiences with a new brace design. Scoliosis
2009, 4:22.
2.
058
NON SOLO LA COMPLIANCE, MA ANCHE
LA COSTANZA NELL’ INDOSSAMENTO DEL
CORSETTO MIGLIORA I RISULTATI A BREVE
TERMINE: UNO STUDIO PROSPETTICO SUL
THERMOBRACE
Sabrina Donzelli1, Monia Lusini2, Salvatore Minnella2,
Fabio Zaina2, Stefano Negrini3
ISICO, Istituto Scientifico Italiano Colonna Vertebrale, Milano, Italia1
ISICO, Istituto Scientifico Italiano Colonna Vertebrale, Milano, Italia2
IRCCS Don Gnocchi-Milano, Università di Brescia, Milano, Italia3
Introduzione. La compliance, insieme alla qualità del corsetto,
hanno dimostrato di poter ottenere buoni risultati nei pazienti con
scoliosi. Nulla invece si sa circa la costanza nell’indossamento del
corsetto (CBW), che significa il mantenimento dello stesso numero di ore di indossamento pressoché tutti i giorni. CBW è raccomandata ad ogni prescrizione di un nuovo corsetto, ma è vero che
l’essere costanti porterà i migliori risultati? L’obiettivo di questo
studio era di scoprire se CBW è premiata con migliori risultati a
breve termine della terapia in corsetto.
Materiali e metodi. Studio prospettico controllato a coorte originato da un database clinico nato nel 2003. Il 31 dicembre 2012
dagli 11.800 pazienti presenti nel database ne sono stati selezionati
168, che rispettavano i seguenti criteri di inclusione:
• Scoliosi idiopatica adolescenziale
• Prescrizione di corsetto Sforzesco da 18 a 23h/die
• Almeno 4 mesi di osservazione
• Adozione di Thermobrace
• Rx rachide in toto senza corsetto prima del trattamento.
CBW (104 pazienti) è stato confrontato con l’incostante indossamento del corsetto (FBW: 64 pazienti): dovuto all’anormale distribuzione dei valori del thermobrace; un’ora nel range interquartile
distingueva i due gruppi. Un cut-off di 6 gradi Cobb era stato definito per classificare i risultati come migliorati, peggiorati o stabili.
I pazienti inoltre venivano classificati in base alla compliance: elevata (HC: >95%), media (MC: 70-94%) e bassa (LC: <70%). Per
l’analisi statistica è stato usato il test Chi-Quadro; anche il rischio
relativo (RR) di non miglioramento (per esempio solo progressione o stabilizzazione) è stato calcolato con il 95% di Intervallo di
Confidenza (IC95).
Risultati. II maschi erano più frequentemente incostanti nell’indossamento (78.1% vs 12.5%). CBW-HC mostravano un’alta
percentuale di curve migliorate e stabilizzate (44.2% e 28.8%)
se confrontate con FBW (10.9% e 10.9%). CBW erano più frequentemente HC: 81.7% contro 21.8% in FBW (p<0,0001). In
74
entrambi i gruppi, HC erano più frequenti nel sottogruppo di
prescrizione per più di 22h/die, mentre la severità della scoliosi
non influenzava la compliance o la CBW. Senza distinzioni per la
compliance, RR a breve termine per FBW era di 1.35 (IC95: 0.951.93, p=0.08). FBW- MC/LC confrontati con CBW-HC mostravano un RR di 1.50 (IC95: 1.0-2.3, p=0.04).
Conclusioni. Indossare un corsetto con rigore (HC) e costanza
(CBW) porta buoni risultati e questo rimane vero in MC. La compliance alla prescrizione è fondamentale per una più alta probabilità di raggiungere buonirisultati,d’altra parte FBW può rappresentare un rischio per la progressione.Gli studi futuri dovrebbero
documentare questi dati alla fine del trattamento.
Bibliografia
1.
2.
Katz et al. Factors that influence outcome in bracing large curves in patients
with adolescent idiopathic scoliosis . Spine 2001, 26(21): 2354-2361.
Tavernaro et al. Team care to cure adolescents with brace (avoiding low quality
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059
UTILIZZO DELL’ICF REHABILITATION SET
NELLE SCUOLE DI SPECIALIZZAZIONE
ITALIANE IN MEDICINA FISICA E
RIABILITATIVA. PROGETTO SIMFER
SPECIALIZZANDI 2016
Alessandro de Sire1, Irene Maghini2, Marco Gastaldo3,
Andrea Pasquini4, Marco Paoletta1, Francesca Gimigliano5
Dipartimento di Specialità Medico-Chirurgiche e Odontoiatriche, Seconda Università degli Studi di Napoli, Napoli, Italia1
Dipartimento di Neuroscienze, Università degli Studi di Padova, Padova, Italia2
Dipartimento di Ortopedia, Traumatologia e Riabilitazione, Università degli
Studi di Torino, Torino, Italia3
Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale, Università degli Studi di Parma, Parma, Italia4
Dipartimento di Salute Mentale e Fisica e Medicina Preventiva, Seconda Università degli Studi di Napoli, Napoli, Italia5
Introduzione. La Medicina Fisica e Riabilitativa (MFR) è stata definita dall’Union of European Medical Specialists (UEMS)
come una specialità medica indipendente che concerne la promozione del funzionamento fisico e cognitivo inclusi problemi comportamentali, la partecipazione, la qualità di vita che è in relazione
a fattori personali e ambientali. Proprio questi aspetti sono alla
base del modello bio-psico-sociale, che considera essenziale il “functioning” per definire adeguatamente lo stato di salute di una persona. Nel 2001, l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS),
focalizzandosi sul modello bio-psico-sociale ha definito l’International Classification of Functioning, Disability, and Health (ICF),
strumento globalmente approvato in grado di dare un linguaggio
internazionale comune per descrivere il funzionamento umano, la
disabilità e la salute (1). Recentemente è stato creato l’ICF Rehabilitation Set, il cui utilizzo abituale in ambito clinico è raccomandato dall’ICF Research Branch, descrive gli elementi fondamentali
del “functioning” della persona in modo comprensibile ad ogni
professionista sanitario, garantendo la comparabilità tra diverse
condizioni di salute (2-3). Nel giugno 2015, la SIMFER ha guidato un processo di Consensus volto a sviluppare delle descrizioni
semplici ed intuitive delle categorie ICF contenute nell’ICF Rehabilitation Set da poter essere utilizzate per semplificare l’utilizzo
dell’ICF nella pratica clinica. Obiettivo del nostro progetto è esaminare le disabilità dei pazienti afferenti agli ambulatori di MFR
italiani in termini ICF, valutando inoltre i tempi e le difficoltà
riscontrate nella somministrazione dell’ICF Rehabilitation Set da
parte dei medici in formazione specialistica in MFR.
Vol. 30 - N. 2/3 - GIORNALE ITALIANO DI MEDICINA RIABILITATIVA - MR
44° CONGRESSO NAZIONALE SIMFER
Materiali e metodi. Il Progetto SIMFER Specializzandi 2016 è
uno studio nazionale multicentrico, che si svolgerà nel periodo
Aprile – Luglio 2016 e coinvolgerà come parte attiva i medici in
formazione specialistica in MFR, coordinati dal Consiglio della Sezione SIMFER Specializzandi. Lo studio includerà tutti i pazienti
afferenti presso gli ambulatori delle Scuole di Specializzazione in
MFR. Outcome primario dello studio è la stratificazione della
disabilità in termini ICF, esaminando le patologie primarie che
hanno condotto i pazienti inclusi presso i vari ambulatori fisiatrici
a livello nazionale. Le Scuole di Specializzazione che aderiranno al
progetto verranno randomizzate in due gruppi. Un gruppo riceverà l’ICF Rehabilitation Set con le descrizioni delle categorie in esso
contenute nella versione originale in Italiano e all’altro gruppo
l’ICF Rehabilitation Set con le descrizioni delle categorie semplici
ed intuitive prodotte dal processo di Consensus. Outcome secondari dello studio sono: il grado di difficoltà riscontrato, valutato
con una Numeric Rating Scale (NRS) (con valori che vanno da 0,
nessuna difficoltà, a 10, massima difficoltà) e il tempo impiegato
(in sec) per la valutazione dei pazienti afferenti agli ambulatori
secondo l’ICF Rehabilitation Set da parte dei medici in formazione specialistica in MFR. Sono previsti inoltre: un confronto
tra i valori riportati dopo somministrazione delle schede con ICF
Rehabilitation Set nella sua forma originale e quelle con la sua
versione con le SID; una valutazione delle differenze tra il grado di
difficoltà e il tempo di somministrazione medio tra la media delle
prime 5 schede e la media delle ultime 5 schede riscontrato dagli
Specializzandi in ogni Scuola; un questionario autovalutativo sulla
conoscenza e l’utilizzo dell’ICF prima di questo progetto.
Risultati. I risultati saranno presentati in sede congressuale.
Conclusioni. Il Progetto SIMFER Specializzandi 2016 si propone
di fornire una panoramica nazionale delle patologie di cui maggiormente soffrono i pazienti afferenti agli ambulatori fisiatrici italiani, focalizzando l’attenzione sull’utilizzo dell’ICF e in particolare dell’ICF Rehabilitation Set da parte dei medici in formazione
specialistica in MFR.
Bibliografia
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Cieza A, Oberhauser C, Bickenbach J, Chatterji S, Stucki G. Towards a minimal generic set of domains of functioning and health. BMC Public Health.
2014 Mar 3;14:218.
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Health (ICF) Rehabilitation Set: A Minimal Generic Set of Domains for Rehabilitation as a Health Strategy. Arch Phys Med Rehabil. 2016 Jan 28.
060
LIDOCAINA CEROTTO 5% NELLA SPALLA
DOLOROSA DEL NUOTATORE
Raffaella Frascella1
Medicina dello Sport, Asl, Taranto, Italia1
Introduzione. Il nuoto è una disciplina molto dispendiosa dal
punto di vista fisico e comporta un enorme stress per la muscolatura della spalla e dell’articolazione gleno-omerale. Dato che il
90% della fase propulsiva del nuoto è a carico degli arti superiori,
è facile incorrere in disturbi a carico della spalla, la quale è notoriamente l’articolazione più mobile del nostro corpo e allo stesso
tempo la più instabile. In generale possiamo dire che i nuotatori
professionisti presentano una lassità capsulo-legamentosa dell’articolazione gleno-omerale ( nel 67% dei casi) e questo comporta,
qualora venga a mancare un perfetto equlibrio tra i tiranti muscolari, che si generi un quadro di instabilità dell’articolazione. Questo quadro ed il dolore che ne consegue vengono definiti come
“spalla del nuotatore” e costituisce la più frequente problematica
tra i nuotatori ed i pallanuotisti professionisti. In questi casi, prima si diagnostica la problematica, prima si possono intraprendere
programmi di riabilitazione che però non possono essere avviati in
presenza di sintomatologia dolorosa. Lidocaina cerotto 5% (LC5,
Versatis®) è un farmaco analgesico topico che viene applicato sulla
zona dolente e si caratterizza per un lento e costante rilascio di lidocaina. Attualmente il farmaco è indicato per il trattamento della
nevralgia post-erpetica, ma molti sono gli studi e le pubblicazioni internazionali che ne comprovano l’efficacia in numerose altre
situazioni di dolore localizzato superficiale. Scopo della presente
osservazione è verificare se un trattamento topico condotto con
LC5 possa agevolare un veloce remissione sintomatologica e conseguentemente un veloce inizio del processo riabilitativo
Materiali e metodi. Abbiamo condotto una valutazione retrospettiva su 43 atleti di due piscine di Taranto nel periodo gennaio
– dicembre 2015, costituita da agonisti pallanuotisti e nuotatori
che presentavano dolore alla spalla al movimento con intensità del
dolore NRS≥ 4 e impotenza funzionale. Gli atleti sono stati trattati
con 1-3 cerotti di lidocaina applicati sull’area dolente per 12 ore al
giorno, con un periodo di osservazione di 30 giorni.
Risultati. Tutti gli atleti sono stati inizialmente trattati con tre
cerotti al giorno per 12 ore di applicazione die. Il dosaggio è stato
poi ridotto dopo 10 giorni a due cerotti e dopo altri dieci giorni a
un cerotto al giorno. Nei primi tre-quattro giorni si è mantenuta
la somministrazione dei farmaci antinfiammatori già in uso per
poi passare al solo trattamento con LC5. La casistica era costituita
da 41 maschi e 2 femmine con età media paria a 21,5 anni (min
18, max 27). La diagnosi più comune era “Dolore alla spalla con
impotenza funzionale” (n 32; 74,4%) seguita dalla “Lesione della
cuffia dei rotatori” (n 8; 18,6%) e un caso (2,3%) di Impingement,
di infiammazione del capo lungo del bicipite e di edema sovraspinoso. La spalla interessata era la destra nel 88,4 % dei casi. Dei
43 atleti osservati, 36 hanno completato il trattamento con LC5 e
sono stati quindi considerati nella valutazione di efficacia. Prima
di iniziare il trattamento, il dolore era già mediamente presente da
14 giorni (min 5, max 16) con una intensità media (scala NSR)
pari a 6,13 (min 4, max 7). L’intensità del dolore diminuiva a 3,7
(min 2, max 4) dopo 10 giorni ed ulteriormente a 1,8 (min 0 max
3) al termine della terapia (p<0,001). Anche l’estensione dell’area dolente si riduceva da 345,9 cm2 (min 240, max 400) prima
del trattamento, a 158,8 (120-225) al primo controllo e a 37,4
(0-70) dopo 30 giorni (p<0,001). La funzionalità articolare, che
era all’inizio ridotta nell’83,7% e scarsa nel 16,3% dei casi, migliorava nel 61,1% dei casi già in decima giornata. Sette pazienti
hanno manifestato all’inizio del trattamento con LC5 lievi effetti
collaterali locali (prurito e/o rossore nella zona di applicazione) e
di conseguenza è stata cautelativamente interrotta la terapia, con
immediata risoluzione degli stessi.
Conclusioni. I risultati di questa osservazione consentono di affermare che Licocaina cerotto 5% è efficace nel trattamento del
dolore della spalla del nuotore; si è infatti osservata una rapida
e marcata riduzione della intensità del dolore al movimento ed
un netto miglioramento della funzionalità dell’articolazione nella
quasi totalità degli atleti, i quali riferivano anche un netto recupero
del benessere al termine del periodo di osservazione.
Bibliografia
1.
2.
3.
S.A. Heinlein, A.J. Cosgarea. Biomechanical Considerations in the Competitive Swimmer’s Shoulder. A multidisciplinary Approach. Nov 2010. 2:519-525.
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localized neuropathic pain: a reappraisal of the clinical evidence. Journal of
Pain Research 2016:9 67-79
G. Mariot. Lidocaina cerotto 5% nel trattamento delle entesiti da degenerazione articolare. Fighting Pain 2016; 3 (2): 5-11.
Vol. 30 - N. 2/3 - GIORNALE ITALIANO DI MEDICINA RIABILITATIVA - MR
75
44° CONGRESSO NAZIONALE SIMFER
061
CUSTOMER SATISFACTION E QUALITÀ IN
RIABILITAZIONE
Michele Cannone1, Giuseppe Pio Pompilio2, Giovanna
Troiano2, Giacomo Francesco Forte2
Fondazioni Centri di Riabilitazione Padre Pio - Onlus, Presidio di Riabilitazione
Extraospedaliero a ciclo continuativo ‘Gli Angeli di Padre Pio’, San Giovanni
Rotondo, Italia1
Fondazioni Centri di Riabilitazione Padre Pio - Onlus, Presidio di Riabilitazione
Extraospedaliero a ciclo continuativo “Gli Angeli di Padre Pio”, San Giovanni
Rotondo, Italia2
Introduzione. Ogni organizzazione dovrebbe ascoltare i propri
utenti, numerosi studi dimostrano che il successo dipende dall’abilità di cambiare e adattarsi ai bisogni. La customer satisfaction è uno
strumento di sviluppo strategico in grado di assicurare una presenza
competitiva sul mercato. L’utenza soddisfatta rappresenta una milestone per lo sviluppo di un sistema di gestione della qualità efficiente. L’obiettivo è stato quello di indagare il grado di soddisfazione
dell’utenza di un presidio di riabilitazione extraospedaliero a ciclo
continuativo attraverso un questionario costruito ad hoc, validato e
somministrato a pazienti o a caregiver in caso di paziente non collaborante o di minore, in modo da favorire le decisioni strategiche per
il miglioramento del servizio stesso.
Materiali e metodi. Il questionario è stato elaborato e validato attraverso dei focus group composti da utenti e pazienti, che hanno
portato alla raccolta delle criticità più frequentemente registrate nella vita del servizio. Il questionario prevede 45 item per i quali è possibile esprimere il proprio gradimento attraverso una scala likert a 4
punti: eccellente (=4), buono (=3), sufficiente (=2) e scarso (=1). Per
rendere le risposte fruibili a tutti per ogni punto della likert è stata
associata una emoticon che ne rappresenta il giudizio espresso. Gli
item intendono intercettare il gradimento dell’utenza per le seguenti categorie: ambienti, accoglienza, ristorazione, personale medico,
riabilitativo, infermieristico e oss. Il questionario prevede un item a
risposta aperta sul motivo del ricovero presso il servizio ed un ultimo
item su eventuali giudizi e consigli non espressamente citati nei 45
precedenti. I criteri di esclusione dello studio sono stati: pazienti con
ricovero inferiore a 25 giorni o caregiver presenti solo saltuariamente
durante l’arco del ricovero. Il questionario è stato distribuito da un
assistente sociale al 25simo giorno di ricovero, mentre la raccolta è
stata effettuata in busta chiusa in maniera anonima. Nessun supporto che potesse influenzare il giudizio dell’utenza è stato fornito. Per
l’analisi statistica ci siamo serviti dell’ausilio di Microsoft Excel ed
SPSS. Da gennaio a dicembre 2015 sono stati somministrati 115
questionari agli utenti ricoverati. L’analisi dei risultati così ottenuti
rappresenta un utile strumento strategico e di decision making per
l’Ufficio Qualità del servizio.
Risultati. L’analisi dei questionari ha evidenziato i punti di forza e di
debolezza del servizio. L’utenza è molto soddisfatta dei professionisti della riabilitazione dell’unità tecnologica: educazione e gentilezza
(media=3,68), disponibilità all’ascolto (media=3,66), qualità delle
prestazioni erogate (media=3,54). È molto elevato anche il grado
di soddisfazione per i professionisti della riabilitazione tradizionale:
educazione e gentilezza (media=3,64), disponibilità all’ascolto (media=3,61), qualità percepita delle prestazioni erogate (media=3,60).
Anche il personale infermieristico registra ottimi livelli di soddisfazione da parte dell’utenza: educazione e gentilezza (media=3,45),
disponibilità all’ascolto (media=3,40), qualità percepita delle prestazioni erogate (media=3,42). Il servizio di ristorazione registra un
livello di soddisfazione sotto la sufficienza: quantità (media=2,69) e
qualità (media=2,39) dei pasti; cottura dei pasti (media=2,54), temperatura delle portate (media=2,53), varietà del cibo (media=2,40).
Il giudizio complessivo sul servizio ristorazione ha ottenuto un punteggio tra sufficiente e buono (media=2,53) con la seguente distribu76
zione del gradimento: scarso (19,44%), sufficiente (32,41%), buono (35,19%), eccellente (12,96%). Abbiamo inoltre confrontato il
grado di soddisfazione durante i differenti mesi dell’anno registrano
una differenza significativa del resto dell’anno rispetto ai mesi estivi,
probabilmente dovuto al turn over maggiore da parte del personale
sanitario.
Conclusioni. Il feedback raccolto è stato molto importante poiché
ci ha aiutato a migliorare gli ambiti più critici come quello della
ristorazione. Inoltre abbiamo notato che il questionario ha incoraggiato maggiore professionalità nei vari team, rendendo ciascuno più
responsabile verso le proprie prestazioni, spingendo tutti a migliorare la propria performance. Tali aspetti saranno futuro oggetto di
studio.
Bibliografia
1.
2.
3.
Greeneich D. The link between new and return business and quality of care:
patient satisfaction. ANS Adv Nurs Sci 1993;16(1):62–72.
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outcomes, and patient satisfaction. J Health Adm Educ 1994;12:29–38.
Crow R, Gage H, Hampson S, Hart J, Kimber A, Storey L, et al.The measurement of satisfaction with healthcare: implications for practice from a systematic
review of the literature. Health Technol Assess2003;6(32)
062
IDENTIFICAZIONE E PRESA IN CARICO DEL
PAZIENTE CON FRATTURA DA FRAGILITÁ:
ESPERIENZA E RISULTATI DI UN PDTA(R)
Alberto Piazza1
Reparto di Riabilitazione, Bressanone, Bressanone, Italia1
Introduzione. Presentazione dei primi risultati (2015 e primi 6 mesi
2016) di un PDTAR nei pz con esiti recenti frattura di femore e/o vertebrale dall´ospedale al territorio. Scopi o principali:
individuazione del pz con frattura da fragilitá (dimissione con diagnosi
di Osteoporosi severa o non-severa);
diagnosi differenziale e stratificazione del rischio;
terapia farmacologica e non farmacologica (corsetti, fisioterapia, ausilii)
secondo linee guida (SIOMMMS e SIMFER sull´osteoporosi);
garantire aderenza alla terapia a lungo termine tramite un collegamento
ospedale-territorio con coinvolgimento del medico di medicina generale per il follow-up.
Materiali e metodi. Descrizione di 2 PDTAR:
• per i pz con frattura di femore provenienti dal reparto per acuti
e ricoverati presso il nostro reparto di riabilitazione in codice 56;
• per i pz con frattura vertebrale visti presso l´ambulatorio per traumatologico che non vengono ricoverati.
Entrambi i sotto-gruppi di pz vengono, dopo la fase acuta, seguiti presso
l´ambulatorio fisiatrico dell´Osteoporosi severa.
Risultati. Identificato il rischio e la frattura da fragilitá in tutti i pz ricoverati nel nostro reparto di riabilitazione per esiti frattura di femore nel
2015. Per quanto riguarda i pz seguiti con diagnosi di O. severa presso
il nostro ambulatorio “dedicato”, 100% di aderenza e solo 2 ri-fratture
dopo 1 anno di follow-up.
Conclusioni. Importanza dell´approccio e del team multidisciplinare
nella gestione del pz con frattura. In tutti i pz dimessi dal reparto di riabilitazione é stata effettuata una diagnosi differenziale con stratificazione
del rischio, impostata terapia secondo le lInee Guida, garantita aderenza a lungo termine tramite l´ambulatorio fisiatrico dell´Osteoporosi
severa. Ottima l´aderenza (compliance) anche per i pz provenienti
dall´ambulatorio per acuti con prevalenza di fratture vertebrali. Nonostante le difficoltá nell´implementazione del nostro PDTA(R), i risultati
sin´ora raccolti sono veramente incoraggianti: la quasi totalitá dei pz con
esiti di frattura femore, ricoverati nel nostro reparto per la riabilitzione post-acuta, non aveva diagnosi di frattura da fragilitá all´ingresso e
alla dimissione tutti erano stati indagati (con stratificazione del rischio
fratturativo). In tutte le lettere di dimissione é stata specificata, quando
Vol. 30 - N. 2/3 - GIORNALE ITALIANO DI MEDICINA RIABILITATIVA - MR
44° CONGRESSO NAZIONALE SIMFER
presente, la diagnosi di “ frattura da fragilitá”, impostata terapia secondo
le linee guida e dato un appuntamento dopo 1 mese presso il nostro ambulatorio per l´osteoporosi severa. Ottima l´aderenza terapeutica anche
per i pz provenienti dall´ambulatorio traumatologico e seguiti presso
il nostro ambulatorio pe l´O severa. Fondamentale per i risultati raggiunti é stato l´approccio multidisciplinare, che deve essere perfezionato
ed incrementato, e importantissima la figura del “coordinatore” per la
gestione dell´ambulatorio per l´O severa: la presenza di un coordinatore“ permette un collegamento efficace fra ospedale-territorio, con coinvolgimento dell’MMG per il follow-up e favorisce la compliance del pz
stesso. Dal punto di vista riabilitativo, é risultata pienamente soddisfatta
la „Presa in carico globale “ del pz con O severa, grazie alla possibilitá nel
nostro ambulatorio dedicato, di prescrivere, quando necessario, terapia
del dolore, ortesi (per es. corsetti sec linee guida) ed ausili (per es per il
cammino) e la fisioterapia in particolare per il controllo della sintomatologia dolorosa e la prevenzione delle ri-cadute e delle ri-fratture. Le O
non severe, sono state seguite, dopo la nostra valutazione, direttamente
dal MMG nel territorio.
Bibliografia
1.
2.
3.
Mitchell P. et al 2013;
Ganda K. et al.; 2013
Degli Esposti L. et al. 2012
063
TAPENTADOLO PR IN PAZIENTI CON
DOLORE PRE E POST INTERVENTO DI
ALLUCE VALGO
Alessio Acerra1, Diego Di Marcantonio2, Anellina Camera3
stati effettuati 2 giorni prima dell’intervento, la mattina e la sera
dell’intervento e dopo 5 giorni, registrando l’intensità del dolore
(scala numerica 0-11), qualità del sonno (scala a 4 punti), mobilità e
benessere fisico (scala a 3 punti). Infine è stata registrata l’eventuale
comparsa di eventi avversi.
Risultati. Sono stati ammessi 45 pazienti (16 M e 29 F), di età compresa tra i 55 e i 65 anni, in attesa d’intervento per alluce valgo (40
casi), per recidiva di alluce valgo (2 casi), per alluce rigido (2 casi) e
per correzione di alluce valgo (1 caso). Al basale, l’intensità del dolore era compresa fra 5 e 8, il sonno disturbato da risvegli frequenti
in 23 casi, mobilità e benessere fisico risultavano alterati in tutti i
soggetti. Tapentadolo PR ha determinato un miglioramento dell’intensità del dolore sia nella fase pre che post intervento, passando da
un valore medio basale di 6.8 a uno medio finale di 2.3 (p<0.01). A
fine studio, nessun soggetto riferiva disturbi del sonno, la mobilità
era migliorata nel 100% dei soggetti e il benessere fisico nel 98%
dei casi. Solo 9 pazienti hanno riferito nausea al basale, mentre non
sono stati evidenziati eventi avversi nelle visite successive e tutti hanno completato lo studio.
Conclusioni. Tapentadolo PR è in grado di ridurre in modo statisticamente significativo il dolore da alluce valgo sia in fase pre che post
intervento, consentendo continuità di trattamento, una più rapida
ripresa funzionale e un miglioramento della qualità di vita.
Bibliografia
1.
2.
3.
Canonico PL et Al. Tapentadolo: l’innovazione farmacologica per il dolore.
Minerva Medica 2014; 105(suppl. al n.6): 1-31.
Coluzzi F e Fornasari D. Dall’acuto al cronico: Tapentadolo nelle fasi evolutive
della patologia dolore. Fighting Pain 2016; 3(1): 1-7.
Afilalo M e Morlion B. Efficacy of tapentadol ER for managing moderate to
severe chronic pain. Pain Physician 16: 27-40, 2013.
Anestesia e Rianimazione, Ospedale di Tarquinia, Tarquinia, Italia1
Ortopedia, Ospedale di Tarquinia, Tarquinia, Italia (2)
Medico di Pronto soccorso, Ospedale di Tarquina, Tarquinia, Italia3
Introduzione. L’alluce valgo è una deformità caratterizzata dalla deviazione in valgo dell’articolazione metatarso-falangea del 1° dito del
piede, con angolo superiore a 8°. Il sintomo principale è il dolore,
presente anche a riposo, che affligge i pazienti sia durante la progressione della deformazione che dopo l’intervento. Le Linee Guida
SIAARTI 2010 riconoscono l’importanza di un adeguato trattamento del dolore post-operatorio perché ciò consente di ridurre le
complicanze, il periodo di degenza e i costi, oltre ad aumentare il
comfort del paziente. La correzione dell’alluce valgo avviene attraverso un’osteotomia dell’osso metatarsale e della falange prossimale
secondo diverse tecniche, in anestesia loco-regionale. Scopo del presente studio è valutare efficacia analgesica e tollerabilità di tapentadolo PR in pazienti con dolore cronico secondario alluce valgo
e per questo sottoposti a intervento chirurgico. Tapentadolo è un
analgesico che ha dimostrato buona efficacia in diverse condizioni di pertinenza ortopedica, sia durante il periodo di attesa prima
dell’intervento sia in fase riabilitativa dopo la chirurgia, oltre che nei
pazienti con dolore articolare. Questo analgesico possiede un innovativo meccanismo d’azione duale e sinergico: agonista dei recettori
oppioidi µ (MOR) e inibitore della ricaptazione di noradrenalina
(NRI); ne consegue una notevole efficacia analgesica sia sul dolore
nocicettivo che misto e neuropatico (1-3).
Materiali e metodi. Lo studio ha coinvolto pazienti adulti di ambo
i sessi, in attesa d’intervento per alluce valgo. I pazienti hanno iniziato il trattamento con tapentadolo PR 50 mg BID 2 giorni prima
dell’intervento; il giorno dell’intervento, i pazienti hanno assunto al
mattino 1 compressa da 100 mg di tapentadolo PR. In fase operatoria è stato eseguito un blocco anestetico del piede (nervi safeno,
tibiale posteriore e peroneo profondo) con lidocaina+bupivacaina
10 ml + 10 ml associando sedazione mediante infusione di midazolam mg 1. La sera è stata somministrata 1 compressa da 100 mg
di tapentadolo PR. Il giorno dopo e i successivi cinque giorni, i pazienti hanno ricevuto tapentadolo PR 50 mg BID. I controlli sono
064
RUOLO FONDAMENTALE DELL’ATTIVITÀ
FISICA ADATTATA NEL MANTENIMENTO
DEI RISULTATI POST TRATTAMENTO CON
TRASFERIMENTO DI ENERGIA CAPACITIVO
RESISTIVO IN PAZIENTI AFFETTI DA
LOMBOSCIATALGIA
Gennaro Cassatella1, Elisenko Suti1, Raffaele Santoro1,
Antonella Cavallaro1, Luigi Pileo1, Natascia Di Iorio1,
Annalisa Frisardi1, Emanuele Francesco Russo1, Serena
Filoni1
Fondazione Centri di Riabilitazione Padre Pio Onlus, Gli Angeli di Padre Pio,
San Giovanni Rotondo, Italia1
Introduzione. Il Piano di indirizzo della riabilitazione 2011 ha valorizzato il ruolo dell’attività fisica sia nel promuovere il benessere
nelle persone sane, che in merito all’azione di contrasto nel determinismo della cronicità e disabilità, in questo rappresentando un
logico e fisiologico proseguimento della riabilitazione. L’AFA non è
attività riabilitativa, ma di mantenimento e prevenzione, finalizzata
a facilitare l’acquisizione di stili di vita utili a mantenere la migliore
autonomia e qualità di vita possibile1. Scopo dello studio è di dimostrare l’efficacia dell’Attività Fisica Adattata nel mantenere il benessere raggiunto nei pazienti affetti da lombosciatalgia, dopo un ciclo
di trattamento con trasferimento di energia capacitivo resistivo.
Materiali e metodi. Nel periodo tra settembre 2015 e marzo 2016
sono stati reclutati presso il Presidio di Riabilitazione “Gli “Angeli
di Padre Pio” di San Giovanni Rotondo 20 pazienti (14F e 6M)
di età compresa tra i 42 e 56 anni, tutti affetti da lombosciatalgia
in fase cronica. Sono stati utilizzati i seguenti criteri di esclusione:
gravi patologie cardiache, neoplasie, pacemaker e gravidanza. Tutti i
pazienti eleggibili sono stati sottoposti a visita fisiatrica, valutazione
della postura verticale con pedana propriocettiva statica e dinamica
Vol. 30 - N. 2/3 - GIORNALE ITALIANO DI MEDICINA RIABILITATIVA - MR
77
44° CONGRESSO NAZIONALE SIMFER
e valutazione della postura in posizione assisa con pedana propriocettiva dinamica (Balance Trunk Health Fitness, TecnoBody) e scale
di valutazione: VAS ed Oswestry Scale. I pazienti sono stati suddivisi
in maniera randomizzata in due gruppi: A e B. Entrambi i gruppi
sono stati sottoposti a 8 sedute di trattamento con trasferimento di
energia capacitivo resistivo (Indiba HCR 801) eseguito con 5 sedute
consecutive e le restanti 3 somministrate a giorni alterni. Solo al
gruppo B, dopo le sedute di tecarterapia, è stato proposto un percorso di attività fisica adattata della durata di sei mesi con tre sedute
settimanali2. Le valutazioni sono state eseguite al momento dell’arruolamento (T0), alla fine delle sedute di tecarterapia (T1), dopo 6
mesi (T2).
Risultati/Conclusioni. Lo studio è tuttora in corso, ma i primi dati
emersi ci permettono di trarre due considerazioni preliminari: il trattamento con trasferimento di energia capacitivo resistivo, consente
nell’immediato una buona riduzione del dolore nelle lombalgie; un
programma di attività fisica adattata post trattamento determina il
completo recupero funzionale riducendo notevolmente il rischio di
recidive nel dolore lombare.
Bibliografia
1.
Presidenza del Consiglio dei Ministri “Piano d’indirizzo per la riabilitazione”
http://www.salute.gov.it/ imgs/C_17_pubblicazioni_1546_allegato.pdf 10
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Ye C, Ren J, Zhang J, Wang C, Liu Z, Li F, Sun T “ Comparison of lumbar
spine stabilization exercise versus general exercise in young male patients with
lumbar disc herniation after 1 year of follow-up” . Int J Clin Exp Med. 2015
Jun 15
Rani B, Mohanty PP, Pattnaik M “Effect of thoracic mobilization on respiratory parameters in chronic non-specific low back pain: A randomized controlled
trial” J Back Musculoskelet Rehabil. 2016 Feb 19
2.
3.
065
ADEGUATEZZA DELL’AUSILIO E QUALITÀ
DELLA VITA NEI PAZIENTI IN CARROZZINA
Daniela Armillotta1, Venanzio Gorgoglione1, Leonardo
Volpe2, Serena Filoni1
Fondazione Centri di Riabilitazione Padre Pio Onlus, Gli Angeli di Padre Pio,
San Giovanni Rotondo, Italia1
Corpora Centro Ortopedico, Corpora Centro Ortopedico, Gricignano di Aversa,
Italia2
Introduzione. La carrozzina è un ausilio determinante per migliorare l’autonomia del paziente e, di conseguenza, la sua qualità di vita.
Si stima che nel mondo circa 70 milioni di persone abbiano necessità di utilizzare una carrozzina. Gli obiettivi dello studio in corso
sono di valutare quanto l’adeguatezza di un ausilio possa migliorare
la qualità della vita modificando fattori che riducono sia il dolore
che la fatica nell’autospinta e migliorano l’autonomia nei trasferimenti posturali e nelle attività di vita quotidiana.
Materiali e metodi. I criteri di inclusione sono: età compresa tra
12 e 50 anni; possesso di una carrozzina da almeno 6 mesi. I criteri
di esclusione sono: moderata e severa disabilità intellettiva; completa dipendenza nei trasferimenti e nelle ADL. I pazienti eleggibili
sono stati sottoposti alle seguenti valutazioni: valutazione clinica
posturale sul piano sagittale in posizione assisa; valutazione del dolore mediante VAS, NRS , Short-form McGill Pain Questionnaire
(SF-MPQ); valutazione della fatica mediante FFS; valutazione della
funzionalità in carrozzina mediante FEW; valutazione della qualità
della vita mediante Nottingham Health Profile; valutazione della
soddisfazione dell’ausilio mediante scala Quest. Tutti i pazienti eleggibili sono stati valutati al momento dell’inclusione (T0), dopo 7 gg
dalla modifica dell’ausilio (T1), dopo 6 settimane (T2). Le modifiche della carrozzina per migliorare la postura della persona sul piano
sagittale comprendono modifiche dell’assetto, dell’altezza anteriore
e posteriore, del cuscino e dello schienale. In nessun caso è stata
totalmente sostituita la carrozzina in possesso del paziente.
78
Risultati. Attualmente sono risultati eleggibili 20 pazienti che hanno completato le fasi T0, T1, T2. I risultati preliminari sono i seguenti: il dolore è diminuito al T1 e ancora di più al T2; la fatica
muscolare è diminuita al T1 e al T2; le attività funzionali in carrozzina sono migliorate al T1 e al T2; la qualità della vita è migliorata al
T2; la soddisfazione dell’ausilio è migliorata al T1 e T2.
Conclusioni. Dai risultati preliminari si evince che una carrozzina
adeguata migliora la qualità della vita del paziente in carrozzina; l’adeguatezza dell’ausilio comporta riduzione del dolore e della fatica
nell’autospinta, miglioramento dell’autonomia nei trasferimenti e
nelle attività di vita quotidiana. Le modifiche apportate all’ausilio
sono apprezzate dal paziente con conseguente aumento del grado di
soddisfazione dell’ausilio.
Bibliografia
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Chun-Ting Li, Chih-Hsien Chen, Yen-Nien Chen, Chih-Han Chang, KuenHorng Tsai. Biomechanical evaluation of a novel wheelchair backrest for elderly
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(FEW) instrument. Disabil Rehabil. 2002 Jan 10-Feb 15;24(1-3):38-46
066
LA MASSA E LA PERFOMANCE MUSCOLARE
DELLE DONNE IN POST-MENOPAUSA
SONO EFFICACEMENTE INFLUENZATE
DALL’IPOVITAMINOSI D E/O DALL’OBESITÀ?
STUDIO RETROSPETTIVO CASO-CONTROLLO
Alessandro de Sire1, Dario Calafiore1, Antimo Moretti1,
Emanuela Covella1, Francesca Gimigliano2, Giovanni
Iolascon1, Raffaele Gimigliano1
Dipartimento di Specialità Medico-Chirurgiche e Odontoiatriche, Seconda Università degli Studi di Napoli, Napoli, Italia1
Dipartimento di Salute Mentale e Fisica e Medicina Preventiva, Seconda Università degli Studi di Napoli, Napoli, Italia2
Introduzione. L’associazione tra bassi livelli di 25-idrossi-vitamina D3 [25(OH)D3] e impairment della performance muscolare è
stata ampiamente discussa in letteratura (1), nonostante ciò non
vi è ancora un accordo unanime sul ruolo della vitamina D nella
funzione muscolo-scheletrica. Diversi studi hanno mostrato che
l’obesità può influenzare negativamente il tessuto muscolare e nei
casi in cui si associ a sarcopenia può portare a grave disabilità (2).
È ancora oggetto di studio l’associazione tra obesità e ipovitaminosi D attribuibile verosimilmente al ruolo che il tessuto adiposo può
avere nella correlazione inversa tra livelli sierici di 25(OH)D3 e
body mass index (BMI) nei oggetti obesi (3). Obiettivo del nostro
studio è valutare in una coorte di donne in post-menopausa l’influenza dell’ipovitaminosi D e dell’obesità sulla massa muscolare e
sulla performance fisica.
Materiali e metodi. Nel nostro studio retrospettivo caso-controllo abbiamo analizzato i dati di donne in post-menopausa con età
≥ 50 anni, afferenti al nostro Ambulatorio di Medicina Fisica e
Riabilitazione del Centro di Ricerche su Osteoporosi e Malattie
dell’Osso in un periodo di 24 mesi (Aprile 2014 - Marzo 2016).
Abbiamo raccolto dati su: età, BMI, età della menopausa, abitudini voluttuarie, livelli di esposizione solare, livelli di attività fisica,
comorbidità, valutate mediante la Cumulative Illness Rating Scale
(CIRS), livelli sierici di 25(OH)D3, calcio e PTH e calciuria. Abbiamo escluso pazienti con malattie muscolari acquisite o familiari, neoplasie, impairment cognitivi, dolore cronico o altre condizioni che possano influenzare la funzione muscolo-scheletrica.
Vol. 30 - N. 2/3 - GIORNALE ITALIANO DI MEDICINA RIABILITATIVA - MR
44° CONGRESSO NAZIONALE SIMFER
Abbiamo definito come ipovitaminosi D valori sierici di 25(OH)
D3 <30 ng/ml e abbiamo definito sovrappeso i soggetti con BMI
≥25 e < 30 kg/m2. Abbiamo suddiviso la popolazione in 4 gruppi:
(1) donne normopeso con ipovitaminosi D; (2) donne sovrappeso
con livelli sierici di 25(OH)D3 nella norma; (3) donne sovrappeso
con ipovitaminosi D; (4) donne normopeso con livelli sierici di
25(OH)D3 nella norma, considerato come gruppo di controllo.
Gli outcome del nostro studio sono stati: appendicular lean mass
(ALM), ALM-to-BMI ratio (ALM/BMI) e il Visceral Adipose Tissue (VAT) (parametri di composizione corporea valutati con esame total body Dual X-ray Absorptiometry, DXA, mediante Lunar
iDXA-GE Healthcare); Hand Grip Strength Test (HGS) e Knee
Extensor Strength Test (KES) per valutare la forza muscolare appendicolare; Short Physical Performance Battery (SPPB) e velocità
del cammino usuale in 4 m (4MGS, usual 4-meter gait speed) per
la valutazione della performance fisica. Abbiamo eseguito l’analisi
statistica con SPSS v.22.0 software (SPSS Inc.; Chicago, IL), confrontando i 3 gruppi di studio con il gruppo di controllo, calcolando gli odds ratio (OR) in termini di numero di donne con ALM/
BMI <0,512, HGS <16 kg, KES/body weight (KES/BW) <0,31,
SPPB ≤ 8 e 4MGS ≤ 0,8 m/s (cut-off come da letteratura).
Risultati. Abbiamo valutato 368 donne in post-menopausa, con
età media di 67,2 ± 7,7 anni, che sono poi state suddivise nei 4
gruppi: 95 normopeso con ipovitaminosi D; 90 sovrappeso con
livelli sierici di 25(OH)D3 nella norma; 96 sovrappeso con ipovitaminosi D; 87 normopeso con livelli sierici di 25(OH)D3 nella
norma. Dall’analisi dei risultati si evince che rispetto al gruppo di
controllo vi sia un rischio significativamente maggiore di avere un
rapporto ALM/BMI <0,512 solo nel gruppo di donne sovrappeso con ipovitaminosi D (OR 4,16, IC95% 1,84-9,41, p<0,001).
Invece, per quanto riguarda l’impairment della forza muscolare vi
è un rischio significativo di avere nel gruppo di donne sovrappeso
con ipovitaminosi D una HGS <16 kg (OR 6,56, IC95% 3,2813,12, p<0,001) e un KES/BW <0,31 (OR 2,74, IC95% 1,116,71, p=0,028); il rischio di avere un deficit di forza muscolare
risulta addirittura maggiore nelle donne normopeso con ipovitaminosi D sia alla HGS (OR 6,68, IC95% 3,40-13,15, p<0,001)
che al rapporto KES/BW <0,31 (OR 4,58, IC95% 1,61-13,05,
p=0,004). Inoltre vi è un maggior rischio di avere un valore di
SPPB <8 sia nelle donne sovrappeso con ipovitaminosi D (OR
5,58 IC95% 2,89-10,77, p<0,001) che in quelle normopeso con
ipovitaminosi D (OR 3,90, IC95% 2,08-7.28, p<0,001) rispetto
al gruppo di controllo; analogamente, sia le donne in sovrappeso con ipovitaminosi D (OR 5,14, IC95% 2,58-10,26, p<0,001)
che quelle in normopeso con ipovitaminosi D (OR 2,86, IC95%
1,53-5,36, p=0,001) hanno un maggior rischio di avere una ridotta 4MGS rispetto al gruppo di controllo.
Conclusioni. I nostri risultati mostrano che in una coorte di donne in post-menopausa la concomitanza di ipovitaminosi D e sovrappeso comporta un rischio significativo di avere un impairment
sia della massa che della funzione muscolare; inoltre, considerando
le condizioni singolarmente, i bassi livelli sierici di 25(OH)D3 si
associano ad un rischio significativo di avere sia un’alterazione della perfomance fisica sia una ridotta forza muscolare.
Bibliografia
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2.
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Iolascon G, de Sire A, Calafiore D, Moretti A, Gimigliano R, Gimigliano F.
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067
LA RIABILITAZIONE INFLUENZA LA QUALITÀ
DI VITA IN ADOLESCENTI AFFETTI DA
SCOLIOSI IDIOPATICA LIEVE-MODERATA?
STUDIO PROSPETTICO DI COORTE
Alessandro de Sire1, Immacolata Fatatis1, Antimo Moretti1,
Dario Calafiore1, Letizia Stefano1, Francesca Gimigliano2,
Giovanni Iolascon1, Raffaele Gimigliano1
Dipartimento di Specialità Medico-Chirurgiche e Odontoiatriche, Seconda Università degli Studi di Napoli, Napoli, Italia1
Dipartimento di Salute Mentale e Fisica e Medicina Preventiva, Seconda Università degli Studi di Napoli, Napoli, Italia2
Introduzione. La scoliosi idiopatica ha un’influenza negativa sulla
qualità di vita correlata alla salute (HRQoL, Health Related Quality of Life) degli adolescenti affetti, in particolare sull’autostima
e sull’immagine di sé. È ben nota in letteratura l’importanza del
trattamento fisioterapico della scoliosi idiopatica giovanile, in particolar modo nella forma lieve-moderata che non ha indicazioni
per l’intervento chirurgico (1). Poche evidenze hanno mostrato
un beneficio della riabilitazione sulla HRQoL di questi pazienti.
Diversi studi hanno testimoniato come il Scoliosis Research Society 22 Questionnaire (SRS-22) sia uno strumento affidabile per
valutare l’evoluzione della HRQoL in adolescenti affetti da scoliosi
(2), seppure vi sono dubbi sulla validità discriminativa tra grandi
e piccole curve scoliotiche mediante questo strumento (3). Lo scopo del nostro studio è valutare gli effetti dell’esercizio terapeutico
sulla qualità di vita in adolescenti con scoliosi idiopatica di grado
lieve-moderato.
Materiali e metodi. In questo studio prospettico abbiamo incluso
adolescenti (di età tra i 10 e i 19 anni) con diagnosi di scoliosi idiopatica lieve-moderata (11-30° Cobb); sono state escluse femmine
prima del menarca e adolescenti trattati con corsetti. La popolazione è stata divisa in due gruppi secondo l’angolo di Cobb: 11-20° e
21-30°. Tutti i partecipanti sono stati sottoposti ad esercizi fisioterapici specifici per scoliosi per un periodo di 1 anno. Abbiamo valutato la HRQoL mediante il SRS-22 e i suoi subitem (Function,
Pain, Self Image e Mental Health) al baseline (T0) e dopo 1 anno
di trattamento (T1).
Risultati. Dei 94 partecipanti (33 femmine e 61 maschi) con scoliosi idiopatica (34 dorsale, 50 dorso-lombare e 10 lombare), con
età media di 14,6 ± 2,1 anni e BMI medio di 21,5 ± 2,0 kg/m2,
48 presentavano un angolo di Cobb di 11-20° e 46 presentavano
un angolo di Cobb di 21-30°. Al T1 vi sono stati miglioramenti
statisticamente significativi dell’SRS-22 rispetto al baseline sia nel
gruppo di soggetti con scoliosi idiopatica di grado lieve (3,6 ± 0,6
vs 4,5 ± 0,2; p<0,001) sia in quelli con scoliosi di grado moderato
(3,3 ± 0,4 vs 4,4 ± 0,3; p<0,001). Dopo l’esercizio terapeutico vi
sono stati miglioramenti significativi (p<0,001) anche per tutti i
subitem della scala in entrambi i gruppi.
Conclusioni. Dall’analisi dei nostri risultati si evince che già dopo
un anno un adeguato trattamento riabilitativo può migliorare la
HRQoL di adolescenti con scoliosi idiopatica lieve e moderata.
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Vol. 30 - N. 2/3 - GIORNALE ITALIANO DI MEDICINA RIABILITATIVA - MR
79
44° CONGRESSO NAZIONALE SIMFER
068
VALUTAZIONE DEL DOLORE, DELLA
FUNZIONE MUSCOLARE E DELLA DISABILITÀ
DELL’ARTO SUPERIORE IN TERMINI DI ICF
IN DONNE IN POST-MENOPAUSA AFFETTE DA
RIZOARTROSI: CROSS-SECTIONAL STUDY
Marco Paoletta1, Antimo Moretti1, Maria Teresa
Giamattei1, Alessandro de Sire1, Francesca Gimigliano2,
Giovanni Iolascon1, Raffaele Gimigliano1
Dipartimento di Specialità Medico-Chirurgiche e Odontoiatriche, Seconda Università degli Studi di Napoli, Napoli, Italia1
Dipartimento di Salute Mentale e Fisica e Medicina Preventiva, Seconda Università degli Studi di Napoli, Napoli, Italia2
Introduzione. La rizoartrosi è un processo degenerativo dell’articolazione trapezio-metacarpale che compromette la funzione e la morfologia della mano. La sua prevalenza è del 15% nei soggetti sopra i
30 anni e sale al 25% nelle donne in post-menopausa [1]. Il quadro
clinico è caratterizzato da dolore, deformità, riduzione della forza
e limitazione nell’esecuzione delle comuni attività della vita quotidiana. Ad oggi non esiste uno strumento validato per descrivere
adeguatamente il grado di funzionamento della persona affetta da rizoartrosi. Un metodo che potrebbe essere utilizzato è l’International
Classification of Functioning, Disability, and Health (ICF), definito
nel 2001 dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS). L’ICF,
infatti, è uno strumento che si basa sul modello bio-psico-sociale
in grado di dare un linguaggio comune globalmente approvato per
descrivere il funzionamento umano, la disabilità e la salute [2]. Pertanto obiettivo del nostro studio è la valutazione del dolore, della
funzione muscolare dell’arto superiore e della qualità di vita secondo
le categorie ICF in una popolazione di donne in post-menopausa
affette da rizoartrosi.
Materiali e metodi. In questo studio cross-sectional sono state
incluse donne in post-menopausa di età ≥ 50 anni con rizoartrosi diagnosticata secondo le raccomandazioni dell’European League
Against Rheumatism (EULAR) e la classificazione di Eaton-Glickel
[3]. Gli outcome esaminati sono stati: il dolore, valutato mediante
il Brief Pain Inventory (BPI), per quantificare la severità e l’interferenza dello stesso sulle attività della vita quotidiana; la forza muscolare, misurata mediante l’Hand Grip Strength (HGS) utilizzando
il dinamometro di Jamar; la disabilità dell’arto superiore, valutata
con il questionario Quick-DASH (Disabilities of the Arm, Shoulder
and Hand). Abbiamo selezionato le categorie ICF incluse nei Comprehensive ICF Core Set per “Osteoarthritis” e per “Hand Conditions” caratterizzanti le aree comunemente alterate in pazienti con
rizoartrosi; 14 erano comuni ad entrambi i core set più la categoria
d230 (eseguire la routine quotidiana), presente solo nel core set delle
“Hand Conditions”. Abbiamo valutato le categorie ICF selezionate
nella nostra popolazione di donne individuando la presenza o meno
di una menomazione.
Risultati. Abbiamo arruolato 60 donne in post-menopausa di età
media 68,60 ± 8,69 anni con un BMI medio di 27,85 ± 5,14 Kg/
m2. I valori medi di forza muscolare sono risultati di 10,71 ± 5,53 kg
e 45 donne (75%) presentavano un impairment significativo della
forza muscolare (HGS <16kg). Lo score medio della BPI era 4,63 ±
1,95 per il “severity index” e 4,52 ± 2,58 per l’“interference index”.
Il valore medio della Quick Dash era 51,9 ± 24,04. Le 15 categorie utilizzate sono state: 5 per le funzioni corporee (b134, funzione
del sonno; b152, funzioni emozionali; b280, sensazione di dolore;
b715, funzioni della stabilità dell’articolazione; b730, funzioni della
forza muscolare); 1 per le strutture corporee (s73021, articolazione della mano e delle dita); 10 per le attività e la partecipazione
(d230, eseguire la routine quotidiana; d430, sollevare e trasportare
oggetti; d440, uso fine della mano; d510, lavarsi; d5, self care; d6,
80
vita domestica; d640, fare i lavori a casa; d7, interazioni e relazioni
interpersonali; d859, lavoro e impiego, altro specificato e non specificato; d920, ricreazione e tempo libero). In più del 90% dei casi i
pazienti presentavano una menomazione (con qualificatore ≥1) nelle
seguenti categorie: b280 (96,67%), b715 (100%), s73021 (100%),
d230 (96,67%), d430 (98,33%), d440 (98,33%), d6 (91,66%),
d640 (95%), d859 (95%). In particolare, i pazienti presentavano un
qualificatore ≥3 in oltre il 50% dei casi nelle seguenti categorie ICF:
b134 (50%), b152 (60%), d430 (69,33%), d440 (69,33%), d640
(69,33%), d859 (69,33%).
Conclusioni. L’analisi trasversale condotta nella nostra popolazione
di donne in post-menopausa affette da rizoartrosi ha evidenziato la
presenza di dolore lieve-moderato, di una riduzione della forza di
prensione manuale e della presenza di disabilità dell’arto superiore. Inoltre, abbiamo mostrato come le categorie ICF b280, b715,
s73021, d230, d430, d440, d6, d640, d859, essendo alterate in più
del 90% della nostra coorte, possano adeguatamente caratterizzare
la persona con rizoartrosi.
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069
IL CALCIFEDIOLO INFLUENZA
EFFICACEMENTE I LIVELLI SIERICI DI
25-IDROSSI-VITAMINA D3, LA FORZA
MUSCOLARE E LA PERFOMANCE FISICA
IN DONNE IN POST-MENOPAUSA? STUDIO
PROSPETTICO DI COORTE
Dario Calafiore1, Alessandro de Sire1, Antimo Moretti1,
Maria Francesca Siani1, Francesca Gimigliano2, Giovanni
Iolascon1, Raffaele Gimigliano1
Dipartimento di Specialità Medico-Chirurgiche e Odontoiatriche, Seconda Università degli Studi di Napoli, Napoli, Italia1
Dipartimento di Salute Mentale e Fisica e Medicina Preventiva, Seconda Università degli Studi di Napoli, Napoli, Italia2
Introduzione. In letteratura sono noti gli effetti extra scheletrici
della vitamina D in particolare nel contrastare la riduzione della
performance muscolare correlata all’età. La vitamina D stimola la
proliferazione e la differenziazione delle cellule muscolari mediante
la trascrizione genica in mioblasti, inducendo la sintesi di proteine
muscolo-specifiche, come le proteine leganti la miosina e le proteine
leganti il calcio (1). Diversi studi hanno mostrato un’associazione
tra i livelli di 25-idrossi-vitamina D3 [25(OH)D3] e la performance muscolare, ipotizzato che una supplementazione di vitamina D
possa essere efficace in termini di aumento di funzione muscoloscheletrica in donne in post-menopausa (2), ma non vi è un accordo unanime sul ruolo e sulla formulazione in cui dovrebbe essere
utilizzata per avere degli effetti significativi (3). Pertanto, obiettivo
del nostro studio è stato valutare gli effetti del calcifediolo sui livelli
di 25(OH)D3, sulla forza muscolare e sulla performance fisica in
donne in post-menopausa.
Materiali e metodi. In questo studio prospettico abbiamo incluso
donne in post-menopausa di età ≥50 anni, afferenti al nostro ambulatorio di Medicina Fisica e Riabilitazione del Centro di Ricerche
su Osteoporosi e Malattie dell’Osso (C.R.O.M.O.), a cui è stato
prescritto calcifediolo 20 mcg 4 gocce/die. Sono stati valutati al baseline (T0) e dopo 6 mesi (T1): i livelli sierici di 25(OH)D3, la for-
Vol. 30 - N. 2/3 - GIORNALE ITALIANO DI MEDICINA RIABILITATIVA - MR
44° CONGRESSO NAZIONALE SIMFER
za muscolare appendicolare, valutata mediante Hand Grip Strength
Test (HGS) e Knee Extensor Strength Test (KES), e la performance
fisica, utilizzando la Short Physical Performance Battery (SPPB).
Risultati. Abbiamo valutato 103 donne in post-menopausa, con età
media di 71,19 ± 8,13 anni. Dopo 6 mesi di assunzione di calcifediolo, le pazienti trattate hanno mostrato miglioramenti statisticamente significativi rispetto ai valori al baseline in tutti gli outcome: 25(OH)D3 (31,74 ± 13,03 ng/ml vs 51,80 ± 19,85 ng/ml;
p<0,001), HGS (15,54 ± 6,67 kg vs 18,29 ± 3,85 kg; p = 0,014),
KES (14,49 ± 6,92 kg vs 17,05 ± 5,62 kg; p=0,050) e SPPB (8,41 ±
3,32 vs 9,70 ± 2,14; p=0,008).
Conclusioni. Nella nostra coorte di donne in post-menopausa, il
trattamento con calcifediolo ha mostrato un’efficacia non solo in
termini di aumento di livelli sierici di 25(OH)D3, ma anche di miglioramento della funzione muscolare.
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070
PERFORMANCE MOTORIA IN DONNE
IN POST-MENOPAUSA A DIFFERENTE
RISCHIO DI CADUTA: DATI PRELIMINARI
DEL PROGETTO GISMO “MASSA OSSEA,
FUNZIONE MUSCOLARE E CADUTE”
Ilaria Domenica Amico1, Alessandro de Sire1, Antimo
Moretti1, Iolanda Di Donato1, Letizia Stefano1, Francesca
Gimigliano2, Giovanni Iolascon1, Raffaele Gimigliano1
Dipartimento di Specialità Medico-Chirurgiche e Odontoiatriche, Seconda Università degli Studi di Napoli, Napoli, Italia1
Dipartimento di Salute Mentale e Fisica e Medicina Preventiva, Seconda Università degli Studi di Napoli, Napoli, Italia2
Introduzione. La riduzione della funzione muscolare è correlata all’invecchiamento, alla riduzione della densità minerale ossea e
all’aumento del rischio di caduta. Le cadute sono degli eventi molto
frequenti negli anziani, verificandosi in oltre un terzo degli over 65
anni, nel 42% di coloro che hanno un’età maggiore di 75 anni e fino
al 50% nei soggetti ultra-ottantacinquenni [1]. Il 10% delle cadute
può esitare in una manifestazione grave e in particolare l’evento più
rischioso è una frattura da fragilità; le cadute rappresentano per questo
un’importante problematica di sanità pubblica in termini di morbidità, mortalità e costi [2]. Tuttavia, pochi lavori scientifici hanno dimostrato la correlazione tra le numerose variabili che possono influenzare
il rischio di caduta, come l’equilibrio, la funzione muscolare e lo stile
di vita delle donne in post-menopausa. L’obiettivo del nostro studio è
valutare la differenza in termini di performance muscolare tra soggetti
a differente rischio di caduta.
Materiali e metodi. Abbiamo effettuato uno studio osservazionale
cross sectional su donne in post-menopausa con età ≥55 anni, afferenti al nostro Ambulatorio di Medicina Fisica e Riabilitazione del Centro di Ricerche su Osteoporosi e Malattie dell’Osso (C.R.O.M.O.),
consecutivamente arruolate tra Maggio e Dicembre 2015, escludendo
le donne con patologie neuromuscolari, impairment cognitivi, protesi
agli arti inferiori, storia di fratture o traumi negli ultimi 6 mesi. I dati
raccolti riguardano l’età della menopausa, i parametri antropometrici
(peso, altezza, BMI). Dopo una stratificazione mediante Fall Scree-
ning Test (FST), sono state suddivise in due gruppi: donne con lieve e
con moderato-alto rischio di caduta. Sono state quantificate le cadute
riferite dalle pazienti nell’ultimo anno. Abbiamo poi valutato la performance motoria mediante: il 5-Meter Walking Test (5-MWT), che
cronometrava la velocità impiegata dalle pazienti a camminare per 5
m su terreno pianeggiante, il cui cut off è ≤ 0,8 m/s; l’Unipedal Stance
Test (UST), svolto con gli occhi aperti, in cui si chiedeva alle pazienti
di mantenere l’equilibrio statico in posizione monopodalica il più a
lungo possibile fino ad una durata massima di 60 sec. Il test iniziava
una volta che il piede veniva sollevato da terra e si concludeva quando
lo stesso toccava nuovamente il pavimento oppure quando si utilizzava un supporto per mantenere l’equilibrio. Per definire il test patologico abbiamo considerato i cut-off per età secondo Springer et al. [3].
Risultati. Abbiamo valutato 100 donne con età media di 66,76 ±
7,61 anni e BMI medio di 67,58 ± 7,44. In seguito a stratificazione
del rischio di caduta mediante FST, la popolazione è stata suddivisa
in 2 gruppi: 61 donne (61%) a lieve rischio di caduta e 39 donne
(39%) a rischio moderato-alto. Nel primo gruppo la maggior parte
delle donne non era caduta nell’ultimo anno (83,61%) mentre nel
gruppo a rischio moderato-alto, il 38,46% non erano mai cadute, il
25,64% riferivano 1 caduta nell’ultimo anno, il 35,90% più di 2 cadute. Vi era una differenza statisticamente significativa al 5-MWT
(p<0,001) tra i due gruppi: per i pazienti a lieve rischio la velocità
media era di 1,07 ± 0,37 m/s e solo 12 di esse (19,67 %) avevano una
velocità ≤ 0,8 m/s; le donne a moderato-alto rischio di caduta avevano
una velocità media di 0,77 ± 0,298 m/s e 21 (53,85 %) presentavano
valori al di sotto del cut-off di riferimento. All’UST circa 79 pazienti
(79%) hanno riportato valori al di fuori del range fisiologico per età
con una percentuale più alta nel gruppo di donne a rischio moderatosevero (79,49%) rispetto a quelle a rischio lieve (73,77%), sebbene la
differenza non sia statisticamente significativa (p=0,108).
Conclusioni. I nostri dati mostrano che un rischio di caduta moderato-alto è associato ad una ridotta performance muscolare. Al contrario, la riduzione dell’equilibrio, valutata con l’UST non sembra essere
associata in modo significativo con un aumentato rischio di caduta.
In conclusione, l’approccio al paziente con riduzione della funzione
muscolare deve essere adeguato e tempestivo per poter definire un
progetto riabilitativo individuale al fine di ridurre il rischio di caduta
per la prevenzione di complicanze quali fratture da fragilità.
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071
STUDIO DI EFFICACIA DELL’IMPIEGO
IN PROGRAMMA FISIOTERAPICO DI
OSSICODONE/NALOXONE IN DUE
DIFFERENTI DOSAGGI IN PAZIENTI CON
LOMBALGIA CRONICA RIACUTIZZATA NON
DEFICITARIA
Stefano Gargano1
Fondazione Don Carlo Gnocchi Onlus, S. Maria Colli, Presidio Ausiliatrice, Torino, Italia1
Introduzione. Lo scopo dello studio è stato valutare l’efficacia della
terapia con Ossicodone/Naloxone in due differenti dosaggi (5/2.5
1 co x 2 die vs 10/5 1 co x 2 die) nel miglioramento degli obiettivi
prefissati nel progetto riabilitativo di pazienti affetti da lombalgia
degenerativa riacutizzata.
Vol. 30 - N. 2/3 - GIORNALE ITALIANO DI MEDICINA RIABILITATIVA - MR
81
44° CONGRESSO NAZIONALE SIMFER
Materiali e metodi. 51 pazienti (27 M , 24 F) (età 28<x<63) affetti da riacutizzazione di lombalgia non deficitaria con valori NRS,
ODI, RM significativi di una disabilità grave/severa. Selezionati
in 2 gruppi con medesimo programma fkt (10 sedute trattamento
individuale 1 h 3 vv settimana). Gruppo 1: 24 pz (11 F/ 13 M, età
media 42,95) hanno assunto per 3 settimane Ossicodone/Naloxone 5/2.5 1 co x 2 die durante lo svolgimento del programma fkt.
Gruppo 2: : 27pz (13 F/14 M, età media 42,61) hanno assunto
per 3 settimane Ossicodone/Naloxone 10/5 1 co x 2 die durante lo
svolgimento del programma fkt. Al T0, T1 dopo 2 settimane, T2
ai 30 gg sono stati valutati i punteggi NRS, ODI, Roland Morris.
I dati sono stati analizzati con LOCF (Last Observation Carried
Forward).
Risultati. Nel gruppo 2, in riferimento ai tre parametri analizzati, ODI, RM e NRS, i miglioramenti sono tutti statisticamente
significativi, sia T2 vs T0 che T1 vs T0. i punteggi sono risultati
migliori del gruppo 1 e il trend si è mantenuto costante anche nei
controlli successivi. Le differenze sui tre parametri analizzati non
sono comunque risultate significative.
Conclusioni. L’utilizzo della terapia con Ossicodone/Naloxone risulta efficace nel permettere il raggiungimento precoce ed il mantenimento del recupero funzionale della colonna in pazienti con
lombalgia degenerativa riacutizzata. Il confronto dei miglioramenti medi tra il gruppo 5mg e 10mg non è statisticamente significativo. La conclusione che si può trarre è che il dosaggio utilizzato a
seconda dell’intensità del dolore è sempre statisticamente significativo. La riduzione a T1 è però sensibilmente più alta nel Gruppo
2. Quindi, in assenza di drop out di rilievo, è possibile utilizzare
da subito il 10 x 2 anche per evitare la prosecuzione di terapia
concomitante con steroidi e FANS che espongono i pazienti a più
gravi effetti collaterali.
Bibliografia
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2.
3.
072
VALUTAZIONE DELLA SICUREZZA ED
EFFICACIA DI LIDOCAINA CEROTTO 5% NEL
TRATTAMENTO DEL DOLORE SUPERFICIALE
E LOCALIZZATO POST-INTERVENTO
CHIRURGICO
Marco Ceccarelli1
Ortopedia, Clinica Santa Zita, Lucca, Italia1
Introduzione. Il dolore post-operatorio, essenzialmente dovuto alla
lesione arrecata dalla procedura chirurgica, può essere definito da
diverse componenti:
• componente cutanea: in relazione con il traumatismo dell’incisione e liberazione di sostanze algogene locali;
• componente somatica profonda: secondaria a lesioni nervose
nelle varie strutture anatomiche interessate dall’intervento;
• componente viscerale: dovuta ai traumatismi chirurgici sui vi82
sceri e caratterizzata da un dolore localizzato a livello del sito
operatorio o a livello della lesione o in area di proiezione superficiale (dolore riferito).
Il dolore cutaneo, in quanto “superficiale e localizzato”, è ben
distinguibile da un dolore profondo o viscerale, spesso contemporaneamente presenti. I trattamenti farmacologici sistemici disponibili per il trattamento del dolore post-operatorio comprendono gli anticonvulsivanti, gli antidepressivi e gli oppioidi, ma la
comprovata efficacia di tali opzioni terapeutiche spesso si accompagna ad una scarsa tollerabilità che ne limita l’utilizzo, nonché
alla possibilità di interazioni farmacologiche, specie in pazienti
con comorbilità e conseguentemente politrattati. Per tale ragione
e conseguentemente alla componente localizzata e superficiale di
queste condizioni, ci è sembrato opportuno valutare retrospettivamente sulla nostra casistica un approccio farmacologico di tipo
topico condotto con Lidocaina cerotto 5% (LC5, Versatis®) la cui
efficacia e tollerabilità nel dolore superficiale e localizzato sono ben
documentate.
Materiali e metodi. Sono stati analizzati i dati di 30 pazienti, 15
maschi e 15 femmine con dolore localizzato successivo a post-intervento chirurgico di natura ortopedica, con intensità del dolore
medio giornaliero ≥4 (scala NSR) e trattati con LC5 per dolore
superficiale post-chirurgico. 24 ore dopo l’intervento veniva applicato LC5, una volta al giorno per non più di 12 ore nelle 24 ore, ai
margini della ferita chirurgica, avendo cura di applicarlo solo sulla
cute integra. Il trattamento veniva generalmente proseguito per 30
giorni o fino a scomparsa del dolore, con visite di controllo mediamente condotte dopo 15 e 30 giorni. Le variabili di efficacia, come
il dolore (Scala NRS), l’allodinia meccanica dinamica e l’estensione dell’area dolente, sono state analizzate mediante i test non
parametrici di Wilcoxon e di Friedman per dati non indipendenti.
Risultati. Dei 30 pazienti osservati, 13 sono stati trattati con LC5
in monoterapia, mentre in 17 casi è stata associato un trattamento
sistemico con FANS, paracetamolo o oppioidi deboli o forti. L’età
media è risultata di 64.5 anni, con un minimo di 22 e un massimo
di 87. 21 pazienti (70%) hanno prematuramente interrotto il trattamento per scomparsa del dolore, mentre 9 pazienti (30%) hanno
continuato il trattamento fino al 30° giorno. Considerando l’intera
casistica, l’intensità del dolore (NRS) passava da 6,4±1,8 a 1,8±1,8
a 15 giorni e a 0,3±0,7 a 30 giorni (p<0,01). Allo stesso modo
l’allodinia meccanica dinamica si riduceva da 6,7± 1,3 a 2,5±1,6 al
primo controllo e a 1,0±1,1 dopo 30 giorni (p<0,01). Anche l’area
di massimo dolore si riduceva da 264,0 cm2±186,2 a 146,4±146,9
a 15 giorni per ridursi ulteriormente a 15,9±39,3 al termine del
trattamento (p<0,01). La qualità del sonno migliorava nel corso
del trattamento in maniera statisticamente significativa (p<0,01).
È interessante notare che considerando i 13 pazienti trattati con
la sola terapia topica si è assistito ad un andamento simile rispetto alla casistica totale. Infatti l’intensità del dolore basale (NRS
5,9±1,6) si riduceva a 1,7±1,8 dopo 15 giorni ed a 0,3±0,5 dopo
30 giorni, con analogo comportamento anche per allodinia ed
estensione del dolore.
Conclusioni. La nostra esperienza suggerisce la buona efficacia
della terapia con Lidocaina cerotto 5% nel trattamento del dolore
superficiale e localizzato post-intervento sia in monoterapia che
in associazione con altri farmaci analgesici, consentendo quindi
un’ampia modulazione dell’intervento terapeutico antalgico in
base alle caratteristiche ed esigenze di ogni singolo paziente.
Bibliografia
1.
2.
Mick G, Correa Illanes G, Topical pain management with the 5% lidocaine
medicated plaster- a review. CMRO 28 (6) 2012: 937-951
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its use in postherpetic neuralgia. Drugs. 2009;69(15):2149-65.
Vol. 30 - N. 2/3 - GIORNALE ITALIANO DI MEDICINA RIABILITATIVA - MR
44° CONGRESSO NAZIONALE SIMFER
073
CASE REPORT SU UN APPROCCIO
INTEGRATO AL TRATTAMENTO DELLA
DISFAGIA TRAMITE NMES
De Bonis Elena1, Maria Antonietta Ritrovato1, Filomena
Vergura1, Daniela Armillotta1, Laura Bonghi1, Maria Teresa
Gatta1, Michele Cannone1, Serena Filoni1
Conclusioni. Alla luce dei risultati ottenuti (passaggio da paralisi
completa a paralisi moderata e passaggio da disfagia severa a deglutizione funzionale con compensi spontanei) si ritiene che l’elettrostimolazione NMES associata alla terapia logopedica classica abbia
buoni margini di efficacia per il trattamento riabilitativo delle paralisi del nervo faciale e delle disfagie. Per cui sarà necessario approfondire tali aspetti con un campione più ampio.
Bibliografia
1.
Fondazione Centri di Riabilitazione Padre Pio Onlus, Gli Angeli di Padre Pio,
San Giovanni Rotondo, Italia1
Introduzione. La disfagia è un disturbo della deglutizione, che rende difficoltoso o impossibile il transito di alimenti solidi e/o liquidi
dalla cavità orale alle vie digestive superiori. Le cause possono essere
di tipo: ostruttivo, ossia presenza di corpi estranei, stenosi, tumori,
ingrossamento della tiroide; motorio, in caso di polimiosite, SLA
o patologie esofagee; neurologico, con interessamento dei muscoli
deputati alla deglutizione. Si distinguono due tipi di disfagia: disfagia oro-faringea, quando la difficoltà riguarda il passaggio del bolo
dall’oro-faringe all’esofago; disfagia esofagea se interessa il transito
esofageo. Le manifestazioni cliniche della disfagia sono rappresentate dallo scarso controllo del bolo nella cavità orale con perdita
di saliva o cibo dalla bocca, tosse, sensazione di soffocamento per
aspirazione nelle vie aeree, rigurgito nasale, affaticamento durante
il pasto. Le modalità di trattamento della disfagia variano a seconda
delle cause. Negli ultimi anni, al trattamento logopedico standard, è
stato integrato un dispositivo di elettrostimolazione funzionale (Vitalstim) utilizzato inoltre per il trattamento delle paralisi periferiche
e/o centrali del VII nervo cranico. L’obiettivo di questo case report
è verificare l’efficacia del trattamento della disfagia e della paralisi
faciale associando l’approccio classico a quello innovativo con elettrostimolazione neuromuscolare (NMES).
Materiali e metodi. Il sistema di terapia Vitalstim è una forma di
elettrostimolazione neuromuscolare utilizzata per trattare la disfagia,
e si basa sulla rieducazione muscolare. Gli elettrodi si posizionano,
in base agli obiettivi da raggiungere, sui muscoli deglutitori e sono
in grado di erogare corrente con forma d’onda a impulso bifasico
con intervallo interfase (VMS) la cui frequenza è fissa a 80Hz e l’intensità varia da 0 a 25mA. La corrente stimola i nervi motori, mentre il paziente effettua training deglutitorio. La paziente di anni 55 è
stata sottoposta in Giugno 2014 ad intervento chirurgico di asportazione di meningioma angolo-ponto cerebellare dx con conseguente
lesione periferica del nervo faciale, acustico ed ipoglosso dx presentava disfagia per solidi e liquidi. In prima valutazione sia clinica che
strumentale (FEES) si sono apprezzati fenomeni di penetrazione
e aspirazione del bolo liquido e solido pertanto è stata necessaria
alimentazione tramite PEG. In Agosto 2014 la paziente veniva ricoverata presso la nostra struttura; nel bilancio logopedico iniziale
effettuato con Protocollo Doss-O’ Neill si evidenziava LIVELLO 1
di disfagia (disfagia severa), e alla scala di valutazione AAO-HNS
facial nervs House Brackman si evidenziava grado 6 (paralisi totale).
Si è ritenuto opportuno integrare NMES alla terapia logopedica tradizionale. Il trattamento è stato effettuato per 10 settimane, 6 giorni
alla settimana, 30 minuti due volte al giorno.
Risultati. All’inizio della 5° settimana di trattamento la paziente ha
eseguito FEES di rivalutazione con boli di diversa consistenza che ha
evidenziato un netto miglioramento. È stata introdotta un’alimentazione controllata con boli semi-solidi e acqua addensata. All’inizio
dell’8° settimana sono stati inseriti gradualmente 3 pasti principali
giornalieri. Alla fine dell’8° settimana è stata rieffettuata valutazione
con protocollo Doss-O’Neill nel quale si è evidenziato LIVELLO 6
di disfagia (deglutizione funzionale con compensi spontanei) e scala
di valutazione AAO-HNS facial nervs House Brackman con grado 4
(paralisi moderata e severa). In Ottobre 2014 la PEG è stata rimossa
ed introdotta alimentazione normale.
2.
Transcutaneous neuromuscolar electrical stimulation (vitastim) curative therapy for severe dysphagia: myth or reality? The annals of otology, rhinology, and
laryngology, vol. 116, no. 1(January 2007), pp.36-44 by Gary Y.Shaw, Philliph
R.Sechtem, Jeff Searl et att.
-B.Singer, “functional electrical stimulation of the extremities in the neurological patient: a review”, Australian Journal Phyisioterapy, 1987;33(1) :33-42.
074
IMPATTO DELL’IRRIGAZIONE RETROGRADA
DEL COLON SULLA QUALITÀ DI VITA IN
PAZIENTI CON DISFUNZIONE INTESTINALE
DI NATURA NEUROLOGICA
Laura Bonghi1, Maria Teresa Gatta1, Caterina Di Blasio1,
Michele Pompilio1, Venanzio Gorgoglione1, Serena Filoni1
Fondazione Centri di Riabilitazione Padre Pio Onlus, Gli Angeli di Padre Pio,
San Giovanni Rotondo, Italia1
Introduzione. La disfunzione intestinale (stipsi ostinata o incontinenza fecale) riduce la qualità di vita di numerosi pazienti con
patologia neurologica, costretti a ridurre le loro attività e quindi il
livello di partecipazione. Ad oggi non esiste unanimità nel mondo
scientifico circa il trattamento di questa problematica. Una moderna
tecnica è l’irrigazione retrograda del colon che, rispetto alle terapie tradizionali,, ha numerosi vantaggi, tra cui quello di garantire
la completezza dello svuotamento intestinale, l’assenza di imbrattamenti, incontinenze ed evacuazioni indesiderate nell’ intervallo
tra le defecazioni programmate. Scopo dello studio è valutare come
l’uso dell’irrigatore retrogrado del colon può migliorare la partecipazione e la qualità di vita dei pazienti con disfunzione intestinale.
Materiali e metodi. Criteri di inclusione sono stati: gestione intestinale insoddisfacente, Neurogenic Bowel Disfunction score (NBD
score) >9, stipsi ostinata o incontinenza fecale. Criteri di esclusione
sono stati: patologie ostruttive del colon, patologia infiammatoria
acuta dell’intestino, diverticolite, operazioni chirurgiche addominali
o anali negli ultimi 3 mesi. Da dicembre 2015 ad oggi sono stati arruolati 7 pazienti (5 maschi e 2 femmine), con età media di 41 anni.
I pazienti sono tutti affetti da mielolesione, 4 di natura traumatica e
altri 3 di natura non traumatica. Solo tre pazienti hanno terminato
il protocollo mentre quattro sono tuttora in trattamento, pertanto
i risultati sono da considerare prliminari. All’inizio (T0) e al termine (T1) del protocollo, sono state somministrate a tutti i pazienti le seguenti scale di valutazione: Neurogenic Bowel Disfunction
(NBD) score, per individuare il livello di disfunzione intestinale, e
SF-36, per valutare la qualità di vita. Inoltre le stesse scale sono state
loro somministrate, tramite colloquio telefonico, dopo 6 mesi (T2)
dall’inizio del trattamento. Il protocollo è consistito in: giorno 0-3:
preparazione intestinale con lassativi osmotici, giorno 4-13: addestramento con irrigatore retrogrado del colon da parte del terapista
occupazionale, giorno 14-43: utilizzo del presidio a giorni alterni.
Durante tutta la fase di preparazione, addestramento ed utilizzo
il paziente era ricoverato presso il Presidio di Riabiltazione extraospedaliero “Gli Angeli di Padre Pio”; al termine del protocollo si è
provveduto alla prescrizione per l’erogazione da parte del Sisitema
Sanitario Nazionale del presidio per un periodo di 12 mesi.
Risultati. Attualmente sono risultati eleggibili 3 pazienti che hanno
completato le fasi T0, T1. I risultati preliminari hanno evidenziato
una riduzione del punteggio della NBD score e in particoalre nel
Vol. 30 - N. 2/3 - GIORNALE ITALIANO DI MEDICINA RIABILITATIVA - MR
83
44° CONGRESSO NAZIONALE SIMFER
pz n°1 la NBD score è passata da 29 (T0) a 3 (T1), nel pz n°2 si è
evidenziata una riduzione da 26 (T0) a 3 (T1), nel pz n°3 il punteggio è passato da 24 a 3. Anche per quanto riguarda la SF36 è stato
osservato un miglioramento del punteggio, sopratutto nella componente della “salute mentale”. Infatti nel pz. n°1 il punteggio della
componente fisica è passato da 18 a 22, quello della camponente
mentale da 32 a 58; nel pz n° 2 si è evidenziato un umento da 18 a
20 della componente fisica, da 31 a 54 della componente mentale.
Infine anche nel pz n° 3 si è osservato un miglioramento del punteggio delle due componenti, in particolare un aumento di 10 punti
della componente fisica (da 28 a 38) e di 30 punti della componente
mentale (da 28 a 58).
Conclusioni. Il nostro studio ha evidenziato un buon impatto della
metodica sulla qualità di vita dei pazienti. Infatti la riduzione del
numero di evacuazioni indesiderate e una migliore gestione dell’alvo
ha migliorato il livello di attività e partecipazione del paziente. Limite dello studio è il numero esiguo di pazienti pertanto è auspicabile
ampliare il campione di indagine.
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Leder D, van Kuppevelt D, Mosiello G, Vogel M, Perrouin-Verbe B, Coggrave
M, Christensen P
2.
3.
077
IMPIEGO DI DIATERMIA E VIBRAZIONE NEL
DOLORE LOMBARE CRONICO ASPECIFICO:
STUDIO RANDOMIZZATO CONTROLLATO
Antonio Ammendolia1, Davide Marchese2, Alessio De
Santis2
Dipartimento di Scienze Mediche e Chirurgiche, Università degli Studi “Magna
Grecia”, Catanzaro, Italia1
Studio di Fisioterapia, CEMOFIS, Catanzaro, Italia (2)
Introduzione. Il dolore lombare cronico è uno dei disturbi più
diffusi nella popolazione adulta, soprattutto tra i 30 e i 50 anni.
Può limitare le attività quotidiane dei pazienti ed il costo di gestione può essere considerevole. In oltre l’80% dei casi la lombalgia
cronica è di natura meccanica, più raramente è correlata a neuropatie o a forme viscerali con irradiazione in sede lombare. Sono
stati identificati numerosi fattori di rischio, che possono essere
suddivisi in due categorie principali, individuali e occupazionali:
tra i primi l’età, il peso corporeo e il fumo di sigaretta occupano
un posto dominante, mentre i lavori che richiedono sforzi prolungati e posture innaturali, come nel caso di frequenti movimenti
in flessione e/o estensione del tronco, spinte e vibrazioni, lunghe
permanenze in posizione seduta o in ortostatismo, costituiscono
i principali fattori di rischio occupazionali. In aggiunta, sono più
suscettibili al dolore lombare cronico aspecifico gli individui sottoposti a stress, depressione o ansia. Studi recenti hanno dimostrato che il dolore lombare cronico può essere causato anche da
debolezza dei muscoli profondi della regione lombare, riduzione
del la capacità cinestetica e di propriocezione. Da tutto ciò si comprende come ancora non esista un “gold standard” nel trattamento
di tale sindrome dolorosa e sono innumerevoli i metodi descritti
in letteratura con risultati non sempre univoci. Il presente studio
si propone di valutare l’efficacia sul dolore lombare cronico di un
trattamento fisico strumentale, basato sull’impiego di diatermia ad
onde corte in associazione con vibrazione focale, generate entram84
be da una medesima apparecchiatura elettromedicale di ultima
generazione.
Materiali e metodi. Dopo aver ottenuto il consenso informato,
sono stati inclusi nello studio 64 soggetti, affetti da “dolore lombare cronico aspecifico”. I pazienti sono stati selezionati secondo
i seguenti criteri di inclusione: anamnesi negativa per patologie
traumatiche, neurologiche con disturbi cognitivi e/o della sensibilità, psichiatriche e/o cardiovascolari in atto o pregresse, per malformazioni congenite e interventi chirurgici al rachide cervicale;
normotesi o ipertesi in trattamento farmacologico; assenza di segni
clinici di irritazione o compressione radicolare a livello cervicale;
nessun trattamento medico specifico (FANS, miorilassanti, neurotrofici), terapia manuale o fisica strumentale nei 3 mesi precedenti.
Per la valutazione clinica è stato utilizzato un questionario validato: Oswestry Low Back Pain Disability Questionnaire. I pazienti
sono stati suddivisi in 2 gruppi in modo randomizzato: gruppo
D, composto da 28 pazienti (età media 49.2±12.3), e gruppo DV,
composto da 36 pazienti (età media 50±13,9) e valutati prima
dell’inizio del trattamento (T0), alla fine del ciclo (T1) e dopo 3
mesi (T2). Entrambi i gruppi hanno seguito un protocollo di trattamento basato su un totale di 10 sedute a cadenza trisettimanale
con sola diatermia per il gruppo D, ai pazienti del gruppo DV è
stata aggiunta la vibrazione focale, utilizzando per tutti un solo
specifico elettromedicale: Imperium 400 (Brera Medical Technologies® s.r.l. – Italia).
Risultati. L’analisi statistica del trend di variazione del punteggio
del Oswestry Low Back Pain Disability Questionnaire da T0 a T1
e a T2, applicando un ANOVA test per misure ripetute, ha evidenziato un progressivo miglioramento delle condizioni cliniche
statisticamente significativo a T1 e ancor più T2. Tuttavia, confrontando i punteggi dei due gruppi a T1 e T2 con un T test per
variabili indipendenti, è stato possibile osservare come la riduzione
del punteggio sia significativamente più marcata nel gruppo trattato con diatermia più vibrazione rispetto al gruppo trattato solo
con diatermia (P=0,000).
Conclusioni Sulla base dei dati ottenuti, è possibile affermare
che l’impiego di un unico elettromedicale (Imperium 400), grazie
alla possibilità di impiego sinergico di onde elettromagnetiche e
meccaniche, ha consentito di ottenere un ottimo risultato clinico
nel trattamento del “dolore lombare cronico aspecifico” ed in tempi
significativamente più brevi rispetto alla diatermia tradizionale,
permettendo ai pazienti un più rapido ritorno alla proprie occupazioni con miglioramento della qualità della vita.
Bibliografia
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and vibration in chronic neck pain: a controlled randomized study. European
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2016
078
MANAGEMENT DELLA DISFAGIA IN
TETRAPLEGIA DA SPINAL CORD INJURY
DALL’OSPEDALE AL TERRITORIO: UN CASE
REPORT
Giuseppa Lagioia1, Giovanna Cristella2, Laura Macchia1,
Luisa De Palma1, Patrizia Dicillo1, Giuseppina Frasca1,
Pietro Fiore1
U.O. Medicina Fisica e Riabilitazione - U.S.U., Azienda Universitaria Ospedaliera Policlinico di Bari, Bari, Italia1
Scuola di Specializzazione Medicina Fisica e Riabilitativa, Università degli studi
di Bari, Bari, Italia2
Vol. 30 - N. 2/3 - GIORNALE ITALIANO DI MEDICINA RIABILITATIVA - MR
44° CONGRESSO NAZIONALE SIMFER
Introduzione. Il presente lavoro descrive un caso tipo di management
di un paziente con trauma vertebro-midollare (ASIA A, livello C4) al
fine di sottolinearne la complessità clinica in termini di definizione
della etiologia e gestione della disfagia.
Materiali e metodi. Il paziente riportava un trauma da precipitazione da circa 4 metri di altezza con sviluppo di grave edema midollare
C3- C5, per cui veniva sottoposto a laminectomia decompressiva C2
– C7. In anamnesi riportava mielopatia spondilogenetica. Portatore di
tracheostomia, dotato di ventilatore domiciliare in modalità Pressure
Support (PSV), e di sondino naso-gastrico (SNG) per nutrizione enterale. La Risonanza Magnetica Nucleare (RMN) del rachide cervicale
mostrava edema midollare e presenza di grossi osteofiti anteriori delle
vertebre cervicali con quadro compressivo sulla faringe. Ricoverato
presso la nostra Unità Operativa dopo la stabilizzazione del quadro
clinico, 2 mesi dopo il trauma, all’ingresso effettuava la prima valutazione bedside per disfagia: risultavano buone le prassie oro- linguali
pur in assenza dei riflessi di difesa (tosse, GAG throat e riflesso faringeo) e grande quantitativo di ristagno salivare. Riportava i seguenti
punteggi alle principali scale di valutazione: indice di rischio per disfagia pari a 12/20 (indicativo di alto rischio); Bed Side Swallow Assesment pari a 14 (indicativo di disfagia moderata- severa); Swallowing
Ratin Scale, livello 2; ASHA (American Speech-Language Hearing Association) livello 1; DOSS (Dysphagia Outcome and Severity Scale) livello
1; Pooling Score 10 indicativo di disfagia severa. In quanto paziente ad
alto rischio, veniva confezionata PEG. Al three oz water swallow test,
effettuato sotto monitoraggio saturimetrico, si riscontrava alterazione
della qualità vocale (gorgoglio) e tosse sin dalla prima somministrazione. La pulsossimetria registrava una modifica pari al 4% della SatO2
durante le prove deglutitorie, indicativo di possibile inalazione. Si
impostava quindi training logopedico con frequenza giornaliera per
3 settimane. Veniva sottoposto quindi al test di deglutizione sensibilizzato con colorante: buon innesco dell’atto deglutitorio, assenza di
tosse intra- e post- deglutitoria e riscontro di minima quantità di colorante alle tracheoaspirazioni ripetute. La successiva FEES (Fiberoptic
endoscopic evaluation of swallowing) mostrava ristagno salivare nel
solco glosso- epiglottico e tumefazione della parte posteriore dell’ipofaringe in assenza di lesioni della mucosa. PAS (Penetration Aspiration
Scale) livello 7. Il quadro FEES risultava compatibile con il riscontro
RMN di grossi osteofiti anteriori dei somi di C5 e C6 con azione
compressiva ab estrinseco sul giunto faringo- esofageo.
Risultati. La nostra ipotesi è che il paziente abbia sviluppato disfagia
a seguito del trauma vertebrale- midollare e il successivo intervento
chirurgico di laminectomia modificando l’anatomia e biomeccanica
del rachide cervicale, avvicinando gli osteofiti, pre-esistenti al trauma, alla parete posteriore del faringe. Ci siamo quindi chiesti quale
fosse in questo caso l’approccio riabilitativo più appropriato. Il primo
passo è stato il weaning dalla PSV con l’utilizzo di erogatori di ossigeno ad alti flussi, umidificato e riscaldato. L’attenzione si è quindi
focalizzata sull’ottimale recupero del controllo del capo, il corretto
posizionamento del paziente durante l’alimentazione orale, ottenuta
con modificazione di consistenza della dieta (semisolida), e l’addestramento alle manovre di compenso. È stato inoltre fornito collare tipo
Philadelphia. Non si sono registrati episodi di polmonite ab ingestis. Il
training è proseguito sino all’ottenimento di un’alimentazione per os
effettuata dal caregiver in sicurezza e successiva dimissione a domicilio
del paziente.
Conclusioni. Nel paziente mieloleso sono riconosciuti alcuni fattori
predittori di disfagia: livello di lesione midollare e severità della paralisi, trachestomia, approccio chirurgico per via anteriore alla patologia
del rachide. In altri lavori sono riportati come fattori di rischi anche
VAM ed età. I dati della letteratura risultano comunque non uniformi. Nel case report qui descritto, l’approccio chirurgico per via posteriore, pur evitando le forme neurogene di disfagia, non ha evitato
al paziente l’insorgenza di una disfagia meccanica. Il riconoscimento
dell’etiologia ha permesso un approccio riabilitativo mirato e prevenuto le più frequenti complicanze. Sono descritti infatti casi di perfo-
razione esofagea sia nell’immediato post-operatorio sia tardiva (anche
dopo 10 anni), formazione di diverticoli e pseudodiverticoli esofagei
a rischio di rottura, spondilodisciti da rottura esofagea e formazione
di fistole.
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079
TRATTAMENTO RIABILITATIVO
MULTIMODALE NEGLI ESITI DI AVULSIONE
TOTALE DEL TENDINE DISTALE DEL
MUSCOLO BICIPITE BRACHIALE
Marisa Megna1, Alfonso Camporeale1, Alessio Matinelli1,
Anna Claudia Del Re1, Giancarlo Ianieri1, Riccardo
Marvulli1, Pietro Fiore1
U.O.C. Medicina Fisica e Riabilitazione ed U.S.U., Università degli Studi di
Bari “A. Moro”-Policlinico, Bari, Italia1
Introduzione. La rottura tendinea del bicipite, a livello distale,
è molto rara (3% dei casi), a differenza della più comune rottura
del tendine del capo lungo (96% dei casi); di conseguenza sono
scarsi, in letteratura, i riferimenti bibliografici riguardanti il trattamento di tale patologia. Essa si verifica solo in 1-2 persone su
100.000 ogni anno e raramente nelle donne. Alla luce del recente
rilievo statistico di un congruo aumento della sua incidenza (circa
il 10% nell’ultima decade), correlato probabilmente ad una maggiore sensibilità diagnostica, questa lesione è stata, negli ultimi
anni, oggetto di grande attenzione in letteratura. In particolare, la
maggioranza dei casi si presenta in adulti lavoratori manuali e giovani atleti coinvolti in sport di contatto o bodybuilders. Inoltre
una lesione a livello dell’articolazione del gomito compromette
la funzionalità dell’intero arto superiore; infatti il gomito, essendo un elemento che partecipa alla funzione della manipolazioneprensione, deve permettere di costruire relazioni sempre variabili
tra la spalla e la mano. In particolare, durante la fase del raggiungimento di un oggetto, la flessoestensione interviene per regolare
la distanza della mano nei confronti sia del corpo che dello spazio
extra-corporeo, mentre la pronosupinazione orienta l’avambraccio per favorire l’approccio, il contatto e la presa-manipolazione
dell’oggetto.
Materiali e metodi. Lo studio condotto si è basato sull’utilizzo
di un approccio riabilitativo multimodale nel trattamento post
chirurgico di un uomo di 47 aa in seguito ad una avulsione totale
del tendine distale del muscolo bicipite brachiale. L’ intervento
riabilitativo, perciò, è stato imperniato in primis sulla risoluzione
delle problematiche relative al dolore, alla rigidità articolare, alle
contratture ed all’ipotrofia muscolare, e sul recupero dei movimenti deficitari, che rappresentano i principali segni distintivi di
una patologia ortopedica del gomito. Il ritorno ad una meccanica articolare fisiologica, eliminando i compensi antalgici insorti,
l’ottenimento di una buona elasticità tendinea ed il ripristino di
un corretto schema motorio, essenziale per il ritorno alle attività
di vita quotidiana, sono stati i principali obiettivi perseguiti in
questa fase. In seguito, invece per il trattamento degli esiti chirurgici cicatriziali, si sono utilizzate le diverse tecniche riabilitative
quali la mobilizzazione trasversale profonda, la terapia cellulare
attiva con OZOILE (ozono topico stabilizzato in acido oleico con
vitamina E acetato), la cupping therapy o “coppettazione”, al fine
Vol. 30 - N. 2/3 - GIORNALE ITALIANO DI MEDICINA RIABILITATIVA - MR
85
44° CONGRESSO NAZIONALE SIMFER
di ottenere una cicatrice non aderente ai piani sottostanti ed esteticamente accettabile.
Risultati. A due mesi dall’intervento chirurgico, il paziente ha
recuperato la completa flesso-estensione passiva ed attiva del gomito. La cicatrice non è più adesa ai piani sottostanti, non limita
alcun tipo di movimento, non è né rilevata né ispessita; appare
normopigmentata, non dolente, di aspetto estetico accettabile; il
manicotto fibrotico permane, anche se ridotto di dimensioni, ma
non è dolente. L’efficacia del trattamento è stato dimostrato con
la scheda SECEC ELBOW SCORE che valuta i 4 parametri di
dolore, attività della vita quotidiana, ROM articolare e forza; alla
fine dello studio si è ottenuto il punteggio di 91/100.
Conclusioni. Attraverso un approccio multimodale, integrando
al protocollo standard le diverse tecniche riabilitative a nostra disposizione oggi, la prognosi e quindi i tempi di recupero nell’avulsione totale del tendine distale del muscolo bicipite brachiale sono
stati ridotti di almeno un mese rispetto a quelli stimati inizialmente. Il successo della riabilitazione è testimoniato dal fatto che il paziente è tornato sul posto di lavoro un mese prima dell’indicazione
dell’ortopedico, senza alcun tipo di problematica che lo ostacolasse
nelle attività di vita quotidiana.
Bibliografia
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Barbieri E, Calamoneri E, Santoro G. Lesioni del capo distale del bicipite brachiale: nostra esperienza. Vol.35 2011
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2.
3.
080
RIABILITAZIONE RESPIRATORIA NEL
PAZIENTE CON BPCO RIACUTIZZATA
Elena Recubini1, Antonella Ianni1, Antonella Di Iulio2,
Michele Di Lella1, Florida Flocco1, Vitalma Liotti1, Isidoro
Pesare1, Carlo D’Aurizio1
UOC Medicina Fisica e Riabilitazione, Ospedale Santissima Trinità (ASL Pescara), Popoli, Italia1
UOC Chirurgia Toracica, Ospedale Santo Spirito (ASL Pescara), Pescara, Italia2
Introduzione. La broncopneumopatia cronica ostruttiva(BPCO)
è una sindrome clinico-disfunzionale caratterizzata da una riduzione dei flussi espiratori massimali, con allungamento del tempo
di vuotamento forzato del polmone, conseguenza di un processo
infiammatorio cronico che comporta il coesistere di alterazioni a
carico delle vie aeree e del parenchima polmonare. La riacutizzazione della BPCO è caratterizzata da peggioramento dei sintomi
respiratori con necessità di ospedalizzazione e adeguamento terapeutico; alla dimissione dal reparto per acuti, fino alla completa
stabilizzazione, il pz viene accolto in una unità di riabilitazione
per la presa in carico globale allo scopo di ridurre la sintomatologia respiratoria, ottimizzare il recupero funzionale, aumentare
la partecipazione. La riabilitazione respiratoria precoce infatti si
è dimostrata efficace nel ridurre la sintomatologia, aumentare la
tolleranza allo sforzo, ridurre il numero di riacutizzazioni e la mortalità (1,2,3).
Materiali e metodi. Dal 1.10.15 al 30.2.16 sono stati ricoverati
presso l’UOC di Medicina Fisica e Riabilitazione dell’Ospedale
Santissima Trinità di Popoli (ASL di Pescara)15 pazienti con diagnosi di BPCO riacutizzata e trasferiti da reparti per acuti. Tutti
i pazienti sono stati sottoposti ad un programma di riabilitazione
respiratoria che prevedeva esercizi di coordinazione toraco-diaframmatica, tecniche di disostruzione bronchiale, rinforzo muscolare globale, riadattamento allo sforzo. I pazienti sono stati valutati
86
all’ingresso e alla dimissione tramite:emogasanalisi per valutare la
P02 e PCO2 arteriosa e il rapporto P02/FiO2 (P/F), spirometria
con valutare lo stadio GOLD e l’indice di Tiffenau (FEV1% )
dato dal rapporto tra volume espiratorio massimo(FEV1) e capacità vitale forzata (FVC), 6 Minute Walking Test(6MWT)e scala
BORG prima e dopo l’esercizio fisico per valutare la tolleranza allo
sforzo e il grado di dispnea a riposo e dopo l’esercizio, test dei 10
metri e calcolo del Physiological Cost Index (PCI) per valutare il
costo energetico durante il cammino, scala del Medical Research
Council (MRC) per valutare il grado di dispnea globale, 30 second
chair stand test(30 SCST)per valutare la forza muscolare a carico del quadricipite femorale , Functional Indipendence Measure
(FIM) per valutare il grado di autonomia del paziente. L’indice di
comorbidità è stato valutato tramite la scala Modified Cumulative
Illness rating Scale(CIRS) al momento del ricovero.
Risultati. Dei 15 pazienti inclusi nello studio, 2 pazienti sono
stati trasferiti in reparti per acuti a causa dell’aggravamento delle condizioni cliniche (1 pz per scompenso cardiaco, 1 pz per riscontro di neoplasia polmonare). I restanti 13 pazienti (4f, 9m)
di età media 72,4 anni, ricoverati in media dopo 10 giorni dalla
riacutizzazione(range 3-27 giorni), classificabili secondo lo stadio
GOLD in 1 pz grado I, 6 pz grado II,7 grado III, 1 pz grado
IV,presentavano all’ingresso una FEV 1% di 50,26 (range 3087),una pO2 di 66,10 mmHg (range 38-88) , una pCO2 di 45,7
mmHg (range30-63),rapporto P/F di 292,33(range 415-180),PCI
di 0,528 (range 0,1-2,15), distanza percorsa al 6MWT di 212 mt
(range 70-450 mt), valore alla scala BORG a riposo di 1,5 (range
0-3), dopo lo sforzo di 2,8 (range 0-8), grado di dispnea alla MRC
di 3,3(range 0-4), 5,2 alzate al 30 SCST(range 0-12), punteggio
alla scala FIM di 89 (range 65-108). I pazienti presentavano un
alto indice di comorbidità con una media alla scala CIRS di 13,8
(range 8-22). Il ricovero in riabilitazione ha avuto una durata media di 19,8 giorni (range 12-28).Alla dimissione abbiamo osservato un miglioramento in tutti i parametri esaminati, con una FEV
1% di 55,41(range 30-76),una pO2 di72,15 mmHg(range 6292), una pCO2 di 43,69 mmHg (range 33-54), rapporto P/F di
326,38 (range 270-439), PCI di 0,236 (range 0,1-0.84), distanza
percorsa al 6MWT di 285 mt(range 180-460) , valore alla scala
BORG a riposo di 0,26 (range0-3), dopo lo sforzo di 1,15 (range
0-3),grado di dispnea alla MRC di 1,6 (range 0-3), 7,3 alzate al
30 SCST(range 0-13), punteggio alla scala FIM di 105 (87-115).
Conclusioni. Il programma riabilitativo effettuato si è dimostrato
efficacie nel ridurre la resistenza al flusso espiratorio e nel migliorare gli scambi respiratori. Alla dimissione tutti i pz hanno mostrato
un aumento della tolleranza allo sforzo ed una riduzione del costo energetico durate il cammino; la percezione della dispnea si è
ridotta sia a riposo che dopo lo sforzo. Il training si è dimostrato
efficace nell’aumentare la forza muscolare a carico degli arti inferiori; anche l’autonomia nelle principali ADL è risultata moderatamente aumentata. Il ricovero in riabilitazione del pz con BPCO
riacutizzata risulta quindi una fase di fondamentale importanza
nel passaggio reparto per acuti-territorio. In futuro ci proponiamo di ampliare la casistica in esame e valutare come l’outcome
raggiunto in riabilitazione si modifica dopo il ritorno al domicilio
Bibliografia.
1.
2.
3.
Rodrigo C. Impact of resistance training in chronic obstructive pulmonary disease patients during periods of acute exacerbation . Archives of Physical Medicine and Rehabilitation 2014; 95:1638-45
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Jean-Louis. Pumonary rehabilitation and COPD: providing patients a good
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27-39
Vol. 30 - N. 2/3 - GIORNALE ITALIANO DI MEDICINA RIABILITATIVA - MR
44° CONGRESSO NAZIONALE SIMFER
081
IDROCHINESITERAPIA: CASE REPORT DI UNA
PAZIENTE CON RESEZIONE ARTROPLASTICA
SECONDO GIRDLESTONE BILATERALE
Sofia De Grandi1, Maurizio Lopresti2, Anna Gallo1, Diego
Contro1, Alessandro Tomba2, Lorenzo Panella2
Scuola di Specializzazione in Medicina Fisica e Riabilitativa Università degli
Studi di Milano, SC Medicina Fisica e Riabilitazione Istituto Ortopedico
G.Pini-CTO Milano, Milano, Italia1
SC Medicina Fisica e Riabilitazione Istituto Ortopedico G.Pini-CTO Milano.,
SC Medicina Fisica e Riabilitazione Istituto Ortopedico G.Pini-CTO Milano,
Milano, Italia2
Introduzione. Con l’aumentare del numero degli interventi chirurgici di protesi totale d’anca, si sono diffusi maggiormente anche
gli interventi di revisione. Talvolta, a causa della mancanza di un
sufficiente tessuto osseo o in presenza di una severa sepsi o di un
importante danno muscolare, non è possibile eseguire un intervento
di revisione. In questi casi si procede con la resezione artroplastica secondo Girdlestone (GRA) in cui vengono rimossi i mezzi di
sintesi e interposto tessuto sano, il risultato è la formazione di una
pseudoartrosi. (1-2). L’intervento di GRA è considerata una tecnica
di salvataggio funzionalmente povera perché comporta precoce affaticabilità dovuta all’alto costo energetico richiesto per la deambulazione, all’eterometria degli arti inferiori, alla presenza del segno di
Trendelenburg e alla necessità di un ausilio per il cammino (3). In
letteratura non sono presenti studi che descrivono un trattamento
riabilitativo dopo questo tipo di intervento. Si presenta di seguito il
caso di una paziente giunta alla nostra attenzione in ricovero riabilitativo in postumi di intervento di resezione secondo Girdlestone
a sinistra e pregresso intervento di Girdlestone a destra sottoposta
al nostro protocollo riabilitativo integrato di fisiochinesiterapia e di
idrokinesiterapia.
Materiali e metodi. Donna di 55 anni con anamnesi di displasia
congenita bilaterale, nel 2006 protesi totale d’anca sinistra con lesione nervo femorale, nel 2007 protesi totale ginocchio sinistro, nel
2008 intervento di Girdlestone a destra per coxartrosi displasica, da
cui è seguita eterometria di circa 2 cm a destra. La paziente è giunta
alla nostra osservazione nel febbraio 2016 dopo un intervento di
resezione secondo Girdlestone a sinistra nel quale vi è stata la rimozione completa della protesi all’anca sinistra per metallosi e l’applicazione di 4 cerchiaggi per osteotomia del femore per difficoltà nella
rimozione dello stelo protesico. Il nostro programma riabilitativo
impostato ha previsto 22 sedute di fisiochinesiterapia in palestra e
dalla 24°giornata post-intervento è stato introdotto il trattamento
idrokinesiterapico per un totale di 9 sedute.
Risultati. All’ingresso (14°giornata post-operatoria) nel nostro reparto la paziente presentava ridotta autonomia motoria, difficoltà
nei passaggi posturali, manteneva la stazione eretta in scarico a sinistra con l’ausilio di deambulatore antibrachiale e un operatore, il
cammino non era possibile. ROM anca flessione attiva 0°-20°, passiva 0°-50°, abduzione attiva 0°, passiva 30°. ROM ginocchio sinistro flessione attiva/passiva 0°-30°. Barthel Index 53/100. VAS 7/10.
Harris Hip score 24/100. Alla valutazione intermedia (20° giornata
post-operatoria) la paziente era in grado di verticalizzare con walker
4p, VAS 7/10; dopo due sedute di idrochinesiterapia era in grado di
compiere 10 metri in carico parziale con walker 4p, VAS 4/10. Alla
dimissione la paziente presentava ROM anca sinistra flessione attiva 0°- 40°, passiva 0°-80°, abduzione attiva 10°, passiva 30°.ROM
ginocchio flessione attiva/passiva 0°-50°. La paziente era in grado di
camminare per circa 40 metri con due bastoni canadesi con carico
a tolleranza a sinistra e di eseguire le scale basse con 1 bastone canadese, corrimano e assistenza. Non era presente eterometria. Barthel
Index 62/100. VAS 3/10, Harris Hip score 44/100.
Conclusioni. La paziente ha ottenuto una maggiore rapidità di re-
cupero motorio globale e in particolare nella riduzione del dolore
e nel cammino in seguito all’introduzione dell’ idrochinesiterapia
che ha permesso il recupero dello schema del passo in assenza di
concessione del carico sull’arto operato in un caso particolarmente
complesso. La paziente presentava un’eterometria di 2 cm a destra
conseguente al primo intervento di Girdlestone, alla dimissione
dopo l’intervento di Girdlestone a sinistra l’eterometria appariva
compensata e non c’era differenza tra i due arti.
Bibliografia
1.
2.
3.
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submitted to girdlestone’s resection arthroplasty. Acta Ortop Bras. 2007; 15(4):
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082
IL MODELLO DIPARTIMENTALE
RIABILITATIVO DELL’AZIENDA ULSS 12
VENEZIANA NELL’INTEGRAZIONE OSPEDALETERRITORIO
Alessandro Boccignone1
Azienda ULSS12 Veneziana, Dipartimento di Riabilitazione Ospedale-Territorio, Venezia, Italia1
Introduzione. Con la DGR Veneto n. 2634/2013 “Approvazione
del documento di indirizzo sul Dipartimento Funzionale di Riabilitazione Ospedale-Territorio. Piano Socio Sanitario Regionale
(PSSR) 2012-2016 (L.R. n. 23 del 29 giugno 2012)” veniva recepito da Regione Veneto il modello dipartimentale delle attività riabilitative com’era indicato dal Piano d’Indirizzo per la Riabilitazione del
2011. Nell’AULSS 12 Veneziana, che ha una popolazione residente di più di 300.000 abitanti suddivisi in 5 comuni che occupano
un’area di circa 462 kmq, sono presenti due ospedali pubblici, un
hub a valenza provinciale a Mestre con 568 posti letto e un presidio
ospedaliero di rete a Venezia con 310 posti letto, ancora sprovvisti di
una degenza riabilitativa nonostante questa sia prevista dalle schede
regionali, e quattro ospedali accreditati con 350 posti letto riabilitativi (codice 60, codice 56 e codice 75) che nel 2015 hanno effettuato
3.917 ricoveri. AULSS 12 Veneziana, con il recepimento della DGR
di cui sopra ha ritenuto questo modello dipartimentale come il più
adatto a gestire le attività riabilitative nell’area metropolitana di Venezia, nella quale la peculiare situazione ambientale, che unisce in
uno stesso territorio terraferma, centro storico e isole, e sociale, con
un’età media molto elevata soprattutto nel centro storico, abbinate
ad una preponderante offerta riabilitativa accreditata, rende indispensabile una gestione coordinata di queste attività che sia garanzia
di appropriatezza per l’utenza.
Materiali e metodi. Una prima procedura operativa che abbiamo
preparato come dipartimento di riabilitazione prevede che ogni paziente che proviene da un reparto per acuti di un ospedale pubblico
e accede ad un ricovero riabilitativo in struttura accreditata debba
di necessità avere nella documentazione clinica una visita fisiatrica
che certifichi l’appropriatezza del ricovero, descrivendo il quadro
funzionale e indicando una prognosi riabilitativa. Inoltre, ciascuna struttura riabilitativa accreditata può accogliere qualsiasi tipo di
disabilità ma si impegna a ricoverare entro 5 giorni lavorativi tipologie di pazienti provenienti dai reparti per acuti dei due presidi
ospedalieri pubblici diversificate per ciascuna struttura accreditata:
1) disabilità motorie, cognitive e del comportamento di natura neurologica e neurochirurgica e disabilità respiratorie di origine neurologica; 2) disabilità di natura ortopedica e traumatologica, disabilità
respiratorie non di origine neurologica, disabilità di natura vascolare
Vol. 30 - N. 2/3 - GIORNALE ITALIANO DI MEDICINA RIABILITATIVA - MR
87
44° CONGRESSO NAZIONALE SIMFER
(esiti di amputazione e arteriopatie), disabilità connesse alle patologie dell’anziano, quali ad esempio le sindromi ipocinetiche o da
allettamento, e connesse a patologie degenerative quali ad esempio
la malattia di Parkinson; 3) disabilità di natura cardiologica e cardiochirurgica. Inoltre, nell’ottica della costruzione della rete riabilitativa dell’AULSS 12, qualora una struttura riabilitativa non riesca
ad accogliere un paziente entro i 5 giorni lavorativi concordati, deve
allargare la richiesta alle altre strutture della rete nel tentativo di risolvere quel singolo problema di accoglimento, cercando in questo
modo di rispettare i tempi previsti; è necessario inoltre che la stessa struttura, contestualmente, avverta il reparto per acuti che non
riuscirà a soddisfare la tempistica di ricovero. Un’altra procedura
operativa prevede che un paziente dimesso da un reparto pubblico
per acuti con necessità riabilitative ambulatoriali o domiciliari abbia
un percorso già tracciato nel quale il fisiatra che effettua la visita di
consulenza redige l’impegnativa per il trattamento domiciliare o ambulatoriale; inoltre, alla dimissione, la procedura prevede che vengano attivate tempestivamente le sedi territoriali dell’Unità Operativa
Complessa di Medicina Fisica e Riabilitativa deputate ad erogare
il trattamento. È inoltre attiva un’ulteriore procedura operativa la
quale prevede che, alla dimissione, gli ospedali riabilitativi accreditati possano direttamente richiedere alle sedi territoriali dell’Unità
Operativa Complessa di Medicina Fisica e Riabilitativa tre accessi
fisioterapici finalizzati al reinserimento domiciliare del disabile; se si
dovessero rendere necessari ulteriori accessi fisioterapici, questi saranno prescritti successivamente ad una visita fisiatrica domiciliare.
Qualora, invece, il fisiatra della struttura accreditata ritenga necessario un ciclo riabilitativo domiciliare di dieci o più sedute, sarà il fisiatra pubblico operante sul territorio a certificarne l’appropriatezza. È
prevista inoltre l’apertura di strutture intermedie, le Unità Riabilitative Territoriali (URT), per un totale di 50 posti letto; anche l’accesso a queste strutture sarà vincolato ad una visita fisiatrica, inoltre un
fisiatra pubblico monitorerà l’evoluzione del progetto riabilitativo
individuale e deciderà della dimissione dei pazienti.
Risultati. Nell’anno 2015 il 100% dei pazienti dell’AULSS 12 Veneziana provenienti da reparti per acuti sono stati sottoposti a visita
fisiatrica prima di essere ricoverati in strutture riabilitative. Tutti i
pazienti ai quali è stato prescritto un trattamento riabilitativo ambulatoriale o domiciliare successivo alla degenza sono stati tempestivamente presi in carico nel rispetto dei tempi d’attesa previsti per
una classe A.
Conclusioni. Ponendo al centro il paziente e le sue esigenze, riteniamo che il modello dipartimentale deliberato da Regione del
Veneto e recepito da AULSS 12 Veneziana sia in grado di assicurare
un’appropriata presa in carico nel percorso ospedale-territorio e ciò
attraverso una buona integrazione di queste due componenti, sia per
quanto riguarda il pubblico che il privato accreditato.
Bibliografia
1.
DGR Veneto n. 2634/2013
083
LA VIA TOPICA NELL’APPROCCIO
MULTIMODALE AL TRATTAMENTO
CONSERVATIVO DELLA SINDROME DEL
TUNNEL CARPALE
Gregorio Deinite1, Orazio Lucio Fabio Ragusa2
CRP Orsac Mangini, Orsac, Hauteville-Lompnes, Francia (1)
ASL TO 3, S.C. di Medicina Fisica e Riabilitazione, Venaria Reale,
Italia (2)
Introduzione. La sindrome del tunnel carpale (STC) rappresenta
un evento estremamente doloroso che può colpire sia l’anziano che
il giovane, in relazione anche alla tipologia di lavoro svolto.
Sintomatologicamente esordisce con una sorta di “fastidio” subdolo,
88
per poi manifestarsi con sempre crescente veemenza con una sintomatologia prima disestesica poi francamente algica. La diagnosi
oltre che clinica è affidata all’esame EMG, in particolare allo studio
della conduzione nervosa del nervo mediano al polso.
Il trattamento nelle forme più gravi è chirurgico, ma prima di arrivare all’intervento si possono tentare altre strade.
Obiettivo della nostra valutazione è stato quello di verificare se una
strategia terapeutica multimodale possa essere in grado di determinare la riduzione del dolore e delle disestesie nella STC. In particolare ci interessava verificare se la lidocaina, quale anestetico locale
somministrato per via topica, possa essere in grado di determinare
un potenziamento degli altri elementi terapeutici e favorire la riduzione del dolore, migliorando quindi la funzionalità della mano.
Materiali e metodi. Abbiamo valutato tre gruppi di 8 pazienti con
STC di grado moderato (latenza all’esame EMG al polso non inferiore a 3,5 e non superiore a 5 millisecondi) trattati con tre livelli
crescenti di terapia: solo neurotrofici (Gruppo A), trattamento con
neurotrofici più terapia fisica (Gruppo B) e trattamento con neurotrofici e terapia fisica cui veniva associato l’uso di Lidocaina cerotto
5% (Versatis) (Gruppo C). Il trattamento con integratori neurotrofici prevedeva l’associazione di Palmitoil etanolamide a acido Alfa
lipoico e vitamine del gruppo B per 30 giorni secondo la posologia
prevista. Il trattamento fisioterapico consisteva in 10 sedute con intervento giornaliero mirato al polso di Ultrasuono e TENS associato
ad esercizi di mobilizzazione attiva ed attiva assistita per 10 sedute
distribuiti in 15 giorni. Lidocaina cerotto 5% veniva utilizzato per
12 ore al giorno durante le ore notturne per 15 giorni. La valutazione di efficacia è stata effettuata mediante valutazione della scala
VAS, EuroQuol, ed ENG del mediano al polso all’inizio della osservazione, dopo 15 giorni e dopo un mese di trattamento. Non sono
stati valutati pazienti con età superiore a 65 anni o con malattia
reumatico o osteoarticolare.
Risultati. Il gruppo di pazienti ai quali è stato aggiunto Lidocaina
cerotto 5% è stato quello che ha ottenuto i maggiori benefici nella
riduzione del dolore, nel recupero della funzionalità della mano e
nel miglioramento della qualità della vita, miglioramento risultato
statisticamente significativo. La riduzione della latenza motoria del
nervo mediano è risultata simile tra la sola terapia integrata e questa
più l’aggiunta del cerotto, mentre entrambe sono risultate statisticamente diverse rispetto al trattamento solamente con neurotrofici.
La riduzione complessiva del dolore (valutato con scala VAS da 0 a
100) nel gruppo con solo neurotrofici è stata di 34.4 punti, quella
ottenuta con la terapia integrata è stata di 40 punti mentre con l’aggiunta del cerotto la riduzione ottenuta è stata di 60 punti. Il miglioramento osservato nei pazienti ai quali è stato aggiunto il cerotto
di lidocaina è risultato superiore e dimostrato da dati statisticamente
significativi. Tutti i pazienti hanno mostrato un recupero parziale o
completo della funzionalità della mano. Il risultato migliore è stato
quello dei pazienti con il cerotto di lidocaina, seguito dal trattamento integrato e dai soli neurotrofici. In particolare tutti quelli a cui è
stato aggiunto Lidocaina cerotto 5% raggiungono il massimo grado
di funzionalità dopo 1 mese di osservazione.
Il miglioramento della qualità della vita è stato statisticamente significativo in tutti i tre gruppi di pazienti, ma quello osservato nei
pazienti con il cerotto di lidocaina è risultato superiore a quello osservato negli altri gruppi.
Conclusioni. La nostra esperienza dimostra che prima dell’intervento chirurgico per la STC è possibile utilizzare diverse strategie terapeutiche con un buon esito. La strategia che ha ottenuto i migliori
risultati è quella che associa l’uso di integratori neurotrofici con la
terapia fisica e l’uso di Lidocaina cerotto 5%.
Bibliografia
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Vol. 30 - N. 2/3 - GIORNALE ITALIANO DI MEDICINA RIABILITATIVA - MR
44° CONGRESSO NAZIONALE SIMFER
084
085
LIDOCAINA CEROTTO 5% NEL
TRATTAMENTO DEL DOLORE DA LESIONI
COSTALI POST-TRAUMATICHE
IL RECUPERO DELLA MOBILITÀ ARTICOLARE
DOPO RIPARAZIONE ARTROSCOPICA DI
CUFFIA DEI ROTATORI
Orazio Lucio Fabio Ragusa1, Gregorio Deinite2
ASL TO , S.C. Medicina Fisica e Riabilitazione, Venaria Reale (TO), Italia
Orsac, C.R.P. Orscet-Mangini, Hauteville Lompnes, Francia2
3
1
Introduzione. Le lesioni costali postraumatiche, legate ad incidenti
stradali, sono in costante aumento. La causa è spesso la cintura di sicurezza che determina un contraccolpo sull’emitorace. Queste lesioni
sono più frequenti per il trasportato rispetto al conducente, forse in
relazione all’assenza del volante che in parte permette di scaricare la
forza d’urto sugli arti superiori.
Il trattamento di tali lesioni è spesso basato sul riposo e l’uso di FANS
che però non sempre attenuano la sintomatologia algica.
Per migliorare la gestione di tali pazienti è stato ipotizzato l’utilizzo
di farmaci topici per la riduzione delle algie, ma le comuni creme
o schiume non hanno dimostrato nella nostra esperienza una valida
efficacia. Sono stati anche utilizzati cerotti medicati, che svolgono sia
una azione tipicamente farmacologica che un minimo di effetto di
contenimento, quasi una rudimentale “taping therapy”, ma anche in
questo caso i risultati sono piuttosto lenti e si apprezzano molti non
responder o con reazioni topiche, soprattutto in estate, che limitano
l’utilizzo di tale strategia terapeutica. In questa esperienza abbiamo
infine valutato l’uso di Lidocaina cerotto 5% (Versatis).
Materiali e metodi. Sono stati valutati 10 pazienti che presentavano
da una a tre lesioni costali successive a trauma da cintura in incidente
della strada con trauma recente (da non più di 3 giorni). Il numero di
cerotti, variabile da uno a tre in relazione all’estensione ed intensità del
dolore, era posizionato lungo il decorso della costa. I pazienti sono stati valutati all’inizio del trattamento e dopo 20 giorni di terapia. Entro
7 giorni dalla sospensione del trattamento è stata valutata l’eventuale
ricomparsa di dolore. La valutazione del dolore è stata effettuata per
mezzo di una scala VAS e con l’indice di EuroQoL. Non sono stati
considerati in questa valutazione pazienti con patologie osteoartrosiche conclamate, osteoporosi primaria e secondaria o con pregresse
fratture costali.
Risultati. Sono stati valutati 4 maschi e 6 femmine di età compresa
tra 26 e 45 anni. 8 Pazienti (3 maschi e 5 femmine) presentavano una
sola frattura, mentre gli altri 2 pazienti (1 maschio e 1 femmina) presentavano 2 fratture. L’intensità del dolore all’inizio del trattamento
era pari a 7,8 punti della scala NRS (min 7, max 9). Dopo 20 giorni
il punteggio scendeva a 3,9 (2-6) per poi ridursi ulteriormente a 2,2
(1-4) sette giorni dopo la fine del trattamento. La valutazione della
Qualità di vita mediante questionario EuroQol passava da un valore
medio di 0,48 prima dell’inizio del trattamento (0,48; min 0,4 max
0,64) a valori medi prossimi al valore indice di miglior benessere sia
al termine del trattamento con cerotto di lidocaina al 5% (0,84; min
0,8 max 0,92) che dopo 7 giorni dal termine (0,92; min 0,8 max 1,0).
La scala analogica visiva del livello percepito del proprio stato di salute
passava da 11,9 (min 0, max 30) prima del trattamento a 49,5 (30, 60)
al termine della terapia e a 65,6 (50, 80) sette giorni dopo il termine.
Conclusioni. Nella nostra esperienza l’associazione di Lidocaina
cerotto 5% alle usuali misure terapeutiche nei pazienti con fratture
costali da cintura, si è dimostrata molto efficace nel controllo della
sintomatologia algica ed ha migliorato vari aspetti della qualità di vita
in questi pazienti. Nessuno dei pazienti ha mostrato reazioni locali
al cerotto e tutti i pazienti hanno mostrato un beneficio dalla terapia
(assenza di non responders). La nostra esperienza è limitata a 10 pazienti e non presenta un gruppo di controllo, per cui sarà necessario
confermare questi risultati in una casistica più ampia e controllata.
Bibliografia
1.
Zink KA, Maybarry JC, Peck EG et al. Lidocaine patches reduce pain in trauma patients with rib fractures. The American Surgeon 2011; 77 (4): 438-442
Rosanna Izzo1, Giovanni Pintabona1, Vittorio Candela2,
Stefano Gumina2, Riccardo Savastano3, Valter Santilli1
Unità di Medicina Fisica e Riabilitativa, Università degli studi di Roma La Sapienza, Roma, Italia1
Dipartimento di Ortopedia e Traumatologia, Unità spalla e gomito, Università
degli studi di Roma La Sapienza, Roma, Italia2
Ospedale San Giovanni di Dio Ruggi D’Aragona, Università degli studi di Salerno, Salerno, Italia3
Introduzione: Scopo del nostro studio è stato quello di valutare
la diversa progressione dei ROM articolari in pazienti sottoposti a
riparazione artroscopica di cuffia dei rotatori, e analizzare l’entità del
miglioramento dei ROM dal periodo pre a quello post-operatorio,
tenendo in considerazione le diverse dimensioni delle lesioni.
Materiali e metodi: 92 pazienti con diagnosi di rottura di cuffia
sono stati divisi in tre gruppi: gruppo A (lesioni piccole), gruppo B
(lesioni medie) e gruppo C (lesioni massive riparabili) di 29, 31 e 32
pazienti, rispettivamente. I ROM articolari in flessione, abduzione,
rotazione interna ed esterna sono stati misurati prima dell’intervento (T0) e dopo 45 (T1), 70 (T2) e 100 giorni (T3) dal trattamento
artroscopico.
Risultati: Nelle lesioni piccole (Gruppo A) tutti i parametri, da T0
a T3, risultano migliorati in modo statisticamente significativo; allo
stesso modo nelle lesioni medie (Gruppo B) tutti i parametri sono
migliorati, ad eccezione della flessione; nelle lesioni massive riparabili
solo i parametri di rotazione interna ed esterna risultano migliorati
nel tempo in modo statisticamente significativo.
Conclusioni: Sebbene la tecnica chirurgica sia un elemento importante, il protocollo riabilitativo post-operatorio svolge un ruolo considerevole nelle lesioni di cuffia. Le informazioni relative alle differenti possibilità di recupero dei ROM nei diversi tipi di lesioni sono
fondamentali non solo per i chirurghi ortopedici e i medici fisiatri,
ma soprattutto per i pazienti, che avranno una maggiore consapevolezza delle loro possibilità di recupero.
Bibliografia
1.
2.
3.
Anderson K, Boothby M, Aschenbrener D, van Holsbeeck M. Outcome and
structural integrity after arthroscopic rotator cuff repair using 2 rows of fixation: minimum 2-year follow-up. Am J Sports Med 2006;34:1899–1905.
Chang KV, Hung CY, Han DS, Chen WS, Wang TG, Chien KL. Early Versus Delayed Passive Range of Motion Exercise for Arthroscopic Rotator Cuff
Repair: A Meta-analysis of Randomized Controlled Trials. Am J Sports Med
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Saraswat MK, Styles-Tripp F, Beaupre LA, Luciak-Corea C, Otto D, Lalani A
et al. Functional Outcomes and Health-Related Quality of Life After Surgical
Repair of Full-Thickness Rotator Cuff Tears Using a Mini-Open Technique: A
Concise 10-Year Follow-up of a Previous Report Am J Sports Med 2015 pii:
0363546515602017.
087
RISULTATI FINALI DEI TRATTAMENTI
EFFETTUATI CON ONDE D’URTO ESEGUITI
SU PAZIENTI CON PATOLOGIA TENDINEA
IN ASSOCIAZIONE E NON A SPECIFICA
INTEGRAZIONE ALIMENTARE (EUTEND)
Franco Franzè1, Roberta La Fauci2, De Roberto Salvatore2,
Giancarlo Rando2
SOC RRF, Ospedale, Alba Italia1
SOC RRF, Ospedale, Alba Italia2
Introduzione. I tendini permettono di trasmettere, distribuire e
graduare le sollecitazioni che le attività muscolari esercitano sull’ap-
Vol. 30 - N. 2/3 - GIORNALE ITALIANO DI MEDICINA RIABILITATIVA - MR
89
44° CONGRESSO NAZIONALE SIMFER
parato scheletrico. Essi sono però delle strutture vulnerabili ad
insulti di tipo traumatico, soprattutto se l’organismo è in carenza
di microelementi essenziali per il loro funzionamento. L’apporto
di tali sostanze è necessario alla prevenzione e al trattamento dei
danni tendinei associati all’attività muscolare. La ricerca scientifica ha evidenziato la struttura dei tendini nei suoi microelementi
essenziali, i cui costituenti sono: Metilsulfonilmetano, L-Ornitina
alfa-chetoglutarato, Biotina , Vitamina C, L-Lisina, Glucosamina e
Condroitinsolfato.
Materiali e metodi. Nel corso del 2015 sono stati selezionati, previa visita fisiatrica, altri 36 pazienti, a completamento dello studio
preliminare gia’ presentato , per un totale di 72 pazienti, suddivisi
in due gruppi.
Il 1° gruppo costituito da:
n° 12 pazienti con diagnosi di patologia degenerativa della cuffia
n° 12 pazienti con diagnosi di epicondilite
n° 12 pazienti con tendinite calcifica del sovra spinoso
Il 2° gruppo costituito da:
n° 12 pazienti con diagnosi di patologia degenerativa della cuffia
n° 12 pazienti con diagnosi di epicondilite
n° 12 pazienti con tendinite calcifica del sovra spinoso
Il trattamento riabilitativo eseguito è stato diversificato nei due
gruppi.
Trattamento dei pazienti del 1° gruppo: Onde d’urto: N 3 sedute con cadenza settimanale (mmJ/mm² 0,15–0,20; 1000 colpi
a seduta) + integrazione con Metilsulfonilmetano, L-Ornitina alfachetoglutarato, Biotina, Vitamina C, L-Lisina, Glucosamina e Condroitinsolfato (1 BUSTINA/DIE PER 40 GIORNI).
Trattamento dei pazienti del 2° gruppo: Onde d’urto: N 3 sedute
con cadenza settimanale (mmJ/mm² 0,15–0,20; 1000 colpi a seduta). Assenza di integrazione alimentare tendino-specifica. I controlli
fisiatrici relativi ai due gruppi di pazienti, con compilazione della
scala VAS (visual analogue scale), sono stati effettuati dopo 45 giorni; dopo tre mesi ed ai sei mesi
Risultati. In seguito all’esecuzione dei controlli periodici sui due
gruppi oggetto dello studio è emerso come nella maggior parte dei
pazienti del primo gruppo ci sia stata una riduzione della sintomatologia algica associata alla tendinopatia (vedasi grafico allegato). N
5 pazienti del gruppo 1 non hanno avuto miglioramenti al controllo
finale (VAS). N 9 pazienti del gruppo 2 non hanno avuto miglioramenti al controllo finale (VAS). Nessuna reazione avversa è stata
riscontrata
Conclusioni. L’associazione di un’integrazione tendino-specifica al
trattamento con onde d’urto in pazienti con patologia tendinea può
aumentare l’efficienza dei risultati ottenuti con riduzione significativa della sintomatologia dolorosa nei soggetti trattati.
088
LA RIABILITAZIONE TECNOLOGICOROBOTICA DELL’ARTO SUPERIORE
IN PAZIENTI CON ESITI DI STROKE
IN FASE SUBACUTA MEDIANTE UN
SET DI DISPOSITIVI ROBOTICI ED
ELETTROMECCANICI: STUDIO PILOTA
Irene Aprile1, Marco Germanotta1, Arianna Cruciani1,
Cristiano Pecchioli1, Pietro Spinelli2, Simona Loreti3, Luca
Padua4
Fondazione Don Carlo Gnocchi ONLUS, Centro SM della Provvidenza, Roma,
Italia1
Fondazione Don Carlo Gnocchi ONLUS, Centro SM della Pace, Roma, Italia2
Sapienza - Università di Roma, Ospedale Sant’Andrea - Unità di Medicina Fisica
e Riabilitativa, Roma, Italia3
Fondazione Policlinico Gemelli - Università Cattolica del Sacro Cuore, Dipartimento di Neuroscienze, Roma, Italia4
90
Introduzione. Lo stroke è la prima causa di disabilità nel mondo e
l’innalzamento della popolazione anziana sta producendo un ulteriore
incremento del numero di persone che richiedono un percorso di riabilitazione in seguito ad ictus. Nel 85% dei casi il recupero è parziale,
mentre nel 35% dei casi i pazienti mostrano una severa disabilità. I
programmi riabilitativi sono focalizzati principalmente sul recupero
del cammino e non viene posta sufficientemente attenzione al recupero dell’arto superiore [1]. La terapia robotica è stata proposta come un
valido approccio per la riabilitazione dell’arto superiore [2] ma, tranne
alcuni casi, i dispositivi agiscono su un numero limitato di articolazioni, spesso vincolando i movimenti ad un piano. Durante la terapia
convenzionale, invece, l’arto viene trattato in modo globale e lo spazio
di lavoro è tridimensionale. Sulla base di quanto detto, è difficile confrontare gli effetti dei due diversi approcci (convenzionale e robotico).
Pertanto, il nostro studio ha come scopo quello di confrontare i due
approcci, utilizzando un set di sistemi robotici e tecnologici, agenti
su articolazioni e piani diversi, nel riabilitazione dell’arto superiore in
pazienti con esiti di stroke.
Materiali e metodi. Nello studio sono stati arruolati 30 pazienti. Criteri di inclusione: diagnosi di stroke unilaterale emiparetico, definito
clinicamente, con esclusione radiologica di altre possibili diagnosi;
onset non superiore ai 6 mesi; età > 18 anni. Criteri di esclusione: problemi visivi tali da rendere difficoltoso l’utilizzo del monitor; problemi
ortopedici tali da limitare i ROM articolari a livello dell’arto superiore.
I pazienti sono stati quindi assegnati ad uno dei due diversi gruppi: il
gruppo sperimentale (GS) ed il gruppo convenzionale (GC). I pazienti del GS hanno eseguito terapia robotica per l’arto superiore, comprendente l’esecuzione di traiettorie planari (MOTORE, Humanware, Italy), training specifico per la mano (AMADEO, Tyromotion
GmbH, Austria) e training assistito bimanuale per la mano, il polso,
il gomito (PABLO, Tyromotion) e la spalla (DIEGO, Tyromotion).
Ciascuna sessione aveva una durata di 45 minuti. Nel GS, un singolo
terapista trattava due pazienti. Inoltre, i pazienti sono stati sottoposti
a 45 minuti aggiuntivi di terapia convenzionale focalizzata sull’equilibrio, il cammino e la stimolazione sensorimotoria della gamba paretica. I pazienti del CG hanno invece ricevuto un trattamento convenzionale mirato alla riabilitazione dell’arto superiore paretico (mediante
task di reaching funzionali, stretching passivo e guidato, esercizi di
propriocezione), dell’equilibrio e del cammino. Nel GC un singolo
terapista trattava un solo paziente ed una seduta durava 70 minuti. Per
entrambi i gruppi, il trattamento ha avuto una durata di 6 settimane
(5 sedute a settimana). Tutti i pazienti sono stati valutati prima (T0) e
dopo il trattamento (T1) mediante le seguenti scale cliniche: Barthel
Index (BI), Deambulation Index (DI), Fugl Meyer (FM), Ashworth
Scale (AS, spalla, gomito e polso) e Motricity Index (MI, spalla, gomito e mano). L’analisi within- group è stata effettuata, mediante test
di Wilcoxon, per valutare gli effetti di ciascun trattamento, mentre
l’analisi between-group è stata eseguita sui gradienti (T1 -T0) è stata
eseguita per confrontare gli effetti dei due trattamenti. Per tutti i test,
è stato considerato significativo un valore di 0.05.
Risultati. Il confronto tra i due gruppi a T0 non ha evidenziato
differenze significative. L’analisi within- group ha mostrato che i pazienti del GC sono migliorati nel BI (p=0.005) e nel DI (p=0.046).
I pazienti del GS, invece, hanno evidenziato miglioramenti nel BI
(p=0.001), DI (p=0.001), FM (p=0.013) e nel MI (gomito: p=0.004;
mano: p=0.017). L’analisi between group ha infine evidenziato che
il GS ha ottenuto un più netto miglioramento nel BI (p=0.014),
DI (p=0.0001), FM (p=0.013) e nel MI (gomito: p=0.015; mano:
p=0.043), rispetto al GC.
Conclusioni. L’associazione sinergica della terapia robot-mediata con
la riabilitazione convenzionale nei pazienti con esiti di stroke in fase
subacuta ha migliorato in maniera significativa la funzione motoria
dell’arto superiore (come evidenziato dal miglioramento della FM)
così come le ADL ed il cammino (come evidenziato dal miglioramento del BI e del DI). È da notare che tale miglioramento è superiore nel
gruppo sperimentale. Il set di dispositivi tecnologico/robotici, inter-
Vol. 30 - N. 2/3 - GIORNALE ITALIANO DI MEDICINA RIABILITATIVA - MR
44° CONGRESSO NAZIONALE SIMFER
faccia tra il paziente ed il terapista, in aggiunta alla terapia convenzionale, potrebbe facilitare il recupero globale dell’arto superiore. I dati
ottenuti in questo lavoro hanno posto le basi per l’avvio di uno studio
multicentrico interno alla Fondazione Don Gnocchi, che coinvolgerà
11 centri ed avrà lo scopo di confrontare i due trattamenti su un campione più ampio (344 pazienti, suddivisi nei due trattamenti).
Bibliografia.
1.
2.
Kwakkel et al, Stroke, 2003;34(9):2181-2186
Norouzi-Gheidari, et al, J Rehabil Res Dev. 2012;49(4):479-96.
Conclusioni. I risultati fino a qui ottenuti mostrano un miglioramento degli outcome funzionali in pazienti sottoposti a artroprotesi
d’anca che hanno seguito il percorso diagnostico terapeutico proposto nel presente studio, composto da una valutazione modllistica del
braccio di leva abduttorio e da un programma riabilitativo specifico
per il rinforzo del comparto abduttorio dell’anca. Di particolare interesse è il risultato che mostra una inversa relazione tra la forza della
muscolatura abduttoria dell’anca e la variazione post-operatoria della
lunghezza del braccio di leva abduttorio.
Bibliografia.
1.
089
OTTIMIZZAZIONE DEL RECUPERO
FUNZIONALE IN PAZIENTI CON DISPLASIA
CONGENITA DELL’ANCA : UN PERCORSO
INNOVATIVO PER LA RICOSTRUZIONE
ARTICOLARE E LA RIABILITAZIONE
Maria Grazia Benedetti , Lorenzo Cavazzuti , Marilina
Amabile2, Silvia Bonfiglioli Stagni1, Fulvia Taddei3,
Giordano Valente3
1
1
Istituto Ortopedico Rizzoli, Medicina fisica e riabilitativa, Bologna, Italia1
Istituto Ortopedico Rizzoli, Ortopedia-Traumatologia e Chirurgia protesica e dei
reimpianti d’anca e di ginocchio, Bologna, Italia2
Istituto Ortopedico Rizzoli, Laboratorio di Tecnologia medica, Bologna, Italia3
Introduzione. Nei pazienti con grave Displasia Congenita dell’Anca
(DCA), la dislocazione cronica dell’articolazione induce il rimodellamento dei tessuti molli con contrattura e atrofia muscolare, in particolare dei muscoli abduttori dell’anca, esitando in persistenza dopo la
protesizzazione della zoppia, dolore con disabilità, ridotta capacità lavorativa e qualità della vita (1). L’obiettivo del presente studio è quello
di verificare quanto un corretto posizionamento protesico attraverso
tecnologie di modellazione scheletrica 3D e un’adeguata riabilitazione
possano essere vantaggiosi per l’ottimizzazione dell’outcome funzionale dei pazienti con DCA.
Materiali e metodi. Lo studio prevede due branche di lavoro: una
branca metodologica per lo sviluppo del software per il calcolo dell’efficienza muscolare, che verrà inserito nel sistema di planning HipOp© (2), già sviluppato presso lo IOR; una branca clinica, con utilizzazione del software sviluppato nell’ambito di uno studio clinico
randomizzato multicentrico. Cinquanta pazienti con DCA sono stati
randomizzati per un planning chirurgico semplice o un planning chirurgico avanzato con studio muscolare. Questi ultimi hanno seguito
un percorso riabilitativo personalizzato per la funzionalià della muscolatura abduttoria dell’anca. Tutti i pazienti sono stati valutati prima
dell’intervento (T0), a 3 mesi (T1) e a 6 mesi (T2) post intervento,
utilizzando outcome di valutazione clinici (WOMAC, HHS, ROM,
MMT, SF12, 10mt WT) e strumentali (dinamomentro per la misura
della forza muscolare). Sono stati inoltre raccolti parametri muscoloscheletrici pre- e post-operatiori (i.e. Dismetria, lunghezza della muscolatura abduttoria dell’anca, lunghezza dei bracci di leva) attraverso
l’utilizzo del software Hip-Op© modificato.
Risultati. Il test One Way ANOVA riguardante le misure del ROM
ha mostrato un miglioramento significativo a T2 per i pazienti inclusi nel gruppo sperimentale, così come per i punteggi di WOMAC,
HHS e SF12. L’analisi della forza muscolare del comparto abduttorio,
rilevata tramite dinamometro, ha mostrato una differenza significativa
tra i due gruppi al T2 (p<0.009).
L’analisi condotta tramite la correlazione a ranghi di Spearman ha mostrato una correlazione significatica nei valori pre- e post-operatori tra
lunghezza del braccio di leva abduttorio(mm) e forza muscolare del
comparto abduttorio al T2 (ρ = -0.55 pre-op and ρ = -0.51 post-op,
p p<0.012 and p<0.02 rispettivamente) e tra la variazione della lunghezza degli arti pre- e post-operatoria (mm) e la forza muscolare del
comparto abduttorio (ρ = -0.55, p p<0.013).
2.
Reikerås O, Haaland JE, Lereim P. Femoral shortening in total hip arthroplasty
for high developmental dysplasia of the hip. Clin Orthop Relat Res. 2010 Jul;
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2002 Jun;27(2):71-83.
090
DISFAGIE SEVERE DA LESIONI PERIFERICHE
POSTCHIRURGICHE DEI NERVI CRANICI:
ESPERIENZA DI TRATTAMENTO
RIABILITATIVO COMBINATO CON
ELETTROSTIMOLAZIONE
Marco Andreoli1, Maria Grazia Cattaneo1, Mariuccia
Franzoni1, Elena Berta1
ASST-Valcamonica, Esine, Esine, Italia1
Introduzione. La disfagia si configura come un’importante causa di
disabilità e predispone a severe complicanze (1). Dal 2002 sono in
commercio elettrostimolatori (NMES) dedicati per la riabilitazione
neuromotoria della disfagia (23). Tali metodiche sono indicate nelle
lesioni centrali del SNC ma non trovano indicazione nelle lesioni
del nervo periferico. Presentiamo due pazienti affetti da disfagia severa da lesioni periferiche postchirurgiche dei nervi cranici IX, X,
XI e XII di sinistra.
Materiali e metodi. La prima paziente era una donna di 77 anni
operata nel 2011 per paraganglioma vagale, veniva presa in carico
nel 2013. Il secondo paziente era un maschio di 46 anni operato nel
2013 per schwannoma del XI n.c. e veniva preso in carico nel 2014.
Entrambi avevano eseguito altri tentativi riabilitativi. A 18 mesi dalla lesione presentavano disfagia severa (Scala DOSS 1). La prima
paziente tentava di alimentarsi per os (rifiuto della PEG) lamentando tutte le complicanze del caso. Il secondo paziente era portatore di
PEG e lamentava difficile gestione della NET. Entrambi i pazienti
presentavano incapacità nella gestione delle secrezioni salivari con
infarcimento salivare in tutto il faringe e completa insensibilità, ipomobilità linguale con ipotrofia a sinistra e alterata sensibilità, assenza
del riflesso palatino di sinistra e iporeflessia a destro; voce disfonica con corda vocale sinistra abdotta fissa; vi era presenza di pompa
glossofaringea inefficace, destrutturazione della normale peristalsi;
assenza di escursione iolaringea, respirazione costale superiore con
incoordinazione pneumofonica, tosse ipovalida e continua. Si impostava trattamento riabilitativo standard associando da subito l’elettrostimolatore VitalStim. Il trattamento combinato è stato condotto
per 5 giorni/settimana per 30 minuti*2 volte/die per 8 settimane
in regime di ricovero utilizzando una cronassia iniziale di 100 mcs
gradualmente aumentata fino a 300 mcs. L’intensità della corrente e
la posizione degli elettrodi sono state modificate secondo andamento clinico. I pazienti hanno proseguito poi l’elettrostimolazione a
domicilio per altre 10 settimane.
Risultati. Le prime 4 settimane di trattamento sono state cruciali
per decidere se proseguire o meno l’elettrostimolazione: come definito dalla Letteratura, la NMES è inutile se il nervo periferico è
Vol. 30 - N. 2/3 - GIORNALE ITALIANO DI MEDICINA RIABILITATIVA - MR
91
44° CONGRESSO NAZIONALE SIMFER
completamente lesionato. La nostra speranza era in realtà che alcuni
fasci nervosi fossero stati risparmiati dal danno chirurgico e si trovassero in uno stato di stupor o di ibernazione da inutilizzo. Sulla
base di queste premesse sono state utilizzate posizioni di elettrodi
non convenzionali asimmetriche puntando la nostra attenzione sulla
parte lesionata del collo. Tuttavia era chiaro che gli unici risultati
positivi ottenuti erano secondari alle strategie di compenso apprese:
il contributo dell’elettrostimolazione, se presente, risultava minimale. Abbiamo deciso quindi di cambiare la strategia riabilitativa
e concentrarci sulla parte sana del collo. C’era infatti una domanda
fondamentale che non ci eravamo mai posti: perché nonostante tutto, la parte sana era completamente incoordinata e non funzionale?
Abbiamo quindi deciso che la parte destra in realtà non era sana e
siamo tornati a posizioni degli elettrodi simmetriche sopra e sotto
ioidee. Come risultato del lavoro globale impostato, siamo riusciti
a togliere il SNG alla prima paziente e la PEG al secondo dopo 8
settimane dalla dimissione. I pazienti proseguono follow-up ed attualmente a 24 mesi la prima paziente presenta una Scala DOSS 4
mentre il secondo paziente a 14 mesi una Scala DOSS di 5.
Conclusioni. L’elettrostimolazione è stata fondamentale per impostare un adeguato trattamento riabilitativo. Come previsto il risultato positivo della metodica non è stato dovuto al lavoro diretto sulla
parte lesionata ma sulla parte presunta sana. Riteniamo che il danno
acuto abbia sbilanciato l’organizzazione periferica determinando anche una riorganizzazione centrale patologica. Nel successivo periodo
post-lesionale, la mancanza di un trattamento mirato ed intensivo
non ha permesso una ripresa funzionale. Come definito già dalla
Letteratura (2,3), l’associazione tra metodiche riabilitative standard
ed elettrostimolazione ha permesso di riorganizzare l’atto deglutitorio attraverso effetti periferici (forza e reclutamento muscolare) e
effetti centrali (riorganizzazione cerebrale).
Bibliografia
1.
Daniels SK et al. Aspiration in patients with acute stroke. Arch Phys Med Rehabil, 1998,79(1):1419
Shaw GY et al. Transcutaneous neuromuscular electrical stimulation (Vitalstim) curative therapy for severe dysphagia: myth or reality? Ann Otol Rhinol
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Huckabee ML, Doeltgen S. Emerging modalities in dysphagia rehabilitation:
neuromuscular electrical stimulation. N Z Med J, 2007,120(1263):U2744
2.
3.
091
DISFAGIA, RESPIRAZIONE, STIMOLAZIONI
PRESSORIE ED ELETTROSTIMOLAZIONE:
ALCUNE ESPERIENZE A ESINE
Marco Andreoli1, Maria Grazia Cattaneo1, Mariuccia
Franzoni1, Elena Berta1
ASST-Valcamonica, Esine, Esine, Italia1
Introduzione. La coordinazione tra deglutizione e respirazione è
l’elemento essenziale per la protezione delle vie aeree durante l’alimentazione poiché ha un ruolo fondamentale nella prevenzione
dell’aspirazione di materiale estraneo. In situazione fisiologica il
93% delle deglutizioni, associate ad una breve apnea, vengono sia
precedute che seguite dall’espirazione; questo meccanismo è permesso da una situazione di “active breath holding” da parte del
muscolo diaframma, associato all’attività della muscolatura addominale profonda (1, 2).
Materiali e metodi. Presentiamo due pazienti con disfagia severa
(DOSS 1) in lesioni neurologiche centrali: il primo è un ragazzo di
14 anni in esiti di asportazione di astrocitoma del verme cerebellare con successivo sanguinamento a livello del tronco encefalico;
la seconda è una donna di 51 anni in esiti di emorragia cerebrale
sinistra. Il primo paziente è stato preso in carico da noi ad un anno
92
dalla lesione, la seconda a 6 mesi: entrambi avevano già eseguito
trattamento specialistico in altre sedi. Ambedue sono stati trattati
con terapia respiratoria, logopedica ed elettrostimolazione con VitalStim per 2 volte/die per 5 giorni/settimana per 5 settimane. In
entrambi i casi l’esame obiettivo evidenziava ipovalidità diaframmatica, assenza di controllo della core stability, incoordinazione
respiratoria, atteggiamento inspiratorio patologico, incapacità a
mantenere l’apnea e pattern inspiratorio post-deglutitorio, tosse
ipovalida inefficace e scarso volume di riserva inspiratoria polmonare. Alla FEES nel primo caso le corde vocali erano fortemente
addotte ed ipomobili, mentre nel secondo la corda vocale destra
era addotta e fissa con scarso compenso della controlaterale. Entrambi presentavano seni piriformi occupati da materiale salivare,
scolo di saliva che provoca tosse per penetrazione costante ed l’epiglottide fissa. Alla prova di deglutizione vi era un pattern inspirioinspirio con importante scolo predeglutitorio ed innesco linguale
rallentato, ristagno nei seni piriformi e penetrazione con aspirazione. Collaborazione ed attenzione perfette. Il trattamento fisioterapico si è focalizzato sulla consapevolezza dei deficit coordinatori,
sulla percezione dell’attività respiratoria, sul controllo dell’apnea,
sull’attività diaframmatica e sull’attivazione della muscolatura addominale profonda e del centro frenico. Il trattamento gold standard logopedico, finalizzato alla coordinazione e miglioramento
dell’atto deglutitorio, è stato eseguito in combinazione all’elettrostimolazione di superficie della muscolatura sopra e sottoioidea
(sistema VitalStim, frequenza 80 Hz, cronassia da 100 mcs a 300
mcs) ed al sistema a biofeedback pressorio IOPI Medical. Inoltre,
il trattamento globale è stato eseguito coordinando l’attività logopedica all’attività fisioterapica e promuovendo il lavoro in team.
Risultati. Alla fine della prima fase di trattamento, i pazienti
presentano miglioramento nel controllo posturale assiale, nell’attivazione del muscolo trasverso dell’addome, nel reclutamento
diaframmatico e dei muscoli intercostali e riduzione dell’atteggiamento inspiratorio della gabbia toracica; possono effettuare atti
deglutitori funzionali in associazione all’apnea intradeglutitoria
(DOSS 2/3); le deglutizioni sono meno faticose e più sicure grazie
alla coordinazione della muscolatura intrinseca senza sovraccarico
di quella estrinseca del collo, delle spalle e del tronco superiore.
Il pattern respiratorio acquisito si è modificato in inspirio-apneaespirio; le corde vocali del primo paziente si presentano più mobili
mentre la corda vocale sana della seconda paziente ha aumentato
la capacità compensativa; la sensibilità faringoepiglottica è migliorata e l’epiglottide risulta più mobile.
Conclusioni. Come già definito dalla Letteratura, non vi può essere una deglutizione sicura senza un’adeguata coordinazione respiratoria. Come succede in molti casi di disfagia, un adeguato
pattern respiratorio può essere compromesso sia per danno diretto
al centro del respiro o per insorgenza di grave disfagia o per modificazioni dello stato di coscienza/attenzione (1, 2). Nel paziente
disfagico la scelta di affiancare al logopedista un fisioterapista dedicato alla riabilitazione respiratoria con anche sovrapposizioni di
competenze sta fornendo alla nostra équipe buoni ed incoraggianti Risultati. Inoltre l’associazione dell’elettrostimolatore VitalStim
oltre che apportare effetti benefici sulla muscolatura periferica è
stato decisivo per migliorare la sensibilità e la consapevolezza del
danno a livello centrale (3).
Bibliografia
1.
2.
3.
Hilmi U. et Al. The interaction between breathing and swallowing in healthy
individuals. J Electromyogr Kinesiol 2013 Jun; 23(3):65963
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Ruth E. Martin. Neuroplasticity and Swallowing. Dysphagia (2009) 24:218–
229
Vol. 30 - N. 2/3 - GIORNALE ITALIANO DI MEDICINA RIABILITATIVA - MR
44° CONGRESSO NAZIONALE SIMFER
092
IL PROTOCOLLO ANDREOLI/FRANZONI
PER IL TRATTAMENTO RIABILITATIVO
COMBINATO DELLA DISFAGIA CON
ELETTROSTIMOLAZIONE
Marco Andreoli1, Maria Grazia Cattaneo1, Mariuccia
Franzoni1, Elena Berta1
ASST-Valcamonica, Esine, Esine, Italia1
Introduzione. La stimolazione elettrica utilizzata nella disfagia è la
NMES; essa aiuta a rafforzare i muscoli, a promuovere e controllare
il movimento, ad aumenta l’input sensoriale ed a favorire la plasticità neurale (1). VitalStim è il nome commerciale dell’elettrostimolatore più utilizzato.
Materiali e metodi. Il protocollo VitalStim originale prevede una
stimolazione motoria per creare un incremento dell’attività muscolare attraverso la facilitazione. La corrente, che fluisce attraverso due
elettrodi di superficie, incontra i nervi sottostanti e causa la loro depolarizzazione: se vengono depolarizzati neuroni sensitivi promuoverà una stimolazione sensoriale, se vengono stimolati quelli motori
causerà contrazione muscolare. VitalStim produce un’onda elettrica
rettangolare, bifasica, discontinua, simmetrica e compensata con
delle durate di fase di 300 mcs intervallate da 100 mcs di pausa
(durata totale per singolo impulso di 700 mcs). La frequenza di stimolazione prodotta è di 80 Hz. La durata di fase prodotta dall’elettrostimolatore si chiama anche cronassia: essa esprime la durata ottimale per depolarizzare in modo efficace il neurone. Sappiamo che
le fibre A beta (fibre larghe deputate alla trasmissione del tatto, della
vibrazione e della propriocezione) reagiscono a valori di circa 100
mcs, le fibre A alfa grandi (innervazione delle fibre muscolari veloci
di tipo II) a valori di 100-200 mcs mentre le A alfa piccole (innervazione delle fibre muscolari lente di tipo I) a valori di 250-350 mcs:
l’obiettivo è reclutare i neuroni motori di tipo A alfa. Il trattamento
minimo efficace è di 60 minuti di stimolazione al giorno ma non è
chiaro per quanti giorni alla settimana o quanto a lungo (2).
Risultati. Il protocollo Andreoli/Franzoni è stato studiato per uniformare e ottimizzare le attuali conoscenze scientifiche. Esso prevede
una stimolazione sensorimotoria con il razionale di promuovere l’allenamento, la forza, la resistenza muscolare e favorire la neuroplasticità cerebrale. In una scala di intensità di percezione del movimento
(1 corrisponde a lieve sensazione di formicolio e 5 a contrazione
potente e dolorosa) il nostro target è il livello 3: tutte le fibre muscolari stimolate sono in contrazione sincrona ma non producono forza
significativa. Questo significa che è necessario un ulteriore stimolo
fornito dal paziente per ottenere il movimento muscolare: attraverso la cognizione dettata dall’attivazione neuromuscolare il paziente
idealizza le strutture periferiche e pianifica il movimento attivo. La
Fisiologia ci informa inoltre che, affinché un lavoro determini allenamento muscolare, è necessario che l’attività sia condotta per più
di 20-25 minuti: in questo caso il muscolo è sollecitato alle modificazioni strutturali che portano all’incremento della forza e della resistenza. Per questo motivo il protocollo Andreoli/Franzoni prevede
un tempo di terapia di 30 minuti per 2 volte al giorno per 5 giorni
alla settimana: si ottengono gli effetti benefici dell’allenamento muscolare e si rispetta il tempo minimo efficace di stimolazione fornito
dalla Letteratura. Per quanto riguarda la cronassia, essa è decisa in
relazione al deficit: se il problema è sensitivo si inizia con valori bassi
(100-160 mcs), se è motorio si usano valori più alti (200-300 mcs)
mentre se il problema è misto si parte da valori bassi aumentandoli
gradualmente. Anche la posizione degli elettrodi dipende dal danno:
se il problema è alto (spinta o tenuta linguale) è privilegiata la posizione orizzontale simmetrica sopra e sottoioidea; se invece è compromessa la peristalsi faringea si utilizzano in posizione simmetrica
sottoioidea o a cavallo dell’osso ioide. Quando i deficit sono associati
si inizia con la posizione orizzontale per poi passare dopo 4 settimane a quella verticale. Il protocollo prevede anche un tempo minimo
di stimolazione di 4 settimane prima di dichiarare il trattamento
inefficace. La durata del trattamento è invece variabile: nei casi più
gravi non dura meno di 8-10 settimane e può essere protratta fino a
9-12 mesi. Comunque, i trattamenti con l’elettrostimolazione sono
eseguiti sempre in combinazione al trattamento logopedico: questo
permette di ottenere un risultato evolutivo migliore legato alla sinergia dei processi riabilitativi.
Conclusioni. Finora abbiamo trattato 54 pazienti affetti da disfagia
in diverse patologie (MP, SM, SLA, GCLA, Ictus cerebri, esiti di RT
o lesioni periferiche dei nervi cranici) e ad oggi il nostro protocollo
è stato applicato a tutti i casi con buona tolleranza e favorevoli risultati; nei casi più gravi o insoliti il protocollo è stato adattato ma
sempre entro i concetti sopra esposti.
Bibliografia
1.
2.
Ruth E. Martin. Neuroplasticity and Swallowing. Dysphagia (2009) 24:218–
229
Xia W. Et Al. Treatment of post-stroke dysphagia by vitalstim therapy coupled
with conventional swallowing training. J Huazhong Univ Sci Technolog Med
Sci. 2011 Feb;31(1):736
093
LE NUOVE FRONTIERE DEL TRATTAMENTO
RIABILITATIVO COMBINATO DELLA DISFAGIA
Marco Andreoli1, Maria Grazia Cattaneo1, Mariuccia
Franzoni1, Elena Berta1
ASST-Valcamonica, Esine, Esine, Italia1
Introduzione. Attraverso la neuroplasticità il SNC è in grado di
rimodellarsi per tutta la vita in risposta alle esperienze alle quali è
sottoposto. Il punto di partenza essenziale per favorire il nascere e
l’evolversi della neuroplasticità è l’apprendimento; esso è definibile
come l’insieme di cambiamenti permanenti prodotti dall’esperienza
grazie alle interazioni tra l’ambiente esterno ed il sistema sensorimotorio e mnesico. Come risultato finale si ottengono le modificazioni
fisiche del SNC.
Materiali e metodi. Gli interventi esterni che possono guidare la
deglutizione e/o la neuroplasticità orale sono classificabili in non
comportamentali (stimolazione elettrica periferica intra o extrafaringea, stimolazione sensoriale non periferica, stimolazione magnetica o elettrica transcranica) o comportamentali (attivazione
linguale a lunga o breve durata). Le prime e le seconde possano
essere combinate in modo da massimizzare i cambiamenti neuroplastici associati ad ogni esperienza presa individualmente (1).
Gli interventi non comportamentali possono quindi essere usati
in combinazione con gli approcci comportamentali con lo scopo
di potenziare gli effetti neuromodulatori degli stessi. Attualmente
esistono due sistemi di stimolazione elettrica faringea. Il primo
sistema prevede l’utilizzo di un elettrodo stimolante posizionato
per via nasale direttamente in ipofaringe: ha la caratteristica di
stimolare con un’onda positiva in modalità sensitiva con frequenza di 5 Hz. Il secondo sistema utilizza elettrodi di superficie che
possono essere posizionati a livello sopra e/o sottoioideo. Vi sono
diversi elettrostimolatori ma il più diffuso, utilizzato e con discreta
letteratura (2) è il Sistema VitalStim. Esso produce un’onda elettrica rettangolare, bifasica, discontinua, simmetrica e compensata.
Lavora con frequenza fissa di 80 Hz calibrata per reclutare in modo
ottimale le fibre muscolari di tipo IIa poiché il 70% delle fibre muscolari della muscolatura ioidea è composto da tale tipo di fibra.
Inoltre consente di modificare la cronassia (durata di fase) da 100
a 300 mcs in modo da permettere un reclutamento semi selettivo
delle fibre nervose: dalle più grandi (neuroni A alfa) a quelle di
Vol. 30 - N. 2/3 - GIORNALE ITALIANO DI MEDICINA RIABILITATIVA - MR
93
44° CONGRESSO NAZIONALE SIMFER
medie dimensioni (neuroni e A beta e gamma). Questo fatto giustifica la possibilità di utilizzarlo in modalità sensitiva, motoria o
sensorimotoria. La stimolazione centrale si avvale o della stimolazione magnetica transcranica (rTMS) o della stimolazione elettrica
transcranica a corrente continua (tDCS). La rTMS utilizzata a 1
Hz ha mostrato di promuovere l’eccitabilità corticale dell’emisfero lesionato e di diminuire della dell’emisfero sano; utilizzata a 3
Hz invece ha promosso il solo aumento dell’emisfero malato (3);
ancora, una stimolazione a 5Hz ha prodotto benefici sul lato sano.
La tDCS si pratica con due elettrodi applicati sul cuoio cappelluto:
l’anodo ed il catodo; le evidenze mostrano che l’anodo applicato
sul lato affetto stimola la ripresa funzionale della corteccia motoria. Risultati: La nuova frontiera della Comunità scientifica che
si occupa di disfagia e nuove metodiche riabilitative è in realtà
la valutazione dell’efficacia degli stimoli combinati: associare cioè
la stimolazione elettrica sensitiva periferica alla stimolazione transcranica nello stesso paziente. Sono già apparsi alcuni lavori che
incoraggiamo la ricerca scientifica in tale senso. Si sta aggiungendo
poi negli ultimi anni anche il ruolo sempre più predominante del
biofeedback attraverso l’elettromiografia di superficie per consapevolizzare il paziente ed incitarlo nell’allenamento dei muscoli
sopra e sottoioidei. Vi è infine un’ulteriore strumento riabilitativo
che rientra a pieno titolo nella categoria degli stimolatori periferici
anche se non si tratta di un elettrostimolatore: esso è un sistema
a biofeedback pressorio, detto IOPI Medical, che grazie a delle
luci progressive sul display permette di consapevolizzare il paziente
mentre comprime il palloncino barometro tra la lingua ed il palato
duro.
Conclusioni. Possiamo concludere quindi che negli ultimi 10-12
anni le possibilità riabilitative dei pazienti disfagici si sono notevolmente arricchite. La fortuna di aver lavorato per più di 40 anni solo
con tecniche riabilitative manuali e posture di compenso ha permesso di standardizzare il trattamento. Ora la possibilità di creare una
sinergia tra l’esercizio attivo e la stimolazione nervosa si configura
come la nuova sfida nel paziente disfagico.
Bibliografia
1.
Ruth E. Martin. Neuroplasticity and Swallowing. Dysphagia (2009) 24:218–
229
Tan C. Transcutaneous neuromuscular electrical stimulation can improve swallowing function in patients with dysphagia caused by non-stroke diseases: a
meta-analysis. J Oral Rehabil. 2013 Jun;40(6):47280
Du J. et Al. Repetitive transcranial magnetic stimulation for rehabilitation of
post-stroke dysphagia: A randomized, double-blind clinical trial. Clin Neurophysiol. 2016 Mar;127(3):190713
2.
3.
094
EFFICACIA DELLA TERAPIA CON ONDE
D’URTO FOCALI SULL’INTENSITÀ E
L’IMPATTO DEL DOLORE SULLE ADL E
SULLA QUALITÀ DI VITA NEI PAZIENTI CON
PATOLOGIE MUSCOLO-SCHELETRICHE:
STUDIO LONGITUDINALE PROSPETTICO
Letizia Stefano1, Guido Pellegrino1, Antimo Moretti1,
Francesca Gimigliano1, Giovanni Iolascon1, Raffaele
Gimigliano1
Seconda Università degli Studi di Napoli, Dipartimento Multidisciplinare di
Specialità Medico-Chirurgiche e Odontoiatriche, Napoli, Italia1
Introduzione. Le onde d’urto sono fluttuazioni di energia acustica,
rapide e brevi, che possono essere prodotte in un qualsiasi mezzo
elastico, come aria, acqua o anche sostanze solide. Esse esercitano un
duplice effetto: uno diretto, derivante dall’energia trasferita dall’onda acustica al tessuto target, ed uno indiretto, sia meccanico con la
formazione di bolle di cavitazione e di “jet stream”, sia biologico,
94
coinvolgendo specifiche pathway [1]. L’extracorporeal shock wave
therapy (ESWT) è utilizzata da oltre 20 anni come opzione terapeutica sicura, efficace e non invasiva nella cura di svariate patologie
muscolo-scheletriche, quali fascite plantare, tendinopatia achillea,
borsite trocanterica, epicondilite ed epitrocleite, tendinopatia cronica di spalla. Allo stato attuale, i pochi studi presenti in letteratura, comprendenti RCT, review e studi di coorte, hanno evidenziato
provata efficacia dell’ESWT rispetto al placebo o ad altri trattamenti
conservativi. In tali condizioni patologiche croniche, il dolore persistente costituisce l’obiettivo principale della terapia. In molti studi, tuttavia, il dolore viene valutato esclusivamente con una Visual
Analogic Scale (VAS) [2], trascurando l’impatto della sintomatologia algica sulla qualità di vita (QoL) e sull’esecuzione delle ADL.
L’obiettivo del nostro studio è stato valutare l’efficacia dell’ESWT
in alcune patologie muscolo-scheletriche di maggior riscontro nella
nostra pratica clinica, ponendo come outcome primario la valutazione dell’intensità e dell’interferenza del dolore con le ADL e con
QoL.
Materiali e metodi. In questo studio longitudinale prospettico, abbiamo selezionato una coorte di pazienti, distinti in 3 gruppi sulla
base della patologia oggetto di trattamento: fascite plantare, tendinopatia cronica di spalla (calcifica e non) e borsite trocanterica. Il
protocollo di terapia ha previsto 3 sedute d’applicazione di onde
d’urto focali, a cadenza settimanale, con i seguenti parametri: 2000
colpi con un’energia di 0,25-0,33 mJ/mm2 (variabilità dipendente
dalla soglia dolorifica soggettiva). L’intensità e l’impatto del dolore
sulle ADL e sulla QoL sono stati valutati con il Brief Pain Inventory
(BPI) al baseline (T0), prima di ogni seduta di trattamento (T1,
T2) e dopo 1 settimana dall’ultima (T3). Abbiamo incluso i pazienti
resistenti o intolleranti al trattamento con FANS e/o oppioidi. Abbiamo eseguito la within-group analysis nei 3 gruppi, utilizzando il
Wilcoxon rank-sum test e il test di Fridman tramite software SPSS
ver. 21.0.
Risultati. La nostra coorte era costituita da 75 pazienti (24 maschi,
51 femmine, età media 57,06 anni), 38 affetti da fascite plantare,
23 da tendinopatia cronica di spalla e 14 da borsite trocanterica.
Nel gruppo di pazienti con fascite plantare, abbiamo osservato
una variazione del BPI intensity index statisticamente significativa
(p=0,006) tra il T0 (4,93±1,59 DS) e il T3 (3,88±2,30 DS), con
un miglioramento della sintomatologia dolorosa già evidente tra il
T1 (4,96±2,16 DS) e il T2 (4,18±1,82 DS) (p=0,015). Allo stesso
modo, il BPI interference index ha mostrato un miglioramento statisticamente significativo dopo il terzo trattamento (T0= 5,21±1,67
DS; T3= 3,40±2,27 DS; p<0,001), già evidente dopo la prima seduta di ESWT (T1= 4,55±1,96 DS; p<0,001). Inoltre, è emersa una
differenza di 11 mm nel BPI intensity index e di 18 mm nel BPI
interference index tra il T0 e il T3, superiore alla minimal clinically
important difference (MCID) di 9 mm riportata in letteratura per
valutare l’efficacia dei trattamenti per la fascite plantare. Nel gruppo
di pazienti con tendinopatia cronica di spalla, abbiamo osservato
una variazione del BPI intensity index statisticamente significativa
(p=0,005) tra il T0 (5,73±2,50 DS) e il T3 (4,33±1,95 DS), già evidente dopo il primo trattamento (T1=4,94±2,26 DS; p=0,044). Al
contrario, analizzando i risultati del BPI interference index è emerso
che sono necessarie almeno 3 sedute di ESWT per ottenere una
variazione statisticamente significativa della performance funzionale (T0=4,54±2,27 DS; T3=3,44±2,10 DS; p=0,002). Abbiamo
osservato una differenza 14 mm nel BPI intensity index al termine
del trattamento rispetto al baseline, corrispondente alla MCID riportata in letteratura per la valutazione dell’efficacia dei trattamenti per la spalla dolorosa cronica [3]. Infine, nel gruppo di pazienti
con borsite trocanterica, la significatività statistica non è emersa per
il BPI intensity index (p=0,090) tra il T0 (3,49±1,61 DS) e il T3
(2,56±1,69 DS); viceversa, è stata ottenuta per il BPI interference
index (p=0,033) dopo almeno 3 sessioni di ESWT (T0=4,75±2,37
DS; T3=2,97±2,62 DS).
Vol. 30 - N. 2/3 - GIORNALE ITALIANO DI MEDICINA RIABILITATIVA - MR
44° CONGRESSO NAZIONALE SIMFER
Conclusioni. In conclusione il nostro studio ha dimostrato che
l’ESWT rappresenta una valida opzione terapeutica conservativa per
la tendinopatia cronica di spalla, per la quale si ottiene una riduzione clinicamente significativa solo dell’intensità del dolore, mentre
per la fascite plantare anche per l’impatto della sintomatologia algica
sulle ADL e sulla QoL. Nella nostra casistica di pazienti affetti da
borsite trocanterica l’ESWT, pur non esercitando un effetto significativo sulla riduzione del dolore, comporta comunque un miglioramento della performance funzionale.
Bibliografia
1.
2.
3.
Wang CJ. Extracorporeal shockwave therapy in musculoskeletal disorders. J
Orthop Surg Res. 2012; 7:11.
Ioppolo F, Tattoli M. Clinical improvement and resorption of calcifications in
calcific tendinitis of the shoulder after shock wave therapy at 6 months’ followup: a systematic review and meta-analysis. Arch Phys Med Rehabil. 2013 Sep;
94(9):1699-706.
3. Tashjian RZ, Deloach J. Minimal clinically important differences (MCID)
and patient acceptable symptomatic state (PASS) for visual analog scales (VAS)
measuring pain in patients treated for rotator cuff disease. J Shoulder Elbow
Surg. 2009 Nov-Dec;18(6):927-32.
095
APPLICAZIONE DELLA METODICA DI
DI “TRUNK RESTRAINT “ IN PAZIENTI
EMIPLEGICI
Franco Franzè1, Claudia Herrera2
SOC RRF, Ospedale, Alba (CN ), Italia1
Centro Riabilitazione Ferrero, Struttura Accreditata, Alba, Italia2
Introduzione. Scopo del lavoro è stato quello di riscontrare gli
effetti della metodica di “trunk restraint “ che ha messo in evidenza
l’importanza di stabilizzare il tronco per trattare in modo selettivo
arti superiori ed arti inferiori. Dare stabilità alla core permette di
ridurre le perturbazioni ed evitare l’insorgenza di reazioni associate. Tale approccio si basa sul modello Bobathiano di pratica clinica.
Materiali e metodi. Sono stati trattati n 6 pazienti emiplegici di
sesso femminile (n 4 con emiplegia sinistra e n 2 con emiplegia
destra). La proposta attuale è quella di aiutare il paziente a stimolare la potenzialità dei recettori per la posizione antigravitaria
ponendolo in tre posizioni:
• seduto su una sedia con un corretto supporto sensoriale
• in posizione supina per lavorare sulla risposta di placing degli
AA.SS. oppure per aumentare il reclutamento muscolare degli
AA.II. In questo modo core ed AA.II. lavorano simultaneamente
• in decubito laterale
Risultati. Con la restrizione del tronco il ROM della spalla e del
gomito sono aumentati in tutti i pazienti. È altresi migliorata la
coordinazione
Conclusioni. Il metodo consente:
• di attivare il sistema dei gravicettori attraverso i muscoli addominali e multifidi
• di creare innervazione reciproca tra i muscoli della core, dando una risposta in estensione
• di agire selettivamente sulla scapola, soprattutto quando
si esplorano i movimenti di abduzione e rotazione esterna
dell’arto superiore
• di facilitare il movimento dell’arto superiore nello spazio lungo una linea diritta, poiché impedisce al paziente di effettuare
una circonduzione per allontanare l’arto dal corpo
• di aiutare a prevenire il dolore di spalla
Bibliografia
1.
2.
Stella M. Michaelsen “ Effect of trunk restraint on the recovery of reaching
moviments in hemiparetic patiens” STROKE 2007 (32; 1875-1883)
Roby-Brami ”Reaching and grasping strategies in hemiparetic patients” MOTOR CONTROL 1997 (1; 72-91)
096
PROPOSTA DI PROTOCOLLO AFA IN PAZIENTI
CON DISABILITÀ DI ORIGINE NEUROLOGICA
Deborah Bartolo1, Emma Lepiane1, Raffaele Longo Elia1,
Gerardo de Scorpio1, Lidia Fratto1, Gabriella Amendola1,
Antonio Ammendolia1, Maurizio Iocco1
Azienda Ospedaliera Materdomini, Cattedra di Medicina Fisica e Riabilitativa,
Università Magna Graecia, Catanzaro, Italia1
Introduzione. Le cadute nell’anziano rappresentano uno dei primari
problemi di sanità e di spesa pubblica, essendo una delle principali
cause di morbidità, disabilità, istituzionalizzazione e morte ed il rischio di caduta è ancora più elevato nella popolazione anziana affetta
da disabilità di origine neurologica, quali sclerosi multipla, morbo di
Parkinson ed emiplegia da esiti di ictus cerebrale. Cadere rappresenta un importante indicatore clinico di uno stato di instabilità legato
alla perdita di riserva funzionale del soggetto e ad eventi esterni che
comportano un effetto molto più negativo dell’atteso. Con l’avanzare dell’età, ad aggravare il quadro clinico contribuisce l’attenuazione
dei riflessi di correzione posturale, della sensibilità neuro muscolare
e sensitiva in genere, e soprattutto diminuisce la massa muscolare in
particolare per le donne (sarcopenia) e quindi la forza dei muscoli
importanti per il mantenimento della postura, rendendo difficoltose
le ADL. La caduta provoca inoltre un’aumentata paura di ricadere e
la nascita di sentimenti di angoscia e di insicurezza, considerati loro
stessi importanti fattori di rischio per ulteriori cadute e immobilità.
Questo studio è stato realizzato nell’ambito di un progetto regionale
di tutela dello stato di salute, realizzato presso la nostra U.O.C., indirizzato alla popolazione anziana affetta da patologie metaboliche e
funzionali e successivamente esteso a persone con disabilità di origine
neurologica. L’obiettivo è quello di formulare un programma di attività motoria adattata, proponendo una sequenza di esercizi mirati al
miglioramento della forza e del trofismo muscolare, della capacità aerobica, della resistenza alla fatica, della deambulazione, della coordinazione e dell’equilibrio, verificandone il livello di fattibilità e l’efficacia
in pazienti anziani affetti da disabilità di origine neurologica.
Materiali e metodi. Dopo l’approvazione del Comitati Etico della
Azienda Ospedaliero-Universitaria di Catanzaro, sono stati coinvolti
nello studio 14 pazienti affetti da: sclerosi multipla (5), esiti di ictus
(5) e morbo di Parkinson (4). Sono stati valutati coloro che nell’ultimo anno sono andati incontro ad una caduta o che abbiano lamentato “paura di cadere” e frequenti perdite di equilibrio. Tutti i pazienti
sono stati sottoposti ad una accurata anamnesi, ad esame obiettivo
generale ed a valutazioni cliniche e strumentali, mediante schede e test
validati e strumenti diagnostici. (FIM, MRC, ROM, Tinetti Balance
Evaluation, Berg Balance Scale,Time Up and Go Test, 6MWT, Hads,
EuroQol, stabilometria, baropodometria, sEMG, analisi del cammino su Treadmill, test dell’equilibrio su Balance System) e sono stati
classificati con ICF. Tutti hanno seguito un programma specifico di
attività fisica adattata, con 2 sedute settimanali di 60 minuti ciascuna
per due mesi, al termine dei quali si proceduto a ripetere i medesimi
test clinici, di valutazione motoria e funzionale ed effettuare una analisi descrittiva dei dati.
Risultati. I risultati ottenuti dimostrano l’efficacia di un programma
specifico di attività fisica adattata nel miglioramento delle funzioni
fisiche (equilibrio, coordinazione, ampiezza di movimento articolare),
dell’autonomia e della qualità di vita dei pazienti. È stato possibile
osservare un importante miglioramento del tono dell’umore, oltre al
recupero della capacità di socializzazione, favorita dalla possibilità di
confrontarsi con altri pazienti affetti da patologie simili.
Conclusioni. Sulla base di queste osservazioni preliminari, siamo incoraggiati a proseguire il lavoro intrapreso coinvolgendo un numero
crescente di pazienti, affinando il protocollo AFA anche con il contributo dei pazienti stessi, osservando le difficoltà di esecuzione dell’esercizio e cogliendo i loro preziosi suggerimenti.
Vol. 30 - N. 2/3 - GIORNALE ITALIANO DI MEDICINA RIABILITATIVA - MR
95
44° CONGRESSO NAZIONALE SIMFER
Bibliografia
1.
A. Kalron and A. Achiron, “Postural control, falls and fear of falling in people
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vol. 335, pp. 186–190, 2013.
Lay Fong Chin, Juliana YY Wang, Cheng Hong Ong, Wing Kuen Lee, Keng
He Kong.: “Factors affecting falls in community-dwelling individuals with stroke in Singapore after hospital discharge”. Singapore Med J 2013.
Ashburn A., Fazakarley L., Ballinger C., Pickering R., McLellan L.D. A randomized controlled trial of a home based exercise programme to reduce the risk
of falling among people with Parkinson’s disease. J Neurosurg Psychiatry 2007.
2.
3.
097
STUDIO SUL COINVOLGIMENTO DEGLI
ORGANI TENDINEI DEL GOLGI NELLA
TENDINOPATIA DELLA PORZIONE CENTRALE
DELL’ACHILLEO
Luisa Perasso1, Laura Mori2, Lucio Marinelli2, Carlo
Trompetto2, Emanuela Faelli1, Giulio Basso2, Filippo
D’Epifanio1, Alessandro Giannini3, Piero Ruggeri1
Università di Genova, Dipartimento di Medicina Sperimentale. Sezione di Fisiologia Umana., Genova, Italia1
Università di Genova, Dipartimento di Neuroscienze, Riabilitazione, Oftalmologia, Genetica e Scienze Materno-Infantili, Genova, Italia2
Isokinetic, FIFA Medical Centre of Excellence, Torino, Italia3
Introduzione. La tendinopatia achillea è una patologia dolorosa
della regione calcaneare che può essere causata da un sovraccarico
funzionale. Il trattamento e la prognosi sono radicalmente cambiati
dall’introduzione del protocollo “Alfredson”, con esercizi eccentrici
per i muscoli gastrocnemio e soleo. L’alta percentuale di successi registrati ne fanno la principale terapia nel trattamento conservativo.
Nonostante l’ampia letteratura sull’argomento, non è chiaro quali
siano i meccanismi che favoriscano la cronicizzazione della patologia
e come agiscano gli esercizi eccentrici nel promuovere la riparazione del tendine. È stato dimostrato che una contrazione eccentrica
può modificare per un breve periodo di tempo l’attività degli organi
tendinei del Golgi (1), ma l’effetto di un carico di esercizi eccentrici
sugli organi tendinei del Golgi, a nostra conoscenza, non è mai stato
studiato. Lo scopo della presente ricerca è stato quello di studiare se
un’alterata attivazione propriocettoriale, e in particolare degli organi
tendinei del Golgi, possa giocare un ruolo nella cronicizzazione della
patologia. Inoltre, in caso di conferma di questa ipotesi, ci proponiamo di studiare eventuali variazioni nell’attivazione degli organi
tendinei del Golgi in soggetti tendinopatici, che abbiano risposto
positivamente al protocollo Alfredson. L’attività degli organi tendinei del Golgi è testabile in maniera indiretta nell’uomo attraverso
l’attivazione del circuito inibitorio 1b (2). Nella nostra ricerca ci
siamo proposti di valutare l’intensità dell’inibizione prodotta dalla
stimolazione elettrica del tendine di Achille sull’attività muscolare
lieve del gastrocnemio in soggetti sani e in soggetti con tendinopatia
achillea.
Materiali e metodi. Sono stati reclutati 10 soggetti, 5 soggetti tendinopatici (N=5, 40.75±3.4 anni, VISA-A SCALE, 65.25±3.26) e
5 soggetti di controllo (N=5, 37.6±4.6 anni). Il VISA-A-SCALE è
un questionario ritenuto come il più affidabile e valido per fornire un indice della gravità clinica della tendinopatie dell’Achilleo, e,
in tale scala di valutazione, un punteggio inferiore a 70 indica una
tendinopatia dell’achilleo (3). Sui soggetti tendinopatici, inoltre, è
stato eseguito un controllo ecografico per oggettivare la presenza
di danni strutturali a carico del tendine. I soggetti sono stati fatti
accomodare in posizione prona con l’articolazione tibiotarsica libera, in modo tale da poter effettuare una contrazione volontaria sui
muscoli gastrocnemio e soleo. La stimolazione è stata effettuata sul
tendine di Achille, posizionando il catodo centralmente al tendine
e l’anodo medialmente. Gli stimoli consistevano in impulsi di 0.2
ms, con una frequenza di 0.1 Hz, per un totale di 30 stimolazioni.
96
L’intensità di stimolazione è stata stabilita pari a 5 volte rispetto alla
soglia percepita. L’elettromiografia di superficie è stata registrata attraverso elettrodi bipolari AgCl, posizionati sul ventre centrale del
muscolo gastrocnemio. Ai soggetti è stato chiesto inizialmente di
effettuare una contrazione massimale, quindi sono stati registrati i
tracciati elettromiografici che corrispondevano ad una contrazione
pari al 20% della contrazione massimale. Sono state valutate: a) la
latenza in ms dei periodi silenti rispetto all’artefatto dello stimolo;
b) la durata in ms dei periodi silenti; c) la percentuale d’inibizione
rispetto all’ampiezza picco-picco del tracciato elettromiografico precedente lo stimolo.
Risultati. La stimolazione elettrica del tendine di Achille ha indotto
l’attivazione del riflesso inibitorio Ib sul muscolo gastrocnemio e
l’inibizione è risultata ben visibile nel tracciato elettromiografico di
tutti i soggetti esaminati, attraverso l’alternarsi di periodi di eccitazione a periodi di inibizione, o periodi silenti. Nei soggetti tendinopatici l’arto affetto da tendinopatia ha mostrato una latenza dei
periodi silenti significativamente maggiore rispetto a quella dell’arto sano (p<0.05), e sia la percentuale d’inibizione sia la durata dei
periodi silenti sono risultate significativamente inferiori rispetto a
quelle registrate sull’arto sano (p<0.05). Non sono emerse differenze
statisticamente significative tra i parametri registrati dall’arto sano
dei soggetti tendinopatici e quelli ottenuti dagli arti dei soggetti di
controllo. Nei soggetti di controllo non è emersa alcuna differenza
statisticamente significativa tra arto destro e arto sinistro in tutti i
parametri valutati.
Conclusioni. Nei soggetti tendinopatici i risultati hanno messo in
evidenza differenze statisticamente significative tra arto sano e arto
affetto da tendinopatia in tutti i parametri misurati. Nel loro complesso, tali risultati evidenziano un’alterazione del circuito inibitorio
1b e, quindi, la presenza di un danno funzionale a carico degli organi tendinei del Golgi nell’arto affetto da tendinopatia dell’Achilleo.
Tale alterazione può giocare un ruolo centrale nel processo di mantenimento e cronicizzazione di tale patologia.
Bibliografia
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Gregory JE, Brockett CL, Morgan DL, Whitehead NP, Proske U. Effect of eccentric muscle contractions on Golgi tendon organ responses to
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2001;35:335–341
099
EFFETTI DELLA MESOTERAPIA
CON SOLUZIONE FISIOLOGICA NEL
TRATTAMENTO DEL DOLORE CRONICO
ASPECIFICO DEL RACHIDE
Paola Emilia Ferrara1, Rossella Viscito2, Gianpaolo
Ronconi1, Romina Pascuzzo2, Eugenia Rosulescu3, Concetta
Ljoca2, Loredana Maggi1, Calogero Foti2
Policlinico Agostino Gemelli, UOC di Riabilitazione e Medicina fisica, Roma,
Italia1
Università degli studi di Roma Tor Vergata, Dipartimento di Scienze Cliniche e
Medicina Traslazionale, Roma, Italia2
University of Craiova, Department of Physical Therapy and Sports Medicine,
University of Craiova,, Craiova, Romania3
Introduzione. La mesoterapia è un trattamento utile per ridurre il
dolore localizzato muscolo scheletrico, con iniezioni intradermiche di farmaco nel distretto patologico. In letteratura sono stati riferiti molteplici meccanismi di tipo vascolare, neurogeno, riflesso,
farmacologico, che spieghino gli effetti della mesoterapia. Nessun
Vol. 30 - N. 2/3 - GIORNALE ITALIANO DI MEDICINA RIABILITATIVA - MR
44° CONGRESSO NAZIONALE SIMFER
autore ha analizzato l’uso della mesoterapia con soluzione fisiologica come trattamento efficace nel dolore cronico, non specifico,
di tipo muscolo scheletrico. L’obiettivo di questo studio di confrontare gli effetti a breve e lungo termine della mesoterapia con
soluzione fisiologica versus quella farmacologica in pazienti con
dolore cronico non specifico al rachide.
Materiali e metodi. È stato condotto uno studio randomizzato
controllato in doppio cieco in pazienti con dolore cronico non
specifico al rachide presso l’ambulatorio di Fisiatria del Università
di Tor Vergata e del Policlinico Gemelli di Roma. La mesoterapia
è stata effettuata 1 volta a settimana per 5 settimane con soluzione
fisiologica nel (gruppo 0) e con un cocktail di farmaci (gruppo
1). Sono stati trattati 110 pazienti in ciascun gruppo e valutati al
baseline (T0), dopo il trattamento (T1), dopo 4 settimane (T2) e
dopo 12 settimane (T3) dalla fine del trattamento, con VAS e con
il questionario del dolore McGill.
Risultati. I due gruppi sono risultati omogenei al baseline. L’analisi statistica ha mostrato una significativa riduzione del dolore in
entrambi i gruppi a T1. A T3 il dolore è risultato significativamente maggiore nel gruppo 0 rispetto al gruppo 1 (p=0.027)
Conclusioni. La mesoterapia con soluzione fisiologica risulta essere efficace quanto quella effettuata con farmaci, a breve termine
nel ridurre il dolore cronico non specifico al rachide. La mesoterapia con farmaci sembra essere piu’ efficace a lungo termine nella
riduzione del dolore
Bibliografia
1.
2.
3.
Mammucari M, Gatti A, Maggiori S, Sabato AF Role of mesotherapy in musculoskeletal pain: opinions from the italian society of mesotherapy. Evid Based
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100
IL RUOLO DEL FISIOTERAPISTA NELLA PRESA
IN CARICO DI PAZIENTI CON PATOLOGIA
ONCOLOGICA ATTIVA IN REPARTO
DEDICATO, CON CONFRONTO STORICO E
CONCORRENTE
Monia Allisen Accogli1, Monica Denti1, Sergio Borghi1,
Giulia Cappelletti2, Stefania Costi1, Lisa Erriu2, Stefania
Fugazzaro1, Claudio Tedeschi1
Arcispedale Santa Maria Nuova - IRCCS, Reggio Emilia, U.O. Medicina Fisica
e Riabilitazione, Reggio Emilia, Italia1
Università degli studi di Modena e Reggio Emilia, Dipartimento di Scienze Biomediche, Metaboliche e Neuroscienze - CdL in Fisioterapia, Reggio Emilia,
Italia2
Introduzione. Dopo un ictus o un trauma cranico i pazienti e
gli operatori, mirano allo stesso risultato: recuperare la funzione.
Sebbene i pazienti con tumore abbiano generalmente la stessa potenzialità di miglioramento funzionale, nel loro percorso di cura
spesso non si investe nell’intervento riabilitativo. Si stima che ogni
giorno in Italia circa 1000 persone ricevano una diagnosi di tumore
e questo dato è in crescita. Nonostante ciò, si assiste contemporaneamente ad un aumento dei ‘lungosopravviventi’, grazie a diagnosi più precoci, al miglioramento delle terapie e a trattamenti
sempre più individualizzati. Ma un aumento della QUANTITA’
di vita corrisponde ad un aumento della QUALITA’ di vita? Studi
in letteratura hanno rilevato che la riabilitazione può trovare spazio
in ogni fase delle malattia oncologica, e che è possibile ottenere
miglioramenti funzionali equiparabili tra pazienti con tumori di
diverso tipo. Questo studio si propone di indagare l’impatto che
la riabilitazione ha sui pazienti oncologici all’interno della realtà
dell’Arcispedale Santa Maria Nuova (ASMN) di Reggio Emilia, ponendosi questi obiettivi:
• Indagare i bisogni riabilitativi principali indicati dai pazienti;
quale grado di soddisfazione e importanza vengano attribuiti
al trattamento riabilitativo e al ruolo del fisioterapista all’interno del reparto, da parte dei pazienti e dei familiari; rilevare la
qualità di vita percepita dai pazienti.
• Rilevare l’intensità del dolore, variazioni dell’autonomia nelle
ADL, la condizione psicologica ed emotiva dei pazienti, durante il ricovero.
• Ricavare informazioni riguardo la precocità della presa in carico riabilitativa e l’aderenza al trattamento fisioterapico.
Materiali e metodi. La popolazione in studio comprende i pazienti con diagnosi di patologia oncologica attiva, ricoverati nei reparti
di Medicina Oncologica, Medicina I,II,III e Lungodegenza, presso
l’ASMN di RE, presi in carico dal punto di vista riabilitativo, tra
il 1° Gennaio 2012 e il 4 Ottobre 2013. I partecipanti sono stati
suddivisi in 3 gruppi: GRUPPO A (intervento), pazienti ricoverati
in Medicina Oncologica con fisioterapista dedicato, Aprile-Ottobre 2013; GRUPPO B (controllo concorrente), pazienti ricoverati in area medica con fisioterapista non dedicato, Aprile-Ottobre
2013; GRUPPO C (controllo storico), pazienti ricoverati in area
medica con fisioterapista non dedicato, nell’anno 2012. Criteri di
inclusione: >18 anni, ricovero in area medica per patologia oncologica attiva e presa in carico riabilitativa. Oltre ai dati di interesse
raccolti dalle cartelle cliniche a T0 (ingresso in reparto), gli unici
per il GRUPPO C, abbiamo raccolto per i GRUPPI A e B: a T1
(presa in carico riabilitativa) questionari da noi redatti per valutare il ruolo del fisioterapista, NPRS (Numeric Pain Rating Scale), BIM (Barthel Index Modified), HADS (Hospital Anxiety and
Depression Score); a T2 (dimissione) valutazione come a T1, con
somministrazione dei questionari da noi redatti anche ai familiari.
In base agli obiettivi del trattamento fisioterapico i pazienti sono
stati divisi in due sottogruppi: pazienti presi in carico a scopo palliativo (P) o funzionale(F).
Risultati. Dall’analisi dei dati è stato escluso il GRUPPO B per la
scarsa numerosità del campione.
• All’interno del GRUPPO A è emerso che il bisogno riabilitativo principale per il sottogruppo F è il recupero della deambulazione, mentre per quello P “guarire dalla malattia/stare
bene”. Dai questionari da noi redatti è emerso che il fisioterapista riveste un ruolo importante nella soddisfazione dei bisogni maggiormente nel sottogruppo F, e più della metà dei
familiari intervistati è in linea con ciò che viene riportato dai
pazienti. Un miglioramento della qualità di vita è stato percepito in entrambi i sottogruppi.
• All’interno del GRUPPO A entrambi i sottogruppi hanno riportato una diminuzione del dolore percepito e dello stato di
ansia, nessun miglioramento per quanto riguarda la depressione, mentre un miglioramento dell’autonomia nelle B-ADL si è
verificato solo nel sottogruppo F.
• I dati hanno evidenziato che c’è una maggior precocità di
presa in carico riabilitativa, statisticamente significativa, per
il GRUPPO A rispetto al GRUPPO C. Entrambi i GRUPPI
riportano una buona aderenza al trattamento riabilitativo, ma
nel sottogruppo F la compliance tende al 100%.
Conclusioni. I dati evidenziano che la riabilitazione in reparto di
area medica con fisioterapista dedicato può giocare un importante
ruolo in ambito oncologico all’interno della presa in carico multidimensionale del paziente con tumore, con l’obiettivo di restituire
al malato e alla sua famiglia una vita degna di essere vissuta, mantenendo e migliorando la qualità di vita, limitando al minimo la
disabilità fisica, il deficit funzionale, cognitivo e psicologico. È in
corso una prosecuzione dello studio per ampliare la numerosità del
campione e poter inserire il confronto con il controllo concorrente.
Vol. 30 - N. 2/3 - GIORNALE ITALIANO DI MEDICINA RIABILITATIVA - MR
97
44° CONGRESSO NAZIONALE SIMFER
Bibliografia
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2.
3.
101
GOAL-SETTING COLLABORATIVO E PIANI
D’AZIONE IN UN PERCORSO DI EDUCAZIONE
TERAPEUTICA PER IL PAZIENTE CON ICTUS
IN FASE RIABILITATIVA
delle sessioni. Nonostante ciò ben l’87% dei PdA costruiti sono stati
realizzati e portati a termine con successo.
Conclusioni. Abbiamo notato che il PdA è uno strumento utile:
per i pazienti e per l’equipe riabilitativa; per stabilire un goal-setting
condiviso e incentrato sul paziente, anche per quei clinici che continuano a basarsi principalmente sulla propria esperienza per stabilire
obiettivi raggiungibili per il paziente. Inoltre alla luce dei dati analizzati, un programma di educazione terapeutica al paziente è risultato
un valido strumento per supportare i pazienti con ictus e potrebbe
essere inserito nel percorso riabilitativo per incoraggiare lo sviluppo
di capacità di autogestione.
Bibliografia
1.
2.
Monica Denti1
Arcispedale Santa Maria Nuova - IRCCS, Reggio Emilia, U.O. di Medicina
Fisica e Riabilitazione, Reggio Emilia, Italia1
Introduzione. I programmi di Educazione Terapeutica al Paziente
(ETP) per persone colpite da ictus sono raccomandati da numerose
linee guida in letteratura sia per la fase post-acuta, sia per la fase
cronica, ma la loro applicazione è ancora scarsa o non ben strutturata. Al momento della dimissione dall’ospedale, la persona e i
suoi familiari possono sentirsi impreparati nell’affrontare le necessità e i problemi della vita quotidiana: l’ETP può accrescere l’empowerment del paziente e aiutarlo ad affrontare queste difficoltà. Nel
2014, in Emilia Romagna è stato avviato uno studio multicentrico
controllato sull’ETP, per i pazienti ricoverati nei reparti di riabilitazione. Questo programma di self-management (un adattamento del
Chronic Disease Self-Management Program –CDSMP, dell’Università di Stanford) utilizza il modello del goal setting condiviso con il
paziente, attraverso sessioni individuali e di gruppo e la costruzione
di Piani d’Azione (PdA). Abbiamo condotto uno studio satellite incentrato su quest’ultimo aspetto. Questo studio satellite si propone
di indagare:
- i bisogni riabilitativi emersi dai PdA e come questi cambiano
nel tempo;
- il numero di PdA costruiti e realizzati, sia durante il ricovero,
sia dopo la dimissione;
- le cause di mancata costruzione e/o realizzazione dei PdA, per
considerare la fattibilità dell’intervento.
Materiali e metodi. I dati raccolti per questo studio si riferiscono ai
pazienti reclutati presso l’IRCCS ASMN di Reggio Emilia. I criteri
di inclusione per partecipare all’ETP erano: primo episodio di ictus, >18 anni, presenza di un caregiver, moderata o severa disabilità
(BIM- Barthel Index Modificato <70), disabilità cognitiva o comunicativa non severa(Comunicative Disability Scale <3, MMSE –
Mini Mental State Examination >15). I PdA vengono costruiti una
volta a settimana individualmente con un ricercatore (infermiere o
fisioterapista) e restituiti alla sessione di gruppo successiva.
Risultati. L’analisi dei dati ha evidenziato che I pazienti focalizzano
i propri obiettivi principalmente in ambito motorio (60%); meno
frequentemente scelgono altre aree come la cura di sè, la gestione dei
farmaci e dell’alimentazione. Durante lo svolgimento del programma è progressivamente diminuito il numero di PdA costruiti dai
pazienti in ambito motorio (da 79% a 57%), mentre è aumentato il
numero di quelli nell’ambito della cura di sé (da 5% a 22%).
Il PdA è stato usato molto frequentemente dal paziente come strumento per stabilire obiettivi durante il ricovero (96,56%), ma meno
utilizzato dopo la dimissione (50%). In totale sono stati costruiti
l’83% dei piani d’azione sul totale di quelli ipotizzati. La non costruzione dei restanti PdA è stata dovuta principalmente alla mancata
partecipazione del paziente alla sessione di gruppo successiva, quindi perdita di dati al follow-up, e a problemi nella programmazione
98
3.
Damush TM., Ofner S., Yu Z., Plue L., Nicholas G., Williams LS., (2011), Implementation of a stroke self-management program .A randomized controlled
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Regione-Università 2013, Area 2-“Ricerca per il Governo Clinico”.
Lorig K., Hurwicz ML., Sobel D., Hobbsc M., Philip L. (2004), A national
dissemination of an evidence-based self-management program: a process evaluation study, Patient Education and Counseling 59:69–79.
102
LA COMBINAZIONE DI MEDICINA MANUALE
E CRANIO-CORPO-GRAFIA NELLA DIAGNOSI
DI TRATTAMENTO DELLA SINDROME
CERVICALE SUPERIORE
Dario Carlo Alpini1, Valentina Mattei1, Manuela De
Munari1, Guido Brugnoni2
IRCCS S. Maria Nascente, Srvizio ORL-Otoneurologia, Milano1
Società Italiana Medicina Vertebrale, Presidente, Milano2
Introduzione. Il rachide cervicale superiore e, in particolare, la
cerniera atlo-occipitale, rappresentano uno dei fenomeni biomeccanici più importanti nell’evoluzione che ha portato gli ominidi alle
capacità motorie dell’Homo Sapiens[1]. In particolare, la cerniera
consente libertà di movimento esplorativo del capo impossibili nel
primate. Tale libertà comporta però la necessità di stabilizzare dinamicamente il capo nel movimento. La stabilizzazione del capo
rispetto al tronco è uno dei fenomeni evolutivi neurofisiologici più
importanti [2]. La complessità strutturale e funzionale di questo distretto porta però anche a complessi quadri disfunzionali come la cefalea cervicogenica, gli acufeni somatici, la vertigine cervicogenica,
quadri riassunti da Meigne nella S. Cervicale Superiore (SCS). Scopo del lavoro è evidenziare come la combinazione della semeiotica
propria della Medicina Manuale (MM) con la Cranio-Corpo-Grafia
(CCG) [3] porti a una precisa diagnosi di trattamento della SCS,
trattamento in primis basato sulle tecniche proprie della MM. La
Cranio-Corpo-Grafia (CCG) è la metodica strumentale per registrare i movimenti reciproci della testa e del tronco.
Materiali e metodi. Sono stati selezionati 30 pazienti (20 donne e
10 maschi, età media 43,6 anni) che presentavano cefalea e/o acufeni e/o vertigine con segni clinici compatibili con SCS descritta
da Meigne. La stabilità testa-collo è stata studiata in posizione seduta per valutare la componente bio-meccanica e nel cammino per
la componente dinamica neurofisiologica, con occhi chiusi e con
occhi aperti. È stato utilizzato il sistema Delos DVC posizionando un accelerometro bidimensionale sul capo e uno sul tronco in
modo da calcolare, nelle 4 condizioni di esame, le velocità relative
dei due segmenti corporei, il rapporto di stabilità (ratio of Head
Stability, RoHS) e la differenza tra stabilizzazione statica e dinamica
. (ΔRoHS ). I valori sono stati confrontati con dati di normalità
precedentemente raccolto in un gruppo di controllo, comparabile
per età-sesso-sintomatologia, negativo per SCS (no-SCS).
Risultati. Il parametro più significativo è risultato ΔRoHS, rispet-
Vol. 30 - N. 2/3 - GIORNALE ITALIANO DI MEDICINA RIABILITATIVA - MR
44° CONGRESSO NAZIONALE SIMFER
tivamente - 10 % con occhi chiusi e -10 % con occhi aperti, in
NO-SCS. Nel gruppo SCS ΔRoHS era - 36,25 % con occhi chiusi
e - 31,25 % con occhi aperti. In nessun soggetto, NO-SCS o SCS
che sia, la testa era comunque più stabile da seduti che nel cammino.
Conclusioni. La stabilità del capo è un fenomeno biomeccanico e
neurofisiologico molto complesso. In condizioni statiche, paziente
seduto ma non appoggiato, la testa è potenzialmente destabilizzata
dai movimenti del tronco durante la respirazione e la deglutizione.
Nel cammino le forze cinematiche del passo vengono parzialmente
ammortizzate dalle sincinesie pendolari degli arti superiori e dalle
rotazioni e controratzioni dei segmenti vertebrali che si esauriscono a livello della cerniera atlo-occipitale. La stabilizzazione del capo
dipende dalle forse visco-elatiche dei legamenti del rachide e dalla
contrazione tonica dei vari muscoli cervicali. I riflessi di stabilizzazione con minor latenza sono quelli vestibolo-collici attivati dai
recettori labirintici, maculari e canalari. Da seduti la frequenza di
movimento del tronco è inferiore alla soglia di attivazione dei riflessi
vestibolari e quindi la stabilizzazione dipende prevalentemente dai
riflessi propriocettivi. Il cammino invece genera frequenze nel range
ottimale di attivazione labirintica. La combinazione della registrazione delle velocità di oscillazione del capo e del tronco nelle due
condizioni, statica e dinamica consente una precisa differenziazione
tra controllo labirintico, prevalente nel cammino , e propriocettivo,
prevalente da seduti. In tutti i soggetti sintomatici la stabilizzazione del capo rispetto al tronco non è ottimale ma in particolare nei
pazienti con segni compatibili con SCS. La combinazione della semeiotica di MM e dell’oggettivazione strumentale CCG consente
una precisa documentazione della disfunzione e quindi consente un
preciso programma terapeutico
Bibliografia
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2.
3.
Bramble DM, Lieberman DE Endurance running and the evolution of Homo
Nature. (2004) Nov 18;432(7015):345-52
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103
IL LABORATORIO DI ANALISI DEL
CAMMINO QUALE PROPOSTA DIAGNOSTICA
INNOVATIVA
Chiara Basile1, Silvia Magnani1, Piero Galasso1, Anna
Elisabetta Cifani2, Sandro Zucchi3, Antonio Bray4, Raoul
Saggini5
Centro Ricerche DIASU, Equipe di Biomedica Posturale, Roma, Italia1
UOSD Telemedicina RIS PACS e CLS, Azienda Ospedaliera San Camillo Forlanini, Roma, Italia2
UOSD Riabilitazione, ASL di Viterbo, Viterbo, Italia3
Direttore Sanitario Aziendale, ASL di Viterbo, Viterbo, Italia4
Professore Ordinario in Medicina Fisica e Riabilitazione, Facoltà di Scienze
dell’Educazione Motoria dell’università G. D’Annunzio di Chieti, Chieti, Italia5
Introduzione. Da qualche anno nei documenti di programmazione sanitaria il settore della riabilitazione viene individuata tra quelli che necessitano di maggiori sviluppo e contestualmente viene
segnalato il ruolo crescente dell’innovazione tecnologica e dell’uso
di sistemi avanzati. Essi si stanno dimostrando preziosi nell’arricchire ed integrare i tradizionali metodi di valutazione di funzionalità e, in molti casi, possono fornire informazioni ed indici di
grande utilità nella scelta e nel controllo dei percorsi terapeutici. In
Inghilterra, negli anni ‘80 sono stati messi a punto i primi sistemi
di «Gait Analysis» per scopi prevalentemente di ricerca scientifica.
Oggi per un approccio clinico più immediato è attuabile il LA-
BORATORIO DI ANALISI DEL CAMMINO che consente di
misurare in maniera oggettiva la postura attraverso sistemi innovativi “non invasivi” di biometria digitalizzata. L’analisi della postura e del movimento umano costituisce un settore biomedico in
forte espansione e di grande interesse dal punto di vista clinico, in
quanto la postura ed il movimento sono il risultato dell’interazione di tre principali sistemi fisiologici: il sistema nervoso, il sistema
muscolo-scheletrico ed il sistema sensoriale. La valutazione delle
caratteristiche della postura e del movimento, nonché delle loro
variazioni rispetto ad una situazione di normalità, possono essere
di enorme utilità in campo clinico per la diagnosi di particolari patologie a carico di uno dei sistemi coinvolti, così come per la pianificazione ed il controllo di specifici trattamenti riabilitativi. [1,2,3]
Materiali e metodi. Nel Centro Studi DIASU è stato realizzato
il primo Laboratorio di Analisi del Cammino in grado di poter
effettuare controlli frequenti e di misurare con precisione i dati
dell’equilibrio corporeo tanto nella stazione eretta che durante il
cammino tramite una pedana baropodometrica per la misurazione
delle pressioni plantari e un sistema di video ripresa per l’approfondimento dell’intera struttura corporea. La pedana installata nel
laboratorio di analisi del cammino è una piattaforma baropodometrica a superficie espandibile [fino a 20 m in lunghezza e 2 m in
larghezza] e con risoluzione di 7 sensori per cm2. Il Secondo Laboratorio del Cammino è stato realizzato presso l’Ambulatorio di
Posturologia Clinica della UOSD Riabilitazione, dell’ASL di Viterbo. Le valutazioni Bio-Posturali consistono nell’analizzare il paziente con un Questionario e di registrare le informazioni dell’appoggio plantare (test baropodometrico), del corpo (test morfologico) e dell’equilibrio (test stabilometrico). Il protocollo è stato
messo a punto, in collaborazione con il Centro Ricerche Diasu
dal gruppo multidisciplinare specialistico, denominato Equipe di
Biomedica Posturale costituito da prestigiose Università Italiane ed
Europee [G. D’Annunzio di Chieti, Torvergata, Federico, ecc..]. I
dati acquisiti vengono quindi elaborati dal programma ReBioDes,
un sistema esperto di logica applicata per la refertazione descrittiva
degli esami biometrici. ReBioDes permette inoltre un confronto
con gli indicatori di più esami biometrici con conclusioni specifiche su ciascun indicatore rilevato ed indicazioni su approfondimenti biometrici complementari eventualmente necessari.
Risultati. Le esperienze di oltre 25 anni di studio delle pressioni
plantari e l’innovazione introdotta con la PEDANA ULTRASENSOR permettono oggi di definire un nuovo percorso di indagine
clinica: IL LABORATORIO DI ANALISI DEL CAMMINO, che
rende possibile lo studio di una deambulazione spontanea e senza
vincoli, con acquisizioni in alta risoluzione del rotolamento naturale del piede, e che grazie a strumenti di valutazione optoelettronica e di misura degli spostamenti angolari/lineari consente inoltre
di valutare le influenze posturali sulla struttura corporea: tutto in
pochi minuti e con dati consultabili da qualunque specialista.
Conclusioni. Il Laboratorio di Analisi del Cammino rappresenta la sfida del presente per una riabilitazione all’avanguardia che
intende offrire un modello di assistenza finalizzato a monitorare
con estrema chiarezza il livello di deficit biometrico ad inizio terapia, verificandone le relative variazioni nel tempo a seguito dei
trattamenti somministrati al paziente, al fine di ridurre ricadute,
aggravamenti e disabilità per chi sta male e nell’ottica futura di
prevenire quadri sindromici a chi potrebbe essere un soggetto a
rischio di alterazioni posturali. Inoltre l’analisi computerizzata del
movimento fornisce la possibilità di monitorare in modo assolutamente oggettivo l’efficacia di determinati trattamenti. Avere a
disposizione un Laboratorio di Analisi del Cammino dà ai clinici
la possibilità di conoscere meglio la limitazione funzionale del paziente, di conoscere l’efficacia di determinati percorsi terapeutici
e conseguentemente di ottimizzare la scelta del trattamento più
idoneo al singolo paziente.
Vol. 30 - N. 2/3 - GIORNALE ITALIANO DI MEDICINA RIABILITATIVA - MR
99
44° CONGRESSO NAZIONALE SIMFER
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Riccardo Schiffer, STABILOMETRIA CLINICA, Equilibrio e postura: misura
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BIOMEDICA POSTURALE E BIOMETRIA DIGITALIZZATA, Inquadramento clinico e strumentale della postura, a cura dell’Equipe Biomedica Posturale, Editore Publiedit Edizioni e Pubblicazioni s.a.s.
2.
3.
4.
104
FATTORI CLINICI CHE INFLUENZANO
LA PRESA IN CARICO RIABILITATIVA
DEI PAZIENTI CON ESITI DI GRAVE
CEREBROLESIONE ACQUISITA
Giuseppina Franzone1, Francesca Abbondanza1, Donatello
Ammaturo1, Alfonsina Casalena1, Marco D’Amico1,
Christine De Acetis1, Anna Matani1, Elena Recubini1
Riabilitazione Residenziale Intensiva, Centro di Riabilitazione S.Agnese, Pineto,
Italia1
Introduzione. All’interno della presa in carico del paziente con esiti
di grave cerebrolesione acquita (GCA) ricoverato in un setting riabilitativo è necessaria una corretta valutazione di rischio clinico per
ridurre l’incidenza di complicanze infettive, favorire lo svolgimento
del programma riabilitativo e ridurre la mortalità.
Materiali e metodi. Sono state analizzate retrospettivamente le cartelle di pazienti con diagnosi di GCA ricoverati dal 01/01/2013 al
31/12/2015 presso il centro di riabilitazione intensiva extraospedaliera S.Agnese di Pineto (Te). Obiettivo del lavoro è stato quello di
definire l’epidemiologia dei pazienti accolti nel nostro reparto, l’incidenza delle infezioni itercorrenti, esplorare la correlazione tra mortalità e biomarker ematici, definire i fattori di rischio verosimilmente
correlati allo sviluppo di polmonite ab ingestis.
Risultati. Nell’arco di questi 3 anni sono stati ricoverati 62 pz (39
M, 23F) con diagnosi di GCA , età media di 68 aa, ad una distanza
media dall’evento acuto di 1,7 mesi ( 0,5-6 mesi). 23 pz con esiti di
ictus emorragico, 13 pz con esiti di ictus ischemico, 11 pz con esiti
di trauma cranico, 11 pazienti con esiti di anossia cerebrale, 3 pz con
esiti di intervento neurochirurgico per neoplasia cerebrale, 1 pz con
esiti di encefalite. I pz provenivano prevalentemente da reparti per
acuti (38 pz dalla rianimazione, 11 pz dalla neurochirurgia, 9 pz da
altro reparto per acuti, 3 pazienti da riabilitazione cod. 56, 1 pz dalla
lungodegenza). All’ingresso 52 pazienti erano tracheostomizzati, 10
pz in respiro per via naturali; 47 pz in respiro spontaneo, 15 pz in
ventilazione meccanica ; 21 pz si alimentavano tramite PEG, 37 pz
tramite SNG, 4 pz tramite nutrizione parenterale totale. La degenza
media è stata 2,95 mesi (0,1-36 mesi). Nell’arco della degenza 35 pz
sono deceduti, 13 pz sono stati trasferiti in reparto per acuti, 10 pz
sono tornati al domicilio, 4 pz sono stati trasferiti in altra struttura. Le
cause dei trasferimenti in reparti per acuti sono state: 7 insufficienze
respiratorie acute, 2 sepsi, 3 peggioramenti neurologici, 1 grave occlusione intestinale. Le cause di decesso sono state 5 sepsi, 25 arresti
cardiorespiratori, 5 insufficienze respiratorie acute. Nell’arco della settimana in cui è avvenuto il decesso i pz presentavano ai controlli ematici una media di Hb 9,4 g/dL, PCR 112,47 mg/L, GB 11,3 10 x 103
/μL. Tra le infezioni intercorrenti abbiamo trovato 5 pz con infezione
intestinali da Clostridium Difficile, 36 pz con IVU (16 Escherichia
Coli, 9 Proteus Mirabilis,6 Enterococcus Faecalis, 5 Klebsiella Pneumoniae, 2 Pseudomonas Aeruginosa), 19 pz con polmonite (5 Pseudomonas Aeruginosa, 5 Klebsiella Pneumoniae, 3 Escherichia Coli, 2
Proteus Mirabilis ), 8 pazienti con sepsi (3 Klebsielle Pneumoniae, 2
Staphylococcus Aureus, 2 Proteus Mirabilis, 1 Enterococcus Faecalis,
100
1 Pseudomonas Aeruginosa). All’ingresso 45 pz avevano almeno una
piaga da decubito ( 22 pz al 4° stadio, 12 pz al 3° stadio, 10 pz al 2°
stadio, 1 pz al 1° stadio), la media di valori percentuali dell’albumina
all’elettroforesi proteica era di 42,9%. Dei 19 pz con polmonite 10 si
alimentavano tramite SNG, 9 tramite PEG; 6 pz in nutrizione continua tramite nutripompa e 13 pz alimentati ai 3 pasti principali; tutti i
19 pz assumevano alimentazione artificiale. Dei 43 pz in cui non abbiamo riscontrato polmonite 7 pz assumevano prevalentemente vitto
per os, 1 pz si alimentava tramite nutrizione parenterale totale, 26 pz
tramite SNG, 9 pz tramite PEG. Del gruppo di 35 pz alimentati tramite SNG/PEG 32 venivano alimentati ai 3 pasti principali, 3 pz in
nutrizione continua tramite nutripompa; 17 pz alimentati con vitto e
18 pz con alimentazione artificiale.
Conclusioni. Data l’alta incidenza di piaghe da decubito e i bassi valori di albumina sierica al momento del ricovero si evidenzia l’esigenza
di mobilizzazione precoce e di un implemento proteico nutrizionale
fin dalle prime fasi di ospedalizzazione in questo tipo di pazienti. Le
infezioni intercorrenti hanno una incidenza elevata durante il ricovero, i bassi valori di Hb e GB rispetto agli alti valori di PCR riscontrati
agli esami ematici sono indicativi della bassa capacità di risposta midollare dei pazienti che vanno incontro al decesso e possono quindi
essere utilizzati come fattori prognostici negativi. Parte importante del
programma riabilitativo in questi pazienti è trovare la modalità più
tollerata di nutrizione in modo da ridurre gli episodi di vomito che
nella nostra esperienza si correlano spesso a polmonite ab ingestis. I
pazienti che sono rimasti in nutrizione enterale tramite SNG o PEG
e che hanno sviluppato polmonite da probabile ab ingestis non hanno una correlazione diretta con le modalità di nutrizione (continua
o boli) ma piuttosto con il tipo di nutrizione, il vitto sembra infatti
essere maggiormente tollerato rispetto alla nutrizione artificiale.
Bibliografia
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105
MODELLI ORGANIZZATIVI PER INTENSITÀ
DI CURE: L’UFFICIO RICOVERI E LA GIUSTA
ALLOCAZIONE PER L’APPROPRIATEZZA DEI
RICOVERI IN RIABILITAZIONE INTENSIVA
Biagio Campana1, Salvatore Riccardo Brancaccio1, Aniello
Laise1, Gabriele Speranza1, Massimo Colella1, Alba Delli
Gatti1, Giovanni Vastola1
Fondazione Don Gnocchi, Polo Riabilitativo Specialistico, Sant’angelo dei Lombardi (AV), Italia1
Introduzione. L’organizzazione per intensità di cura ha lo scopo di
garantire risposte unitarie ai problemi di salute degli assistiti, mediante un approccio interdisciplinare e la continuità del percorso
assistenziale. Nell’ambito di questa organizzazione l’ufficio ricoveri
rappresenta uno strumento ”nuovo”, indispensabile per una giusta
valutazione delle proposte di ricovero provenienti dalle strutture
per acuti e/o dal territorio al fine di rispondere e soddisfare in tempi quanto più rapidi possibili alle suddette richieste garantendo
una allocazione nei moduli quanto più appropriata possibile. Lo
scopo di questo lavoro riguarda l’appropriatezza dell’allocazione
dei pazienti nei tre moduli di degenza previsto dal nostro nuovo modello organizzativo per intensità di cura(alta, media e bassa
intensità) in base ai dati che ricaviamo dalla scheda informativa
di proposta di ricovero che giunge al nostro ufficio ricovero com-
Vol. 30 - N. 2/3 - GIORNALE ITALIANO DI MEDICINA RIABILITATIVA - MR
44° CONGRESSO NAZIONALE SIMFER
prendente notizie anagrafiche e diverse scale di valutazione clinico
- funzionale.
Materiali e metodi. Verranno arruolati tutti i pazienti consecutivi ricoverati presso la nostra struttura dal mese di novembre 2015 al mese
di maggio 2016 (Cod:56; Cod: 75 e Cod:60), provenienti da reparti
per acuti e/o dal territorio di cui era pervenuta una richiesta di ricovero, parzialmente o completamente compilata, al nostro ufficio ricovero. Al momento il campione prevede 93 pazienti di cui 48 allocati
nella bassa intensità, 31 nella media e 14 nell’alta intensità.
Risultati. I risultati preliminari di questo studio ci permettono di
affermare che il grado di appropriatezza relativo all’allocazione dei
pazienti nei nostri tre moduli di degenza, tenendo conto delle informazioni pervenute nelle schede di proposta di ricovero, risulta essere
molto alta per i pazienti allocati nell’alta intensità (86%), mentre sia
la media che la bassa intensità si attestano su una percentuale pari
al 71%. L’ufficio ricovero ha inoltre permesso di soddisfare in tempi
molto rapidi le richieste di ricovero, rappresentando quindi un ottimo
indicatore di performance.
Conclusioni. L’ufficio ricovero rimane uno strumento indispensabile
per la valutazione delle proposte di ricovero provenienti dalle strutture
per acuti e/o dal territorio, permettendo una risposta rapida alle suddette richieste e garantendo una giusta allocazione e quindi appropriatezza nei tre moduli previsti dal nostro modello per intensità di cure.
Bibliografia
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Nicosia F. (2013). Il nuovo ospedale è snello. Far funzionare gli ospedali con il
LeanHealthCare: consigli pratici e sostenibilità. Milano: F. Angeli.
106
IMPIEGO DEL KINESIOTAPING NEL
TRATTAMENTO DEL LINFEDEMA
SECONDARIO: CASE REPORT
Oriana d’Esposito1, Antonio Ammendolia1, Mariateresa
Inzitari1, Maurizio Iocco1
U.O.C Medicina Fisica e Riabilitativa, Università degli Studi “Magna Graecia”,
Catanzaro, Italia1
Introduzione. Il linfedema secondario a patologia oncologica e/o
post chirurgico è una entità nosologica di difficile trattamento per le
frequenti recidive e per la cronicità del quadro clinico che non prevede
una risoluzione definitiva. Da qualche anno la letteratura scientifica
ha evidenziato il ruolo del kinesiotaping nel trattamento di tali patologie, per la sua funzione di drenaggio ed effetto trofico sui tessuti,
soprattutto superficiali. Il kinesiotaping infatti crea un effetto “vacuum” che viene potenziato durante il movimento, attivo o passivo, non
presenta effetti collaterali e non interferisce con la terapia medica dei
pazienti. Visto l’interesse suscitato dall’impiego di tale metodica, con
il presente lavoro abbiamo inteso valutare l’efficacia dell’utilizzo del
kinesiotape nel trattamento di un caso di linfedema cronico dell’arto
inferiore sinistro, in una paziente con comorbidità complesse.
Materiali e metodi. Paziente donna di 64 anni, affetta da adenocarcinoma dell’endometrio e operata nel 2012 di annessiectomia bilaterale
e linfoadenectomia lombo-aortica. Dopo 6 mesi dall’intervento la paziente ha manifestato la comparsa di edema all’arto inferiore sinistro,
trattato con linfodrenaggio e calza compressiva per circa due anni,
con regressione temporanea dell’edema e senza sintomi clinici. Successivamente, nonostante il drenaggio linfatico manuale, l’edema non
tendeva alla regressione, costringendo la paziente all’allettamento, per
comparsa di dolore pungente e parestesie, associati ad una intolleranza
alla terapia medica. Giunta alla nostra osservazione, presentava edema
improntabile all’arto inferiore sinistro, che risultava avere una circonferenza di cm. 11 superiore rispetto all’arto controlaterale. Al linfodrenaggio è stata associata un’applicazione decompressiva di kinesiotape
ad azione drenante, lungo tutto l’arto inferiore sinistro, utilizzando
tape dello spessore di cm. 5, diviso in 4 strisce a ventaglio per tutta
la lunghezza della coscia e della gamba fino al piede. Nella regione
dorsale e malleolare esterna della caviglia erano inoltre presenti lesioni
cutanee da compressione, trasversali, della lunghezza di cm. 4/6 della
profondità di circa mm. 3, dovute all’azione compressiva della calza.
Per tali lesioni sono state applicate 8 strisce di kinesiotape, lunghi cm.
35 e larghi cm. 1. Per valutare l’efficacia dell’impiego del kinesiotape
con o senza il linfodrenaggio, è stata misurata la circonferenza della
caviglia, della gamba, della coscia al tempo T0, dopo il trattamento
con il solo kinesiotape (T1), dopo il trattamento con linfodrenaggio
associato al kinesiotape (T2) e dopo che la paziente è stata lasciata a
riposo senza alcun trattamento, ma indossando la sola calza compressiva (T3).
Risultati. A T1, dopo la sola applicazione di kinesiotape, la paziente
mostrava una riduzione di cm. 1,5 della circonferenza della coscia e di
cm. 1 della gamba, la circonferenza della caviglia appariva invariata. A
T2, con l’associazione di kinesiotape e linfodrenaggio, è stata rilevata
una più evidente riduzione delle circonferenze: cm. 4 coscia, cm. 1
gamba, cm. 2 caviglia. La paziente riferiva inoltre di non avvertire
più il senso di “pesantezza” all’arto inferiore sinistro, sempre presente
al mattino, l’aumento della frequenza della minzione e la scomparsa
del dolore e delle parestesie all’arto inferiore sinistro, tali da permettere una migliore qualità del sonno. Nel periodo in cui ha utilizzato
la sola calza compressiva (T3), è stato riscontrato un aumento della
circonferenza della coscia di cm. 1,5, della gamba di cm. 1 e nessuna
variazione della circonferenza della caviglia. Persisteva la sensazione
di benessere all’arto inferiore sinistro. Sulla base dei risultati ottenuti abbiamo deciso di intraprendere un trattamento di linfodrenaggio
associato a kinesiotaping a cadenza trisettimanale, prescrivendo alla
paziente di non utilizzare la calza compressiva. Dopo un mese abbiamo potuto osservare un netto miglioramento clinico e funzionale, testimoniato da un importante riduzione delle circonferenze (meno cm.
8 alla coscia, meno cm. 7,5 alla gamba, meno cm. 3,5 alla caviglia) e
dalla scomparsa di dolore e parestesie. Un evidente miglioramento è
stato ottenuto anche sulle lesioni della cute nella regione dorsale della
caviglia, che apparivano schiarite e meno profonde.
Conclusioni. La nostra esperienza nel trattamento di un caso di linfedema cronico post- chirurgico incoraggia l’utilizzo del kinesiotaping
associato a linfodrenaggio, tale sinergia si è dimostrata efficace ad ottenere in breve tempo un netto miglioramento delle condizioni clinicofunzionali della paziente.
107
RIABILITAZIONE CON STIMOLAZIONE
RITMICO-ACUSTICA: EFFETTI SU 32 PERSONE
CON MALATTIA DI PARKINSON
Roberta Pili1, Mauro Murgia2, Federica Corona3,
Massimiliano Pau3, Marco Guicciardi4, Carlo Casula5
Scuola Specializzazione Medicina Fisica e Riabilitazione, Università degli Studi
di Cagliari, Cagliari, Italia1
Dipartimento di Scienze della Vita, Università degli Studi di Trieste, Trieste, Italia2
Dipartimento di Ingegneria Meccanica, Chimica e dei Materiali, Università degli Studi di Cagliari, Cagliari, Italia3
Dipartimento di Pedagogia, Psicologia, Filosofia, Università degli Studi di Cagliari, Cagliari, Italia4
SC Recupero e Rieducazione Funzionale, Azienda Ospedaliera G. Brotzu, Cagliari, Italia5
Introduzione. La riabilitazione nella malattia di Parkinson è in grado
di contrastare la disabilità che il paziente sperimenta con il progredire
della malattia, nonostante le migliori terapie farmacologiche e chirurgiche. Il ruolo della riabilitazione è ottimizzare le abilità funzionali e
ridurre le complicanze secondarie attraverso il movimento in un con-
Vol. 30 - N. 2/3 - GIORNALE ITALIANO DI MEDICINA RIABILITATIVA - MR
101
44° CONGRESSO NAZIONALE SIMFER
testo di educazione e supporto dell’intera persona (1). Gli effetti
positivi della riabilitazione sulla dinamica del passo possono essere
aumentati attraverso l’utilizzo della stimolazione ritmico-acustica
(RAS Rhythmic Auditory Stimulation) che agisce attivando aree
cerebrali deputate al controllo del movimento (circuito cerebellotalamocorticale) come meccanismo di compenso alla disfunzione
del network ganglio basale-talamocorticale. Gli stimoli ritmici
metronomici sono ampiamente usati nella pratica clinica, mentre
altri tipi di stimoli ritmici, come quelli derivanti dalla registrazione di suoni naturali come il rumore dei passi (E-RAS Ecological
Rhythmic Auditory Stimulation), sono ancora poco studiati (2). Il
moderno modello bio-psico-sociale stimola il contributo transdisciplinare nella cura della malattia di Parkinson, favorendo la valutazione del potenziale impatto della somministrazione di suoni del
passo ecologici attraverso i vantaggi offerti dall’analisi quantitativa
del cammino (3). Pertanto il presente progetto mira a stabilire se
l’uso di suoni ritmici ed ecologici (E-RAS) nell’ambito del trattamento riabilitativo, abbia un beneficio maggiore, rispetto al trattamento riabilitativo con suoni artificiali (RAS), sulle performance
motorie e funzionali.
Materiali e metodi. Lo studio ha reclutato 32 persone affette da
malattia di Parkinson (stadio 1,5-3 Hoehn&Yahr, in fase ON durante valutazioni e terapia), suddivise casualmente in due gruppi:
suono ecologico e suono artificiale. I pazienti hanno effettuato un
ciclo riabilitativo ambulatoriale con il fisioterapista di 10 sedute 2
volte alla settimana della durata di 45 minuti. Gli ultimi 20 minuti
consistevano in un training del passo con l’ascolto di suoni ritmici
attraverso lettore mp3. I pazienti hanno praticato altre 3 sedute a
settimana autogestite per almeno 20 minuti presso il proprio domicilio, con esecuzione di esercizi appresi e camminata con ascolto
della traccia sonora. Il trattamento complessivo è stato di 25 sedute in 5 settimane. Gli stimoli ecologici sono rappresentati dal
suono di passi registrati in laboratorio, mentre gli stimoli artificiali
sono suoni metronomici. Entrambi gli stimoli hanno un numero
di BPM pari alla frequenza media di camminata individuale dei
pazienti, maggiorata fino al 10% nei pazienti con cadenza inferiore
ai valori normativi di riferimento per fascia di età. I pazienti sono
stati valutati in doppio cieco prima dell’inizio del trattamento
(T0), al termine del training (T1) e a distanza di 3 mesi dal termine del training (T2). La gait analysis ha permesso di ottenere dati
relativi ai parametri spazio temporali, alla cinematica del cammino
attraverso gli indici sintetici Gait Profile Score (GPS) e Gait Variable Score (GVS) e agli angoli articolari. Le analisi statistiche sono
state elaborate secondo categorie mediante test ANOVA e t-test.
Per le variabili dipendenti non parametriche sono stati utilizzati il
test di Friedman e quello di Wìlcoxon.
Risultati. Le analisi non hanno evidenziato differenze statisticamente significative tra i due gruppi di pazienti (suono ecologico e
suono artificiale), mentre sono emersi miglioramenti statisticamente
significativi tra pre- e post-test sulle seguenti misure di outcome:
UPDRS III, Functional Independence Scale (FIM), Scala di Tinetti,
Short Physical Performance Battery (SPPB), Geriatric Depression
Scale (GDS-15), Parkinson’s Disease Questionnaire (PDQ-8), Falls
Efficacy Scale (FES), Activities-specific Balance Confidence (ABC),
Freezing of Gate Questionnaire (FOG), Diario delle cadute. Dei
parametri spazio-temporali analizzati la percentuale del tempo di
swing, di doppio supporto, la velocità cadenza, lunghezza del passo
ed emipasso sono migliorate significativamente, mentre la larghezza
del passo è aumentata da T0 a T2. I dati cinematici mostrano un
miglioramento del GPS, del GVS di anca, del ROM di anca e ginocchio e un peggioramento del GVS della caviglia.
Conclusioni. Lo studio mostra che un trattamento riabilitativo in
persone con malattia di Parkinson associato all’uso del suono eco102
logico non risulta superiore rispetto a un trattamento riabilitativo
associato all’uso di suoni metronomici. Riteniamo che la valenza
riabilitativa del trattamento convenzionale sia predominante in
entrambi i gruppi di pazienti tale da mascherare gli effetti della
sola stimolazione acustica. I dati ottenuti evidenziano un’elevata
compliance al progetto da parte dei pazienti, che contribuisce al
buon rapporto costo-efficacia di un trattamento riabilitativo ambulatoriale estensivo-autogestito di 5 settimane, con i benefici clinici che si mantengono ai tre mesi di follow up.
Bibliografia
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amplitude regulation disorder. Mov Disord (2005) 20(1):40-50. doi: 10.1002/
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108
SPALLA DOLOROSA E PARKINSON: RUOLO
DELL’ANALISI CINEMATICA
Oriana d’Esposito1, Antonio Ammendolia1, Gionata
Fragomeni2, Angela Carbone1, Angelo Indino1, Gerardo de
Scorpio1, Maurizio Iocco1
U.O.C Medicina Fisica e Riabilitativa, Università degli Studi “Magna Graecia”,
Catanzaro, Italia1
Unità di Bioingegneria, Università degli Studi “Magna Graecia”, Catanzaro,
Italia2
Introduzione. Il dolore all’articolazione scapolo-omerale è presente
in una percentuale significativa di pazienti affetti da Morbo di Parkinson ed in letteratura è stata ipotizzata la presenza di una correlazione tra il grado di ipocinesia e la rigidità articolare. Nonostante
ciò, spesso non si tiene conto di questa sintomatologia nel Piano
Riabilitativo Individuale (PRI) di questi pazienti, che tiene conto in
genere dei sintomi caratteristici di questa patologia: rigidità, tremore
ed ipocinesia. Da un’attenta ricerca bibliografica, consultando siti
dedicati alla letteratura scientifica (Pubmed, Pedro), è emerso che
non esistono studi che documentino il comportamento cinematico
della spalla nei pazienti affetti da morbo di Parkinson. Questo lavoro
si propone di studiare, mediante l’analisi cinematica, le alterazioni di
movimento della spalla in pazienti affetti da questa patologia, rispetto ad una classe di normalità, allo scopo di poter indirizzare meglio
il trattamento riabilitativo, rendendolo specifico e personalizzato.
Materiali e metodi. Nel laboratorio di Analisi del Movimento
della nostra U.O.C di Medicina Fisica e Riabilitativa, seguendo le
indicazioni della International Society of Biomechanics, mediante
l’utilizzo di un sistema optoelettronico a due telecamere, abbiamo
realizzato un protocollo sperimentale per la misurazione degli angoli
di rotazione dell’omero durante i movimenti di abduzione, flessione, estensione, extra ed intrarotazione e di rotazione esterna della
scapola durante l’abduzione e la flessione. Tale protocollo è stato
applicato ad un gruppo di 24 pazienti di età compresa tra 52 ed 80
anni, affetti da morbo di Parkinson. Per la valutazione clinica è stata
utilizzata la scala SPADI. La medesima analisi cinematica è stata
effettuata a soggetti di età compresa tra i 50 e gli 80 anni, che non
presentavano limitazioni funzionali né avevano subito interventi o
eventi traumatici all’articolazione della spalla, per definire una classe
di normalità.
Risultati. Rispetto ai soggetti del gruppo di controllo, nei pazienti affetti da morbo di Parkinson sono state osservate le seguenti
limitazioni a carico della spalla: abduzione dell’omero ridotta del
Vol. 30 - N. 2/3 - GIORNALE ITALIANO DI MEDICINA RIABILITATIVA - MR
44° CONGRESSO NAZIONALE SIMFER
17%, flessione del 22%, estensione del 25%, intra ed extrarotazione rispettivamente dell’11% e del 2%. Inoltre durante i movimenti
di abduzione e flessione, il ritmo scapolare è apparso modificato a
causa di una maggiore rotazione esterna della scapola nei pazienti
affetti da morbo di Parkinson. In tutti questi pazienti i valori della
scala SPADI hanno evidenziato la presenza di un grado di disabilità
medio-grave.
Conclusioni. L’analisi cinematica ha permesso di descrivere con
maggiore accuratezza le limitazioni funzionali della spalla nei pazienti con morbo di Parkinson rispetto ai soggetti di pari età non
affetti da alcuna patologia invalidante, consentendo di poter attribuire la presenza di tali limitazioni funzionali al grado di disabilità
determinato dal morbo di Parkinson, come testimoniato anche dai
risultati ottenuti dalla scala SPADI. I dati a disposizione sottolineano la necessità di porre attenzione alla presenza di una spalla dolorosa in questi pazienti e l’eventuale utilizzo dell’analisi cinematica
con lo scopo di orientare meglio il piano riabilitativo individuale,
rendendolo specifico e personale per ognuno dei pazienti, in base
alla tipologia ed al grado di limitazione funzionale nei diversi gradi
di movimento.
109
VALUTAZIONE DELLA NECESSITÀ PERCEPITA
DAL PAZIENTE FRATTURATO DI FEMORE
DEL BISOGNO DI CONTINUITÀ DI CURE
DOPO LA DIMISSIONE DALLA STRUTTURA
RIABILITATIVA INTENSIVA “GAETANO PINICTO”
Diego Contro1, Antonello Valerio Caserta2, Anna Gallo1,
Sofia De Grandi1, Carolina Re Zurla2, Claudia Rioman3,
Lorenzo Panella2
Scuola di Specializzazione in Medicina Fiisica e Riabilitativa Università Statale
di Milano, ASST Pini - CTO Milano, Milano, Italia1
ASST Pini-CTO Milano, ASST Pini-CTO Milano, Milano, Italia2
Scuola di Specializzazione in Medicina Fisca e Riabilitativa Università Bicocca
Milano, ASST Pini -CTO Milano, Milano, Italia3
Introduzione. La valutazione del percorso diagnostico, terapeutico
e assistenziale dopo la dimissione da una struttura ospedaliera può
essere analizzato alla luce della fragilità acquisita dall’individuo
fratturato di femore in conseguenza dell’evento acuto che l’ha
interessato. Nel post-intervento, il periodo di riabilitazione
intensiva ha l’obiettivo di restituire la maggior autonomia possibile
a questi pazienti, ma non sempre è sufficiente a garantire un
efficace e duraturo rientro al domicilio, poiché la fragilità acquisita
incide in modo determinante sulla salute dell’individuo. Da tempo
si discute in letteratura scientifica riguardo l’influenza che aspetti
organizzativi come precocità dell’intervento, lunghezza della
degenza e trasferimento in setting intermedi hanno sull’outcome
del paziente. Scopo dello studio è valutare il percorso diagnostico,
terapeutico e assistenziale dei pazienti fratturati di femore dopo la
dimissione da una struttura riabilitativa intensiva, analizzando il
setting, l’eventuale ulteriore periodo di riabilitazione ricevuta e i
nuovi accessi al Sistema Sanitario. Si vuole esaminare l’impatto che
l’evento “frattura di femore” ha su mortalità, re-ospedalizzazione,
necessità oggettiva e soggettiva di riabilitazione e recupero
funzionale globale del paziente, analizzando sia le diverse risposte
che il territorio e i servizi disponibili sanno dare alle sue necessità,
sia la loro efficacia nel recupero funzionale dell’individuo.
Materiali e metodi. Studio pilota epidemiologico di coorte, retrospettivo, monocentrico. Sono stati contattati telefonicamente
150 pazienti dimessi dalla nostra struttura riabilitativa intensiva
nell’anno 2014, di cui 131 femmine e 19 maschi, con età compresa tra i 60 e 99 anni, utilizzando un questionario pre-impostato per
indagare alcuni items. Sono state raccolte informazioni riguardo:
- eventuale decesso del paziente;
- giorni intercorsi tra frattura e intervento chirurgico;
- tipologia di intervento: conservativo, endoprotesi, sostituzione totale dell’anca;
- categorizzazione del setting alla dimissione: ospedale per acuti, centro di riabilitazione estensiva, assistenza domiciliare integrata, servizio ambulatoriale semplice, domicilio;
- intensità di eventuali ulteriori progetti e programmi riabilitativi, e indicazione agli stessi (prescrizione medica o scelta
personale);
- eventuali ulteriori accessi ad ospedali per acuti, con relativa
causa e conseguenze;
- indipendenza del paziente nell’autonomia al momento dell’intervista, confrontate con quelle precedenti la frattura.
Risultati. L’85% dei soggetti è ancora in vita al momento dell’intervista; il 55% è stato operato entro i 2 giorni dalla frattura, il
30% entro 4 giorni, il 15% dopo 5 o più: il 55% operati con
chirurgia conservativa, 40% con endoprotesi e il 5% con protesi
totale di anca. Dopo la dimissione, 80% dei pazienti ha riferito di
aver proseguito la riabilitazione, di cui 48% su indicazione fisiatrica, 18% ortopedica, 6% del medico di medicina generale, 28%
per scelta personale. Il 37% è stato dimesso al domicilio, 30% ha
continuato le cure in strutture di riabilitazione estensiva, 18% a
livello ambulatoriale, 12% ha richiesto l’attivazione dell’assistenza
domiciliare integrata, il 2% è stato ricoverato in un ospedale per
acuti, 1% verso altri settings. Il 28% dei pazienti ha proseguito i
trattamenti per una durata inferiore alle 4 settimane, il 23% ha
proseguito per più di 8 settimane, entrambi i gruppi con in media
3 sedute a settimana; il 49% ha proseguito tra le 4 e 8 settimane,
con in media 4 trattamenti a settimana; in tutti e tre i gruppi, ogni
seduta durava tra 30 e 60 minuti. Il 58% dei pazienti ha riferito
un nuovo accesso in ospedale, di cui il 18% per una nuova caduta:
di questi il 50% ha riportato la frattura del femore controlaterale
rispetto al precedente, il 10% di quello già operato. Tra gli intervistati il 2% era allettato o in carrozzina prima della frattura, mentre
ora il 15%; 8% riferiva di muoversi prevalentemente in casa prima
della frattura, il 17% allo stato attuale; i pazienti che uscivano
solo se accompagnati erano il 22%, saliti al 28%; il 68% usciva di
casa da solo prima dell’intervento, scendendo poi al 40%. Non si
è rilevata una correlazione statisticamente significativa tra durata
dei trattamenti ricevuti con tipo di intervento chirurgico, tassi di
mortalità e re-ospedalizzazione.
Conclusioni. Si evidenzia come la maggior parte dei pazienti abbia avuto necessità di ulteriori terapie dopo la dimissione, e come
esse abbiano avuto una durata variabile, fino ad essere anche superiori ai 2 mesi; nonostante questo, il trattamento riabilitativo
affrontato, per quanto individualizzato, non è riuscito ad azzerare
il rischio di nuova caduta e ri-frattura del femore. Si può notare
inoltre come la mobilità in autonomia dei pazienti si sia drasticamente ridotta in conseguenza della frattura, confermandola come
evento critico nella vita di un anziano.
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103
44° CONGRESSO NAZIONALE SIMFER
110
Bibliografia
ASSOCIAZIONE FRA DOLORE E PARAMETRI
DI COMPOSIZIONE CORPOREA VALUTATI
CON IMPEDENZIOMETRIA IN PAZIENTI
SOTTOPOSTI A PROGRAMMA RIABILITATIVO
DOPO INTERVENTO DI PROTESI DI
GINOCCHIO
Anna gallo1, Alessandro Tomba2, Diego Contro1, Sofia De
Grandi1, Claudia Roman3, Maurizio Lopresti4, Antonello
Valerio Caserta4, Lorenzo Panella4
Scuola di Specializzazione in Medicina Fisica e Riabilitativa Università Statale
di Milano, ASST Pini_CTO Milano, Milano, Italia1
ASST Pini - CTO Milano, ASST Pini - CTO Milano, Milano, Italia2
Scuola di Specializzazione in Medicina Fisica e Riabilitativa Università Bicocca
Milanio, ASST Pini - CTO Milano, Milano, Italia3
ASST Pini - CTO Milano, ASST Pini - CTO Milano, Milano, Italia4
Introduzione. In riabilitazione il dolore influenza significativamente l’outcome funzionale dei pazienti ma la sua misurazione con parametri oggettivi ha sempre rappresentato una sfida per il clinico. Un
recente studio giapponese del 2015 ha evidenziato una correlazione
statisticamente significativa tra il grado di disidratazione corporea
e di composizione quantitativa di massa muscolare e la presenza di
dolore cronico al collo e alla spalla. Scopo di questo studio è la valutazione di una correlazione fra dolore acuto post chirurgico , nello
specifico dopo protesizzazione di ginocchio, e parametri di misurazione oggettivi di tipo impedenziometrico.
Materiali e metodi. Il nostro è uno studio pilota in fase sperimentale di tipo I, monocentrico. Attualmente i pazienti arruolati sono
9, 7 donne e 2 uomini, ma lo studio è attualmente in corso. Il campione è costituito da pazienti ricoverati in reparto di riabilitazione
intensiva dopo intervento di protesi di ginocchio e sottoposti a un
programma di riabilitazione individuale secondo linee guida per la
tipologia di intervento. I pazienti sono stati valutati attraverso i seguenti strumenti:
- scheda del dolore ingresso e uscita come da database kiwidatascience con scale di autonomia funzionale;
- valutazione impedenziometrica in ingresso ed in uscita [BMI massa muscolare totale - massa grassa totale e ratio (%) - idratazione totale e ratio (%) - massa muscolare appendicolare (4 arti)
e indice di massa appendicolare - metabolismo basale]
Il timing dello studio ha previsto una valutazione basale, all’ingresso
in reparto, per un’analisi statistica delle correlazioni fra componente
dolore e parametri impedenziometrici, e una seconda valutazione
comparativa, dopo 15 giorni di ricovero, per la verifica delle correlazioni fra le variazioni temporali dei suddetti parametri durante il
programma riabilitativo.
Risultati. I dati finora ottenuti sono stati elaborati con il calcolo
dei coefficienti di correlazioni ed i relativi P-values al 95% di confidenza e successiva analisi di regressione. Nella prima misurazione , è
individuabile una legge di regressione che correla i valori di metabolismo basale al valore riferito alla scala NRS (NRS=21.63-0.01080
metabolismo basale). Tale correlazione non si osserva nella seconda
misurazione (dopo 15 giorni di ricovero), nè sono state individuate
correlazioni statisticamente significative tra i valori di NRS e il livello di idratazione, come invece accadeva nel precedente analogo
studio di riferimento.
Conclusioni. Ad una prima analisi dei dati, alla valutazione all’ingresso in reparto si riscontra una correlazione statisticamente significativa tra alti valori di metabolismo basale e bassi valori NRS. È
necessario però proseguire lo studio aumentando la numerosità del
campione per verificare eventuali correlazioni tra la presenza del dolore e altri parametri impedenziometrici.
104
1.
2.
3.
BMC Musculoskelet Disord. 2015; 16: 333. Published online 2015 Nov 4
Yoichi Iizuka, Haku Iizuka, Tokue Mieda, Tsuyoshi Tajika, Atsushi Yamamoto,
Takashi Ohsawa, Tsuyoshi Sasaki, and Kenji Takagishi
Association between neck and shoulder pain, back pain, low back pain and
body composition parameters among the Japanese general population
111
PROPOSTA DI UN PROTOCOLLO DI
VALUTAZIONE DELLO SVILUPPO PRASSICO
TIPICO NELLA SECONDA INFANZIA: DATI
PRELIMINARI
Alessandra Crecchi1, Alessandra Tozzini1, Elena Maria De
Feo1, Donata Maria Frino1, Rita Tavella1, Giulia Montigiani1,
Federica Orlandi1, Lucia Briscese1, Bruno Rossi1, Maria
Chiara Carboncini1, Luca Bonfiglio1
UO Neuroriabilitazione, Università di Pisa, Pisa, Italia1
Introduzione. La disprassia evolutiva è definibile come un disturbo della pianificazione del movimento intenzionale destinato ad
uno scopo, legata ad un’alterata acquisizione degli schemi di movimento appresi in funzione di un determinato risultato.[1] Essa
si realizza in assenza di patologie neurologiche, cognitive o relazionali. Tuttavia, alterate abilità prassiche sono presenti in bambini
affetti da DCD (disturbo della coordinazione motoria), e aspetti
disprassici possono essere presenti anche in bambini affetti da PCI
[2] e da autismo [3]. L’eziologia di tale disturbo è tuttora sconosciuta e sembrerebbe essere ascrivibile ad un’alterazione dei processi di maturazione del sistema nervoso centrale occorsa in epoca
prenatale, perinatale o neonatale. L’intervento riabilitativo assume
un ruolo fondamentale nei bambini affetti da tale disturbo, perché
quest’ultimo può interferire in maniera sostanziale con le attività scolastiche e di vita quotidiana. La finalità del presente studio,
quindi, è quella di sviluppare un protocollo di rapida e semplice
somministrazione che consenta di valutare le abilità prassiche in
età evolutiva allo scopo di permettere la stesura di un progetto
riabilitativo mirato a recuperare quelle abilità che risultano compromesse.
Materiali e metodi. Abbiamo reclutato 58 bambini con sviluppo
prassico tipico, nella fascia d’età compresa tra i 3 e gli 8 anni, ai
quali è stato somministrato il protocollo di valutazione oggetto
dello studio. Tale protocollo è suddiviso in 6 parti, ciascuna delle
quali relativa ad una modalità prassica e composta da subtests che
ne valutano alcuni aspetti specifici: modalità imitazione (prassie
espressive e gesto transitivo), modalità visiva e visuo-tattile (gesto
transitivo), modalità verbale (prassie espressive e gesto transitivo),
modalità somestesica e cinestesica (riconoscimento di posizione,
identificazione e localizzazione tattile, riconoscimento di traiettorie), pianificazione del movimento (pianificazione dell’azione),
riconoscimento gestuale (riconoscimento di gesto su foto, riconoscimento di gesto su terza persona). In totale il protocollo prevede
la somministrazione di 17 item.
Risultati. Dall’analisi dei dati si può osservare un chiaro andamento evolutivo nell’acquisizione delle abilità prassiche, con una
riduzione progressiva del numero degli errori commessi all’aumentare dell’età dei bambini. Pur trattandosi di uno studio preliminare
ed essendo dunque necessario un ampliamento del campione (includendo anche bambini fino ai 12 anni, età in cui si presuppone
che le abilità prassiche siano in tutto e per tutto sovrapponibili
a quelle dell’adulto), i presenti dati suggeriscono l’affidabilità del
protocollo nel valutare lo sviluppo tipico delle prassie.
Conclusioni. Tale protocollo, pertanto, potrebbe essere impiegato nella valutazione di bambini con disturbi prassici allo scopo
di individuare un cut-off fra performance normale e performance
disprassica per ciascuna modalità prassica, in modo da consentirne
Vol. 30 - N. 2/3 - GIORNALE ITALIANO DI MEDICINA RIABILITATIVA - MR
44° CONGRESSO NAZIONALE SIMFER
l’utilizzo a scopo diagnostico, ma anche a scopo ribilitativo: esso
restituisce, infatti, non solo informazioni di carattere quantitativo
(un punteggio totale e un punteggio parziale per ciascuna modalità
prassica), ma anche informazioni di carattere qualitativo (per es., il
tipo di errore commesso dal bambino), potenzialmente utilizzabili
dall’equipe riabilitativa per orientare l’intervento verso le abilità
prassiche più compromesse.
Bibliografia
1.
2.
3.
Vaivre-Douret, L., Lalanne, C., Ingster-Moati, I., Boddaert, N., Cabrol, D.,
Dufier, J.-L. - Subtypes of developmental coordination disorder: Research
on their nature and etiology. Developmental Neuropsychology, 2011 36(5),
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Ferrari A, Cioni G – Le forme spastiche della paralisi cerebrale infantile. Springer 2005
Dziuk MA, Gidley Larson JC, Apostu A. Dyspraxia in autism: association
with motor, social, and communicative deficits. Dev Med Child Neurol.
2007;49:734–739
112
LE SCOLIOSI NEL TERRITORIO SANITARIO
TARANTINO: LA NOSTRA ESPERIENZA
Annamaria Terlizzi1
ASL TA, Dipartimento Territoriale Riabilitazione, Taranto, Italia1
Introduzione. La scoliosi è una deformità tridimensionale della
colonna vertebrale. È una patologia che presenta aspetti di grande complessità e per certi versi anche di fascino per gli operatori
sanitari che si propongono di curarla. Le Linee Guida SIMFER la
definiscono: “complessa deformità strutturale della colonna vertebrale che si torce nei tre piani dello spazio, sul piano frontale
si manifesta con un movimento di flessione laterale, sul piano sagittale con una alterazione delle curve (spesso provocandone una
inversione) e sul piano assiale con un movimento di rotazione”.
Possiamo distinguere in base all’età di prima rilevazione: la scoliosi
infantile (fino a 3 anni di età), giovanile (dai 3 anni alla pubertà), adolescenziale (dalla pubertà alla completa maturità ossea). La
causa della maggior parte delle scoliosi è sconosciuta. Non è possibile, di conseguenza, mettere in atto una prevenzione primaria. La
diagnosi precoce ci deve porre in grado di operare una prevenzione
secondaria. La validità dello screening per la scoliosi adolescenziale
idiopatica è stata a lungo dibattuta in questi anni e sullo sfondo
di analisi, parzialmente condivisibili, di relazioni costi/benefici si
è riscontrato una forte riduzione del tasso di intervento chirurgico quando si usi un approccio terapeutico conservativo (esercizi e
corsetto).
Materiali e metodi. La nostra esperienza riguarda più di 200 casi
trattati dal 2014 al 2016, visitati, diagnosticati e presi in carico
negli ambulatori dedicati ai “dimorfismi della colonna vertebrale”
c/o il Dipartimento di Riabilitazione dell’età evolutiva di Taranto
e il Distretto SS di Martina Franca. Sono stati reclutati pazienti
affetti da scoliosi idiopatica dell’adolescenza di età pari a 13 anni
con curve pari a 23° Cobb all’inizio del trattamento. L’obiettivo
era quello di valutare i risultati finali di una serie prospettica di
pazienti trattati presso i nostri ambulatori totalmente dedicati al
trattamento conservativo completo della scoliosi idiopatica dell’adolescenza. Tutti i pazienti sono stati trattati secondo protocolli
riabilitativi (Mezieres, Sohier, Klapp, Souchard, Schroth, etc..)
personalizzati ed in relazioni alle curve scoliotiche. Il trattamento
ortesico riguardavano: corsetti Cheneau Sibilla, Sforzesco e PASB.
I pazienti sono stati seguiti dallo stesso medico e dallo stesso fisioterapista nel corso degli anni.
Risultati. L’obiettivo assoluto era quello di evitare l’intervento
chirurgico.
Conclusioni. Il trattamento ha determinato una riduzione statisticamente significativa delle curve peggiori e i risultati migliori si
sono ottenuti nelle curve superiori ai 40° Cobb.
Bibliografia
1.
2.
3.
Screening for adolescent idiopathic scoliosis. HSTAT: Guide to clinical preventive services. 3rd ed. Baltimore (MD): Williams & Wilkins; 1996:517-29.
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Cimino F. Lo screening per la scoliosi. L’esperienza di Modena. In: Negrini
S, Sibilla P, eds. Le deformità vertebrali: stato dell’arte. Vigevano: Gruppo di
Studio della Scoliosi, 2000:84-92.
113
VALUTAZIONE DELL’EFFETTO DEL
PROGRAMMA RIABILITATIVO INTENSIVO SUL
RECUPERO MOTORIO NELLA FASE TARDIVA
DELLE GCA
Giovanni Pietro Salvi1, Laura Manzoni1, Laura Smirni1,
Chiara Russo2, Marcello Simonini1, Fabrizio Togni1,
Annamaria Quarenghi1
U.O. Riabilitazione Neuromotoria, Istituto Clinico Quarenghi, San Pellegrino
Terme, Italia1
Scuola di Specializzazione in Medicina Fisica e Riabilitativa, Università degli
studi “G.d’Annunzio” Chieti - Pescara, Chieti, Italia2
Introduzione. Scopo dello studio è valutare l’outcome motorio dei
pazienti sottoposti a protocollo di San Pellegrino Terme nella fase
tardiva delle GCA.
Materiali e metodi. Sono stati studiati 50 pazienti provenienti dal
reparto di Riabilitazione Neuromotoria dell’Istituto Clinico Quarenghi affetti da GCA con evento acuto da almeno 12 mesi, età
compresa media 65±14 anni. Il campione era costituito da 17 femmine e 33 maschi e la durata del protocollo in regime di ricovero era
1 mese. I criteri di esclusione erano gravi limitazioni osteoarticolari;
gravi lesioni da decubito; gravi comorbidità cardiocircolatorie ed un
evento acuto entro i 12 mesi. Il protocollo prevedeva: valutazione
fisiatrica iniziale con utilizzo delle scale TINETTI, FIM e MMSE;
GAIT ANALYSIS (sia in ingresso sia in uscita); valutazione cognitiva eseguita dal neuropsicologo; trattamento di RIABILITAZIONE
NEUROMOTORIA (30 min) comprendente esercizi per la facilitazione e la modulazione del carico dinamico e per il miglioramento
della fase oscillante; training del passo ed esecuzione delle scale; si
proseguiva con il trattamento utilizzando la pedana stabilometrica
modello BIODEX BALANCE SD (15 min) per l’analisi dell’indice
di stabilità e di oscillazione; il trattamento con treadmill modello
BIODEX GAIT TRAINER (15 min) per valutare la velocità del
cammino, il ciclo del passo e la relativa lunghezza oltre che la distribuzione del carico. Il protocollo prevedeva anche il trattamento
in ambito ecologico (TEST ECOLOGICO DEL CAMMINO DI
SAN PELLEGRINO TERME) ossia la valutazione delle attività
eseguite all’esterno della palestra: come camminare su ciottolato, su
sentieri, superare ostacoli, salire e scende dalle scale. Discriminante
per l’accesso al trattamento con REALTÀ VIRTUALE (30 min) era
il punteggio MMSE ≥24 (punteggio corretto). La valutazione finale
veniva eseguita dal medico fisiatra.
Risultati. Analizzando i parametri in ingresso ed in dimissione abbiamo ottenuto un incremento medio della FIM (9,2%), della Tinetti (22,5%), con una riduzione del rischio di caduta. I punteggi
inerenti gli indici di stabilità ed indice di oscillazione erano migliorati rispettivamente del 11,9% e del 16%. La velocità di deambulazione registrata al treadmill era incrementata del 51,4%. Migliorata
anche la lunghezza della falcata che registrava un incremento del
23% confermando l’incremento positivo dei punteggi ottenuti al
Test Ecologico Del Cammino Di San Pellegrino Terme.
Conclusioni. Il trattamento secondo il protocollo proposto si è dimostrato efficace nei casi trattati dimostrando un miglioramento
globale a livello di deambulazione ed equilibrio con riduzione delle
cadute in reparto. La tecnologia utilizzata è da considerare come
parte importante nel processo di recupero funzionale, ma sempre
Vol. 30 - N. 2/3 - GIORNALE ITALIANO DI MEDICINA RIABILITATIVA - MR
105
44° CONGRESSO NAZIONALE SIMFER
subordinata alla relazione paziente-fisioterapista. Vengono pertanto
confermati i risultati del lavoro proposto da Kleim J.A., Jones T.A.
[2] soprattutto per quanto riguarda le seguenti regole:
• “Use it and improve it”: l’allenamento prolungato di una funzione specifica può portare ad un suo miglioramento;
• “Specificity”: l’esercitazione di specifiche modalità modifica
le connessioni neuronali coinvolte in quel tipo di movimento
influenzano la capacità di apprendere un comportamento specifico;
• “Repetition matters”: per ottenere modificazioni neuronali che
sottendono l’apprendimento stabile è necessaria la ripetizione
dell’azione per un numero sufficiente di volte;
• Intensity matters”: l’elevata intensità di stimolazione induce i
meccanismi della long term potentation;
• “Time matters”: la cascata dei processi che sottendono l’apprendimento a lungo termine necessita di lunghi periodi e la
ripetizione rinforza l’apprendimento.
Lo studio è attualmente in corso e stiamo raccogliendo ulteriori casi
al fine di approfondire ulteriormente l’analisi statistica.
Bibliografia
1.
Dijkers M, Brandstater M, Horn S, Ryser D, Barrett R. Inpatient rehabilitation
for traumatic brain injury: the influence of age on treatments and outcomes.
NeuroRehabilitation. 2013;32(2):233-52. doi: 10.3233/NRE-130841.
Kleim J.A., Jones T.A. Principles of Experience-Dependent Neural Plasticity:
Implications for Rehabilitation After Brain Damage Journal of Speech, Language, and Hearing Research • Vol. 51 • S225–S239 February 2008 10924388/08/5101-S225
Chan V, Zagorski B, Parsons D, Colantonio A. Older adults with acquired
brain injury: outcomes after inpatient rehabilitation. Can J Aging. 2013
Sep;32(3):278-86. doi: 10.1017/S0714980813000317. Epub 2013 Aug 6.
2.
3.
114
TECNOLOGIA AVANZATA NELLA
RIABILITAZIONE DOPO LESIONE TOTALE
DEL TENDINE D’ACHILLE
Deborah Bartolo1, Eleonora Sannia1, Roberto Claudio
Meliadò1, Carmelo Latella1, Gabriella Amendola1, Antonio
Ammendolia1, Maurizio Iocco1
Azienda Ospedaliera Materdomini, Università Magna Graecia, Catanzaro, Italia1
Introduzione. Negli ultimi anni il continuo aumento del numero e dell’età media delle persone che praticano attività sportiva ha
portato ad un incremento di lesioni tendinee sia di tipo traumatico
che da sovraccarico funzionale, tra le quali la lacerazione sottocutanea del Tendine d’Achille, che può necessitare di un trattamento
chirurgico ricostruttivo. Al momento non esiste un “gold standard”
per un percorso riabilitativo post-operatorio, che è comunque lungo
e articolato e fondamentale per il ritorno alle ADL. Il ritorno alle
attività a bassa e media intensità è generalmente consigliato dopo
il 5° - 6° mese dall’intervento, mentre il ritorno alle attività ad alta
intensità richiede un periodo di tempo compreso tra 1 anno e i 18
mesi. Presentiamo un caso clinico di lesione del tendine d’Achille
trattata chirurgicamente, in cui al protocollo riabilitativo standard,
descritto in letteratura, sono state aggiunte nuove tecnologie (Treadmill Gate trainer con Body Wave Support per l’allevio del carico e la
pedana propriocettiva Balance System), al fine di verificare i tempi
di recupero rispetto al solo protocollo standard e la possibilità di un
ritorno precoce alle attività della vita quotidiana.
Materiali e metodi. Il caso clinico è riferito ad un paziente di sesso
maschile, di 38 anni, presentatosi presso la nostra U.O.C a 6 settimane dall’intervento di ricostruzione del tendine d’Achille sinistro,
verificatasi in seguito ad un trauma indiretto, durante una partita
di calcio a 5 amatoriale. Per 3 settimane il paziente ha portato un
apparecchio gessato con piede in equinismo, successivamente l’articolazione tibio-tarsica è stata riportata in posizione neutra ed è
106
stato applicato un tutore gamba-piede. Per tutto questo periodo il
paziente ha deambulato con l’ausilio di bastoni canadesi e in assenza
di carico sull’arto operato. Per pianificare al meglio la scelta del trattamento riabilitativo, dopo un’ attenta anamnesi e un accurato esame obiettivo, il paziente è stato classificato tramite ICF e sottoposto
alle seguenti valutazioni cliniche e strumentali: FIM, VAS, ROM,
MRC, cirtometria, analisi del cammino su Treadmill e test dell’equilibrio su pedana Balance System. Tali valutazioni sono state ripetute
dopo la prima, la seconda e la terza settimana di trattamento riabilitativo. Al protocollo classico di trattamento (massoterapia, chinesiterapia, esercizi per il recupero del trofismo muscolare ed esercizi
propriocettivi), è stato aggiunto il training del passo su Treadmill
con BWS (allevio del carico) ed esercizi propriocettivi (spostamento
peso, stabilità posturale, controllo labirinto e limiti di stabilità) su
pedana Balance System.
Risultati. Alla fine di ogni settimana di trattamento è stato evidenziato un progressivo miglioramento delle misure di outcomes utilizzate ed il raggiungimento degli obiettivi a breve, medio e lungo termine. In funzione di ciò è stato modificato il programma riabilitativo di volta in volta, fino ad arrivare ad eliminare l’allevio del carico
al Treadmill alla terza settimana di trattamento. Dopo tre settimane
di trattamento il paziente ha recuperato la funzione articolare della
tibio-tarsica, il trofismo e la forza muscolare nei distretti interessati
ed ha mostrato il pieno recupero del ciclo del passo fisiologico e la
totale autonomia funzionale. È stato quindi consigliato al paziente un ritorno alle ADL, continuando a rieducare cautamente l’arto
operato con attività di deambulazione a bassa e media intensità ed
esercizi mirati al recupero totale della forza abbinati a lavori propriocettivi. A soli 2 mesi e 15 giorni dall’intervento chirurgico il paziente ha ripreso la fisiologica deambulazione ed a 8 mesi ha riiniziato
l’attività sportivo-agonistica su campo, riducendo di 2 – 3 mesi i
tempi descritti e consigliati in letteratura con il protocollo standard.
Conclusioni. La nostra esperienza ha consentito di verificare come
la realizzazione di un programma individualizzato di trattamento
riabilitativo mediante nuove strumentazioni di tecnologia avanzata
in sinergia con il protocollo standard ha consentito al paziente di
tornare in breve tempo alle proprie ADL. Riteniamo quindi che il
PRI esposto sia utile in pazienti che abbiano subito un infortunio,
seguito da una prolungata immobilizzazione, per ridurre al minimo
i tempi necessari per il recupero funzionale.
Bibliografia
1.
2.
3.
Hansen MS, Christensen M, Budolfsen T, Ostergaard TF, Kallemose T, Troelsen A, Barfod KW. Achilles tendon Total Rupture Score at 3 months can
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activity and physical training. Scand J Med Sci Sports 2003a; 13: 211–223.
115
CERVICALGIA E DISTURBI TEMPOROMANDIBOLARI: QUALI RELAZIONI?
REVISIONE DELLA LETTERATURA
Claudio Secci1, Marco Monticone1
Università degli Studi di Cagliari, Università di Cagliari, Cagliari, Italia1
Introduzione. Tra rachide cervicale e regione temporo-mandibolare
sono presenti numerose associazioni anatomiche, biomeccaniche,
neurologiche e patologiche, e ognuna di queste può dare degli indizi
riguardo il funzionamento di questo sistema, riguardo la sintomatologia riferita dal soggetto e riguardo la scelta della terapia per il
trattamento degli aspetti patologici di questo distretto. Tuttavia la
correlazione tra questi due sistemi è un argomento ancora fortemente dibattuto in letteratura. Diversi studi evidenziano una relazione
Vol. 30 - N. 2/3 - GIORNALE ITALIANO DI MEDICINA RIABILITATIVA - MR
44° CONGRESSO NAZIONALE SIMFER
tra colonna cervicale e sintomatologia temporo-mandibolare riferita
dal paziente; altri autori, invece, sottolineano come questa associazione risulti poco chiara e con scarsi fondamenti. Lo scopo di questa
revisione sistematica è di presentare e analizzare le evidenze più recenti riguardo la relazione tra rachide cervicale e distretto temporomandibolare, indagando sia la correlazione tra segni e sintomi dei
due distretti, sia quella tra disabilità.
Materiali e metodi. Revisione sistematica. Abbiamo utilizzato la
checklist e il diagramma di flusso PRISMA. Per la ricerca delle pubblicazioni scientifiche in lingua inglese su questa tematica, sono stati
utilizzati i database Medline, PubMed e PEDro, mentre diversi riferimenti utili sono stati ricavati dalla Bibliografia delle pubblicazioni
trovate nei database. Le parole chiave utilizzate nella ricerca sono
state: cervical spine, neck pain, craniofacial pain, orofacial pain,
temporomandibular joint disorders, temporomandibular joint pain.
Risultati. La ricerca ha identificato 174 articoli, 151 dei quali sono
stati esclusi in quanto irrilevanti. La ricerca ha fornito diverse informazioni con livelli di evidenza differenti, riguardo le relazioni
anatomiche, biomeccaniche, neurologiche e patologiche, tra rachide
cervicale e distretto temporo-mandibolare.
Conclusioni. I risultati di questa revisione suggeriscono la presenza
di una correlazione tra segni e sintomi di colonna cervicale e distretto
temporo-mandibolare, nonostante una parte di questi dati non siano conclusivi e siano ottenuti con studi descrittivi o di scarsa qualità
metodologica. È presente invece una forte evidenza di correlazione
tra disabilità cervicale e disabilità temporo-mandibolare. Certamente sono necessari ulteriori studi di elevata qualità metodologica per
chiarificare ulteriormente la reale correlazione tra questi due distretti, tuttavia, in caso di cervicalgia o di TMD, è determinante valutare
entrambi i distretti, per ottenere gli outcomes migliori.
Bibliografia
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2.
3.
Susan Armijo Olivo, David J. Magee, Martin Parfitt, Paul Major, Norman M.
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Susan Armijo Olivo, J. Fuentes, Paul Major, S. Warren,Norman M. R. Thie.
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mouth opening and pressurepain threshold in patients with myofascial temporomandibular pain disorders. The Clinical Journal of Pain, 2011
116
DOLORE NEUROPATICO E COMORBIDITÀ
PSICHIATRICA: UN CASE REPORT
Antonino Michele Previtera1, Rossella Pagani1, Fabrizio
Gervasoni1
Università degli Studi di Milano, Dipartimento di Scienze della Salute - U.O. di
Riabilitazione Specialistica - Ospedale San Paolo, Milano, Italia1
Introduzione. Le linee guida per il trattamento del dolore neuropatico [1] raccomandano come prima scelta farmaci di comune utilizzo
in ambito psichiatrico (antidepressivi triciclici, gabapentin, pregabalin). Sebbene le patologie psichiatriche siano comuni nei pazienti con
dolore cronico, raramente è considerata la gestione del dolore neuropatico in associazione a tali comorbilità [2].
Caso clinico. DZ, uomo caucasico di 55 anni, era trovato nella vasca
da bagno della propria abitazione, incosciente e con rilascio sfinterico. All’accesso in PS presso l’ospedale San Paolo di Milano era vigile,
collaborante, amnesico per l’accaduto. Presentava una tumefazione
cranica in regione parieto-occipitale sinistra e una tumefazione al
gomito omolaterale con dolorabilità alla mobilizzazione dell’arto. Si
apprezzava deficit completo (MRC 0/5) dell’estensione del polso e
delle dita, mentre l’estensione attiva del gomito era conservata. Si evidenziava un’ipoestesia in corrispondenza della tabacchiera anatomica
della mano sinistra. Il quadro deponeva per una lesione del nervo
radiale verosimilmente localizzata a monte dell’arcata di Fröhse. La
TC encefalo escludeva lesioni focali acute. L’EEG registrava anomalie
di possibile significato irritativo. L’ECG documentava un BAV di I
grado e un allungamento del QT. Le RX di spalla, gomito e polso
sinistri escludevano fratture. L’indagine anamnestica documentava
che da alcuni mesi, in seguito a un lutto, il paziente presentava deflessione del tono dell’umore, apatia, anoressia, insonnia ed episodi
di narcolessia. Negava potus o assunzione di sostanze stupefacenti.
Era ricoverato presso l’U. O. di Neurologia; gli accertamenti (RM
encefalo, EEG, Holter ECG ed Ecocardiogramma) risultavano negativi. Per la paralisi del nervo radiale sinistro s’iniziava una terapia
con desametasone e.v., poi sostituito con deltacortene per os e un
trattamento riabilitativo, proseguito ambulatorialmente dopo la
dimissione. Dopo due settimane, l’EMG evidenziava ineccitabilità
della risposta M per stimolazione del nervo radiale sinistro con derivazione ad ago dell’estensore proprio dell’indice e attività denervativa
acuta a carico dell’estensore proprio dell’indice e dell’estensore radiale del carpo. La RM del gomito mostrava un versamento sinovitico
reattivo, in parte ipertrofico, interposto nell’interlinea articolare con
parziale estrinsecazione a livello della sindesmosi radio-ulnare. Erano
segnalati: entesopatia calcifica del tricipite, manifestazioni epicondilitiche e diffuso edema delle componenti muscolari anteriori (in particolare del brachio-radiale), di verosimile eziologia post-traumatica.
Il paziente era sottoposto a una visita psichiatrica e un colloquio psicologico. Era messa in luce una sindrome depressiva in stato di lutto
complicato, per la quale era predisposta una terapia con sertralina e
flurazepam. Nel mese successivo il paziente era ricoverato presso l’U.
O. di Psichiatria, dove era evidenziato un disturbo di personalità non
specificato. Il paziente era dimesso con prescrizione di sertralina, flurazepam, amisulpiride e trazodone. Dopo tre mesi, il paziente presentava un miglioramento dell’estensione del polso (MRC 3/5) e delle
dita della mano sinistra (MRC 1/5), mentre persisteva l’ipoestesia a
livello della tabacchiera anatomica. Il paziente inoltre accusava un
dolore urente irradiato alle dita (VAS 8/10) ed esacerbato (9/10) da
stimolazioni tattili anche di lievissima entità (allodinia). Il paziente
riferiva inoltre che il dolore comprometteva la sua qualità di vita, limitando anche la compliance al programma riabilitativo e al percorso
di sostegno psicologico. Per il dolore neuropatico, in considerazione
della politerapia assunta dal paziente, s’introduceva L-acetilcarnitina
a dosaggio di 500 mg i. m. bis in die per dieci giorni, poi 500 mg
per os bis in die per due mesi. Dopo tre settimane il paziente riferiva:
riduzione del dolore (VAS 2/10), miglioramento della qualità di vita,
regolare compliance al trattamento riabilitativo e al percorso psicologico. Non compariva alcun effetto collaterale e il paziente presentava
un buon compenso comportamentale con regolare pattern ipnico.
Conclusioni. I farmaci raccomandati per il controllo del dolore
neuropatico potrebbero esporre il paziente con comorbidità psichiatrica in polifarmacoterapia a molteplici e non sempre prevedibili
interazioni farmacologiche. Ciò potrebbe determinare fasi di scarso
compenso comportamentale e del tono dell’umore, con conseguente peggioramento della sintomatologia dolorosa. Una recente metanalisi [3] conclude che la L-acetilcarnitina può essere considerata
una terapia valida e sicura per il trattamento del dolore neuropatico.
Tale opzione terapeutica potrebbe essere presa in considerazione nei
pazienti con problematiche psichiatriche in polifarmacoterapia, in
cui l’aggiunta di uno dei farmaci di prima scelta per il dolore neuropatico potrebbe determinare interazioni farmacologiche.
Bibliografia
1.
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3.
Attal N, Cruccu G, Baron R., Haanpää M, Hanson P, Jensen TS. EFNS guidelines on the pharmacological treatment of neuropathic pain: 2010 revision.
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Vol. 30 - N. 2/3 - GIORNALE ITALIANO DI MEDICINA RIABILITATIVA - MR
107
44° CONGRESSO NAZIONALE SIMFER
117
STUDIO OSSERVAZIONALE SULL’AZIONE
FARMACOLOGICA DI UN’ASSOCIAZIONE DI
ACIDO-ALFA-LIPOICO, N-ACETIL-CARNITINA,
SUPEROSSIDODISMUTASI EXTRAMEL® E
VITAMINE DEL GRUPPO B (KARDINAL®) SUL
DOLORE NEUROPATICO
Bruno Corrado1, Roberto Agostino Cirillo2, Carmela
Falzarano3, Antonio Maione4, Francesco Perna5, Francesco
Salemme6
ASL NA1, Azienda Ospedaliera Universitaria Federico II, Napoli, Italia1
ASL NA3 SUD, Presidio Ospedaliero di Boscotrecase, Napoli, Italia2
ASL CE, Clinica Villa delle Magnolie, Caserta, Italia3
ASL NA2 NORD, Presidio Ospedaliero Santa Maria delle Grazie, Pozzuoli,
Italia4
ASL NA1, Poliambulatorio Clinica Mediterranea, Napoli, Italia5
ASL NA1, Azienda Ospedaliera Specialistica dei Colli - CTO, Napoli, Italia6
Introduzione. Il dolore neuropatico è un dolore derivante direttamente da una lesione o da una patologia a carico del sistema somatosensoriale (definizione IASP – NeuPSIG 2008). La prevalenza del
dolore neuropatico nella popolazione generale è intorno al 7%. Il corredo sintomatologico comprende disestesia, iperalgesia e allodinia. Il
meccanismo eziopatogenetico alla base del dolore neuropatico è ancora lontano dall’essere chiarito del tutto ma è stato documentato l’interessamento sia dei nervi periferici che dei neuroni del midollo spinale.
Proprio a causa della sua natura multifattoriale il dolore neuropatico
risponde poco alle monoterapie farmacologiche e il futuro è rappresentato dalle terapie combinate. Tra i farmaci più utilizzati ritroviamo
gli antidepressivi Duloxetina e Desipramina e gli anticonvulsivanti
Gabapentina e Pregabalin (NICE, 2015). Tuttavia, a fronte di una capacità di questi farmaci di ridurre il dolore non superiore al 40-50%,
ritroviamo una serie piuttosto consistente di effetti collaterali, che li
rendono poco maneggevoli. Tra le novità terapeutiche più interessanti
si possono annoverare l’N-Acetil-Carnitina, l’acido alfa-lipoico, i derivati della cannabis, la tossina botulinica e gli antagonisti del recettore
tipo 2 dell’angiotensina II. L’N-Acetil-Carnitina si è dimostrata efficace nel ridurre il dolore e nello stimolare la rigenerazione delle fibre
nervose nei pazienti diabetici. L’acido alfa-lipoico, noto per la sua attività anti-ossidante, è risultato protettivo nei confronti del dolore che
affligge i pazienti con neuropatia diabetica. La superossidodismutasi
è utilizzata per controllare il dolore centrale cronico e si è dimostrata
efficace nel ridurre il dolore in un modello animale di dolore da lesione del midollo spinale. Le Vitamine del gruppo B controllano alcuni
aspetti del dolore neuropatico sia nei modelli animali che nell’uomo.
Scopo di questo studio longitudinale prospettico è stato quello di valutare l’efficacia sul controllo del dolore neuropatico di un’associazione
(d’ora in avanti denominata Kardinal®) di acido alfa-lipoico (400 mg
a rilascio modificato, Matris Retard®), N-Acetil-Carnitina (300 mg),
Superossidodismutasi Extramel® (10 mg, attività SOD 140 U.I.), Vitamina B6 (2.1 mg), Vitamina B1 (1.65 mg), Vitamina B2 (2.1 mg).
La valutazione del dolore neuropatico è stata fatta con “La Scala del
Dolore Neuropatico” SDN, che rappresenta un valido strumento di
aiuto nella valutazione delle caratteristiche del dolore dei pazienti con
sindromi di dolore neuropatico e aiuta il paziente a descrivere le sue
sensazioni sgradevoli e il medico a capirle e ad alleviarle.
Materiali e metodi. Nel corso dell’anno 2015 sono stati arruolati 123
pazienti adulti (69 uomini, 54 donne) con età media di 60 anni, affetti da dolore neuropatico di varia origine secondo i criteri d’inclusione
sotto indicati: pazienti di età superiore ai 18 anni ed inferiore agli 80
anni affetti da dolore neuropatico acuto o cronico da patologia compressiva della colonna vertebrale (stenosi vertebrale artrosica o meccanica; spondilolistesi di vario grado; discopatia degenerativa; ED ernia
discale); sindrome del tunnel carpale mono-bilaterale; neuropatia
post-traumatica; radiculopatia cronica. Gli unici criteri di esclusione
108
sono stati l’eventuale sensibilità accertata ad uno dei componenti del
prodotto; la mancata risposta o peggioramento del dolore neuropatico
al primo controllo; l’età superiore agli 80 anni e la scarsa collaborazione dei soggetti stessi. I pazienti arruolati hanno assunto una compressa
di Kardinal® al giorno per 90 giorni e il dolore è stato valutato con la
scala validata del dolore neuropatico, SDN. Il questionario, composto
da 10 domande, è stato somministrato ai pazienti per tre volte, al tempo 0; al I controllo (30 giorni) e al II controllo (90 giorni).
Risultati. Le variazioni della sensazione di dolore dopo trattamento
a 1 mese e a 3 mesi con neurotrofico sono state le seguenti: “dolore
intenso” 7.66 media al basale; 8 mediana al basale; 3-10 min-max
al basale; 4.72 media a 1 mese; 4 mediana a 1 mese; 1-9 min-max
a 1 mese; 1.23 media a 3 mesi; 1 mediana a 3 mesi; 0-8 min-max a
3 mesi; “dolore tagliente” 5.01 media al basale; 6 mediana al basale;
0-10 min-max al basale; 2.92 media a 1 mese; 3 mediana a 1 mese;
0-9 min-max a 1 mese; 0.71 media a 3 mesi; 0 mediana a 3 mesi; 0-10
min-max a 3 mesi; “dolore bruciante” 7.32 media al basale; 8 mediana
al basale; 0-10 min-max al basale; 4.22 media a 1 mese; 4 mediana a
1 mese; 0-9 min-max a 1 mese; 0.87 media a 3 mesi; 1 mediana a 3
mesi; 0-6 min-max a 3 mesi; “dolore sordo” 6.28 media al basale; 7
mediana al basale; 0-10 min-max al basale; 3.20 media a 1 mese; 3
mediana a 1 mese; 0-9 min-max a 1 mese; 0.64 media a 3 mesi; 0
mediana a 3 mesi; 0-8 min-max a 3 mesi; “dolore tipo freddo” 4.29
media al basale; 5 mediana al basale; 0-10 min-max al basale; 2.16
media a 1 mese; 2 mediana a 1 mese; 0-8 min-max a 1 mese; 0.45
media a 3 mesi; 0 mediana a 3 mesi; 0-6 min-.max a 3 mesi; “dolore
a pelle viva” 4.80 media al basale; 6 mediana al basale; 0-10 min-max
al basale; 2.51 media a 1 mese; 2 mediana a 1 mese; 0-9 min-max a
1 mese; 0.50 media a 3 mesi; 0 mediana a 3 mesi; 0-6 min-max a 3
mesi; “dolore pruriginoso” 3.63 media al basale; 4 mediana al basale;
0-10 min-max al basale; 1.89 media a 1 mese; 2 mediana a 1 mese;
0-10 min-max a 1 mese; 0.49 media a 3 mesi; 0 mediana a 3 mesi; 0-6
min-max a 3 mesi; “dolore temporale” 1.47 media al basale; 1 mediana al basale; 0-9 min-max al basale; 1.21 media a 1 mese; 0 mediana
a 1 mese; 0-6 min-max a 1 mese; 0.99 media a 3 mesi; 0 mediana a 3
mesi; 0-6 min-max a 3 mesi; “dolore sgradevole” 7.48 media al basale;
8 mediana al basale; 0-10 min-max al basale; 4.25 media a 1 mese; 4
mediana a 1 mese; 0-10 min-max a 1 mese; 1.23 media a 3 mesi; 1
mediana a 3 mesi; 0-9 min-max a 3 mesi; “dolore profondo” 6.78 media al basale; 8 mediana al basale; 0-10 min-max al basale; 3.35 media
a 1 mese; 4 mediana a 1 mese; 0-9 min-max a 1 mese; 1.09 media a 3
mesi; 0 mediana a 3 mesi; 0-7 min-max a 3 mesi; “dolore superficiale”
5.606 media al basale; 7 mediana al basale; 0-10 min-max al basale;
3.18 media a 1 mese; 3 mediana a 1 mese; 0-10 min-max a 1 mese;
0.75 media a 3 mesi; 0 mediana a 3 mesi; 0-6 min-max a 3 mesi. Per
quanto riguarda l’analisi descrittiva per ogni item del test si è riscontrato che l’intensità del dolore è comunemente alta in tutti i soggetti
al tempo zero, mentre si riduce significativamente dopo 1 mese e drasticamente dopo 3 mesi. La significatività statistica misurata è stata:
p< 0.05 per tutte le variabili considerate sia ad 1 mese che a 3 mesi.
Conclusioni. Nella popolazione studiata il Kardinal® si è dimostrato
efficace nel ridurre il dolore neuropatico a medio termine (90 giorni); le variazioni sono risultate sempre statisticamente significative
e la compliance al trattamento è stato completa. Questi primi dati
sembrano dunque suggerire la possibilità di inserire a pieno titolo il
Kardinal® tra i possibili approcci al dolore neuropatico, considerando l’efficacia del prodotto e l’ottima tollerabilità suggerita dalla piena
compliance al trattamento. Sono tuttavia necessari ulteriori studi clinici, soprattutto randomizzati controllati, per dare maggiore consistenza a questi risultati preliminari.
Bibliografia
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Vol. 30 - N. 2/3 - GIORNALE ITALIANO DI MEDICINA RIABILITATIVA - MR
44° CONGRESSO NAZIONALE SIMFER
118
SPERIMENTAZIONE DEL DISPOSITIVO
ROBOTICO ARBOT NELLA RIABILITAZIONE
DELLA CAVIGLIA A SEGUITO DI LESIONI
FRATTURATIVE: RISULTATI DI UNO STUDIO
CLINICO RANDOMIZZATO CONTROLLATO
Elisa Taglione1, Paolo Catitti1, Emanuele De Marco1,
Fabrizio Pasqualetti1, Alberto Rapalli1, Valentina Squeri2,
Darwin G. Caldwell3, Jody A. Saglia2
Istituto Nazionale per l’Assicurazione contro gli Infortuni sul Lavoro, Centro di
Riabilitazione Motoria INAIL di Volterra, Volterra, Italia1
Istituto Italiano di Tecnologia, Rehab Technologies Facility, Genova, Italia2
Istituto Italiano di Tecnologia, Advanced Robotics Dept, Genova, Italia3
Introduzione. I dispositivi robotici, ampiamente applicati in neuro riabilitazione, sono stati ad oggi raramente sperimentati nel
campo della riabilitazione ortopedica. ARBOT è una piattaforma
robotica a due gradi di libertà progettata e realizzata dall’Istituto
Italiano di Tecnologia, che riunisce in un solo dispositivo le funzioni dei principali apparecchi per la riabilitazione della caviglia,
oltre a funzioni peculiari come la resistenza elastica e fluidodinamica e l’assistenza al movimento attivo. ARBOT è stato oggetto
di un trial esplorativo condotto presso il Centro di Riabilitazione
Motoria INAIL di Volterra, con l’obiettivo di confrontare i risultati di un programma di riabilitazione robot-assistita rispetto agli
usuali programmi di trattamento in pazienti infortunati sul lavoro
con disfunzione post-traumatica della caviglia.
Materiali e metodi. Sono stati arruolati 32 pazienti con frattura
di caviglia e/o retro piede in fase post- immobilizzazione, randomizzati a due gruppi: sperimentale e controllo. Nelle 4 settimane
di terapia i soggetti del gruppo sperimentale hanno eseguito con
ARBOT gli esercizi di mobilizzazione passiva, assistita ed attiva, il
rinforzo isometrico, isotonico e isocinetico, gli esercizi a resistenza
elastica e fluido-dinamica, la rieducazione propriocettiva. I soggetti del gruppo di controllo hanno eseguito gli esercizi di ROM con
l’assistenza del fisioterapista, il lavoro muscolare con il dinamometro Biodex System 3 e gli esercizi propriocettivi con la piattaforma
elettronica Prokin PK254, utilizzando inoltre i comuni sussidi ed
attrezzi non elettronici in uso in palestra. Entrambi i gruppi hanno
svolto uguali programmi di rieducazione al passo e ricondizionamento aerobio. I pazienti sono stati valutati in condizioni basali
(T0), a 14 giorni dall’inizio (T14) e alla fine del training (T28),
utilizzando sia misure robotiche che test funzionali. Con ARBOT
sono stati misurati il ROM in dorsiflessione, la coppia massima dei
flessori plantari durante esercizi isometrici ed isocinetici alle velocità angolari di 30, 60, 120°/sec, il tempo impiegato e la precisione
(media dello scostamento dal percorso ideale in gradi) nell’esecuzione di percorsi propriocettivi orizzontali, verticali e circolari. I
test funzionali utilizzati sono il 2 minutes Walk Test, il Timed Stair
Climbing Test, il LEFS-Lower Extremity Functional Scale e l’AOFAS-Ankle-Hindfoot Scale. Per valutare l’efficacia del training e la
differenza in termini di miglioramento tra i gruppi è stata eseguita
una ANOVA a misure ripetute a due vie: TEMPO (con tre fattori:
T0, T14 e T28) e GRUPPO (con due fattori: SPERIMENTALE
e CONTROLLO).
Risultati. Al termine dello studio sono risultati valutabili 31 pazienti (15 del gruppo sperimentale). Il ROM aumenta nel tempo
in entrambi i gruppi (fattore TEMPO, p<0.0001) passando da
una media±ES al tempo T0 pari a 13,22°±0.79°, a 15,66°±1,03°
a T14, a 16,97°±0,86° a T28. La coppia massima che i soggetti
riescono ad esprimere durante il test isometrico e durante i tre
test isocinetici cresce significativamente nel tempo (p=0.0007;
p=0.0001; p<0.0001 e p<0.0001, rispettivamente). Le variabili
che stimano la performance dei pazienti nei test di esecuzione di
percorsi propriocettivi confermano l’effetto positivo del training
sulla precisione e sulla velocità di esecuzione dei percorsi verticali
ed orizzontali (fattore TEMPO: p=0.0469, p=0.0023 e p= 0.0084,
rispettivamente). In particolare, il gruppo sperimentale raggiunge performance migliori in termini di velocità di esecuzione dei
percorsi verticali e circolari (interazione TEMPOxGRUPPO:
p=0.0451 e p =0.0083, rispettivamente). I risultati ottenuti dai
test di valutazione del cammino evidenziano un miglioramento in
entrambi i gruppi di studio, che percorrono una distanza maggiore
nei 2 minuti (fattore TEMPO: p=<0.0001) ed eseguono lo stair
climbing test in un tempo minore (fattore TEMPO: p=0.0165).
La limitazione funzionale misurata dalle scale LEFS e AOFAS diminuisce nel tempo per entrambi i gruppi (p=0.0001 e p=0.0002,
rispettivamente).
Conclusioni. Il dispositivo sperimentale ARBOT si è dimostrato
sicuro, di facile utilizzo, efficace al pari del trattamento convenzionale ed altamente efficiente, sostenendo con le sue funzioni tutti i
programmi di mobilizzazione articolare, lavoro muscolare e recupero propriocettivo che nel gruppo di controllo hanno richiesto
l’intervento manuale del fisioterapista e l’impiego di molteplici attrezzi ed apparecchi elettronici non robotici. Rilevante la tendenza
nel gruppo sperimentale ad un miglior recupero del controllo del
movimento, data l’importanza della stabilità dinamica della caviglia nel recupero funzionale e nella prevenzione dei re-infortuni.
ARBOT ha supportato efficacemente il lavoro del fisioterapista,
ottimizzando la conduzione dei programmi di trattamento e misurando le variazioni nel tempo dei principali parametri di performance articolare della caviglia.
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119
L’EFFICACIA DEI NUTRACEUTICI NELLE
MALATTIE MUSCOLARI PRIMITIVE: SCOPING
REVIEW
Stefania Mozzillo1, Francesca Russo1, Sara Liguori1, Maria
Francesca Siani1, Antimo Moretti1, Francesca Gimigliano2,
Giovanni Iolascon1
Seconda Università degli Studi di Napoli, Dipartimento Multidisciplinare di
Specialità Medico-Chirurgiche e Odontoiatriche, Napoli, Italia1
Seconda Università degli Studi di Napoli, Dipartimento di Salute Mentale e Fisica e Medicina Preventiva, Napoli, Italia2
Introduzione. Le malattie muscolari sono disordini ereditari, congeniti o acquisiti che colpiscono il muscolo. Esse si manifestano
con debolezza muscolare progressiva, mialgie e affaticamento precoce ed esitano in una notevole limitazione delle attività di vita
quotidiana (ADL) e della partecipazione sociale, con un impatto
negativo sulla qualità di vita dei pazienti. A oggi il management del
paziente affetto da miopatia si basa essenzialmente sul trattamento
farmacologico e chirurgico, entrambi orientati alla gestione degli
Vol. 30 - N. 2/3 - GIORNALE ITALIANO DI MEDICINA RIABILITATIVA - MR
109
44° CONGRESSO NAZIONALE SIMFER
impairment. Nelle more di una terapia farmacologica eziologica
certa, tra le proposte terapeutiche più utilizzate vi è l’uso dei nutraceutici. Questi ultimi sono prodotti contenenti una forma concentrata di una molecola biologicamente attiva normalmente presente
negli alimenti, ma in dosi superiori a quelle che si introdurrebbero
con l’apporto alimentare. È stato ipotizzato che la maggior parte di
queste sostanze svolga un ruolo in diverse pathway biologiche, anche a livello del tessuto muscolare. L’obiettivo della nostra scoping
review è definire le evidenze scientifiche sull’efficacia dei nutraceutici all’interno della gestione integrata delle malattie muscolari
primitive.
Materiali e metodi. Sono stati selezionati dall’ “EU Register of
nutrition and health claims made on foods” i micronutrienti per i
quali è ipotizzato un effetto sulla funzione muscolare. La ricerca è
stata condotta su Pubmed (Public MedLine, by the NCBI of the
National Library of Medicine of Bethesda, USA) tramite MeSH
(Medical Subject Headings) e sono stati selezionati gli articoli
pubblicati negli ultimi dieci anni (gennaio 2006-gennaio 2016),
categorizzati secondo la piramide dell’EBM (evidence based medicine).
Risultati. Dei 65 micronutrienti elencati sull’ “EU Register of nutrition and health claims made on foods”, ne abbiamo identificati
23 con un ruolo sulla funzione muscolare. Di questi, dopo aver
eseguito una ricerca degli studi rilevanti, abbiamo individuato solo
6 nutraceutici il cui utilizzo è supportato da una robusta documentazione scientifica (1 Cochrane review, 2 RCT) riguardo la
loro efficacia in pazienti con malattie muscolari. Nello specifico,
è stata individuata una sola Cochrane review, condotta su 14 trial
per un totale di 364 pazienti affetti da miopatie primitive (ereditarie o idiopatiche infiammatorie), che ha confermato l’efficacy della
creatina sul miglioramento della forza muscolare nel breve e medio
termine rispetto al placebo (1). L’idebenone in un solo trial clinico
randomizzato versus placebo ha dimostrato di essere efficace in
termini di incremento della forza dei muscoli respiratori in pazienti con distrofia muscolare di Duchenne (2). La somministrazione
orale di vitamina C ed E, di zinco gluconato e di selenio metionina, in un trial clinico randomizzato, in doppio cieco controllato
ha dimostrato di migliorare la forza e la potenza muscolare dei
quadricipiti in pazienti affetti da distrofia facio-scapolo-omerale
(3). Altre sostanze comunemente utilizzate (magnesio, carnitina e
altri) non hanno evidenze scientifiche a supporto del loro utilizzo
nel management delle malattie muscolari primitive.
Conclusioni. Dall’analisi della letteratura emerge che la gran parte
dei nutraceutici utilizzati comunemente nella pratica clinica non
dimostra alcuna efficacia in termini di miglioramenti degli impairment muscolari nei soggetti affetti da miopatie primitive. Solo la
creatina, il coenzima Q10, le vitamine C ed E, il selenio e lo zinco
hanno evidenze scientifiche, anche se non robustissime, a supporto
del loro uso routinario nella gestione delle malattie primitive del
muscolo. Studi futuri, in particolare trial randomizzati controllati,
sono necessari al fine di giustificare un loro impiego nella pratica
clinica, anche in termini di adeguata posologia e profilo di sicurezza.
Bibliografia
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110
120
EFFETTI A LUNGO TERMINE DELLA
CHIRURGIA TORACICA SULLA CINEMATICA
DELLA PARETE TORACO-ADDOMINALE E
SULLA FUNZIONE POLMONARE
Michelangelo Morrone1, Sandra Miccinilli1, Letizia Vita2,
Pierluigi Granone3, Sterzi Silvia1, Stefano Milighetti1
Università Campus Bio-Medico di Roma, Università Campus Bio-Medico di Roma, Medicina Fisica e Riabilitativa, Roma, Italia1
Università Cattolica del Sacro Cuore, Policlinico Gemelli, Reparto di Chirurgia
Toracica, Roma2
Università Cattolica del Sacro Cuore, Policlinico Gemelli, Reparto di Chirurgia
Toracica, Roma, Italia3
Introduzione. La chirurgia oncologica del polmone causa una precoce disfunzione della funzionalità respiratoria. Tuttavia sono scarse
le conoscenze in merito agli effetti a lungo termine della chirurgia
toracica maggiore sulla meccanica respiratoria. Lo scopo del presente
studio è quello di constatare se le procedure chirurgiche, a distanza
di più di 5 anni dall’intervento, possano determinare un’asimmetria
residua della cinematica della parete toracica.
Materiali e metodi. 16 pazienti sottoposti ad intervento di chirurgia toracica per carcinoma polmonare non a piccole cellule sono stati sottoposti a spirometria e a pletismografia optoelettronica ad una
media di 6 anni dall’intervento chirurgico. Le stesse valutazioni erano state eseguite prima dell’intervento. È stato in questo modo possibile valutare eventuali cambiamenti dei volumi toraco-addominali
ed effettuare un rapporto tra le variazioni di volume dell’emitorace
operato e di quello sano.
Risultati. Lo studio della cinematica della parete toracica non ha
mostrato significative variazioni a lungo termine. Il rapporto tra le
variazioni di volume dell’emitorace operato e quello sano ha rilevato
una sostanziale simmetria tra i due emitoraci. La spirometria non ha
mostrato alcuna significativa modificazione dei volumi polmonari
prima e dopo l’intervento chirurgico.
Conclusioni. I dati ottenuti confermano che la chirurgia non ha
effetti a lungo termine sulla cinematica della parete toracico-addominale dopo un intervento di resezione polmonare.
Bibliografia
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121
LOW BACK PAIN E TERAPIA MANUALE: UN
CONTRIBUTO ORIGINALE
Accursio Miraglia1, Carmelo Pirri1, Andrea Sorbino1,
Alessandra Montagna1, Cinzia Bonanni1, Calogero Foti1)
Università, Tor Vergata, Roma, Italia1
Introduzione. Il low back pain (LBP) è una patologia in costante
aumento: l’80% della popolazione ne soffre almeno una volta nella
vita, è la terza causa di accesso agli studi di Medicina Generale,
ed è il motivo più frequente di disabilità al di sotto dei 45 anni.
Benché possa essere legato a patologie di tipo internistico anche
gravi, nella maggior parte dei casi il dolore è di origine benigna,
dovuto alla vita sedentaria, alla tendenza a mantenere posture
scorrette ed obbligate (per esempio sul posto di lavoro), ma anche
a quadri di artropatia degenerativa ed a sovraccarichi funzionali.
Vol. 30 - N. 2/3 - GIORNALE ITALIANO DI MEDICINA RIABILITATIVA - MR
44° CONGRESSO NAZIONALE SIMFER
Molto spesso alla base della sintomatologia dolorosa si ha un
disturbo doloroso intervertebrale minore (DDIM) che Robert
Maigne, fondatore della Medicina Manuale, ha definito come
“una disfunzione vertebrale segmentaria dolorosa, benigna, di
natura meccanica e riflessa, generalmente reversibile”. Scopo del
presente lavoro è verificare l’efficacia di una tecnica manipolativa
parzialmente modificata.
Materiali e metodi. Per questo lavoro sono stati reclutati 14 pazienti, 6 maschi e 8 femmine, con un’età media di 51 anni, tutti
affetti da lombalgia di origine alta. Si è preferito selezionare solo
pazienti affetti da DDIM della regione dorso-lombare transizionale sia per ottenere un campione il più possibile omogeneo, sia perché la tecnica manipolativa utilizzata rappresenta il gold standard
del trattamento manipolativo per questo tipo di lombalgia. I pazienti sono stati suddivisi in due gruppi rispettivamente di 7 unità,
il primo è stato trattato con la presa Normale mentre il secondo
con la presa Originale. Quest’ultima prevede che, partendo dalla
posizione con mano dietro la nuca e l’altra sul gomito, si afferri il
braccio del paziente come nella presa originale, cioè all’altezza del
terzo distale del bicipite circa, facendo passare il braccio dell’operatore non sotto, bensì sopra quello controlaterale del paziente,
che in questo modo risulta perfettamente aderente al tronco. In
questo modo l’avambraccio e il gomito dell’operatore si trovano
sopra il braccio del paziente, che viene fissato contro il torace, e la
spalla del paziente è “accolta” nella culla che si crea fra il braccio,
la spalla e il pettorale dell’operatore. In tal modo non si esercita alcuna pressione sulla regione costale, sotto-ascellare o sulla regione
mammaria. Questa presa risulta, oltre che assolutamente confortevole, molto salda, tanto da permettere all’operatore di ruotare
e controllare il tronco del paziente anche solo con la mano che
assiste e usare l’altra mano solo per manipolare, senza timore che il
paziente possa ruotare in modo non corretto o incompleto. Per la
valutazione clinica si è fatto riferimento al classico schema a stella
di Maigne, mentre per la raccolta dei dati ci si è affidati al Roland
Morris Questionnaire ed alla scala VAS.
Risultati. Il gruppo che ha praticato il trattamento con la presa Normale ha mostrato un miglioramento nelle due scale testate
(gruppo presa normale: Roland Morris Questionnaire Z= 2,375;
p= 0,018; e VAS Z= 2,375; p=0,018). Si è osservato un miglioramento anche nel gruppo che ha praticato il trattamento con la presa Originale (gruppo presa originale: Roland Morris Questionaire
Z=-2,375; p= 0,018 e VAS Z=-2,375; p=0,018). Inoltre non vi è
alcuna differenza in termini di efficacia tra le due prese, (Roland
Morris Questionnaire Z=0,330; p= 0,742 e VAS Z= 0,266; p=
0,790). Possiamo pertanto affermare che le due prese, singolarmente, migliorano la lombalgia sia in termini di disabilità sia di
dolore.
Conclusioni. I dati preliminari di questo studio mostrano che il
trattamento con manipolazione del LBP ha un effetto nel determinare un miglioramento in termini di disabilità e dolore, rilevati con le scale di valutazione. Inoltre, premesso che i dati sono
parziali, non sembra vi sia sostanziale differenza nell’efficacia delle
due tecniche utilizzate (normale e originale). Il vantaggio atteso e
confermato è quello di una nuova scelta terapeutica per tutti quei
pazienti che hanno un miglior confort con la presa originale.
Bibliografia
1.
2.
3.
Maigne R., Medicina Manuale, Diagnosi e trattamento delle patologie di origine vertebrale. 1996, UTET Torino;
Maigne R., Dolori di origine vertebrale. Comprendere, diagnosticare, trattare.
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Woodhead T, Clough A. A systematic review of the evidence for manipulation
in the treatement of LBP. 2005 The Journal of orthopaedic medicine 27(3)99121
122
CLASSIFICARE GLI INTERVENTI
RIABILITATIVI: APPLICAZIONE PRATICA
DELLA TREATMENT THEORY E DELLA
ENABLEMENT THEORY IN PAZIENTI CON
SPASTICITÀ
Vitalma Liotti1, Florida Flocco1, Isidoro Pesare1, Elena
Recubini2, Carlo D’Aurizio1
ASL di Pescara, SS.Trinità UOC Medicina Fisica e Riabilitativa, Popoli, Italia1
Istituto di Riabilitazione S.Agnese, S.Agnese, Pineto, Italia2
Introduzione. Numerose sono le evidenze di efficacia di trattamenti riabilitativi, tuttavia la riabilitazione viene definita efficace in
qualche misura, in un certo lasso temporale, in alcuni pazienti e i
processi attraverso i quali i vari interventi trasformano gli inputs (
menomazioni e limitazioni di attività) in outcomes ( miglioramento
funzionale, indipendenza, qualità di vita ) restano spesso sconosciuti, aspetto che ha portato molti studiosi a considerare la medicina
riabilitativa una sorta di Black Box. Le ragioni principali vanno ricercate nella mancanza di metodi standardizzati e di un rationale
teorico alla base delle ricerche. Diversi studi osservazionali, di solito
facenti riferimento agli obiettivi del trattamento e quindi clinicamente intuitivi, sono stati condotti per descrivere interventi erogati
in diverse discipline nel tentativo di aprire la “Black Box”. Recentemente è stato proposto un approccio Top –down, deduttivo, in
cui valutazione, misurazione e disegno dello studio vengano guidati
da concettualizzazioni del processo causale che trasforma le terapie
ricevute in un miglioramento della salute( Theory Treatment, TT).
Alla TT viene affiancata la Enablement Thery ( ET), che ipotizza la
natura e la forza delle relazioni tra caratteristiche cliniche e predice
dove avverranno i cambiamenti in risposta a perturbazioni o interventi in altre sedi.
Materiali e metodi. Abbiamo intrapreso uno studio su pazienti affetti da sindrome del I° motoneurone, al fine di valutare se il presupposto teorico sottostante l’efficacia del trattamento sul target specifico ( riduzione della spasticità, funzione corporea, b735 ) avesse un
effetto positivo su attività e partecipazione correlate ( uso funzionale arto superiore : grasping d4401 e reaching d4452; velocità del
cammino d440). I pazienti sono stati trattati con tossina botulinica
(BoNT) con guida ecografica presso il nostro ambulatorio. Criteri
di inclusione: spasticità alla Modified Ashworth Scale maggiore di
1, età superiore ai 18 anni, ultimo trattamento con BoNT superiore
ai 6 mesi. Criteri di esclusione: contrattura articolare per deformità
di tessuti molli ed ossei , disturbi della sfera cognitiva, gravi disturbi
del linguaggio, deterioramento cognitivo (Mini mental state examination inferiore a 25). Prima dell’inoculo ed al controllo dopo circa
1 mese i pazienti sono stati valutati con Modified Ashworth Scale
(MAS) , Numeric Rating Scale (NRS) of spasticity, Nine Hole Peg
test e Box and Block test per valutare la capacità di presa dell’arto
superiore, Functional Indipendence Measure (FIM) e Barthel Index modified (BIm) per valutare il grado di disabilità globale del
paziente.
Risultati. Sono stati valutati 30 pazienti (14 maschi e 16 femmine)
, di età media 56 anni, ad una media di 9,75 anni dall’evento acuto.
11 pz sono stati trattati all’arto superiore, 7 pz all’arto inferiore, 12
pazienti arto superiore e inferiore. 14 pazienti presentavano esiti di
ictus ischemico, 8 pazienti esiti di isctus emorragico, 3 pazienti esiti
di paralisi cerebrale infantile, 2 pazienti esiti di trauma cranio-encefalico, 1 pz esiti di lesione midollare, 2 pz affetti da paraparesi spastica familiare. Alle scale di valutazione abbiamo ottenuto i seguenti
punteggi: MAS ridotta del 50% tra pre e post intervento, NRS pre
7,64 post 4,88, 9 Hole Peg test pre 0,89 pioli e post 0,76 pioli; Box
and Block pre 4,7 blocchi, post 5,5 blocchi; Test dei 10 metri pre 49
sec, post 46 sec; FIM pre 91, post 9, BI m: pre 76, post 76.
Vol. 30 - N. 2/3 - GIORNALE ITALIANO DI MEDICINA RIABILITATIVA - MR
111
44° CONGRESSO NAZIONALE SIMFER
Conclusioni. Tutti i pazienti hanno risposto al trattamento con
una significativa riduzione della spasticità. Non abbiamo riscontrato
un miglioramento al test del cammino, nè nella capacità di presa
dell’arto superiore secondo i punteggi ottenuti al 9 Hole Peg test e
Box and Block test, che pertanto non sono stati in grado di misurare il
miglioramento nella capacità funzionale (grasping d4401 e reaching
d4452). I punteggi alle scale FIM e BIm, come ci si attendeva, sono
rimasti immodificati. La Treatment Theory (TT) postula come
viene raggiunto il cambiamento nel target clinico (riduzione della
spasticità in questo caso), mentre la Enablement Theory (ET) è
rilevante nello specificare il significato clinico e le ricadute pratiche
( effectiveness ) a distanza dei trattamenti. Pertanto, il nostro studio
osservazionale, seppure su una casistica ridotta, in accordo peraltro
con dati di letteratura, mostra come il miglioramento in un target
di struttura e/o funzione corporea non sempre si traduca in un
miglioramento funzionale. In conclusione, l’insufficiente attenzione
del come e perché agiscono i trattamenti va ormai superata, con
l’obiettivo di avere un presupposto teorico in grado di guidare con
più efficacia gli interventi riabilitativi.
Bibliografia
1.
BMJ Open. 2013 Mar 18;3(3)Upper limb international spasticity study: rationale and protocol for a large, international, multicentre prospective cohort
study investigating management and goal attainment following treatment with
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Jacinto J, Maisonobe P, Zakine B.
Development of a Theory-Driven Rehabilitation Treatment Taxonomy: Conceptual Issues. J.White, M.P. Dijkers, T.Hart et al. Arch Phys Med Rehab
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Rehabilitation Treatment Taxonomy: Establishing Common Ground.
M.P.Dijkers. Arch Phys Med Rehab 2014;95 ( 1Suppl 1):S1-5
2.
3.
123
INCONTINENZA URINARIA E QUALITÀ DELLA
VITA IN PAZIENTI ONCOLOGICI SOTTOPOSTI
A PROSTATECTOMIA RADICALE
Dario Calafiore1, Lucia Di Capua2, Monica Pinto2
Seconda Università degli Studi di Napoli, Dipartimento di Specialità MedicoChirurgiche e Dentistiche, Napoli, Italia1
Istituto Nazionale Tumori Fondazione Giovanni Pascale - IRCCS, Napoli, SSD
Riabilitativa, Dipartimento di Direzione Sanitaria, Farmacia e Qualità della
Vita, Napoli, Italia2
Introduzione. Il cancro della prostata è il tumore più frequente nella popolazione maschile (esclusi i tumori cutanei) con un’incidenza
del 11% 1 . L’incontinenza urinaria è una delle complicanze più temute e sottostimate degli interventi di prostatectomia radicale che
,pur non influendo sulla prognosi oncologica, ha un impatto fortemente negativo sull’assetto psicologico e sulla Qualità della Vita
percepita dai pazienti . Pertanto la valutazione e il training della muscolatura del pavimento pelvico si devono inserire all’interno di una
più complessa valutazione biopsicosociale che prenda in considerazione non solo l’aspetto funzionale ma anche l’aspetto psicologico e
sociale dell’incontinenza . Scopo del nostro studio è stato quello di
valutare il ruolo della “early pelvic rehabilitation” nel miglioramento
non solo delle funzioni urinarie ma anche della Qualità della Vita
percepita in pazienti sottoposti a intervento di prostatectomia radicale per cancro prostatico.
Materiali e metodi. Nel nostro studio prospettico osservazionale,
abbiamo arruolato 23 pazienti sottoposti a prostatectomia radicale
nel mese precedente e con incontinenza urinaria ( utilizzo di almeno 1 pad giornaliero). Ricevuto il consenso informato allo studio, i
pazienti hanno seguito un programma di riabilitazione, con sedute
trisettimanali di 30 minuti per 3 mesi, comprensivo di training di
rinforzo dei muscoli del pavimento pelvico in palestra e sedute di
elettrostimolazione perineale associata a biofeedback elettromiografico , e di attività educazionali riguardanti le abitudini di vita quo112
tidiana. I criteri di inclusione sono stati: età 18-75 anni, assenza di
comorbidità gravi ( cardiocircolatoria, neurologica,renale,epatica ) e
di neoplasia in fase attiva o altre neoplasie. Al momento dell’arruolamento (T0) abbiamo rilevato età, Body Mass Index (BMI), grado
di comorbidità attraverso l’utilizzo della Cumulative Illness Rating
Scale (CIRS) nelle due componenti severity e comorbidity, Gleason
score. Gli outcome analizzati sono stati il numero di Pads giornalieri
utilizzati e la Qualità della Vita Percepita con la SF-12 Utah Health
Status Survey , nelle componenti di Physical Health Composite Scale (PCS) e Mental Health Composite Scale (MCS) ai seguenti tempi
: prima del trattamento (T0), immediatamente dopo il trattamento
riabilitativo (T1) e a tre anni dal trattamento riabilitativo (T2).
Risultati. I nostri pazienti presentavano le seguenti caratteristiche al
momento dell’arruolamento : età 66,09 ± 5,16 anni, BMI 26,79 ±
4,05, Gleason score 6,17 ± 1,04, un punteggio medio alla CIRS severity index di 1,59±0,24 e di 3,17±1,43 alla CIRS comorbidity index.
Prima dell’inizio del trattamento (T0) la mediana di pads giornalieri
usati era 1 (1-4) , il punteggio medio alla SF12 era di 45,96±5,56
per quanto riguarda la componente fisica e di 50,06±11,05 per la
componente mentale. Immediatamente dopo il trattamento riabilitativo (T1), la mediana di pads giornalieri era 0 (0-2)( p = <0,001)
ed il punteggio medio alla SF12 risultava 53,08±5,22 per la componente fisica e 55,07±9,50 per quella mentale (rispettivamente p =
<0,001 e p < 0,048). Alla valutazione a tre anni (T2) la mediana di
pads giornalieri utilizzati è stata 0 (0-2) ed il punteggio medio alla
SF12 è stato 50,74±4,96 per la componente fisica e 55,36±5,82 per
quella mentale (rispettivamente p = 0,003 e p = 0,021).
Conclusioni. La valutazione a T1 (dopo il trattamento) ha evidenziato un miglioramento statisticamente significativo sia per quanto
riguarda il numero di pads utilizzati che per gli scores della Qualità della Vita Percepita, questo miglioramento è sostanzialmente
mantenuto a 3 anni (T2) per entrambi gli outcomes analizzati. Una
precoce presa in carico del paziente sottoposto a prostatectomia radicale riveste un ruolo centrale nella prevenzione e trattamento dell’
incontinenza urinaria 2. I nostri risultati hanno dimostrato l’efficacia
di un trattamento riabilitativo immediatamente successivo all’evento chirurgico con risultati positivi sia in termini funzionali che di
qualità della vita non solo a breve ma anche a lungo termine.
Bibliografia
1.
2.
AIRTUM (Associazione Italiana Registro Tumori, 2015)
2.Manley L, Gibson L, Papa N, Beharry BK, Johnson L, Lawrentschuk N,
Bolton DM Evaluation of pelvic floor muscle strength before and after roboticassisted radical prostatectomy and early outcomes on urinary continence. J Robot Surg. 2016 May 9.
125
PERTURBAZIONI POSTURALI CONTINUE
E PREVEDIBILI NELLA MALATTIA DI
PARKINSON: UN METODO PER STUDIARE
L’ADATTAMENTO DELLE RISPOSTE
POSTURALI E PER MIGLIORARE
L’EQUILIBRIO
Antonio Nardone1, Paola Morlino1, Ilaria Arcolin1, Marica
Giardini1, Simone Guglielmetti1, Marco Schieppati2
Fondazione Salvatore Maugeri (IRCCS), Istituto Scientifico di Veruno, Veruno
(NO), Italia1
Fondazione Salvatore Maugeri (IRCCS), Istituto Scientifico di Pavia, Pavia,
Italia2
Introduzione. Quando un soggetto normale sta in piedi su una
pedana che si muove continuamente e prevedibilmente in direzione anteroposteriore, l’equilibrio è mantenuto grazie a risposte
posturali riflesse e anticipatorie. I soggetti normali tendono ad
adattare progressivamente le risposte posturali, riducendole di
ampiezza, man mano che le perturbazioni vengono somministrate
Vol. 30 - N. 2/3 - GIORNALE ITALIANO DI MEDICINA RIABILITATIVA - MR
44° CONGRESSO NAZIONALE SIMFER
(Schmid e coll. 2011). I pazienti con malattia di Parkinson (PD)
sono molto instabili in queste condizioni. Abbiamo voluto rispondere alle seguenti domande: 1. L’instabilità dei pazienti è connessa a un’incapacità ad adattare l’attività dei muscoli posturali? 2.
L’addestramento con la pedana mobile può modificare le capacità
di adattamento delle risposte posturali nei pazienti? 3. I miglioramenti delle capacità di adattamento si riflettono in miglioramenti
dell’equilibrio e del cammino? 4. L’allenamento dell’equilibrio con
esercizi somministrati da un fisioterapista ottiene gli stessi risultati
ottenibili con la pedana mobile?
Materiali e metodi. Sono stati reclutati 20 soggetti sani e 36 PD
con Hoehn-Yahr mediana uguale a 2,5. In tutti i soggetti è stata registrata l’attività elettromiografia (EMG) dei muscoli tibiale
anteriore (TA) e soleo (Sol) di entrambe le gambe e i movimenti
anteroposteriori del corpo (mediante marcatori rilevati da telecamere a infrarossi) durante una serie di 56 perturbazioni sinusoidali
indotte a 0,4 Hz e ad occhi chiusi. I pazienti sono stati randomizzati in due gruppi, uno trattato con esercizi per l’equilibrio (PD-E)
e un altro con una pedana mobile (PD-P) che si muove in modo
prevedibile in direzione anteroposteriore o mediolaterale. Entrambi i gruppi sono stati trattati tre volte/settimana, un’ora/die, per
dieci sedute totali. Sono stati misurati i cambiamenti tra prima e
dopo trattamento delle seguenti variabili: 1. punteggio della scala
dell’equilibrio dinamico Mini-BESTest; 2. variabili spazio-temporali del cammino misurate mediante tappeto baropodometrico; 3.
Attività EMG di TA e Sol e movimenti del corpo durante le perturbazioni posturali indotte dalla pedana mobile. Per quantificare
l’adattamento è stato calcolato un indice consistente nel rapporto
percentuale tra le ampiezze (degli EMG o degli spostamenti dei
marcatori) tra gli ultimi sei e i primi sei cicli di perturbazioni.
Risultati. Differenze tra PD e sani. L’ampiezza dell’attività EMG
del TA e del Sol era maggiore nei PD che nei sani. Nei sani il TA
si riduceva di ampiezza dopo pochi cicli (indice di adattamento
68%) mentre il Sol non mostrava cambiamenti. I pazienti non
mostravano nessun adattamento del TA. Anche i movimenti del
corpo tendevano a ridursi nei primi cicli ma questo fenomeno era
meno evidente nei PD (indice di adattamento dei movimenti della
testa 90% nei sani e 112% nei PD).
Differenze tra prima e dopo trattamento. Prima dell’inizio del trattamento i due gruppi di pazienti non mostravano differenze significative nelle capacità di adattamento del TA e dei movimenti del
corpo né nelle misure funzionali: mini-BESTest (22/28 e 20/28
rispettivamente nei PD-E e nei PD-P), velocità del cammino (120
e 109 cm/s nei PD-E e nei PD-P), cadenza (121 e 118 semipassi/s
nei PD-E e nei PD-P), lunghezza del semipasso (59 e 55 cm nei
PD-E e nei PD-P). Alla fine del trattamento i PD-P mostravano
un indice di adattamento che passava da 91% a 59% nei PD-P e
solo da 102% a 94% nei PD-E. Nei PD-P l’indice di adattamento dei movimenti della testa passava da 115% a 89% mentre nei
PD-E addirittura aumentava da 109% a 113%. Entrambi i gruppi
presentavano miglioramenti significativi delle variabili funzionali
ma della stessa entità: Mini-BESTest (+3 punti), velocità del cammino (+10 cm/s), cadenza (+4 semipassi/s) e lunghezza dei semipassi (+3 cm).
Conclusioni. Le anormalità dell’ampiezza e dell’adattamento delle risposte posturali e dei movimenti del corpo sulla pedana mobile
possono in parte spiegare l’instabilità dei pazienti nella vita di tutti
i giorni. Il miglioramento dell’adattamento è maggiore per i PD-P
che i PD-E. Tuttavia queso miglioramento non è limitato alle prestazioni sulla pedana mobile ma è traslato verso aspetti funzionali
quali l’equilibrio e il cammino. Un allenamento esclusivo dell’equilibrio, sia con la pedana sia col fisioterapista, non migliora solo
l’equilibrio ma anche il cammino. Il miglioramento di quest’ultimo è tuttavia inferiore a quello ottenuto quando si allena specificamente il cammino con il nastro trasportatore (Arcolin e coll.,
2016). Il simile risultato ottenuto con gli esercizi e con la pedana
mobile suggerisce che in entrambi i casi parte del miglioramento
sia legato a meccanismi comuni, tra questi un miglioramento degli
aggiustamenti posturali anticipatori che sono menomati nei PD
(Bazalgette e coll. 1987). Rispetto agli esercizi la riabilitazione con
la pedana ha il vantaggio di essere quantificabile, standardizzabile,
ripetibile e indipendente dall’operatore.
Bibliografia
1.
2.
3.
Arcolin I, Pisano F, Delconte C, Godi M, Schieppati M, Mezzani A, Picco D,
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Bazalgette D, Zattara M, Bathien N, Bouisset S, Rondot P. Postural adjustments
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invariant or increasing oscillations of the center of mass depending on perturbation frequency and vision conditions. Hum Mov Sci 2011;30:262-78.
126
TRATTAMENTO CON RADIOFREQUENZA
PULSATA ENDOARTICOLARE NELLA
RIZARTROSI: VALUTAZIONE CLINICA E
STRUMENTALE
Ilaria Da Rold1, Ernesta Magistroni1, Valter Verna2, Giuseppe
Massazza1
Azienda Ospedaliera Città della Salute e della Scienza di Torino, dipartimento
di Ortopedia, Traumatologia e Riabilitazione - MFRU -Presidio Ospedaliero
CTO, Torino, Italia1
Azienda Ospedaliera Città della Salute e della Scienza di Torino, dipartimento di
Diagnostica per Immagini e Radioterapia - Presidio Ospedaliero CTO, Torino,
Italia2
Introduzione. Lo scopo del presente studio clinico prospettico e non
randomizzato è stato quello di valutare l’efficacia del trattamento con
Radiofrequenza Pulsata Pulse dose (PDPRF) endo-articolare nel trattamento del dolore e della funzione in pazienti affetti da osteoartrosi
dell’articolazione Trapezio-metacarpale.
Materiali e metodi. Abbiamo valutato gli outcome clinici di 31 pazienti : il dolore con la Visual Analogue Scale ( VAS Scale) , la qualità
di vita con il questionario Short Form Health Survey – 12 (SF – 12)
e la disabilità con la scala DASH (Disability of Harm- Shoulder and
Had). Abbiamo inoltre analizzato la funzione della mano tramite le
prese di forza con il sistema strumentale computerizzato e standardizzato Dexter composto da un Jamar ed un dinamometro per le pinze
pollice -digitali effettuando sempre valutazioni comparate. Il followup è stato: T0 pre procedura, a 15 giorni e poi a 3, 6 e 12 mesi.
Risultati. Abbiamo osservato: 1) riduzione altamente significativa del
dolore; 2) un significativo miglioramento della qualità di vita e della
funzione della mano; 3) un significativo miglioramento della forza di
presa.
Conclusioni. Il trattamento con Radiofrequenza Pulsata Pulse dose
(PDPRF) endo-articolare si è dimostrato essere una valida procedura,
in sicurezza poiché non distruttiva e ripetibile, per ottenere sollievo
dal dolore, anche per periodi consistenti, e consentire miglioramento
della forza, come dimostrato dal sistema computerizzato Dexter, e della qualità di vita in pazienti affetti da rizartrosi
Bibliografia
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and their role in osteoarthritis genesis and progression. Rheum Dis Clin North
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Vol. 30 - N. 2/3 - GIORNALE ITALIANO DI MEDICINA RIABILITATIVA - MR
113
44° CONGRESSO NAZIONALE SIMFER
127
128
EFFICACIA DI UN’ADEGUATA TERAPIA
ANTALGICA POST-CHIRURGICA NELLA PRESA
IN CARICO RIABILITATIVA PRECOCE DELLE
FRATTURE DEL COLLO DEL FEMORE IN ETÀ
GERIATRICA
LINFEDEMA POST-MASTECTOMIA: PROPOSTA
DI PERCORSO TERAPEUTICO TERRITORIALE
Claudia Zanetti1, Janis Ruggeri1, Davide Romiti1, Cosimo
Costantino1
Azienda Ospedaliero Universitaria di Parma, Medicina Fisica e Riabilitativa,
Parma, Italia1
Introduzione. L’invecchiamento della popolazione cui stiamo
assistendo negli ultimi decenni ha reso le fratture del collo del
femore nel paziente e le sue conseguenze una delle principali
problematiche del paziente geriatrico. Come ampiamente documentato in letteratura i tempi di presa in carico sia chirurgica che
riabilitativa influenzano profondamente la mortalità, la disabilità, la qualità di vita, l’autonomia e i costi assistenziali di questi
pazienti. Una precoce presa in carico riabilitativa (entro le prime
48-72 ore dall’intervento) è risultato essere uno dei fattori che
maggiormente influenza queste caratteristiche, ed è fortemente
connessa all’efficacia della terapia antalgica nell’immediato post
operatorio. Tuttavia la scelta della terapia antalgica è spesso condizionata non solo dal dolore percepito dal paziente geriatrico
ma soprattutto dalle sue condizioni cliniche e molteplici comorbidità. Questa raccolta dati si prefigge di monitorare il livello del
dolore del paziente ortogeriatrico nell’immediato postoperatorio
e di correlarlo alla compliance ed efficacia del trattamento riabilitativo.
Materiali e metodi. Vengono reclutati i pazienti geriatrici (età
>65 anni) ricoverati c/o la Clinica ortopedica dell’Azienda ospedaliero Universitaria di Parma dal mese di maggio al mese di
ottobre 2016 per frattura del collo del femore, operati il venerdì,
sabato o lunedì, con indicazione alla presa in carico riabilitativa.
Ogni paziente viene valutato globalmente in prima giornata post
operatoria e al momento della dimissione con le seguenti scale: WHS, Modified Barthel Index, GDS, NRS. Il dolore viene
monitorato quotidianamente prima e durante la seduta di training del cammino tramite la NRS e correlato alla terapia antalgica in atto e al numero di metri percorsi in ognuna delle prime
quattro giornate post-operatorie. Outcome primario e risultati
attesi. Valutare nell’immediato post-operatorio la relazione tra
i seguenti items: dolore percepito dal paziente, efficacia della terapia antalgica, collaborazione e stato psicologico del paziente,
tempo intercorso tra l’intervento chirurgico e la presa in carico riabilitativa, efficacia del trattamento. I risultati attesi sono:
una correlazione positiva tra un’adeguata terapia antalgica e una
buona risposta al trattamento riabilitativo; una correlazione positiva tra il progressivo recupero motorio e lo stato psicologico del
paziente; una correlazione positiva tra il controllo del dolore e il
recupero delle autonomie.
Bibliografia
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Buecking, B., et al., Factors influencing the progress of mobilization in hip
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114
Vitalma Liotti1, Francesco Ciardone2, Marzia Damiani3,
Nadia Di Cesare4, Rosella Occhiolini4, Carlo D’Aurizio3
AUSL Pescara, Popoli, Pescara, Italia1
AUSL Pescara, Popoli, Popoli, Italia2
AUSL Pescara, Popoli, Popoli, Italia3
AUSL Pescara, DSB, Pescara, Italia4
Introduzione. Un numero crescente di donne con cancro alla
mammella sopravvive molto più a lungo e trascorre gran parte della vita a far fronte alle conseguenti problematiche fisiche, psicologiche e sociali. Una delle maggiori problematiche in esito a quadrantectomia o mastectomia radicale per rimozione di carcinoma
mammario è il linfedema. Il linfedema può insorgere anche molti
anni dopo l’intervento chirurgico. L’indice e la Scala di disabilità
Ricci ha permesso di evidenziare che la disabilità interessa le donne
giovani più che le anziane. Nell’ambito dell’integrazione ospedaleterritorio è stato redatto un percorso di presa in carico delle pazienti affette da linfedema post-mastectomia nel territorio AUSL
Pescara e proposte due procedure terapeutiche differenti al fine di
valutarne i benefici del trattamento sulla riduzione delle circonferenze e sul recupero funzionale. Il trattamento con linfotape non
associato ad altre terapie può risultare molto utile nella gestione
del linfedema in quanto le pazienti hanno spesso scarsa compliance per il bendaggio funzionale. Inoltre, il linfotape risulta garantire
un effetto drenante per tutto il tempo in cui è posato, lascia libertà
di movimento, tratta fibrosi e cicatrici, può essere usato in alternativa a linfodrenaggio e bendaggio allungando i tempi necessari tra
un ciclo e l’altro.
Materiali e metodi. Abbiamo arruolato nello studio 10 pazienti
di età compresa tra 58 ed 80 aa con diagnosi di linfedema secondario a patologia oncologica mammaria afferenti agli ambulatori
distrettuali e sottoposti a valutazione fisiatrica. con impegnativa
del medico curante o dello specialista ospedaliero con richiesta di
visita fisiatrica. Dopo una fase di terapia d’attacco con linfodrenaggio e bendaggio della durata di 3 settimane le pazienti sono
state suddivise in due gruppi. Il gruppo A ha effettuato 8 sedute bisettimanali con linfodrenaggio.Il gruppo B ha effettuato una
seduta a settimana di applicazione di linfotaping. La valutazione
mediante compilazione di una check-list e di una scheda di misurazioni è stata effettuata prima del trattamento (TO) ed alla fine
del trattamento(T1) con un metro a nastro per misurare le circonferenze dell’arto. Per individuare in maniera certa e ripetibile
tutti i vari punti di misurazione bisogna definire un punto 0 a
partire dal quale verranno identificati i punti successivi. Il nostro
punto0(Pt0) è il processo stiloide dell’ulna e gli altri punti vengono individuati, lungo l’asse dell’arto, ad una distanza di 4 cm. Per
avere dei risultati anche di tipo qualitativo sono state prese in considerazione nell’analisi le misure di Pt4 e Pt5, che rappresentano il
terzo prossimale dell’avambraccio, zona evidenziata in letteratura
per la presenza del segno del”dermal back flow”. Abbiamo inoltre
utilizzato la scala di Ricci per valutare il miglioramento funzionale.
Risultati. Dal gennaio 2015 sono stati presi in carico 10 pazienti.
Dai risultati ottenuti possiamo notare che le medie delle riduzioni
delle circonferenze per il gruppo trattato con il linfodrenaggio e
quello con il linfo- taping, rispettivamente di 1,602 cm e 1,421
cm, non hanno mostrano delle sostanziali differenze; inoltre
l’intervallo di confidenza al 99% ,[-1,005;1,367], contiene lo 0 e
ciò indica che la differenza tra le due metodiche non è significativa.
I risultati invece dalle medie delle riduzioni medie del terzo
prossimale dell’avambraccio, rispettivamente 1,95 cm e 1,25 cm,
ci dicono che con il drenaggio manuale abbiamo una riduzione
maggiore di circa 0,7 cm rispetto al linfotaping; ma analizzando
Vol. 30 - N. 2/3 - GIORNALE ITALIANO DI MEDICINA RIABILITATIVA - MR
44° CONGRESSO NAZIONALE SIMFER
l’intervallo di confidenza,[-0,1;1,5] , notiamo che anche in questo
caso non vi è una differenza significativa tra le due metodiche,
anche se la tendenza verso numeri positivi ci fa pensare che il
drenaggio manuale è leggermente più influente sul trattamento
della fibrosi il drenaggio manuale.
Conclusioni. I nostri risultati del tutto preliminari e da verificare
con l’ampliamento della casistica clinica, hanno comunque
dimostrato che la differenza tra le due metodiche non è
significativa. Quindi, partendo dal presupposto che il numero di
pazienti esaminati è stato relativamente basso, possiamo affermare
che l’utilizzo del linfo- tape si è dimostrato un metodo efficace per
mantenere sotto controllo il linfedema tanto quanto il trattamento
manuale, che rappresenta il gold standard. Inoltre l’utilizzo e
l’integrazione del tape potrebbe diventare un valido ausilio nella
gestione delle pazienti, poiché il drenaggio manuale richiede
sedute ravvicinate di trattamento. Quindi con un’applicazione
di taping linfodrenante, andremo ad aumentare, dove necessario,
l’intervallo di tempo tra una seduta e quella successiva,andando
così ad aumentare anche il periodo di trattamento. Inoltre la
presenza del linfo tape permette alla paziente un’alternativa all’uso
del tutore compressivo.
Bibliografia
1.
2.
3.
Ricci M. Proposta di graduazione della disabilità da Linfedema. MR 2008:22n°3:265-70
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129
MALNUTRIZIONE IN PAZIENTI AFFERENTI
AD UN CICLO DI RIABILITAZIONE
CARDIOLOGICA RESIDENZIALE:
PREVALENZA, ASSOCIAZIONE CON
CAPACITÀ FUNZIONALE E CON L’OUTCOME
RIABILITATIVO
Mattia Nisi1, Rocco Lagioia2, Pietro Fiore1, Giuseppina
Fumarulo2, Andrea Passantino2
U.O. Medicina Fisica e Riabilitazione –Unità Spinale Unipolare, Policlinico di
Bari, Bari, Italia1
Fondazione Salvatore Maugeri IRCCS, Istittuo Scientifico di Cassano delle Murge, Cassano delle Murge, Italia2
Introduzione. Si ritiene che tra il 20 ed il 50% dei pazienti ospedalizzati è malnutrito e/o a rischio di malnutrizione (1)
La malnutrizione è risultata associata ad aumentate complicanze
post-operatorie, sepsi e mortalità in pazienti sottoposti a chirurgia
(2). Si associa anche ad aumento delle complicanze infettive ed a
peggiore outcome funzionale in pazienti con ictus. La malnutrizione è prevalente in pazienti sottoposti a chirurgia cardiaca, ed
è associata a significativa mortalità e morbilità ; anche in pazienti
con scompenso cardiaco cronico la malnutrizione è un predittore
di prognosi avversa.
Differenti metodiche sono state utilizzate per valutare lo stato nutrizionale in pazienti ospedalizzati, ma ancora non c’è ampio consenso su quali siano le migliori(3) Scopo dello studio è valutare la
prevalenza di malnutrizione in pazienti ricoverati per riabilitazione cardiologica residenziale dopo cardiochirurgia e per scompenso
cardiaco e valutare l’impatto dello stato nutrizionale sulla comparsa di complicanze.
Materiali e metodi. Sono stati arruolati 434 pazienti (età media
67,2 ± 11 aa; 301maschi, 133 femmine) ricoverati presso l’UO di
Cardiologia della Fondazione S.Maugeri di Cassano delle Murge
per ciclo di riabilitazione cardiaca. 287 (98 femmine, 189 maschi)
a seguito di intervento cardochirurgico (gruppo CCH) mediamente a 12.5 ± 8.7 giorni dall’evento; 147 (35 donne, 115 maschi) per
scompenso cardiaco (gruppo SC). Tutti i pazienti sono stati sottoposti a valutazione nutrizionale mediante somministrazione di
MNA ® (Mini Nutritional Assesment), esami ematochimici, valutazione funzionale mediante esecuzione del test dei 6 minuti (6m
WT) se in grado di deambulare (o Barthel index nei pazienti non
deambulanti) e rilevazione della forza mediante hand-grip. Tutti
i pazienti sono stati sottoposti ad ecocardiogramma con calcolo
della frazione d’eiezione (FE). L’MNA è distinto in tre parti: screening (MNAs con score massimo 14), globale (MNAg con score
massimo 16), totale (MNAt somma dei due score precedenti). In
base al punteggio all’MNAt si sono differenziati un gruppo di pz
“malnutriti” con score < 17, un gruppo di pz “a rischio di malnutrizione” con score ≥ 17 e ≤ 23 ed un gruppo di pz “normonutriti”
con score >23. Durante la degenza sono state registrate le seguenti
complicanze: infezioni, cadute, piaghe da decubito, insufficienza
respiratoria.
Risultati. La durata media della degenza è stata di 19.75± 7.4
giorni. Non si è evidenziata differenza significativa tra la durata
della degenza tra gruppo SC e gruppo CCH (20.5 ± 7 vs 19.35±7
gg). Sull’intera popolazione il punteggio medio dell’ MNA screening è stato di 11.01±2.5, quello dell’MNA globale di 12.89±1.5,
il totale di 23.91±3.33. Sono stati classificati “malnutriti” 13 pazienti (3 %), “a rischio malnutrizione” 156 pazienti (36 %), “normonutriti” 264 pazienti (61%).
L’MNAt è risultato significativamente più alto nei maschi
(24.20±3.07 vs 23.25±3.78) e nel gruppo CCH rispetto al gruppo
SC (24.36±3.10 vs 23.03±3.59); presentava correlazione inversa
con la FE (r=0.12, p=0.013) e correlazione diretta con il valore
di forza nel test di hand grip (r=0.21, p<0.001). Non c’ èra correlazione significativa con l’età (r=0.04, p=0.426) , con i valori
di emoglobina (r=-0.09, p= 0.057 e di albuminemia (r=-0.02,
p=0.665). Rispetto alla valutazione funzionale l’MNAt è risultato significativamente correlato al Barthel index all’ingresso (r=
0.22, p=0.004), ma non con il 6m WT. Nel gruppo dei pazienti
“malnutriti” l’incidenza di complicanze è stata del 30.77 % contro
il 25% nel gruppo dei pz “a rischio malnutrizione” ed il 18.18%
nel gruppo dei pz “normonutriti”(p<0.01). Inoltre bassi valori di
MNAt erano significativamente correlati ad una degenza più prolungata( r=-0.14, p=0.005). La durata della degenza nei pazienti
normonutriti (19.09±7 gg) ed a rischio “malnutrizione” (20±7 gg)
è risultata significativamente inferiore rispetto alla durata nei pazienti malnutriti (19.09±7gg , p< 0.01)
Conclusioni. La prevalenza di malnutrizione valutata con il MNA
in una coorte di pazienti ricoverati per riabilitazione cardiologica
è relativamente bassa; tuttavia esiste un numero significativo di
pazienti a rischio malnutrizione. La valutazione nutrizionale con
l’MNA score è correlata con la capacità funzionale all’ingresso valutata con Barthel e hand-grip; inoltre è inversamente proporzionale ai valori di la frazione d’eiezione. Essa permette di stratificare i
pazienti rispetto alla durata prevista del tempo di degenza, ed al rischio di comparsa di complicanze durante il percorso riabilitativo
Bibliografia
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Vol. 30 - N. 2/3 - GIORNALE ITALIANO DI MEDICINA RIABILITATIVA - MR
115
44° CONGRESSO NAZIONALE SIMFER
130
LA CARATTERIZZAZIONE DEI DISTURBI
DEL SONNO NEI PAZIENTI CON STROKE
CRONICO: STUDIO DI COORTE
Maria Teresa Giamattei1, Antimo Moretti1, Claudio Curci1,
Francesca Gimigliano2, Giovanni Iolascon1
Dipartimento di Specialità Medico Chirurgiche e Odontoiatriche, Seconda Università degli Studi di Napoli, Napoli, Italia1
Dipartimento di Salute Mentale e Fisica e Medicina Preventiva, Seconda Università degli Studi di Napoli, Napoli, Italia2
Introduzione. L’outcome clinico-funzionale dei pazienti con esiti
di ictus è condizionato dalla presenza di diversi fattori interagenti. È stato ipotizzato che la presenza di disturbi del sonno possa
incidere in maniera significativa su alcuni parametri funzionali
in questi pazienti. 1 In particolare, frequenti sono la riduzione del
tempo del sonno totale, dell’efficienza del sonno e un aumento
del numero dei risvegli.2 Fino al 50% degli individui con esiti di
stroke sperimentano un disturbo del sonno,3 anche se le alterazioni
dell’architettura del sonno in questi pazienti non sono state ben
caratterizzate. L’obiettivo del nostro studio è valutare parametri
soggettivi e oggettivi del profilo del sonno in una coorte di pazienti
affetti da stroke cronico.
Materiali e metodi. Abbiamo condotto uno studio osservazionale
trasversale in una coorte di pazienti affetti da stroke cronico (almeno 12 mesi dall’evento acuto), di entrambi i sessi, in assenza di
accidenti cerebrovascolari precedenti e di disturbi cognitivi (score
di almeno 24 al Mini–Mental State Examination) e con uno score
motorio alla Functional Indipendence Measure (FIM) ≥13. I criteri di esclusione sono stati: presenza di altre significative patologie
in fase acuta, sindrome delle apnee ostruttive nel sonno (OSAS) e
storia di disturbi psicotici. A tutti i partecipanti allo studio è stata
somministrata una scheda valutativa comprendente dati anagrafici
e antropometrici (età, peso e altezza), la scala Cumulative Illness
Rating Scale (CIRS) per la valutazione delle comorbidità, la Stroke
Impact Scale (SIS) per la valutazione della severità dello stroke
in fase cronica e la FIM. Per la valutazione soggettiva del sonno
nell’ultimo mese, ai pazienti è stata somministrato il Pittsburgh
Sleep Quality Index (PSQI). Per la valutazione del tono dell’umore
è stata usata la Hamilton Depression Rating Scale (HAM-D), per
valutare dolore e qualità di vita (HRQoL) sono state usate rispettivamente la Brief Pain Inventory (BPI), la SF-12 e l’EQ-5D-3L.
La valutazione oggettiva degli aspetti qualitativi e quantitativi del
sonno è stata eseguita utilizzando lo X4 Sleep Profiler™ In-Home
EEG Sleep Monitor – Advanced e misurando i seguenti parametri:
Sleep Time, Sleep Efficiency, durata dello Stadio Rem, N1-N2N3, Cortical Arousal, Awakening, Rem Latency, Wake Sleep After
Onset (WASO) e Sleep Latency confrontati con i valori normali
indicati dallo strumento.
Risultati. La nostra popolazione è di 7 pazienti, 2 maschi e 5 femmine, con età media di 69,3±13,6 anni. La valutazione delle comorbidità ha evidenziato un CIRS Severity index medio di 1,85 e
un CIRS Comorbidity index medio di 4,43. La valutazione della
SIS ha evidenziato impairment significativi in tutti gli item. La valutazione della autonomia funzionale ha mostrato un valore medio
di FIM di 39 a fronte di un livello di outcome motorio di riferimento di 55,9. Lo score medio del Pittsburgh Sleep Quality Index
era di 11,14, indicativo di scarsa qualità del sonno. La valutazione
della HRQoL evidenzia un’alterata percezione dello stato di salute
(EQ-5D-3L index medio 0,28), in particolare della componente
fisica (SF12 PCS medio 24,2) piuttosto che di quella psicologica
(SF12 MCS medio 34,2). Il BPI ha mostrato un’ interferenza del
dolore con le ADL di grado moderato (BPI Interference Index
medio 6,63). L’HAM-D ha mostrato uno score medio di 16,3
compatibile con uno stato di depressione lieve. La misurazione dei
116
parametri del sonno ha mostrato una alterazione della architettura
del sonno in termini di riduzione del tempo totale e della Sleep Efficiency. È stata evidenziata una riduzione media della durata dello
stadio NREM3 ed un aumento della durata degli stadi NREM1
e NREM2, senza alterazioni della durata del sonno REM; inoltre
risultavano aumentati il numero di risvegli e i Cortical Arousals
Conclusioni. Nella nostra coorte l’architettura del sonno risulta
essere alterata sia dal punto di vista strumentale che self-reported.
I disturbi del sonno rappresentano un outcome importante da
valutare nei pazienti con stroke cronico e l’utilizzo di metodiche
strumentali non invasive potrebbe essere un approccio utile e di
facile applicabilità.
Bibliografia
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Siengsukon C, Boyd LA. Sleep enhances off-line spatial and temporal motor
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Vock J,Achermann P,Bischof M,Milanova M,Müller C,Nirkko A,et al. Evolution of sleep and sleep EEG after hemispheric stroke. J Sleep Res (2002)
131
IL GENERE COME FATTORE PROGNOSTICO
NELLA RIABILITAZIONE DEL DOLORE
CERVICALE
Stefano Monami1, Marcello Villeggia1, Francesco Papalia1,
Cristina Meleleo1, Giovanni Martino1, Simona Fattori2
Direzione Sanitaria, Casa di Cura Privata Accreditata Policlinico Italia, ROMA,
Italia1
Medico Responsabile Raggruppamento di Riabilitazione Intensiva,, Casa di Cura
Privata Accreditata Policlinico Italia, Roma, Italia2
Introduzione. Il dolore cervicale (Neck pain, NP) rappresenta la
quarta principale cause di disabilità e con tassi di prevalenza annuale superiori al 30%. La prevalenza di NP è più elevata nelle
donne che negli uomini e la letteratura è variamente orientata riguardo il suo aumento nella mezz’età. Circa la metà dei casi non si
risolvono dopo la fase acuta. Per il dolore cronico, nei pochi studi
randomizzati l’esercizio fisico sembra mostrare benefici, mentre ci
sono minori evidenze per altri trattamenti. Nell’ambito di uno studio più ampio sugli esiti in riabilitazione è stata condotta una prima analisi esplorativa per verificare se il genere del paziente possa
rappresentare un fattore prognostico nella riabilitazione del dolore
cervicale.
Materiali e metodi. Sulla base dei dati registrati nella Cartella
Riabilitativa Integrata® in uso presso la Casa di Cura Privata
Policlinico Italia di Roma sono stati selezionati retrospettivamente
i ricoveri di riabilitazione post-acuzie dal 2006 al 2013 trattati per
cervicalgia (ICD-9-CM 72.31) che avevano effettuato il Neck pain
questionaire(NPQ). Il questionario è stato sviluppato per misurare il
dolore alla regione cervicale e la conseguente inabilità del paziente,
è relativamente semplice da usare e fornisce una misura obiettiva
dei sintomi nel tempo. Sono stati selezionati tutti i ricoveri in cui
è stato somministrato l’NPQ, N=79, 22 uomini e 57 donne, tra i
22 e 87 anni, con età mediana pari a 64 anni. È stata effettuata una
regressione logistica con la differenza tra NPQ prima del ricovero
e NPQ dopo il ricovero (diffNPQ) come variabile indipendente.
Poiché il sistema di attribuzione del punteggio sulla scala NPQ
prevede l’attribuzione di un punteggio da 1 a 4 su otto o nove voci
a seconda dei casi, il punteggio è stato classificato: a. “nessun o lieve
miglioramento” per diffNPQ<=6; b.“significativo miglioramento”
per diffNPQ >6. Sono stati così calcolate le probabilità di
ottenere un significativo miglioramento del dolore per uomini e
donne, le relative odd e l’odds ratio (OR). Oltre al sesso sono stati
investigate altre variabili ritenute significative quali età e livello del
questionario NPQ all’ingresso.
Vol. 30 - N. 2/3 - GIORNALE ITALIANO DI MEDICINA RIABILITATIVA - MR
44° CONGRESSO NAZIONALE SIMFER
Risultati. I risultati dell’analisi non hanno mostrato consistenti differenze sesso-correlate per l’esito in esame: la probabilità di ottenere
l’esito è risultata pari a 76% per le donne e 80% per gli uomini,
l’odd 3,25 per le donne e 4,00 per gli uomini, con un OR=1,23 (IC
0,34-4,39). Sono state aggiunte al modello semplice le covariate età
del paziente e valore del NPQ all’ingresso ma i risultati sono rimasti invariati. In un ulteriore modello semplice avere un NPQ più
elevato all’ingresso (NPQ>19) per gli uomini mostra una modesta
associazione positiva con una migliore prognosi, ma l’associazione è
indistinguibile dall’effetto casuale (OR=2.87, IC 0.58 -14.00).
Conclusioni. La misurazione dell’outcome della riabilitazione
post-acuzie del dolore cervicale attraverso differenza di punteggio
nell’NPQ è comoda e semplice da usare. La casistica in esame,
pur nei limiti di una ridotta numerosità, non mostra differenze di
prognosi, in termini di disabilità residua, fra i sessi.
Bibliografia
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132
CONTROLLO DEL DOLORE E DELLA
SPASTICITÀ NEI PAZIENTI CON PARALISI
CEREBRALE INFANTILE: IL RUOLO
DELL’IMPIANTO DI POMPA AL BACLOFEN E
DELLA RIZOTOMIA DORSALE SELETTIVA
Anna Bruna Ronchetti1, Luca Doglio1, Monica Cella1,
Elisabetta Traverso1, Paolo Moretti1
IRCCS G. Gaslini, U.O.C. Medicina Fisica e Riabilitazione, Genova, Italia1
Introduzione. In un progetto sull’utilizzo di tecniche per il trattamento della spasticità e del dolore correlato, abbiamo seguito
bambini con paralisi cerebrale infantile GMFCS 4-5, sottoposti
ad impianto di pompa con rilascio intratecale di baclofen (ITB) o
Rizotomia Dorsale Selettiva (RDS).
Materiali e metodi. Sono stati selezionati 16 bambini con paralisi cerebrale infantile GMFCS 4-5 (7-18 anni), seguiti presso la
U.O.C. di Medicina Fisica e Riabilitazione dell’Istituto G. Gaslini, affetti da tetraparesi spastica con grave disabilità, spasticità e
dolore. Dal 2012 al 2016 sono stati seguiti 16 bambini, di cui 12 si
sono sottoposti a terapia intratecale con baclofen e 4 ad intervento
di rizotomia dorsale selettiva. I bambini sono stati valutati prima e
dopo gli interventi con: scala FLACC (dolore), MAS (spasticità),
GMFM (Gross Motor Function Measure), Barry Albright BADs
(distonie), PENN (spasmi), MACS (funzionalità arti superiori),
LSS e TCT (controllo di capo e tronco), ROM passivi; rilevazione
di tempi di tolleranza della posizione seduta e carico assistenziale. I
bambini del gruppo ITB hanno iniziato progressivo recupero della
posizione seduta dalla 2° settimana. Il programma riabilitativo ha
previsto: dalla 2° giornata sedute di mobilizzazione polisegmentaria; dalla 2° settimana esercizi di allungamento e rinforzo muscolare, per il miglioramento dell’assetto posturale e della funzionalità
degli arti superiori; adeguamento delle ortesi; alla dimissione dal
reparto post-acuto trattamento riabilitativo in regime estensivo.
Per i bambini del gruppo RDS il programma riabilitativo ha previsto: mobilizzazione polisegmentaria dalla 2° giornata, riduzione
dell’allettamento entro la fine della 1° settimana; a partire dalla
fine della 2° settimana riabilitazione intensiva in DH con sedute
quotidiane di rieducazione neuromotoria (mobilizzazione, allineamento posturale, recupero del controllo di capo e tronco, miglioramento della funzionalità degli arti superiori) e revisione dei sistemi di postura e ausili; prosecuzione del trattamento riabilitativo
in regime intensivo presso le strutture territoriali.
Risultati. Il trattamento con pompa intratecale di baclofen si è
dimostrato efficace nella riduzione della spasticità e del dolore a
lungo termine. In tutti i pazienti è stato ottenuto un miglioramento dell’ipertono, con riduzione media della MAS ad 1 anno di 1,94
(P<0,001) e del dolore, con riduzione media della FLACC ad 1
anno di 1,13 (P=0,005). Nei bambini sottoposti a Rizotomia Dorsale Selettiva i dati preliminari indicano una riduzione del dolore
(FLACC da 9/10 a 0/10), della spasticità (MAS da 3-4 a 2-1+) e,
quando presenti, delle distonie (BADs da 18 a 9), con miglioramento di articolarità passiva, allineamento posturale e controllo di
capo e tronco (LSS da 1 a 3). I tempi di tolleranza della posizione
seduta sono passati pochi minuti a 5-6 ore, rendendo possibile l’utilizzo dei sistema di postura, il trasporto e le attività al di fuori del
domicilio. Utilizzando entrambe le tecniche è stato ottenuto un
buon controllo del dolore e della spasticità, con la differenza che
nel gruppo RDS gli effetti si sono resi evidenti immediatamente
al termine dell’analgesia, (ovvero in 3°-4° giornata), mentre nel
gruppo ITB i risultati sono stati raggiunti nell’ambito di circa 3
settimane, in rapporto all’aumento progressivo del farmaco (dose
iniziale 100 mcg). In tutti i pazienti si è ottenuto un miglioramento dell’articolarità nei principali distretti con un miglioramento
funzionale, ed in un caso (ITB) è stato possibile il passaggio dalla
classe V alla classe IV GMFCS. Il decorso post-operatorio è stato più breve per i bambini che si sono sottoposti a RDS mentre
per il gruppo ITB ha richiesto una degenza più lunga nel reparto
per acuti (circa 3 settimane). L’inizio della riabilitazione è stato
precoce in entrambi i gruppi, ma la riduzione dei tempi di allettamento è stata più veloce nel gruppo RDS. I bambini che si sono
sottoposti a RDS hanno richiesto un intervento riabilitativo più
intenso e prolungato per il recupero dell’ipostenia e del disturbo
della propriocezione agli arti inferiori. Nel complesso tutti i caregiver hanno riferito una riduzione del carico assistenziale ed un
miglioramento della qualità del sonno.
Conclusioni. L’impianto di pompa con rilascio Intratecale di Baclofen e la Rizotomia Dorsale Selettiva si sono confermate due metodiche efficaci e sicure per il controllo del dolore e della spasticità in
bambini con paralisi cerebrale infantile GMFCS 4-5. La Rizotomia
Dorsale Selettiva si caratterizza per un effetto immediato ed un decorso post-chirurgico più breve, con tempi di allettamento inferiori;
il percorso riabilitativo richiesto è però più intenso e prolungato.
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133
ANALISI QUANTITATIVA DELL’ATTIVITÀ
EEG DURANTE MOBILIZZAZIONE ROBOTASSISTITA
Alessandra Del Felice1, Anna Bosco1, Elena Demertzis1,
Laura Bernardi1, Emanuela Formaggio2, Federica Izzi3,
Stefano Masiero1
Università degli studi di Padova, Dipartimento di Neuroscienze, sezione di Riabilitazione, Padova, Italia1
I.R.C.S.S., Ospedale San Camillo, Venezia, Italia2
BTS Bioengineering, Padova, Italia3
Introduzione. La riabilitazione robotica ha l’obiettivo di migliorare il deficit motorio conseguente ad una lesione del sistema nervoso
centrale sulla base dell’alto numero di ripetizioni di un movimento
identico. L’esecuzione di un compito motorio induce dei cambia-
Vol. 30 - N. 2/3 - GIORNALE ITALIANO DI MEDICINA RIABILITATIVA - MR
117
44° CONGRESSO NAZIONALE SIMFER
menti nell’attività EEG, indicati come fenomeni evento-relati, che
consistono in una desincronizzazione (ERD-event related desynchronization) o sincronizzazione (ERS-event related synchronization) dell’attività cerebrale in una data banda di frequenza. La
coerenza task-relata permette di studiare come si modifica la connettività fra le varie aree cerebrali durante un compito motorio.
L’obiettivo di questo studio è stato individuare in soggetti sani la
distribuzione topografica della desincronizzazione/sincronizzazione evento-relata (ERD/ERS) e la coerenza task-relata dell’attività
cerebrale in corso di movimenti passivi robot-assistiti e di movimenti immaginati di flesso-estensione del piede.
Materiali e metodi. Sono stati registrati 21 soggetti sani destrimani (9 uomini e 12 donne) mediante EEG a 32 canali durante
movimento robot-assistito di flesso-estensione del piede destro,
ripetuto con una frequenza di 0.2 Hz. I dati EEG sono stati acquisiti mediante un protocollo a blocchi: registrazione inziale in
condizione di riposo, seguita dalla registrazione del movimento
passivo di dorsi-plantiflessione del piede destro e durante movimento immaginato del piede destro con analogo protocollo. Con
un algoritmo dedicato sono stati calcolati gli ERD/ERS, rappresentandoli su mappe topografiche. La coerenza task-relata è stata
ottenuta sottraendo i valori di coerenza durante la condizione di
riposo con i valori durante l’esecuzione del compito.
Risultati. Durante il movimento passivo, si osserva desincronizzazione in banda alpha 1 in corrispondenza delle aree motorie
bilaterali, in banda alpha 2 in corrispondenza dell’area sensorimotoria controlaterale e corteccia prefrontale ipsilaterale e in banda
beta a livello della corteccia sensorimotoria bilaterale. Durante il
movimento immaginato, sono state identificate desincronizzazioni
significative in banda alpha 1 e alpha 2 in corrispondenza della
corteccia sensorimotoria controlaterale e beta nelle aree centrali
dello scalpo. Non sono emerse differenze significative fra le due
condizioni. La coerenza task-relata durante movimento passivo è
diminuita per la banda alpha 2 fra l’area motoria sinistra e area
frontale destra, e fra le aree centrali sinistre-parietali sinistre, e nella banda beta fra C3-C4, C3-P3, mentre risulta aumentata nella
banda beta fra C3-Cz. Invece non è stata individuata coerenza significativa task-relata durante movimento immaginato.
Conclusioni. Il movimento passivo è in grado di attivare la corteccia motoria primaria controlaterale e la corteccia frontale ipsilaterale e le aree sensorimotorie bilaterali. L’attivazione dell’area motoria e di quella frontale corrisponde al task motorio e potrebbe essere correlata alla ritmicità del movimento e alla sua relazione con
il ciclo del passo. L’analisi di connettività che mostra l’alternanza
di attivazione di queste due zone corticali supporta questa ipotesi,
basata sull’alternanza del ciclo del passo, in cui l’area prefrontale
agisce da pacemaker nelle fasi iniziali. Durante movimento immaginato si è registrata ERD prevalente in beta sull’area motoria
centrale corrispondente all’area dell’arto inferiore, cui si associa
un beta diffuso, che potrebbe corrispondere al substrato neurale
dell’attenzione, necessaria per l’immaginazione di un movimento
che non viene eseguito se non all’interno del ciclo del passo. L’attivazione specifica delle aree sensorimotorie è assente durante il
movimento immaginato, poiché mancano le afferenze sensoriali.
L’attivazione marcata durante movimento immaginato suggerisce
e conferma come questa tecnica possa essere efficace nella riabilitazione dell’arto inferiore, come già dimostrato per l’arto superiore.
In conclusione, i dati dello studio contribuiscono a comprendere
i pattern dell’attività oscillatoria durante mobilizzazione della caviglia robot-assistita e suggeriscono l’utilità di quest’analisi nella
valutazione dei cambiamenti dell’attività oscillatoria corticale.
Questi dati contribuiscono a fornire il substrato neurofisiologico
della riabilitazione robotica, permettendo di sfruttare le potenzialità di questa tecnica.
118
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Tecchio F, Pizzella V. Passive ankle dorsiflexion by an automated device and the
reactivity of the motor cortical network. Conf Proc IEEE Eng Med Biol Soc.
2013;2013:6353-6
Mazzoleni S, Coscia M, Rossi G, Aliboni S, Posteraro F, Carrozza MC: Effects
of an upper limb robot-mediated therapy on paretic upper limb in chronic
hemiparetic subjects: a biomechanical and EEG-based approach for functional
assessment. In Proceedings of the IEEE 11th international conference on rehabilitation robotics. 2009:92–97
134
INDICATORI DI RECUPERO FUNZIONALE
NELLA RIABILITAZIONE ROBOTICA
DELL’ARTO SUPERIORE DELLA PERSONA
CON ESITI DI STROKE
Stefano Paravati1, Daniele Galafate2, Simone Criscuolo1,
Debora Gabbani1, Domenica Le Pera1, Carlo Damiani1,
Francesco De Pisi1, Marco Franceschini1
IRCCS San Raffaele Pisana, Dipartimento di Neuroriabilitazione, Roma, Italia1
IRCCS San Raffaele Pisana, Dipartimento di Neuroriabilitazione, Roma2
Introduzione. I progressi nella diagnosi e nel trattamento degli ictus in fase acuta, nonché lo sviluppo e la diffusione di nuove metodiche di neuro-imaging e di unità di terapia neurologica intensiva,
hanno permesso di aumentare la sopravvivenza e di migliorare la
qualità di vita nei pazienti affetti da malattie cerebrovascolari. Allo
stesso tempo, lo sviluppo di nuove tecnologie robotiche ha messo
a disposizione del fisiatra una vasta gamma di robot in grado di affiancare il terapista nel recupero delle funzioni lese. La selezione dei
pazienti in grado di beneficiare maggiormente da tali trattamenti
risulta purtroppo ancora difficile e guidata da poche evidenze scientifiche. L’obiettivo di questo studio è quello di identificare degli indicatori validi e facilmente identificabili in grado di individuare quei
pazienti con un potenziale di recupero maggiore tramite l’utilizzo
del robot end effector InMotion 2 (MitManus), al fine di avviarli
precocemente all’utilizzo di questa terapia.
Materiali e metodi. Sono stati reclutati a una distanza massima di
45 giorni dall’evento acuto, 61 pazienti colpiti da stroke con conseguente disabilità motoria a carico di uno degli arti superiori. I
pazienti reclutati sono stati sottoposti ad un trattamento di fisioterapia tradizionale secondo il progetto definito dal Team affiancata
a 30 sedute di terapia tramite il “Gioco dell’orologio” al device robotico MitManus. I pazienti sono stati valutati all’inizio e al termine del trattamento con robot tramite e la Chedoke classification,
Fugl Meyer (FM), Motricity Index (MI), Modified Ashworth Scale
(MAS) al polso e al gomito,, valutazione del ROM articolare (inteso come somma dei segmenti articolari), Box and Block (B&B)
test, Modified Barthel Index (MBI)). Si è individuato la MBI ed il
B&B come outcome primari per valutare il risultato, inteso come
guadagnato rispetto il massimo guadagnabile. Gli altri parametri
clinici assieme a quelli anagrafici sono stati usati come indicatori
prognostici.
Risultati. L’età media del campione era 65,82 (e.s. 1,97) con il
57,38% di maschi, il 78,68 % di ischemici ed 49,18% di emisindromi destre. All’ingresso il dato mediano della FM era 30 (e.s. 1,78),
del MI era 51 (e.s. 3,72) , della MAS a livello della spalla 2 (e.s.
0,17)mentre al gomito era di 1(e.s. 0,16), del ROM articolare era
785 (e.s. 15,28) , del B&B era di (e.s. 1,64). La MBI mostrava un
range tra 71 e 0. La Chedoke un range tra 5 e 2. Le analisi preliminari fanno vedere in particolar modo che i pazienti di sesso maschile
con una emi-sindrome destra, un basso livelli di spasticità al gomito
abbiano un potenziale di miglioramento maggiore rispetto agli altri
Vol. 30 - N. 2/3 - GIORNALE ITALIANO DI MEDICINA RIABILITATIVA - MR
44° CONGRESSO NAZIONALE SIMFER
pazienti. L’età, la menomazione motoria e la spasticità alla spalla e al
polso non sembrano essere variabili determinanti di miglioramenti
significativi per questo specifico trattamento.
Conclusioni. Sebbene una più approfondita analisi statistica sia ancora in corso, lo studio apre le porte alla individuazione di indicazioni
più precise in fase subacuta circa l’utilità dell’uso di questo tipo di
tecnologia avanzata. Una spasticità elevata al gomito (Ashworth superiore a 2) parrebbe indurci al non utilizzo di questo tipo di robot in
quanto le possibilità di miglioramento potrebbe non essere significativo. Un’analisi statistica più approfondita ed un campione più ampio
ci consentiranno di trarre ulteriori e più precise considerazioni.
Bibliografia
1.
2.
3.
4.
Franceschini M, Colombo R, Posteraro F, Sale P. A proposal for an Italian
Minimum Data Set Assessment Protocol for robot-assisted rehabilitation: a
Delphi study. Eur J Phys Rehabil Med. 2015 Dec; 51 (6): 745-53.
Sale P, Franceschini M, Mazzoleni S, Palma E, Agosti M, Posteraro F. Effects
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Posteraro F, Mazzoleni S, Aliboni S, Cesqui B, Battaglia A, Carrozza MC,
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Bovolenta F, Goldoni M, Clerici P, Agosti M, Franceschini M. Robot therapy
for functional recovery of the upper limbs: a pilot study on patients after stroke.
J Rehabil Med. 2009 Nov;41(12):971-5.
135
PROPOSTA DI UNA NUOVA CLASSIFICAZIONE
DIAGNOSTICA DEL DOLORE BENIGNO
DI ORIGINE LOMBO-SACRALE:
RIPRODUCIBILITÀ INTER-OPERATORE
Esaminatori: Sono stati scelti come esaminatori tre Medici Fisiatri,
con esperienza pluriennale nelle patologie lombosacrali, che hanno partecipato a uno o più Corsi di Medicina Manuale secondo R.
Maigne e che hanno eseguito un training per uniformare l’approccio
anamnestico e clinico.
Classificazione proposta:
- Sindrome neurogena e neuropatica
- Sindrome discogena
- Sindrome stenotica
- Sindrome articolare
- Sindrome della cerniera dorso-lombare di R. Maigne
- Sindrome della sacro-iliaca
Analisi dei dati: Per valutare la concordanza interoperatore dei singoli test è stata utilizzata la percentuale di concordanza (sia sui risultati
positivi che negativi) e la kappa di Cohen. Per l’analisi della concordanza tra i due operatori nella definizione dell’ipotesi diagnostica è
stata utilizzata la kappa di Fleiss.
Risultati. La riproducibilità interoperatore dei test diagnostici risulta essere da discreta a buona.
La riproducibilità della classificazione diagnostica da noi proposta
risulta essere buona, con valori di kappa di Fleiss pari a 0,648.
Conclusioni. La classificazione diagnostica da noi proposta risulta
essere utile e riproducibile nella valutazione del paziente con dolore
di origine lombo-sacrale.
Bibliografia
1.
2.
3.
Guido Brugnoni1
IRCCS Istituto Auxologico Italiano – Presidio Ospedaliero Capitanio, Milano,
Italia1
Introduzione. La diagnosi del dolore lombosacrale è attualmente
basata quasi esclusivamente sugli esami radiologici e sulla ricerca dei
segni neurologici. Le immagini e gli esami strumentali sono un momento indispensabile, ma poiché si va affermando l’idea che la causa
prevalente del dolore benigno di origine lombare sia un disturbo del
controllo neuromotorio della muscolatura propria o “locale” del rachide, che causa una disfunzione dolorosa del segmento mobile, riteniamo che l’osservazione del paziente mediante un’anamnesi e un
esame clinico codificato ci possa permettere di arrivare a un inquadramento diagnostico preciso e ripetibile inter-operatore e non a una
semplice diagnosi di esclusione. Per ottenere questo scopo ci siamo
valsi, accanto alla semeiotica classica, della semeiotica descritta da R.
Maigne, che permette di definire, attraverso l’addizione e sottrazione
dei sintomi e dei segni, la tipologia del dolore, il livello vertebrale da
cui origina e la struttura da cui deriva. Per poter arrivare a una “diagnosi di trattamento” e dare la corretta indicazione per i successivi
esami strumentali necessari era indispensabile disporre di una nuova
classificazione basata appunto sulle strutture del rachide da cui, in tutto o in parte, possa originare il disturbo doloroso. Lo scopo del nostro
studio è di valutare la riproducibilità inter-operatore dei singoli test, e
la concordanza nella classificazione clinica del disturbo.
Materiali e metodi
Soggetti:
- Criteri di inclusione: tutti i soggetti, maschi o femmine, di età
compresa tra i 18 e i 77 anni, affetti da lombalgia con o senza
irradiazione agli arti inferiori.
- Criteri di esclusione: fratture vertebrali recenti (6 mesi), storia
di chirurgia vertebrale, malattie infiammatorie, gravidanza, malattia neoplastica, disabilità a comunicare adeguatamente con
l’esaminatore per problemi di lingua o per problemi cognitivi,
patologie psichiatriche.
Richardson C, Hodges P, Hides J. Therapeutic exercise for lumbopelvic stabilization, a motor control pproach for the treatment and prevention of low back
pain. Churchill Livingstone, Second edition, 2004.
Maigne R. Dolori di origine vertebrale. Comprendere diagnosticare e trattare.
Milano: Elsevier srl, 2009.
Petersen T, Olsen S, Laslett M, et al. Inter-tester reliability of a new diagnostic
classification system for patients with non-specific low back pain. Australian
Journal of Physiotherapy. 50-2; 2004; 85-94.
136
UTILIZZO DI UN’APPLICAZIONE PER TABLET
PER LA VALUTAZIONE DEL NEGLECT IN
PAZIENTI AFFETTI DA STROKE ACUTO:
STUDIO PILOTA
Francesca Pianu1, Andrea Montis2, Maurizio Melis3, Valter
Santilli1
Unità di Medicina Fisica e Riabilitativa, Università degli Studi di Roma “La
Sapienza”, Roma, Italia1
SSD Neuroriabilitazione, AO Brotzu, Cagliari, Italia (2)
SC Neurologia e Stroke Unit, AO Brotzu, Cagliari, Italia (3)
Introduzione. Il neglect spaziale unilaterale è un disturbo neuropsicologico che può comparire a seguito di lesione cerebrale che è causa
di ridotta tendenza all’interazione ed all’esplorazione di stimoli provenienti dallo spazio controlaterale all’emisfero lesionato, non determinata da deficit sensitivo-motori. Tale disordine ha un impatto prognostico negativo sul recupero e la sua valutazione viene attualmente
affidata all’esame clinico ed all’utilizzo di test “carta-matita” che prevedono compiti di esplorazione del materiale di stimolo con cancellazione di lettere, forme e disegni. Si utilizzano comunemente batterie di
test al fine di valutare tutti i campi di esplorazione, personale ed extrapersonale; tali batterie hanno tuttavia il limite di richiedere parecchio
tempo per essere somministrate. Negli ultimi anni sono stati proposti
strumenti di valutazione del neglect che utilizzano nuove tecnologie
che prevedono l’utilizzo del computer o recentemente di una applicazione sviluppata per tablet (“Neglect App”). In questo studio pilota,
il nostro obiettivo è stato quello di testare la fattibilità di utilizzo di
una applicazione sviluppata per tablet, per la valutazione del neglect
spaziale unilaterale in pazienti affetti da stroke acuto e comparare i
risultati con quelli ottenuti ai test classici carta-matita.
Vol. 30 - N. 2/3 - GIORNALE ITALIANO DI MEDICINA RIABILITATIVA - MR
119
44° CONGRESSO NAZIONALE SIMFER
Materiali e metodi. Sono stati reclutati 10 pazienti, ricoverati nel
reparto di Stroke Unit dell’Azienda Ospedaliera Brotzu di Cagliari,
con lesione emisferica destra a seguito di stroke, e sono stati valutati per la presenza del neglect spaziale unilaterale entro 7 giorni
dall’evento acuto. Tutti i pazienti sono stati sottoposti a due prove di
cancellazione carta-matita (test di cancellazione di linee e test delle
campanelle) e due prove di cancellazione utilizzando “Neglect App”
su tablet con schermo 9,7” (barrage semplice e barrage con presenza
di distrattori). I due gruppi di prove sono stati somministrati nella
stessa seduta ed in ordine casuale.
Risultati. I risultati di questo studio preliminare evidenziano una
correlazione tra i risultati ai test carta-matita con quelli ottenuti con
i test su tablet. L’interfaccia paziente-tablet non si è dimostrata un
ostacolo per l’esecuzione delle prove, che sono state eseguite in tempi rapidi da tutti i pazienti, anche da quelli naïf allo strumento. I
soggetti inoltre hanno mostrato buona compliance all’utilizzo dello
strumento touch-screen.
Conclusioni. L’impiego dell’applicazione su tablet si è dimostrato
fattibile e semplice per un gruppo di pazienti affetti da stroke acuto
durante il ricovero ospedaliero.
Bibliografia
1.
Pedroli E, Serino S, Cipresso P, Pallavicini F, Riva G. Assessment and rehabilitation of neglect using virtual reality: a systematic review. Front Behav Neurosci.
2015 Aug 25;9:226.
Pallavicini F, Pedroli E, Serino S, Dell‘Isola A, Cipresso P, Cisari C, Riva G. Assessing Unilateral Spatial Neglect using advanced technologies: The potentiality
of mobile virtual reality. Technol Health Care. 015;23(6):795-807.
2.
137
TRATTAMENTO CON RADIOFREQUENZA
PULSATA NEL DOLORE NEUROPATICO
DA LESIONE NERVOSA PERIFERICA POSTTRAUMA. PRIMI RISULTATI
Ernesta Magistroni1
Azienda Ospedaliera Universitaria Città della Salute e della Scienza di Torino,
Dipartimento di Ortopedia, Traumatologia e Riabilitazione - Presidio Ospedaliero CTO, Torino, Italia1
Introduzione. La radiofrequenza pulsata (PRF) è una procedura
sviluppata utilizzando un campo elettrico che, a temperatura mai
superiore a 42° C, determina la neuromodulazione con conseguente
interruzione temporanea della trasmissione del dolore, senza alcun
danno al tessuto nervoso. Studi clinici prospettici hanno rilevato
beneficio della PRF con riduzione del dolore in un’ampia varietà
di stati dolorosi. Alcuni Autori hanno dimostrato effetti biologici
selettivi sulle fibre di piccolo diametro A-delta e C, deputate alla
conduzione del dolore. L’uso degli Ultrasuoni come guida per il corretto posizionamento della punta esposta dell’ago-elettrodo “close to
nerve” è stato ampiamente confermato da tempo da studi sull’impiego delle PRF nelle sindromi del tunnel carpale e in tutti i blocchi
anestetici periferici. Il dolore neuropatico (DN) è uno stato doloroso complesso e cronico dovuto a sofferenza o lesione del sistema
somato-sensoriale in sede centrale o periferica. Le lesioni nervose
traumatiche possono frequentemente essere complicate da DN.
Materiali e metodi. Il nostro studio clinico prospettico include 57
pazienti (32 maschi; 25 femmine) di età media 42 anni tutti affetti
da DN legato a lesione nervosa periferica post-traumatica riparata
chirurgicamente. Sono stati tutti trattati, mediante guida US con
PRF (Pulse dose). Il follow-up è stato eseguito mediante l’utilizzo
della VAS (Visual Analogue Scale) per il dolore e la SF-36 (Short
Form of Health Survey) per la qualità di vita: T0 pre - procedura e
poi a 1-3-6 mesi dopo il trattamento.
Risultati. Dopo la procedura tutti i pazienti hanno riportato una riduzione del dolore misurato con la VAS di circa il 38% ad un mese.
Il controllo del dolore ha consentito un trattamento riabilitativo con
120
maggior compliance da parte del paziente, specie per la rieducazione
della sensibilità. Tale riduzione del dolore si è mantenuta per un
tempo di circa 3-4 mesi per aumentare nuovamente a 6 mesi senza
raggiungere livelli pre-trattamento. Contemporaneamente anche la
SF-36 migliorava sia nella componente fisica (PCS) sia soprattutto
nella componente mentale (MCS). La maggior parte dei pazienti ha
ridotto l’assunzione di farmaci antidolorifici, oppiodi inclusi.
Conclusioni. Il trattamento con PRF nei casi di DN dopo lesione
nervosa periferica può essere considerate quale valida alternativa non
solo alla terapia farmacologica ma anche quando essa fosse insufficiente a controllare il dolore stesso. Inoltre essendo priva di effetti lesivi e ripetibile può essere utilizzata per controllare il dolore durante
il trattamento rieducativo, specie nel recupero della sensibilità, fondamentale dopo riparazione chirurgica nelle lesioni traumatiche dei
nervi periferici. Ciò in particolar modo nei soggetti giovani, maggiormente affetti da tali lesioni, in cui la terapia farmacologica con
oppiodi può compromettere la vita sociale, lavorativa e di relazione.
Bibliografia
1.
2.
3.
Naeem Haider, MD, Daniel Mekasha, MD, Srinivas Chiravuri, MD, and Ronald Wasserman, MD” Pulsed Radiofrequency of the MedianNerve under Ultrasound Guidance Pain Physician: November 2007:10:765-770
Steven P. Cohen, MD, Anthony Sireci, BA, Christopher L. Wu, MD, Thomas
M. Larkin, MD, Kayode A. Williams, MD, and Robert W. Hurley, MD, PhD
Pulsed Radiofrequency of the Dorsal Root Ganglia is Superior to Pharmacotherapy or Pulsed Radiofrequency of the Intercostal Nerves in the Treatment
of Chronic Postsurgical Thoracic Pain Pain Physician. 2006;9:227-236, ISSN
1533-3159
Rohof OJ. Radiofrequency treatment of peripheral nerves. Pain Pract 2002;
2: 257-260
138
QUALITÀ DI VITA IN PAZIENTI CON SCLEROSI
MULTIPLA: STUDIO DI CORRELAZIONE CON
CARATTERISTICHE CLINICHE DI MALATTIA E
MISURE DI MENOMAZIONE-DISABILITÀ
Roberta Benedetti1, Crecchi Alessandra1, Maria Elisabetta
Girò1, Simone Capitani1, Maria Chiara Carboncini1
Scuola di Specializzazione Medicina Fisica e Riabilitativa, Azienda OspedalieroUniversitaria Pisana/Università di Pisa/Dipartimento di Ricerca Traslazionale
e delle Nuove Tecnologie in Medicina e Chirurgia, Pisa, Italia1
Introduzione. È noto che la qualità di vita in pazienti con Sclerosi
Multipla (SM) è significativamente compromessa rispetto alla popolazione generale. Questo è sicuramente legato alla disabilità fisica
che la malattia determina; tuttavia diversi studi hanno dimostrato
come anche aspetti quali la fatica e la depressione, che spesso si associano al quadro clinico, abbiano un impatto importante sulla di
qualità di vita percepita.1,2 È stato nostro interesse valutare nel campione in esame quali fossero i parametri e le condizioni che maggiormente possano contribuire a un deterioramento della qualità di vita.
Materiali e metodi. Sono stati reclutati 63 pazienti (31 maschi e
32 femmine) di età media pari a 45 anni (23-65 anni) con diagnosi
di SM (35 Recidivante-Remittente, 16 Secondariamente Progressiva e 12 Primariamente Progressiva), durata media di malattia di
10 anni (1-30 anni) e livello medio di disabilità calcolato mediante l’indice EDSS (Expanded Disability Severity Scale) di 3,5 (range 0-8,5). Ai pazienti sono state somministrate le seguenti scale:
MSQOL-54 (Multiple Sclerosis Quality Of Life 54), per la valutazione della qualità di vita; HADS (Hospital Anxiety and Depression
Scale), per la valutazione di ansia e depressione; Barthel Index,
per la valutazione dell’autonomia nelle attività di vita quotidiana; FSS (Fatigue Severity Scale), per la valutazione della fatica. Le
scale Barthel e FSS sono state compilate da un operatore, mentre
MSQOL-54 e HADS sono state compilate in modo autonomo dai
pazienti. Una volta raccolti i dati e calcolati i punteggi per ciascuna scala, questi sono stati sottoposti ad analisi statistica, tramite
Vol. 30 - N. 2/3 - GIORNALE ITALIANO DI MEDICINA RIABILITATIVA - MR
44° CONGRESSO NAZIONALE SIMFER
il software Sigma Stat 3.5, utilizzando la correlazione per ranghi
di Spearman e successivamente corretti con la formula di Bonferroni. Per l’analisi abbiamo considerato in modo indipendente le
due componenti dell’MSQOL-54, quella fisica e quella mentale,
e abbiamo studiato mediante la statistica l’eventuale correlazione
esistente tra ciascuna di queste ed età e genere del paziente, durata
di malattia, EDSS, Barthel Index, FSS, ansia e depressione (queste
ultime calcolate con l’HADS); infine abbiamo valutato la correlazione tra le due componenti MSQOL-54.
Risultati. Valutando le caratteristiche cliniche dei pazienti, relativamente al genere non son emerse differenze statisticamente significative: p = 0,660 per quanto riguarda la qualità di vita “fisica” (Physical
Healt Composite) e p = 0,064 per la qualità di vita “mentale” (Mental
Healt Composite). Mentre si è evidenziato che all’aumentare dell’età
la qualità di vita, sia fisica che mentale si riducono significativamente (p <0,001 e p = 0,00632, rispettivamente). La durata di malattia
è risultata essere inversamente correlata in modo significativo alla
Physical MSQOL (p = 0,00645), ma non alla Mental MSQOL (p =
0,716). Per quanto concerne la qualità di vita fisica, da quest’analisi
è emersa una correlazione diretta con il Barthel Index e una correlazione inversa con i valori di EDSS, FSS e HADS. Il parametro che
maggiormente correla con la Physical MSQOL è la fatica (coefficiente di correlazione = -0,758 e p <0,001). Tutte le correlazioni comunque hanno raggiunto la significatività statistica (p < 0,05), che si
conferma anche una volta applicata la correzione di Bonferroni per
una p < 0,007. Comportamento analogo è stato evidenziato anche
per quanto riguarda la qualità di vita “mentale”; l’unica differenza
si ha per la correlazione tra Mental MSQOL e Barthel Index, per
la quale si perde la significatività statistica quando valutata con la
formula di Bonferroni (p = 0,023). Per quanto riguarda questa componente dell’MSQOL-54, il parametro per cui si è evidenziata la
maggior correlazione è la depressione (coefficiente di correlazione =
-0,628 e p < 0,001). Infine, anche la correlazione tra la qualità di vita
fisica e mentale è risultata statisticamente significativa (coefficiente
di correlazione = 0,721 e p < 0,001).
Conclusioni. I risultati del presente studio confermano quanto
noto in letteratura1,2 relativamente ai parametri che influenzano la
qualità di vita nei pazienti con SM. Questi dati, inoltre, evidenziano
come anche un aumento della quota ansiosa possa determinare un
peggioramento della percezione della qualità di vita.
Per una presa in carico globale del paziente con SM risulta quindi
importante porre una maggior attenzione anche ad aspetti non direttamente legati alla disabilità fisica, quali ansia e depressione, dal
cui corretto trattamento potrebbe risultare un miglioramento della
qualità di vita complessiva.
Bibliografia
1.
2.
Janardhan V, Bakshi R. Quality of life in patients with multiple sclerosis: The
impact of fatigue and depression. Journal of Neurological Sciences 2002 Dec
15;205(1):51-8.
Amato MP, Ponziani G, Rossi F, Liedl CL, Stefanile C, Rossi L. Quality of life
in multiple scelrosis: the impact of depression, fatigue and disability. Multiple
Sclerosis Journal 2001 Oct;7(5):340-4.
139
ACTION OBSERVATION TREATMENT IN
RIABILITAZIONE ORTOPEDICA: STUDIO
CLINICO E NEUROFISIOLOGICO
Alessandra Del Felice1, Leonora Castiglia1, Antonio
Frizziero1, Martina Galletti1, Stefano Masiero1
Università di Padova, Dipartimento di Neuroscienze - sezione Riabilitazione,
Padova, Italia1
Introduzione. L’Action Observation Treatment (AOT) rappresenta un
approccio riabilitativo basato sull’impiego dell’osservazione sistematica
di task seguita dalla loro esecuzione, che si è dimostrato efficace nel
migliorare le performances di pazienti con disabilità neuromotoria.
Esiste, invece, un solo studio nell’ambito della riabilitazione
ortopedica, in cui l’AOT ha dimostrato un miglioramento nel recupero
delle funzioni motorie di pazienti ortopedici post-chirurgici, misurato
però attraverso semplici outcomes funzionali. L’obiettivo del nostro
studio era quello di definire se l’AOT, come intervento aggiuntivo al
trattamento riabilitativo convenzionale, possa essere efficace anche in
pazienti sottoposti ad intervento di sostituzione protesica di ginocchio
(PTG), valutandone anche l’eventuale impatto neurofisiologico.
Materiali e metodi. Sono stati reclutati 16 pazienti maggiorenni
(4 di sesso maschile e 12 di sesso femminile) in lista di attesa per
l’intervento in elezione di PTG su gonartrosi presso la Clinica
Ortopedica dell’Azienda Ospedaliera di Padova. Sono stati esclusi
dallo studio pazienti con controindicazioni all’esecuzione della
stimolazione magnetica transcranica (TMS), con anamnesi positiva
per patologie neurologiche, con deterioramento cognitivo o indice
di massa corporea (BMI) >30 kg/m2. Il giorno prima dell’intervento
(T0) ogni paziente è stato sottoposto a valutazione clinica (raccolta
anamnestica, rilevazione dei parametri antropometrici al fine di
calcolare il BMI) con somministrazione del Timed Up and Go
test (TUG) e del 10-Meter Walk Test (10 MWT). Infine è stata
identificata la soglia motoria con stimolazione magnetica transcranica
(TMS); è stato utilizzato un coil focale applicato all’area motoria
primaria dell’arto superiore registrando da ABD. Durante il ricovero
presso il reparto di Riabilitazione sono stati raccolti i dati clinici di
routine (FIM, valutazione della forza segmentale secondo MRC e
ROM del ginocchio) e i pazienti sono stati suddivisi con modalità
randomizzata in due gruppi. Entrambi i gruppi hanno partecipato
ad un programma di riabilitazione convenzionale per 1 ora/die,
6 giorni a settimana, per 2 settimane. In aggiunta al trattamento
convenzionale, i pazienti del gruppo caso osservavano per 10 minuti/
die un filmato in cui venivano mostrati gli esercizi proposti in palestra.
È stato mantenuto stabile il dosaggio di farmaci psicotropi e utilizzata
terapia antidolorifica standard (Paracetamolo). Il giorno precedente
la dimissione dal reparto di Riabilitazione (T1) sono state ripetuti
TUG, 10 MWT e TMS. Come outcomes sono state considerati
la variazione della soglia motoria a riposo, del ROM del ginocchio
(attivo e passivo), della forza muscolare, del TUG, del 10 MWT e
del punteggio FIM. L’analisi statistica è stata eseguita con IBM SPSS
Statistics 22.0 con un test a misure ripetute con fattori tempo e misure
di outcomes con correzione per età, sesso, lato, terapia farmacologica,
durata del ricovero presso il reparto di Ortopedia e durata della
terapia riabilitativa. La significatività è stata considerata per valori di p
inferiori o uguali a 0,05.
Risultati. Sono stati inclusi nello studio 12 pazienti. 6 di questi sono
stati trattati con programma riabilitativo standard più AOT e altri 6
con solo trattamento riabilitativo standard. 4 dei 16 pazienti arruolati
hanno abbandonato lo studio in quanto trasferiti presso altra struttura
riabilitativa. Al T0 tra i due gruppi non vi erano differenze nei
parametri considerati per gli outcomes. Al termine della riabilitazione,
solo la FIM (p=0.0001) ha mostrato un miglioramento nel gruppo
AOT.
Conclusioni. I nostri risultati dimostrano un miglioramento della
FIM dopo 2 settimane di trattamento riabilitativo associato ad AOT
in soggetti post intervento di PTG. Questi risultati sono in linea con
quanto riportato nell’unico studio presente in letteratura sull’effetto
dell’AOT in riabilitazione ortopedica relativamente a soli outcomes
funzionali. Nessuno degli altri outcomes funzionali, né la valutazione
neurofisiologica, sono apparsi significativi. Tra le possibili spiegazioni
vi potrebbe essere la scarsa numerosità del campione considerato, una
durata dell’AOT inferiore rispetto a quella utilizzata normalmente in
riabilitazione neurologica, la minor durata del ricovero, ma anche per
quanto riguarda l’aspetto neurofisiologico il fatto che la soglia motoria
sia stata misurata off line e non durante l’osservazione del video. Gli
studi presenti in letteratura evidenziano un aumento dell’ampiezza
dei MEP mentre si osserva il task. È verosimile quindi che questa
Vol. 30 - N. 2/3 - GIORNALE ITALIANO DI MEDICINA RIABILITATIVA - MR
121
44° CONGRESSO NAZIONALE SIMFER
mancanza di effetto da un punto di vista neurofisiologico sia
riportabile a questa modalità di misurazione. In conclusione, l’AOT
potrebbe essere utile anche in riabilitazione ortopedica, ma studi su
campioni più ampi con protocollo di valutazione neurofisiologica
differente sono necessari per confermare il dato.
Bibliografia
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3.
140
USO DEL TREADMILL ANTIGRAVITAZIONALE
NEL TRATTAMENTO RIABILITATIVO
NEUROMOTORIO DEL PAZIENTE ICTATO.
CASE REPORT
Pietro Paladino1, Federico Marrazzo2, Nicola Lioi2, Biagio
Camapana3, Giovanni Vastola4, Raffaele Gimigliano1
Dipartimento Multidisciplinare di Specialità Medico-Chirurgiche E Odontoiatriche, Seconda Università degli Studi di Napoli, Napoli, Italia1
Fondazione Don Gnocchi, Polo Riabilitativo Tricarico, Acerenza, Italy, Fondazione Don Gnocchi, Tricarico, Italia2
Fondanzione Don Gnocchi, Polo Specialistico Riabilitativo -Sant’Angelo dei Lombardi (AV), Fondanzione Don Gnocchi, Sant’Angelo dei Lombardi (AV), Italia3
Fondanzione Don Gnocchi, Polo Specialistico Riabilitativo -Sant’Angelo dei
Lombardi (AV), Fondanzione Don Gnocchi, Sant’Angelo dei Lombardi (AV)4
Introduzione. In Italia l’ictus è la terza causa di morte dopo le malattie cardiovascolari e le neoplasie, causando circa il 10%-20% di tutti i
decessi per anno, e rappresenta la principale causa di disabilità. Il cammino dell’emiparetico è caratterizzato da asimmetrie che coinvolgono
parametri spazio–temporali, cinematici e cinetici. In letteratura alcuni
studi hanno dimostrato come l’utilizzo del treadmill produca un miglioramento dell’andatura con l’acquisizione di uno schema del passo
simmetrico¹. L’uso del treadmill, come osservato attraverso risonanza
magnetica funzionale, attiva i circuiti tra cervelletto e mesencefalo,
probabilmente per mezzo della plasticità sinaptica². Negli ultimi anni
è stato introdotto in riabilitazione un nuovo tipo di treadmill chiamato antigravitazionale: un sistema integrato costituito da un computer,
una struttura di supporto del peso corporeo e un tapis roulant. La
pressione che si instaura all’interno della camera d’aria, in cui si trovano gli arti inferiori del paziente, regola la variazione del peso corporeo
percepito fino ad una sottrazione dell’ 80%. Il gradiente pressorio che
si instaura crea una spinta che solleva il paziente in corrispondenza del
suo centro di massa. L’utilizzo di tale treadmill permette, rispetto ai
semplici tapis roulant utilizzati in passato, un carico precoce e un miglior recupero funzionale nei pazienti ortopedici e nei pazienti affetti
da patologie neurologiche come l’ictus. Riportiamo il caso clinico di
un paziente colpito da ictus emorragico cerebellare che nel suo percorso riabilitativo ha utilizzato il treadmill antigravitazionale. Scopo della
ricerca era valutare eventuali vantaggi nel recupero neuromotorio in
un paziente ictato e con alterato schema del passo.
Materiali e metodi. Presentiamo un caso clinico di un uomo di 76
anni che ha manifestato improvvisa comparsa di vertigini e che, dopo
ricovero ospedaliero, è stato sottoposto ad esame TAC e RMN encefalo con riscontro di infarto emorragico del lobo cerebellare sinistro e
parte della porzione inferiore di quello di destra, con interessamento
del 3° posteriore del midollo allungato. Il paziente, superata la fase
acuta, veniva trasferito presso la nostra Unità Operativa di Riabilitazione. Al ricovero presentava lieve emiparesi destra, slivellamento
dell’arto inferiore sinistro alla prova di Mingazzini, deficit di coordi122
nazione con freinage, dismetria alle prove indice-naso e tallone-ginocchio, bradicinesia nelle prove di diadococinesia e andatura atassica. La
durata del trattamento con treadmill antigravitazionale è stata di sei
settimane con una frequenza di cinque volte a settimana e aumento
progressivo di velocità, percentuale di peso corporeo percepito, pendenza e durata del training. La valutazione è stata effettuata somministrando: Motricity Index, Trunk Control Test, Barthel Index e Scala
di Tinetti. Il paziente è stato valutato al ricovero, dopo tre settimane e
a sei settimane dall’inizio del training con treadmill.
Risultati. Il paziente all’ingresso necessitava di moderata assistenza
nei passaggi posturali e nei trasferimenti e massima nello svolgimento
delle comuni ADL con un punteggio di 61/100 al Trunk Control Test
e di 20/100 al Barthel Index. Al Motricity Index il punteggio era di
71/100 per l’arto superiore sinistro e 58/100 per l’arto inferiore sinistro mostrando un deficit di forza evidente anche alla prova di Mingazzini con slivellamento dell’arto inferiore sinistro. La scala di Tinetti
con un punteggio di 6/28 evidenziava la marcata alterazione dell’equilibrio e dell’andatura. Alla dimissione il paziente ha mostrato: un
recupero dell’autonomia nei passaggi posturali con un Trunk control
test di 100/100; necessità di minima assistenza nelle comuni ADL con
un Barthel Index di 85/100; un buon recupero della forza muscolare
con un Motricity Index di 93/100 per l’arto superiore e di 92/100 per
l’arto inferiore. La deambulazione alla dimissione era possibile senza
supervisione, ma con l’ausilio di un bastone canadese a destra e con
lievi difficoltà nei cambi di direzione (Scala di Tinetti: 20/28).
Conclusioni. Il paziente sottoposto a trattamento riabilitativo con
treadmill antigravitazionale ha mostrato un buon recupero neuromotorio per quanto riguarda la forza muscolare, l’equilibrio e lo schema
del cammino. Il vantaggio offerto da questo moderno sistema deriva
dalla possibilità di regolare progressivamente il carico e altri parametri,
dalla presenza di supporti orizzontali e laterali che, impedendo la perdita dell’equilibrio, consentono nel paziente cerebellare un recupero
precoce e migliore dello schema del passo.
Bibliografia
1.
2.
Harris-Love ML, Forrester LW, Macko RF, Silver KH, Smith GV. Neurorehabil
Neural Repair. 2001;15(2): 105-12.
Luft AR et al. Treadmill Exercise Activates Subcortical Neural Networks and
Improves Walking After Stroke (A Randomized Controlled Trial). Stroke,
2008; 39:3341-3350.
141
PATTERN DEL CAMMINO NELLA SINDROME
DI DRAVET: RISULTATI PRELIMINARI DI UNO
STUDIO MULTICENTRICO LONGITUDINALE
PROSPETTICO
Alessandra Del Felice1, Elisa Spagnolo1, Maria Grazia
Benedetti2, Alberto Rigato1, Giulia Bellon1, Ann Hallemans3,
Francesca Ragona4, Francesca Darra5, Marilena Vecchi6, Erika
Giannotti7, Stefano Masiero1
Università di Padova, Dipartimento di Neuroscienze, Sezione di Riabilitazione,
Padova, Italia1
Università di Bologna, Medicina Fisica e Riabilitativa, Bologna, Italia2
University of Antwerp, Department of Rehabilitation Sciences and Physiotherapy,
Antwerp, Belgio3
Istituto Neurologico “C. Besta”, Department of Pediatric Neuroscience, Foundation IRCCS, Milano, Italia4
Università di Verona, Dipartimento di Salute Materno-Infantile e Biologia Genetica, Sezione di Neuropsichiatria, Verona, Italia5
Università di Padova, Dipartimento della Salute della Donna e del Bambino,
Sezione di Pediatria, Padova, Italia6
Ospedale Sol et Salus, Ospedale Sol et Salus, Torre Pedrera, Rimini, Italia7
Introduzione. La sindrome di Dravet è una rara encefalopatia epilettica causata nel 70% dei casi da mutazioni del gene SCN1A [1]. La
sindrome si presenta clinicamente con crisi epilettiche a semeiologia
differente e ritardo intellettuale e un progressivo deterioramento del
Vol. 30 - N. 2/3 - GIORNALE ITALIANO DI MEDICINA RIABILITATIVA - MR
44° CONGRESSO NAZIONALE SIMFER
cammino [2]. Questo sintomo è stato fino ad ora negletto, con un
report che descrive un pattern del cammino tipo crouch gait [1], ed
una possibile correlazione del deficit della deambulazione con la mutazione genetica in 10 soggetti [3], anche se questi dati rimangono da
confermare. Qui presentiamo i dati preliminari di uno studio multicentrico, longitudinale prospettico, che si pone l’obiettivo di identificare diversi possibili pattern del cammino nella sindrome di Dravet,
e di seguire longitudinalmente i soggetti per 5 anni per identificare
possibili modificazioni della marcia. I dati ottenuti con l’analisi del
movimento verranno correlati con quelli del Registro Nazionale della
Sindrome di Dravet per identificare correlazioni con la mutazione genetica, decorso delle crisi, terapia farmacologica.
Materiali e metodi. L’arruolamento è iniziato nel Luglio 2015. Le
acquisizioni sono state condotte nel Laboratorio di Analisi del Movimento di Padova e nel Laboratorio di Analisi del Movimento dell’Università di Anversa. I partecipanti sono stati sottoposti a valutazione
clinica, questionario WeeFIM e valutazione strumentale del cammino
con sistema optoelettronico stereofotogrammetrico con 10 telecamere
infrarossi (D - smart 500, BTS SpA, Garbagnate Milanese, Italia) secondo il protocollo Davis. L’analisi osservazionale è stata condotta seguendo una versione adattata della Observational Gait Scale. L’analisi
statistica è stata condotta con una analisi delle frequenze utilizzando il
software SPSS (IBM Statistics, version 22).
Risultati. Vengono qui riportati i dati preliminari dell’analisi osservazionale del cammino dei soggetti acquisiti presso il Laboratorio di
Analisi del Movimento del Laboratorio di Padova. Sono stati reclutati
dal neuropsichiatra curante 22 (Padova) e 17 (Anversa) soggetti con
diagnosi di Sindrome di Dravet geneticamente confermata. Dei 22
soggetti arruolati, sono stati analizzati i dati di 19 soggetti (età compresa tra 4 e 26 anni, 9 femmine), per mancata collaborazione dei
restanti soggetti. La WeeFIM media era 93. 9 (47.7%) dei 19 soggetti partecipanti mostrano un deficit della estensione del ginocchio in
MSt. Di questi 9, 3 hanno una aumento della dorsiflessione di caviglia
in MSt e gli stessi 3 più 2 hanno una riduzione della plantiflessione
in PSw. Altri 9 (47.7%) hanno un pattern conservato di cinematica
del ginocchio, con un aumento della plantiflessione in PSw in tutti i
soggetti. In un unico caso si è osservata una iperstensione di ginocchio
in MSt. L’anteposizione di tronco, associate ad antiversione pelvica, è
equamente distribuita tra I 2 gruppi (5 vs 4).
Conclusioni. Questi dati preliminari dimostrano l’esistenza di due
pattern del cammino equamente distribuiti nella popolazione osservata: a) un crouch gait con un aumento della dorsiflessione in MSt e
ridotta plantiflessione in PSw; e b) un pattern con normale cinematica di ginocchio ma eccessiva plantiflessione in PSw. Questi risultati
contrastano con quelli riportati in precedenza. L’analisi strumentale è
necessaria per confermare questi dati e identificare possibili determinanti biomeccanici o neurologici del disturbo.
Bibliografia
1.
Rodda et al. Arch Neurol. 2012 Jul;69(7):873-8.[2] Sheffer et al., Neurogenetics.
2015 Jan;16(1):23-6. [3] Rilstone et al., Epilepsia.2012 Aug;53(8):1421-8.
142
ESPERIENZA RIABILITATIVA
DELL’INCONTINENZA URINARIA DA SFORZO
E D’URGENZA PRESSO L’AMBULATORIO
DEDICATO DELL’OSPEDALE DI ESINE, ASST
VALCAMONICA
Paolo Stofler1, Sara Bertoletti1, Maria Grazia Cattaneo1
ASST-Valcamonica, Esine, Esine, Italia1
Introduzione. Negli ultimi decenni la Comunità Scientifica sta affrontando il problema del recupero funzionale dell’incontinenza da
sforzo (SUI) e d’urgenza (UI) in varie tipologie di soggetti (1). Si definisce incontinenza una perdita involontaria di piccole quantità di
urina che si verifica quando viene esercitata pressione sulla vescica: la
SUI si verifica per esempio in seguito a colpi di tosse, starnuti, salti,
riso, sollevamento pesi o una corsa, o con una contrazione involontaria (irrigidimento) della vescica che determina lo svuotamento parziale o completo (vescica iperattiva o OAB); la UI invece può colpire
numerosi soggetti per diverse cause. Le esperienza clinico-riabilitative puntano a sottolineare l’importanza del recupero della pressione
neutra a livello addominale per migliorare e velocizzare il recupero
funzionale del pavimento pelvico. Infatti tali esperienze sottolineano
come in corso di tali patologie (SUI e UI) si positivizzi la pressione
intraddominale peggiorando il quadro clinico. Tra le tecniche proposte per neutralizzare l’errata pressione positiva intraddominale la più
usata oggi è la metodica iporessiva di Caufriez; essa é un insieme ordinato di esercizi posturali ritmici che permette l’integrazione (centro
vestibolo-cerebellare) e la memorizzazione (corteccia somestesica) dei
“messaggi” propriocettivi sensitivi o sensoriali associati a una postura benefica per la fascia dell’addome senza causare effetti negativi sul
pavimento pelvico. Da circa 4 anni è attivo presso l’Ospedale di Esine (ASST Valcamonica, Lombardia) un ambulatorio riabilitativo del
pavimento pelvico con fisioterapista dedicato al recupero funzionale
della SUI e UI. Lo Scopo dello studio è di verificare come i risultati
ottenuti nei nostri pazienti attraverso l’applicazione della ginnastica
ipopressiva (inibizione della pressione addominale e correzione della
coordinazione respiratoria) prima di riattivare il pavimento pelvico,
velocizzi il recupero muscolare del perineo e migliori la qualità di vita.
Materiali e metodi. I pazienti inclusi nello studio sono stati reclutati da settembre 2012 a ottobre 2015 per un totale di 50 soggetti di cui il 30% erano uomini ed il 70% donne. L’età media dei
soggetti inclusi è stata di 50 anni (range: 36-68 anni). Le diagnosi
principali riguardavano incontinenze post-chirurgiche. Gli uomini
erano tutti in esiti di prostatectomia radicale. Per le donne il problema principale era secondario alla perdita di trofismo e tonicità del
perineo in concomitanza alla menopausa (90%), le restanti erano
SUI e UI secondarie a incoordinazione diaframma-pelvi in recente
parto naturale. La valutazione iniziale per impostare il trattamento
riabilitativo si è avvalsa dell’esame obiettivo perineale con apprezzamento del nucleo fibroso perineale e della sensibilità, del test per la
isolabilità della muscolatura pelvi-perineale (AIPDA), del test per
l’endurance della contrazione perineale, del test di bombamant e del
PC test. Il trattamento riabilitativo è stato costruito intorno alla valutazione individuale del paziente. Abbiamo utilizzato la correzione
dell’incoordinazione respiratoria attraverso la neutralizzazione della
pressione addominale ricreando il riflesso fisiologico diaframmaticoperineale applicando il metodo Caufriez (2). Inoltre abbiamo utilizzato esercizi per l’instabilità posturale del bacino e per lo scarso
reclutamento selettivo della muscolatura del perineo. Tutti i pazienti
hanno eseguito gli esercizi riabilitativo affiancati alla fisioterapista
una volta alla settimana per 3 settimane consecutive, per i restanti
giorni delle 3 settimane i pazienti eseguivano gli esercizi appresi in
autonomia al domicilio. Ogni volta che il paziente veniva rivisto
dalla fisioterapista si eseguivano nuovamente i test di valutazione
iniziale per valutare la progressione positiva del trattamento riabilitativo proposto. Dopo la terza settimana i pazienti proseguivano in
autonomia il trattamento a domicilio e successivamente rivalutati a
distanza di 1 mese.
Risultati. Tutti i soggetti inclusi (100%) presentavano alla valutazione iniziale scarsa qualità della vita legata al disagio da SUI o UI; test
bombamant positivo e PC test francamente alterato (media 1/5), test
di endurance minore di 3 secondi (alterato) e test AIPDA 2 (patologico). Dopo circa 2 mesi di trattamento riabilitativo, al primo follow-up
l’80% dei pazienti evidenziava un netto miglioramento della qualità
di vita. Alla valutazione oggettiva:
- l’endurance era migliorata oltre i 7 secondi nel 100% dei pazienti
e fino a 10 secondi nel 70%;
- il test di bombamant si era negativizzato nel 80% dei soggetti;
- il test AIPDA si era normalizzato nell’80% dei soggetti ed era
comunque migliorato nel restante 20%;
Vol. 30 - N. 2/3 - GIORNALE ITALIANO DI MEDICINA RIABILITATIVA - MR
123
44° CONGRESSO NAZIONALE SIMFER
-
il PC test era migliorato nel 86% dei soggetti fino ad almeno
3/5 e di questi il 30% raggiungeva anche valore di 4/5 mentre
solamente il 4% raggiungeva un valore 5/5; i rimanenti 14% di
soggetti che non miglioravano fino ad almeno 3/5 raggiungevano
un valore di 2/5.
Conclusioni. I risultati evidenziano come il nostro lavoro riabilitativo
ambulatoriale-domiciliare, basato sulla correzione dell’incoordinazione respiratoria attraverso la neutralizzazione della pressione addominale, migliori in una grande percentuale dei pazienti la qualità di vita.
Tale dato soggettivo è confermato da una valutazione oggettiva che
conferma l’effettivo miglioramento clinico-funzionale. L’evoluzione
positiva del trattamento proposto si allinea con quanto descritto dalla
Letteratura internazionale (3). Indubbiamente i nostri risultati sono
legati ad una completa collaborazione dei pazienti probabilmente secondaria allo stretto rapporto che si instaura con l’operatore sanitario
dedicato.
Bibliografia
1.
Mangera A, Patel AK, Chapple CR. Pathophysiology of Urinary Incontinence.
Surgery. 2011;29:249–253.
Bo K, Berghmans B, Morkved S, Kampen MV. Evidence-Based Physical Therapy for the Pelvic Floor: Bridging Science and Clinical Practice. Philadelphia:
Elsevier Ltd.; 2007
Price N, Dawood R, Jackson SR. Pelvic Floor Exercise for Urinary Incontinence: A Systematic Literature Review. Maturitas. 2010;67:309–315. doi:
10.1016/j.maturitas.2010.08.004.
2.
3.
143
ESPERIENZA RIABILITATIVA
DELL’INCONTINENZA URINARIA IN PAZIENTI
AFFETTI DA SCLEROSI MULTIPLA (OSPEDALE
DI ESINE, ASST VALCAMONICA)
Paolo Stofler1, Sara Bertoletti1, Maria Grazia Cattaneo1
ASST-Valcamonica, Esine, Esine, Italia1
Introduzione. Negli ultimi decenni la Comunità Scientifica sta affrontando il problema del recupero funzionale dell’incontinenza urinaria nei soggetti affetti da Sclerosi multipla: la forma che colpisce
prevalentemente i pazienti affetti da SM è la continenza d’urgenza (1).
Le esperienza clinico-riabilitative puntano a sottolineare l’importanza
del recupero della pressione neutra a livello addominale per migliorare
e velocizzare il recupero funzionale del pavimento pelvico: esse sottolineano come il problema principale sia la positività della pressione
intraddominale con perdita del tono muscolare e della core-stability.
Tra le tecniche proposte per neutralizzare l’errata pressione positiva
intraddominale la più usata oggi è la metodica iporessiva di Caufriez;
essa é un insieme ordinato di esercizi posturali ritmici che permette
l’integrazione (centro vestibolo-cerebellare) e la memorizzazione (corteccia somestesica) dei “messaggi” propriocettivi sensitivi o sensoriali
associati a una postura benefica per la fascia dell’addome senza causare
effetti negativi sul pavimento pelvico (2). Da circa 4 anni è attivo
presso l’Ospedale di Esine un ambulatorio riabilitativo del pavimento pelvico con fisioterapista dedicato al recupero funzionale del pavimento pelvico. Lo Scopo di questo elaborato è verificare come i risultati ottenuti nei nostri pazienti affetti da SM attraverso l’applicazione
della ginnastica ipopressiva prima di riattivare il pavimento pelvico,
velocizzi il recupero muscolare del perineo e migliori la qualità di vita.
Materiali e metodi. I pazienti inclusi nello studio sono stati reclutati da settembre 2012 a ottobre 2015 per un totale di 10 soggetti di
cui il 30% erano uomini ed il 70% donne. L’età media dei soggetti
inclusi è stata di 50 anni (range: 36-68 anni). La valutazione iniziale si è avvalsa dell’esame obiettivo perineale con apprezzamento del
nucleo fibroso perineale e della sensibilità, del test per la isolabilità
della muscolatura pelvi-perineale (AIPDA), del test per l’endurance
della contrazione perineale, del test di bombamant e del PC test. Il
trattamento riabilitativo è stato costruito intorno alla valutazione individuale del paziente utilizzando la correzione dell’incoordinazione
124
respiratoria attraverso la neutralizzazione della pressione addominale
ricreando il riflesso fisiologico diaframmatico-perineale applicando il
metodo Caufriez (2). Inoltre abbiamo utilizzato esercizi per l’instabilità posturale del bacino e per lo scarso reclutamento selettivo della
muscolatura del perineo. Tutti i pazienti hanno eseguito gli esercizi
riabilitativo affiancati alla fisioterapista a giorni alterni nella settimana
per 3 settimane consecutive, per i restanti giorni delle 3 settimane i pazienti eseguivano gli esercizi appresi in autonomia al domicilio. Dopo
la terza settimana i pazienti proseguivano in autonomia il trattamento
a domicilio e successivamente rivalutati a distanza di 1 mese.
Risultati. Tutti i soggetti inclusi presentavano alla valutazione iniziale
scarsa qualità della vita; test bombamant positivo e PC test francamente alterato (media 0+/5), test di endurance minore di 3 secondi
(alterato) e test AIPDA 2 (patologico). Dopo circa 2 mesi di trattamento riabilitativo, al primo follow-up l’80% dei pazienti evidenziava
un netto miglioramento della qualità di vita. Alla valutazione oggettiva l’endurance era migliorata oltre i 5 secondi nel 60% dei pazienti e
fino a 10 secondi nel 30%; il test di bombamant si era negativizzato
nel 80% dei soggetti; il test AIPDA si era normalizzato nell’80% dei
soggetti ed era comunque migliorato nel restante 20%; il PC test era
migliorato nel 80% dei soggetti fino ad almeno 2/5 e di questi il 30%
raggiungeva anche valore di 3/5; il rimanente 20% di soggetti il PC
test non è migliorato da quello iniziale.
Conclusioni. I risultati evidenziano come il nostro lavoro riabilitativo
ambulatoriale-domiciliare, basato sulla correzione dell’incoordinazione respiratoria attraverso la neutralizzazione della pressione addominale, migliori la qualità di vita dei pazienti. Tale dato soggettivo è
confermato da una valutazione oggettiva che conferma l’effettivo miglioramento clinico-funzionale. L’evoluzione positiva del trattamento
proposto si allinea con quanto descritto dalla Letteratura internazionale (1). Indubbiamente i nostri risultati sono legati ad una completa
collaborazione dei pazienti probabilmente secondaria allo stretto rapporto che si instaura con l’operatore sanitario dedicato.
Bibliografia
1.
Allio BA et Al. Urodynamic and physiologic patterns associated with the
common causes of neurogenic bladder in adults. Transl Androl Urol. 2016
Feb;5(1):31-8 2) Bo K, Berghmans B, Morkved S, Kampen MV. EvidenceBased Physical Therapy for the Pelvic Floor: Bridging Science and Clinical
Practice. Philadelphia: Elsevier Ltd.; 2007
144
LA RIABILITAZIONE NELLE UNITA’ DI
TERAPIA INTENSIVA (UTI): VALUTAZIONE
DI APPLICABILITÀ E ADESIONE ALLE LINEE
GUIDA DI UN PERCORSO DI PRESA IN
CARICO INTERDISCIPLINARE
Alice Chiarici1, Michela Coccia1, Oletta Serpilli1, Matteo
Andreolini1, Silvia Tedesco2, Giovanni Pomponio2, Claudio
Martini3, Roberto Papa3, Maria Gabriella Ceravolo1
Clinica di Neuroriabilitazione, Dipartimento di Scienze Neurologiche, Azienda
Ospedaliero Universitaria Ospedali Riuniti di Ancona, Ancona, Italia1
Istituto di Clinica Medica, Dipartimento di Scienze Cliniche e Molecolari,
Azienda Ospedaliero Universitaria Ospedali Riuniti di Ancona, Ancona, Italia2
Direzione Medica Ospedaliera, Azienda Ospedaliero Universitaria Ospedali Riuniti di Ancona, Ancona, Italia3
Introduzione. La presa in carico riabilitativa del paziente ricoverato
in UTI viene considerata una strategia decisiva ed efficace per migliorare l’outcome a breve e medio termine (1). Tuttavia i percorsi
attualmente applicati non sono codificati e la complessità clinica dei
pazienti richiede un approccio precoce e dinamico che preveda una
continua revisione delle esigenze emergenti da parte di tutte le figure
implicate nella gestione assistenziale. L’obiettivo dello studio è valutare l’applicabilità e il grado di adesione alle Linee Guida (2) di una
presa in carico riabilitativa precoce, interdisciplinare, goal-directed in
pazienti ricoverati in UTI.
Vol. 30 - N. 2/3 - GIORNALE ITALIANO DI MEDICINA RIABILITATIVA - MR
44° CONGRESSO NAZIONALE SIMFER
Materiali e metodi. Gruppo di lavoro: team multidisciplinare composto da medici fisiatri, rianimatori, metodologi, fisioterapisti, infermieri. È stato applicato un protocollo di trattamento goal-oriented basato
sulle Linee Guida NICE 2009, caratterizzato da presa in carico precoce, valutazioni interdisciplinari quotidiane e pianificazione dinamica
del programma riabilitativo secondo le necessità emergenti del paziente. Popolazione: 154 pazienti afferiti nelle UTI degli “Ospedali Riuniti” di Ancona tra il 22/4 e il 30/6/2015. Criteri di esclusione: pazienti
dimessi/deceduti entro 24 h dall’ingresso. L’applicabilità e l’efficacia
del percorso è stata definita da 6 indicatori di processo documentati in
cartella clinica (presenza di professionisti esperti per il coordinamento
dell’iter riabilitativo; timing della presa in carico riabilitativa; compilazione di check list per rischio di sviluppare comorbidità; valutazione
clinica globale finalizzata ad identificare le necessità riabilitative; definizione di un programma riabilitativo strutturato con obiettivi a breve
e medio termine; rivalutazione clinico-funzionale globale giornaliera
per aggiornare le necessità riabilitative) e 2 di outcome (durata della
degenza nelle UTI; giorni liberi da ventilazione assistita). Inoltre sono
state valutate le risorse impiegate (n° min/pz dedicati dal fisiatra e fisioterapista), quale indicatore di efficienza organizzativa. I dati raccolti
relativamente agli indicatori di outcome sono stati confrontati con
informazioni analoghe riferite ad un gruppo di controllo composto da
132 pazienti afferiti in UTI nello stesso periodo del 2014.
Risultati. L’applicabilità del percorso è stata confermata dal raggiungimento di tutti gli indicatori di processo, che ha dimostrato la
possibilità di implementare le Linee Guida nella pratica clinica. Dal
confronto con la precedente gestione riabilitativa dei pazienti in UTI
relativa al 2014, è emerso un sostanziale incremento dell’efficienza
dell’utilizzo delle risorse, incremento del numero dei pazienti presi in
carico a fronte di un mantenimento del tempo impiegato dal personale per la valutazione ed il trattamento dei pazienti.
Conclusioni. La riorganizzazione della modalità di presa in carico riabilitativa nelle UTI ha favorito la promozione di una collaborazione
interprofessionale e di un nuovo approccio al paziente con patologie
complesse basato sui principi della riabilitazione precoce, della rivalutazione clinica quotidiana e del trattamento goal-directed.
Bibliografia
1.
2.
Gosselink R, Bott J, Johnson M, Dean E, Nava S, Norrenberg M, et al. Physiotherapy for adult patients with critical illness: recommendations of the European Respiratory Society and European Society of Intensive Care Medicine Task
Force on Physiotherapy for Critically Ill Patients. Intensive Care Med. 2008
Jul; 34(7):1188-99
Centre for Clinical Practice at NICE (UK). Rehabilitation After Critical Illness [Internet]. London: National Institute for Health and Clinical Excellence
(UK).2009 Mar.
145
IGIENE E PREVENTIVA NEL PAZIENTE
ICTATO CRONICO: IL CASO DELLA VITAMINA
DOPO LE RECENTI CORRELAZIONI TRA
PREVENZIONE DI ICTUS E SUA SSUNZIONE.
STUDIO MULTICENTRICO, DATI
PRELIMINARI
Daniele Ferrucci (1) - Francesco Forte (2) - Alfonso Maria Forte
(2)
- Vincenzo De Franco (3) - Luigi Di Lorenzo (4)
Villa Fiorita, Direzione SAnitaria, CApua, Italia1 - Gruppo Forte CEFISA
Group, Rehablitation CEFIS Group, Salerno, Italia2
Centro Star Bene, Rehabilitation Unit, Crotone, Italia3
AO RUMMO Benevento, NeuroScience Dept Rehabilitation Unit, Benevento,
Italia4
Introduzione. La vitamina D stimola l’assorbimento intestinale
di calcio ed è coinvolta nella regolazione della crescita e nella proliferazione ed apoptosi cellulare. La carenza di vitamina D può
portare al rachitismo nei bambini e osteomalacia negli adulti; fattori di rischio per la carenza sono le alte latitudini e le condizioni
che riducono l’esposizione ai raggi solari, la pigmentazione scura
della pelle, le malattie renali e le sindromi da malassorbimento.
Oggi non esiste consenso sulla definizione di carenza di vitamina
D e sulla concentrazione adeguata e su quella ottimale di idrossivitamina D (25 OHD), la principale forma circolante di vitamina
D. La supplementazione con Vitamina D, da sola o in combinazione con il calcio, è usata soprattutto nel trattamento dell’osteoporosi. Le migliori Società Scientifiche Internazionali riportano da
sempre che la supplementazione di vitamina D previene le cadute
in soggetti con più di 65 anni che vivono in casa di riposo. Da
qualche anno si è intensificata nei paesi sviluppati, sotto la spinta di interessi commerciali e professionali, la ricerca sui benefici
della supplementazione nella prevenzione di numerose patologie
(tra cui cancro di colon-retto, seno, pancreas, prostata, malattie
cardiovascolari, diabete, patologie autoimmuni, declino cognitivo
compresa la malattia di Alzheimer, depressione, obesità, psoriasi,
impotenza). Tuttavia gli studi sugli effetti della vitamina D sulle
patologie non scheletriche hanno prodotto risultati inconsistenti;
sono in corso studi a larga scala nella popolazione generale per
valutare gli effetti della supplementazione su “endpoint” come
tumori, malattie cardiovascolari o mortalità totale. Studi osservazionali negli Stati Uniti, Canada ed Australia hanno evidenziato
un drammatico aumento della richiesta della determinazione della
concentrazione di 25 OHD nel siero con importante “overdiagnosis ed overtreatment”. Nel Gennaio 2015 l’USPSTF ha concluso
che non vi sono sufficienti “prove di efficacia” per raccomandare
lo screening. Secondo il NICE (2014) il test deve essere eseguito
in caso di sintomi correlabili a carenza o in soggetti ad alto rischio
(come scarsa esposizione solare) o in caso di osteomalacia, rachitismo, osteoporosi, sindrome da malassorbimento, nefropatia o in
caso di cadute recenti o assunzione di farmaci che rallentano il
metabolismo o l’assorbimento della vitamina. Sempre secondo il
NICE ai soggetti a rischio di ipovitaminosi D, per bassa assunzione o scarsa esposizione, deve essere prescritta la supplementazione
e non la determinazione della 25OHD non essendoci in pratica
rischi di tossicità. I nuovi dati dell’Honolulu Heart Program dimostrano che una dieta povera di vitamina D al basale è associata a un
rischio più alto di ictus nei 34 anni successivi, indipendentemente
da altri fattori. I dati sono stati pubblicati di recente su Stroke
(Gotaro Kojima,University of Hawaii di Honolulu)
Materiali e metodi. Sono stati raccolti i dati di attività relativi
alla determinazione del 25OHD sierico nel periodo 2015-2016
dei pazienti affereti ai nostri Dh per follow-up Medico Internistici
e Neuroriabilitativi in postumi di ACV ( stroke) ischemico e/o
emorragico
Risultati. Le richieste di 25OHD sierico sono aumentate in modo
rilevante e costante. Trai pazienti poco deambulanti ( BI circa 80,
Rivermead >10, Ashwort emilato 3-4) abbiamo registrato 143 determinazioni . I risultati sono stati che il 30% circa aveva un aumentato rischio di carenza) ed nel restante 60% c’era ilriscontro
di aumentato rischio di insufficienza mentres solo il 10% aveva
vaòori superiori a 30. Abbiamo, nel nostro studioosservazionale
multicentrico, studiato al marzo 2016 176 pazienti affetti da Ictus.
I tassi di ictus aggiustati in base all’età sono risultati significativamente più elevati nel gruppo con più basso introito di vitamina
D con la dieta rispetto a quelli con maggior introito, per tutti i
tipi di ictus (p = 0,05), . Aggiustando i dati per l’età, l’apporto
calorico totale, l’indice di massa corporea, l’ipertensione, il diabete, il fumo, l’attività fisica, il livello di colesterolo e il consumo di
alcol mediante la regressione di Cox, ( come da precedenti studi
ad alto impatto su citati)i soggetti con episodi di re-ictus avevano
una ridotta assunzione di vitamina D con la dieta L’hazard ratio
complessivo di ictus è risultato uguale a 1,5 come riportato in
letteratura. I risultati – ovviamente simili a quanto riportato in
letteratura recente - benchè da interpretare con cautela in quanto lo studio è osservazionale e di piccolo numero Sottolinea che
Vol. 30 - N. 2/3 - GIORNALE ITALIANO DI MEDICINA RIABILITATIVA - MR
125
44° CONGRESSO NAZIONALE SIMFER
la supplementazione vitaminica D è una delle priorità nell’ictato
cronico con ridotte ADL.
Conclusioni. Presso i nostro DH il 25OHD è prescritto di routine nell’ambito delle Cure terziarie e follow up del paziente ictato
cronico poco deambulante. Il costo del test (18,5 € secondo Nomenclatore Tariffario) nel biennio 2014-2015 ha comportato una
spesa non indifferente ed anche se le Linee Guida “evidence based”
non raccomandano lo screening nella popolazione generale l’aumento del numero degli esami è compatibile con inappropriatezza
in eccesso della richiesta. Il Servizio Sanitario Nazionale Italiano
allo stato non limita il rimborso della determinazione di vitamina
dai soggetti ad alto rischio carenziale e tali esami vengono speso
richieste È necessario a nostro parere che il SSN basi la prescrivibilità di un esame ad alto rischio di inappropriatezza su “prove di
efficacia” ed implementi la strategia della sola supplementazione
nei soggetti a rischio. risultati – ovviamente simili a quanto riportato in letteratura recente - benchè da interpretare con cautela in
quanto lo studio è osservazionale e di piccolo numero sottolineano
che la supplementazione vitaminica D è una delle priorità nell’ictato cronico con ridotte ADL.
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146
IMPATTO DELLA VIBRAZIONE CORPOREA
(WBV) NEL TRATTAMENTO RIEDUCATIVO
DELLE DISFUNZIONI PELVICHE
NELL’INCONTINENZA URINARIA DA SFORZO
Michela Bossa1, Laura Giordani2, Leonardo Pellicciari3,
Puggini Diana4, Daniela Caramazza5, Emilio Piccione6,
Calogero Foti7
Medico in formazione specialistica Scuola di Specializzazione Medicina Fisica
e Riabilitativa, Università degli Studi di Roma Tor Vergata, Roma, Italia1 Università degli Studi di Roma, Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”,
Roma, Italia2
Dottorato in Advanced Science in Rehabilitation Medicine and Sport, Università
degli Studi di Roma Tor Vergata, Roma, Italia3
Corso di Laura in Fisioterapia, Università degli Studi di Roma Tor Vergata, Roma, Italia4
Medico in formazione specialistica Scuola di Specializzazione in Ginecologia e
Ostetricia, Università degli Studi di Roma Tor Vergata, Roma, Italia5
Direttore della Scuola di Specializzazione in Ginecologia e Ostetricia, Università
degli Studi di Roma Tor Vergata, Roma, Italia6
Direttore della Scuola di Specializzazione in Medicina Fisica e Riabilitativa,
Università degli Studi di Roma Tor Vergata, Roma, Italia7
Introduzione. L’incontinenza urinaria (IU) rappresenta un problema medico-sociale: in Europa oltre 36 milioni di persone ne soffrono, soprattutto nella popolazione adulta femminile (F:M=2-4:1),
rendendo necessarie strategie di prevenzione/trattamento a livello
126
rieducativo. L’obiettivo di questo lavoro è valutare in soggetti affetti
da IU da sforzo (IUS) gli effetti, in termini di segni, sintomi e qualità della vita, di un innovativo trattamento combinato: Pelvic Floor
Muscles Exercises (PFMEs o esercizi di Kegel) e vibrazione corporea
su pedana vibrante (WBV) determinante miglior reclutamento e
tono-trofismo muscolare, aumento della forza esplosiva e del riflesso
miotatico.
Materiali e metodi. Questo trial clinico randomizzato ha incluso
pazienti di sesso femminile, con IUS oggettiva/soggettiva o incontinenza mista con IUS prevalente, tra i 30 e i 75 anni, non in trattamento farmacologico per IU o anticoagulante, in assenza di artrosi/
osteoporosi severa, prolasso di III grado, neoplasie in atto, ernie
discali espulse, trombosi agli arti inferiori, deficit di equilibrio. Le
partecipanti sono state randomizzate in due gruppi (sperimentale e
controllo). Entrambi hanno effettuato 10 trattamenti (cadenza bisettimanale, durata 1h) con una parte comune di esercizi respiratori
e PFMEs (esercizi di contrazione-rilasciamento per il reclutamento
segmentario della muscolatura pelvica e inibizione di quella sinergica) ed una parte specifica: Biofeedback visivo (BFB: metodica che
converte un segnale biologico debole e/o complesso in una traccia
visiva/sonora con un’informazione accessibile e utilizzabile dal paziente) nel gruppo controllo, WBV in posizione di semisquat (frequenza 30 Hz, 5’’ di contrazione attiva dei muscoli pelvici, 10’’ di
rilasciamento) nello sperimentale. Le sollecitazioni vibratorie sono
state somministrate secondo uno schema piramidale (1^-2^ seduta,
14’ di trattamento) con riduzione delle ripetizioni, incremento del
tempo di erogazione e del riposo tra le serie, e piramidale inverso
(3^-10^, 28’ di trattamento). Alla baseline (T0), a fine trattamento
(T1) e dopo 1 mese (T2), ogni partecipante è stata sottoposta a visita
fisiatrica (esame obiettivo, valutazione della contrattilità dei muscoli
pelvici: PC test fasico, tonico e per la resistenza) con somministrazione di scale valutative riguardanti sia l’impatto della patologia sulla
vita quotidiana e sull’aspetto psicologico sia la frequenza e l’entità
delle perdite: Incontinence Impact Questionnaire Short Form (IIQ7), King’s Health Questionnaire parte 1 e 2 (KHQ), International
Consultation on Incontinence Questionnaire-Urinary Incontinence Short Form, (ICIQ-UI). Inoltre è stato somministrato il diario
minzionale da compilare per 72 h, annotando anche i presidi di
continenza/die. La valutazione urodinamica è stata effettuata su tutte le pazienti al T0, mentre al T1 solo in caso di IUS urodinamica
pre-trattamento.
Risultati. Sono state incluse 18 partecipanti: 2 di esse hanno abbandonato lo studio (ricorrenti infezioni urinarie, diagnosi di osteoporosi severa), pertanto 16 (età media 55±12.4 DS) lo hanno completato. Confronti intra- e intergruppi eseguiti con test non parametrici
non hanno rilevato differenze statisticamente significative (p>0,05),
sebbene siano migliorate le misure di outcome. Nel gruppo sperimentale sono emerse importanti differenze T0-T1 per il PC test
tonico e della resistenza e per l’ICIQ-UI, nel gruppo controllo per
l’IIQ, il KHQ parte 1 e l’ICIQ-UI. Per il PC test tonico-T1 il gruppo controllo è migliorato di 0.5 (1.6-2.1), il gruppo sperimentale
di 1.1 (1.3-2.4), con un incremento di 0.2 a T2. Il PC test per la
resistenza-T1 è aumentato nel gruppo controllo di 1.3 (1.0-2.3) e
nello sperimentale di 1.7 (0.6-2.3) con incremento al follow-up (0.1
controllo, 0.3 sperimentale). Per l’ICIQ-UI vi era un miglioramento
a T1 in entrambi i gruppi (9.9-5.4 controllo; 9.9-6.6 sperimentale),
invariato a T2 per quest’ultimo, ridotto per il controllo (5.4-6.0).
L’urodinamica-T1 ha mostrato la negativizzazione della IUS urodinamica-T0 per 4 pazienti (2;2) e dello stress test-T0 per 1 paziente
(gruppo sperimentale). La media delle perdite urinarie/72h di diario
è diminuita a T1 nei due gruppi (1.5-1.1 controllo, 1.0-0.6 sperimentale), rimanendo invariata a T2. Il numero dei presidi T0-T2 non
varia per il gruppo sperimentale (2.0), mentre nel gruppo controllo
diminuisce a T1 (1.3-0.6), senza variazioni a T2.
Conclusioni. Nonostante i limiti metodologici dello studio (esiguità numerica del campione, assenza di stratificazione per fattori di
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44° CONGRESSO NAZIONALE SIMFER
rischio), dai risultati si è evidenziato un miglioramento delle misure
di outcome oggettive e soggettive nei due gruppi, fino all’automatizzazione della contrazione (n=1), non valutabile dall’analisi statistica.
Concludendo, il trattamento con WBV associato ai PFMEs potrebbe essere uno strumento utile per la rieducazione delle disfunzioni
pelviche nell’IU. Pertanto il nostro studio si presenta come un progetto valido da mettere in pratica su un campione più vasto.
Bibliografia
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147
VALUTAZIONE DEGLI OUTCOMES
DEL PERCORSO RIABILITATIVO NEL
TRATTAMENTO PROTESICO IN PAZIENTI
CON COXARTROSI: INDICATORI DI ESITO
PATIENT-ORIENTED E VALUTAZIONE
STRUMENTALE
Cristina Sava1, Andrea Pasquini1, Cosimo Costantino1
Scuola di specializzazione in Medicina Fisica e Riabilitazione, Università degli
Studi di Parma, Parma, Italia1
Introduzione. Il processo di valutazione dell’ outcome di un trattamento riabilitativo, deve rispondere alla necessità di rappresentare il
risultato da molteplici punti di vista e di tradurre quantitativamente e
in maniera valida tali informazioni. Per questo motivo, la valutazione
dei risultati dell’intervento di protesi di anca dovrebbe da una parte,
contemplare l’uso dei questionari patient -oriented, in particolare un
questionario sullo stato di salute generale (SF-12), un questionario
specifico per la patologia articolare degenerativa dell’arto inferiore
(WOMAC -Western ontario and McMasters Università Osteoarthritis Index) e di una misura centrata sull’intervento (Harris Hip Score).
Dall’altra parte, l’utilizzo di sistemi strumentali di valutazione,quali lo
studio accelerometrico e stabilo-baropodometrico completano la valutazione consentendo una oggettivazione quantitativa del risultato. Il
presente studio ha applicato l’insieme delle suddette metodologie per
definire la reale efficacia del trattamento riabilitativo.
Materiali e metodi. Sono stati valutati 17 pazienti operati (9 maschi
e 8 femmine) di età compresa fra i 32 e gli 84 anni. I criteri di inclusione sono stati: pazienti affetti da coxartrosi, età compresa tra i 30 e
i 90 anni, intervento nel periodo compreso tra ottobre 2014 e agosto
2015 e una buona compliance al programma riabilitativo. I criteri di
esclusione erano rappresentati dalla presenza di deficit cognitivi, da
un BMI superiore a 40 e dall’avere patologie concomitanti all’arto
controlaterale. I questionari SF-12, WOMAC e HHS sono stati somministrati in due momenti: al T0 (durante la visita pre-ricovero) ed al
T2 (50 giorni dopo l’intervento) . Le valutazioni strumentali, mediante accelerometro Free4Act con protocollo WALK connesso tramite
Bluetooth ad un personal computer e mediante pedana stabilometrica-baropodometrica collegata ad un sistema informatico, sono state
eseguite al T0, al T1 (giorno di dimissione dall’ortopedia) ed al T2.
Risultati. La scala di valutazione SF-12 ha permesso di rilevare l’impatto che la patologia ha sulla qualità della vita. In quanto, la sintesi
dei punteggi acquisiti dal questionario autosomministrato, consente
di costruire due indici dello stato di salute, uno riguardante lo stato fisico (Physical component summary - Pcs), l’altro quello psicologico (Mental component summary - Mcs), con valori degli indici
sintetici compresi tra 0 e 100. A valori di PCS o MCs più elevati
corrispondono una migliore qualità di salute psicofisica e i pazienti
esaminati presentavano una media di 31,29 per Pcs e 44,86 per Mcs.
Le valutazioni effettuate mediante le scale WOMAC e HHS, hanno
attestato il recupero sul piano clinico-funzionale dei pazienti , mostrando una variazione di punteggio da 54,76 a 93,74 per HHS e da
38,35 a 9,76 per WOMAC (p<0,001) . La rilevazione dei parametri
spazio-temporali del cammino eseguita mediante il protocollo WALK
, ha fornito misurazioni valide e affidabili in tempo reale di parametri
fondamentali quali la simmetria, la cadenza e la lunghezza del passo, nonché la velocità del cammino, lo stance, lo swing e il singolo e
doppio appoggio. In particolare l’ analisi mediante l’accelerometro ha
evidenziato una diminuzione della velocità del cammino da T0 a T1
(da 45,56 a 25,72 m/min) a causa del timore nell’impiego del “nuovo
arto” da parte del paziente, ma a distanza di 50 giorni dall’intervento
(T2) è stato raggiunta la normale velocità del cammino (61,93 m/
min, p<0,001). Allo stesso modo la cadenza dei passi ha mostrato una
diminuzione da T0 a T1 (da 37,48 a 19,31 passi/min) e una ripresa
da T0 a T2 raggiungendo valori di normalità al T2 (51,65 passi/min).
Invece la fase di stance, la lunghezza del passo e la stabilometria-baropodometria non hanno evidenziato variazioni significative da T0 a
T2, probabilmente a causa di un precoce follow-up e della persitenza
di deficit propriocettivi.
Conclusioni. Il nostro studio ha utilizzato diverse metodologie di
valutazione dei risultati, affiancando a scale di valutazione inerenti
l’inquadramento clinico funzionale e di salute psicofisica dei pazienti,
l’utilizzo di metodiche strumentali che hanno permesso la quantificazione di importanti parametri riguardanti il cammino, l’appoggio
plantare e l’equilibrio, confermando in maniera oggettiva il miglioramento della funzionalità motoria già dopo un mese e mezzo di
trattamento riabilitativo. La complessità dei fattori che influenzano i
risultati del trattamento riabilitativo rivolto ai pazienti operati di anca,
necessita di differenti indicatori di esito e tra questi l’utilizzo di metodiche strumentali allo scopo di poter quantificare se il trattamento
riabilitativo effettuato sia stato adeguato e se permangono eventuali
deficit.
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148
RIABILITAZIONE DELL’ ARTO SUPERIORE
PARETICO CON METODICA BILATERAL
TRANSFER IN PAZIENTI COLPITI DA
STROKE: UNO STUDIO CONTROLLATO E
RANDOMIZZATO CON ANALISI FMRI
Carlo Domenico Ausenda1, Carla Uggetti2, Cristina Allera
Longo1, Stefano Tassile1, Gavina Addis1, Marcello Cadioli2,
Marta Colombo1, Simona Morlacchi1, Maurizio Cariati2,
Cesare Cerri3
ASST Santi Paolo e Carlo, Regione Lombardia, Ospedale San Carlo Borromeo,
U.O.C. Riabilitazione, Milano, Italia1
ASST Santi Paolo e Carlo, Regione Lombardia, Ospedale San Carlo Borromeo,
U.O.C. Radiologia, Milano, Italia2
Università degli Studi di Milano Bicocca, Scuola di Specilizzazione di Medicina
Fisica e Riabilitativa, Monza, Italia3
Introduzione. Il fenomeno neurofisiologico del Bilateral Transfer, per cui l’ apprendimento di un atto motorio viene facilitato
dal trasferimento di abilità da un arto al controlaterale (1), può
essere preso in considerazione per nuove strategie rieducative. Nello studio precedente, abbiamo dimostrato che il Bilateral Transfer
(BT) è efficace nella riabilitazione dell’ arto superiore paretico nel
breve termine, tre giorni, con evidenza maggiore per i maschi e
per le paresi dell’ arto non dominante (2,3). Abbiamo realizzato
Vol. 30 - N. 2/3 - GIORNALE ITALIANO DI MEDICINA RIABILITATIVA - MR
127
44° CONGRESSO NAZIONALE SIMFER
un progetto riabilitativo applicato a pazienti con emiparesi dell’arto superiore, al primo episodio clinicamente rilevabile di stroke,
con la finalità di rilevare l’ efficacia della metodica BT nel lungo
termine. Per poter confrontare la metodica BT con la metodica
monolaterale abbiamo utilizzato un sistema riabilitativo in realtà
virtuale, non operatore dipendente. Per capire le basi neurofisiologiche delle metodiche in esame abbiamo sottoposto i pazienti ad
uno studio di risonanza magnetica funzionale fMRI prima e dopo
la riabilitazione.
Materiali e metodi. Sono stati reclutati 30 pazienti idonei, suddivisi attraverso randomizzazione in gruppo sperimentale (15 soggetti) e gruppo di controllo ( 15 soggetti). I criteri di inclusione
prevedevano diagnosi di primo ictus ischemico cerebrale sottocorticale, età compresa tra 40 e 85 anni, preferenza manuale destra,
MMSE di almeno 24/30. Il trattamento riabilitativo giornaliero di
4 settimane del gruppo sperimentale consisteva in mobilizzazione
passiva, F.E.S., esercizi con realtà virtuale di 8 minuti con la mano
sana e di 20 minuti con la mano malata. Il gruppo di controllo
ha eseguito lo stesso protocollo, ma senza esercitare la mano sana.
I pazienti sono stati valutati all’inizio ed alla fine del trattamento mediante scale di valutazione Barthel Index, Upper Extremity
Functional Index, Fugl-Meyer Upper Etremity Scale, Nine Hole
Peg Test , Dinamometria e fMRI. L’ esercizio condotto in fMRI
era una replica adattata al contesto del Nine Hole Peg Test eseguito
in blocchi di 30 secondi di esercizio e 30 di riposo, durante le scansioni eseguite con Achieva 1,5 T (Philips). L’ analisi statistica delle
prove funzionali è stata basata su Student’s paired T test, mentre
per la fMRI dopo normalizzazione MNI è stata effettuata con 2
way mixed effects ANOVA.
Risultati. Nell’ analisi dei valori delle singole scale di funzionalità
a T0 e T1, si evidenziano miglioramenti significativi sia per il gruppo sperimentale che per quello di controllo nella Barthel Index,
Upper Extremity FI e Nine Hole Peg Test, Fugl Meyer U.E.S..
Nel confronto tra gruppi non emergono particolari vantaggi per
il gruppo sottoposto a facilitazione con BT rispetto al gruppo di
allenamento monolaterale, tranne nelle prove con dinamometria
dove vi è un apprezzabile incremento di forza. Lo studio con fMRI
ha mostrato nel gruppo sottoposto a facilitazione con BT, nei pazienti con emiparesi dell’ arto non dominante, l’ attivazione specifica dell’ ippocampo bilaterale, di aree della corteccia prefrontale e
della corteccia del cingolo omolaterali alla lesione.
Conclusioni. I risultati di questo studio hanno confermato l’utilità del Bilateral Transfer nel trattamento dell’arto superiore paretico, i miglioramenti della performance dei pazienti nel trattamento
a lungo termine sono però sovrapponibili al gruppo di controllo.
Pertanto in base alla ricerca pregressa ed attuale possiamo concludere che il BT è utile come facilitazione nei primi giorni del
trattamento riabilitativo (2,3), mentre sul lungo periodo perde la
sua utilità rispetto al trattamento monolaterale. L’utilizzo della realtà virtuale può rappresentare un valido strumento riabilitativo
e di facile applicabilità, in alternativa alle metodiche tradizionali,
utile anche per rendere omogenei gli studi sperimentali. In base
allo studio con fMRI la facilitazione riabilitativa con BT ha le sue
basi neurofisiologiche nell’ attivazione della corteccia prefrontale e
del sistema limbico ipsilaterale alla lesione ischemica nei pazienti
colpiti da stroke dell’ emisfero non dominante.
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128
149
INTERAZIONI FARMACOLOGICHE TRA
DENOSUMAB E WARFARIN IN PAZIENTI
OSTEOPOROTICI
Antonio Panuccio1, Gianluca Sottilotta2, Vincenzo Polimeni1,
F. Branca3, Roberto Dattola3, Nadia Mammone4
UOC di Fisiatria, Azienda Ospedaliera Bianchi- Melacrino- Morelli, Reggio
Calabria1
Centro Emofilia, Azienda Ospedaliera Bianchi- Melacrino- Morelli, Reggio Calabria2
Scuola di Specializzazione Medicina Fisica e Riabilitativa, Università di Messina3
IRCCS Centro Neurolesi Bonino Pulejo, Messina4
Introduzione. L’osteoporosi è una malattia sistemica ad eziologia
multifattoriale, caratterizzata da una riduzione della massa ossea e
dal deterioramento della microarchitettura del tessuto osseo a cui
consegue un’aumentata fragilità e quindi un aumentato rischio di
frattura. Tra le tante possibilità terapeutiche messe in atto per il
trattamento dell’osteoporosi, un particolare riguardo va all’utilizzo dell’anticorpo monoclonale Denosumab, (Prolia, Amgen) che
agisce inibendo la formazione, la funzionalità e la sopravvivenza
degli osteoclasti, riducendo in tal modo il riassorbimento osseo. Il
Warfarin (Coumadin, Bristol-Myers Squibb) è un anticoagulante
coumarinico che è indicato nella prevenzione dell’ictus cardioembolico e nel trattamento e prevenzione del tromboembolismo
venoso. Esso agisce inibendo la sintesi dei fattori della coagulazione vitamina K dipendenti; l’effetto anticoagulante viene misurato
mediante la misurazione del tempo di protrombina (PT) e del suo
rapporto internazionale normalizzato (INR) che deve essere mantenuto in intervalli prestabiliti definiti range terapeutici. Numerosi
farmaci possono influenzare la risposta del paziente al warfarin,
attraverso meccanismi farmacodinamici o farmacocinetici. Alcuni
studi hanno osservato inoltre variazioni stagionali delle concentrazioni di Warfarin in assenza di altre cause. A tutt’oggi non vi
sono lavori scientifici che abbiano valutato le possibili interazioni
tra Warfarin e Denosumab. Lo scopo dello studio è stato quello di
valutare il tempo di mantenimento dell’INR nel range terapeutico
(TTR) in un gruppo di donne già in trattamento con Warfarin,
che hanno iniziato un periodo di trattamento con Denosumab,
al fine di verificarne l’eventuale interferenza farmacologica conseguente all’assunzione.
Materiali e metodi. Sei donne (età media 76,2 ; range 73-86), già
in trattamento con Coumadin 5 mg, per Fibrillazione Atriale (4
pz.), Trombosi venosa (1 pz.) e Protesi Valvolare Biologica (1 pz.)
hanno iniziato il trattamento con Prolia 60 mg, 1 fiala per via sottocutanea con cadenza semestrale. Il periodo di osservazione delle
pazienti durante il trattamento con entrambi i farmaci è stato in
media di 356,1 giorni (range 144-699). L’andamento dell’INR in
termini di TTR è stato confrontato con periodi di assunzione del
Warfarin di uguale durata, prima dell’inizio del trattamento con
Denosumab. I suddetti risultati sono stati confrontati con quelli
di 12 donne di pari età, in terapia con Warfarin per le stesse indicazioni e per lo stesso periodo di tempo delle pazienti studiate,
ma che non hanno effettuato terapia con Denosumab. L’analisi del
TTR nel periodo antecedente e durante il trattamento con Denosumab ha riguardato la distribuzione dei valori assunti nei pazienti
e nei controlli ed è stata realizzata calcolando la mediana della
distribuzione nonché il 25° e il 75° percentile.
Risultati. L’analisi del TTR nel gruppo delle sei pazienti in trattamento con Coumadin e Prolia ha evidenziato un incremento
della mediana del TTR dopo l’inizio del Prolia dal 63% al 70% e
un incremento del 25esimo percentile dal 60% al 68%. Anche le
Vol. 30 - N. 2/3 - GIORNALE ITALIANO DI MEDICINA RIABILITATIVA - MR
44° CONGRESSO NAZIONALE SIMFER
pazienti del gruppo di controllo, relativamente agli stessi periodi,
pur non assumendo il Prolia hanno mostrato un aumento della
mediana del TTR dal 68% al 74%, mentre il 25° e il 75° percentile
non hanno mostrato una variazione significativa.
Conclusioni. Il trattamento con Prolia non ha determinato significative variazioni relativamente all’andamento del TTR tra il
gruppo delle pazienti trattate con entrambi i farmaci, confrontato
con il gruppo delle pazienti che assumevano solo Coumadin. Ciò
dimostra come l’utilizzo del Denosumab non abbia interferito con
i processi metabolici che regolano l’assorbimento e l’efficacia del
warfarin e quindi la sua assunzione non rende necessario, in corso
di terapia con Prolia, controlli supplementari dei parametri emocoagulativi per verificare il mantenimento dell’INR nel range terapeutico e quindi prevenire le complicanze correlate ad una ridotta
o eccessiva anticoagulazione.
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150
IL RUOLO DELL’ECOGRAFIA E
DELL’ELETTROSTIMOLAZIONE
NELL’INOCULO DI TOSSINA BOTULINICA PER
TRATTAMENTO FOCALE DELLA SPASTICITÀ:
OUTCOME CLINICO E RICERCA DEL PUNTO
MOTORE
Monica Balugani1, Romina Galvani2, Efstathios
Papanastasiou2, Antonio De Tanti2, Cosimo Costantino3
Scuola di Specializzazione in Medicina Fisica e Riabilitativa, Università degli
Studi di Parma, Parma, Italia1
Centro Cardinal Ferrari, Santo Stefano Riabilitazione, Fontanellato, Italia2
Dipartimento di Scienze Biomediche, Biotecnologiche e Traslazionali - S.Bi.Bi.T,
Università degli Studi di Parma, Parma, Italia3
Introduzione. Il trattamento focale con tossina botulinica (TB) è
riconosciuto in letteratura come un trattamento efficace per l’iperattività muscolare di tipo spastico. La TB, dopo essere stata iniettata nel muscolo, diffonde nel terminale nervoso per bloccare il
rilascio di acetilcolina legandosi ad una proteina coinvolta nel processo di esocitosi, SNAP-25 per la TB di tipo A e VAMP/sinaptobrevina per la TB di tipo B. L’iniezione in prossimità della giunzione neuromuscolare pertanto ne massimizza l’effetto. Il clinico in
fase di iniezione può identificare i muscoli selezionati attraverso la
localizzazione anatomica-manuale (LAM), l’elettromiografia, l’elettrostimolazione (ES) o l’ecografia (US). Tutte le metodiche strumentali sono già state validate singolarmente, dimostrando la loro
superiorità rispetto alla LAM. Due categorie di studi clinici hanno
confrontato l’affidabilità delle diverse metodiche strumentali. La
prima tipologia comprende studi che hanno indagato l’accuratezza
anatomica del posizionamento dell’ago, avvalendosi dell’ecografia
come gold standard, perché non eticamente corretto o non tecnicamente possibile ricorrere alla TC o alla dissezione anatomica su
cadavere. Se la comparazione dal punto di vista anatomico delle diverse metodiche è tuttora oggetto di discussione tra i diversi
autori, la ricerca all’interno del muscolo del punto motore, che
corrisponde anatomicamente alla regione in cui il nervo entra nel
muscolo e operativamente alla regione in cui è possibile ottenere la maggiore contrazione muscolare con la minore intensità di
stimolazione, è sicuramente ancora poco studiata. La seconda tipologia di studi, invece, comprende lavori che hanno confrontato
l’outcome clinico e che hanno spesso risultati contrastanti. Risulta
evidente come siano necessari ulteriori studi per definire quale sia
il metodo più efficace e affidabile tra quelli proposti. L’obiettivo
primario del nostro studio è comparare l’outcome clinico di due
metodiche, ES e US, per guidare l’inoculo di tossina botulinica nel
trattamento selettivo della spasticità. L’obiettivo secondario è verificare, utilizzando l’ecografia, l’effettiva accuratezza anatomica del
posizionamento dell’ago nel gruppo elettrostimolazione e verificare la vicinanza al punto motore nel gruppo ecografia, utilizzando
l’elettrostimolazione.
Materiali e metodi. Lo studio randomizzato a 2 gruppi in singolo cieco è attualmente ancora in corso presso il Centro Cardinal Ferrari di Fontanellato (Parma). I pazienti vengono reclutati
all’interno della popolazione di pazienti affetti da paresi spastica
acquisita in età adulta, mono o bilaterale, di età superiore ai 18
anni, qualora venga posta clinicamente l’indicazione al trattamento focale della spasticità a livello dei flessori di gomito e/o dei
plantiflessori di caviglia. La tossina utilizzata è la tossina di tipo A,
IncobotulinumtoxinA (Xeomin). Per l’arto superiore il protocollo prevede l’inoculo di 100U al bicipite brachiale in 3 siti, 50U
al brachiale in 2 siti e 50U al brachioradiale in un unico sito di
inoculo, diluite a 100U/1cc. Per l’arto inferiore invece sono previste 100U al soleo in 3 siti, 50U al gastrocnemio mediale e 50U
al gastrocnemio laterale in 2 siti rispettivamente e alla medesima
diluizione. L’obiettivo primario dello studio, ovvero l’outcome
clinico, viene valutato attraverso la misura degli angoli articolari,
secondo la Scala di Tardieu, Xv1 (escursione articolare massimale
alla mobilizzazione passiva lenta), Xv3 (escursione articolare alla
mobilizzazione a velocità massimale), Xa (escursione articolare
attiva quando possibile) e attraverso la valutazione del grado di
spasticità secondo la scala di Ashworth Modificata e di Tardieu. Le
valutazioni vengono effettuate da 2 valutatori indipendenti in cieco a T0 (pre-inoculo), T1 (una settimana dopo l’inoculo) e T2 (un
mese dopo l’inoculo). Per quanto riguarda l’obiettivo secondario,
in corso di inoculo viene effettuata la valutazione dell’accuratezza
anatomica del posizionamento dell’ago con US per il gruppo ES
e viene verificata la vicinanza al punto motore registrando i parametri di elettrostimolazione e la presenza del movimento atteso
per il gruppo US. Viene inoltre registrato il valore della scala di
Heckmatt per entrambi i gruppi.
Risultati. Attualmente sono stati reclutati 10 pazienti per quanto
concerne il trattamento a livello dei flessori del gomito e 8 pazienti
per i plantiflessori di caviglia. A fine settembre 2016 verrà effettuata una prima analisi preliminare dei dati sul campione.
Conclusioni. La rilevazione della metodica migliore potrebbe
consentire di ottimizzare il trattamento con TB, migliorando il
rapporto tra il numero di dosi utilizzate e l’efficacia clinica del trattamento. In caso di uguale efficacia delle due metodiche, verrebbe
avvalorato il principio di libertà dei clinici di utilizzare la metodica
più familiare.
Bibliografia
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2.
3.
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Vol. 30 - N. 2/3 - GIORNALE ITALIANO DI MEDICINA RIABILITATIVA - MR
129
44° CONGRESSO NAZIONALE SIMFER
151
EFFICACIA DI UN CAMPO MAGNETICO A
BASSA FREQUENZA ED ALTA INTENSITÀ
(BIOMAG) NEL TRATTAMENTO DEL
DOLORE E NELLA RIABILITAZIONE DELLA
GONARTROSI
Emilio Battisti1, Antonietta Albanese1, Laura Bianciardi2,
Antonio Montella2, Nicola Giordano2
D.S.F.T.A., Università di Siena, Siena, Italia1
Dip. di Scienze Mediche, Chirurgiche e Neuroscienze, Università di Siena, Siena,
Italia2
Introduzione. Gli effetti dei vari tipi di campi elettromagnetici
pulsati a bassa frequenza (CEMP) che vengono impiegati in sede
clinica dipendono, com’è noto, dai rispettivi codici (frequenza,
intensità, forma d’onda). Inoltre, anche quando si opera con un
campo lungamente sperimentato, non si può mai contare che il
relativo codice risponda ad una scelta ottimale, essendo sempre
presumibile che altri campi possano produrre benefici equivalenti
o migliori (1). Lo scopo del presente studio è quello di valutare
l’efficacia del sistema BIOMAG nel trattamento dell’artrosi del
ginocchio. In particolare, vogliamo accertare se gli effetti di un
campo pilotato da un segnale variabile pulsato a bassa frequenza
ed alta intensità, siano confrontabili con quelli ottenuti mediante
un campo con frequenza di 100 Hz e forma d’onda sinusoidale
ed un campo variabile con segnale generato da un brano musicale
(TAMMEF) (2), entrambi a bassa intensità.
Materiali e metodi. Sono stati reclutati 40 soggetti, di età compresa tra i 59 e i 76 anni, affetti da artrosi primitiva del ginocchio, che sono stati divisi casualmente in quattro gruppi: A=10
pazienti sottoposti a sistema BIOMAG, B=10 pazienti sottoposti a
ELF, C=10 pazienti sottoposti a sistema TAMMEF, D=10 pazienti
sottoposti a campo simulato. Il gruppo D è stato introdotto per
l’eventualità di un effetto placebo non trascurabile. La diagnosi
di artrosi del ginocchio è stata eseguita seguendo i criteri clinici
e radiologici dell’American College of Rheumatology (3). Tutti i
soggetti sono stati sottoposti ad un ciclo di 15 sedute giornaliere di
30 minuti ciascuna, con l’applicazione dei magneti a contatto del
ginocchio; inoltre, tutti i pazienti avevano sospeso ogni farmaco
analgesico-antiinfiammatorio almeno 15 giorni prima dell’inizio
del ciclo di magnetoterapia. L’esame clinico si è avvalso dell’indice
di gravità algo-funzionale di Lequesne, un questionario validato e
specifico per l’artrosi del ginocchio. L’esame clinico veniva effettuato al momento dell’arruolamento nello studio, dopo 7 giorni
di terapia, al termine del ciclo e ad un successivo controllo dopo
ulteriori 30 giorni.
Risultati. Tutti i pazienti dei gruppi A, B e C hanno completato il
ciclo terapeutico, senza che si siano verificati effetti collaterali locali
o sistemici degni di nota tali da richiedere la sospensione del suddetto trattamento. Per quanto concerne l’efficacia della terapia, si
sottolinea che nessun paziente, arruolato nei gruppi A, B e C, ha
dovuto ricorrere all’assunzione di farmaci analgesico-antiflogistici
durante il ciclo di applicazioni e che tutti hanno presentato un
significativo miglioramento sia del dolore soggettivo, sia della limitazione funzionale distrettuale. Nel gruppo BIOMAG, il dolore soggettivo si è ridotto progressivamente, in tutti i soggetti
esaminati, già dopo la prima settimana di terapia. Nel gruppo
ELF, il dolore soggettivo ha seguito un andamento sovrapponibile
a quello del gruppo TAMMEF, con una regressione completa in
7 pazienti e si è ridotto significativamente nei restanti 3 pazienti.
Per quanto concerne la valutazione della funzionalità articolare, è
stato evidenziato, a partire dalla prima settimana di terapia (quindi
in modo concomitante con il miglioramento della sintomatologia
130
dolorosa) un parziale significativo recupero della motilità in tutti
i pazienti esaminati. Nettamente diverso è stato l’andamento della
patologia articolare nel gruppo D. Infatti al termine del trattamento e al controllo clinico dopo un mese, i pazienti non hanno
evidenziato alcun miglioramento della sintomatologia dolorosa e
della funzionalità articolare.
Conclusioni. Tutti i pazienti sottoposti a trattamento con BIOMAG, ELF o TAMMEF hanno completato il ciclo terapeutico
ed hanno manifestato un significativo miglioramento del quadro
clinico ed il ripristino di una buona funzionalità articolare. Gli
effetti dei CEMP messi a confronto sono risultati sovrapponibili, in tutti i soggetti si è presentato un cosiddetto “effetto coda”,
protraendosi l’azione antalgica anche dopo la sospensione delle
applicazioni .La mancanza di efficacia riscontrata nei pazienti del
gruppo D, avvalora gli effetti terapeutici dei campi elettromagnetici adottati. È parso degno di nota il fatto che tutti i pazienti
del gruppo A, sottoposti alle applicazioni con il sistema ad alta
intensità BIOMAG, hanno presentato risposte più evidenti e più
rapide. I nostri risultati confermano l’efficacia terapeutica e la tollerabilità dei CEMP a bassa frequenza e confortano l’ipotesi che
gli effetti clinici-terapeutici di campi magnetici aventi parametri
mutevoli nel tempo (frequenza, intensità, forma d’onda) possono
dare risposte più rapide ed efficaci e per questo motivo si aprono
nuove prospettive di studio per una più approfondita ricerca sui
meccanismi di azione e di possibilità terapeutiche dei CEMP.
Bibliografia
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3.
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153
VALUTAZIONE DELL’EFFICACIA DEL
TRATTAMENTO RIABILITATIVO POSTINOCULAZIONE DI TBA IN PAZIENTI CON
SPASTICITA’ ASSOCIATA A DOLORE
Maria Giovanna Caruso1, Angelo Indino1, Attilio Morrone1,
Lidia Fratto2, Roberto Claudio Meliadò2, Antonio
Ammendolia1, Gerardo de Scorpio1, Maurizio Iocco1
Cattedra di Medicina Fisica e Riabilitativa, Dipartimento di Scienze Mediche e
Chirurgiche, Università degli Studi “Magna Græcia” di Catanzaro, Catanzaro
Italia1
UOC Medicina Fisica e Riabilitativa, Azienda Ospedaliera Universitaria “Mater Domini”, Catanzaro, Italia2
Introduzione. Il trattamento riabilitativo della spasticità non deve
essere mirato solo alla riduzione del tono muscolare, ma alla persona nella sua interezza bio-psico-sociale. Di conseguenza è mirato a:
1. ridurre il “fenomeno” spasticità con azione diretta sul meccanismo fisiopatologico che lo produce;
2. mantenere un buon livello di reclutamento muscolare volontario;
3. migliorare i sintomi ad essa associata (dolore, spasmi, crampi);
4. migliorare le performance funzionali;
5. facilitare la gestione da parte del caregiver;
6. limitare al minimo gli effetti indesiderati che possano interferire
con tutti i suddetti punti, in particolare con la partecipazione e la
qualità della vita della persona. Il dolore è un sintomo frequentemente associato a spasticità. Danni al sistema nervoso centrale
possono provocare risposte maladattative anche lungo le vie nocicettive, in grado di indurre sia la comparsa di dolore spontaneo che
Vol. 30 - N. 2/3 - GIORNALE ITALIANO DI MEDICINA RIABILITATIVA - MR
44° CONGRESSO NAZIONALE SIMFER
di fenomeni di amplificazione stimolo-indotta, che determinano
spasticità e dolore cronico invalidante (1). La presenza di dolore
condiziona, quindi, l’outcome riabilitativo. Un trattamento inadeguato può, inoltre, innescare il circuito spasticità-dolore in presenza di decubiti, spasmi, reazioni in flessione, clono inesauribile. La
plasticità, peculiare caratteristica del Sistema Nervoso, è alla base
sia del dolore e della spasticità postlesionale che dell’intervento
riabilitativo tramite l’utilizzo della Tossina Botulinica (TBA), indicato per entrambe le condizioni (2). Oltre alla ben nota azione
sulle terminazioni nervose colinergiche, iniziano ad emergere evidenze che suggeriscono che la TBA agisca anche su altri terminali
nervosi. È stato, infatti, osservato, in studi pre-clinici, che la TBA
riduce il dolore, inibendo la neurotrasmissione della Sostanza P,
del Glutammato e del CGRP (Calcitonin Gene Related Peptide)
(3). Scopo del presente lavoro è quello di valutare l’efficacia del
trattamento riabilitativo post-inoculazione di TBA.
Materiali e metodi. Dopo aver ottenuto il consenso informato,
sono stati reclutati 12 soggetti (3 affetti da Sclerosi Multipla e 9
da Ictus), di età compresa tra 32 e 85 anni (media 62), ricoverati
in regime di DH, secondo i seguenti criteri di inclusione: spasticità e dolore correlato, nessuna terapia antalgica. I pazienti sono
stati classificati tramite ICF e sono stati sottoposti ad una valutazione clinico-funzionale mediante la scala VAS/NRS e la scala di
Ashworth modificata (Bohannon R, Smith M, 1987) all’ingresso
del ricovero (T0), dopo un mese (T1) e dopo tre mesi (T2). Tutti
sono stati sottoposti ad inoculazione di TBA dei muscoli individuati durante la valutazione e ad un programma di trattamento
intensivo, caratterizzato da stretching dei muscoli infiltrati e chinesiterapia passiva e attiva-assistita a carico dei distretti articolari
interessati per 15 giorni. Hanno in seguito proseguito in relazione
alle loro specifiche esigenze. I dati sono stati elaborati usando un
test ANOVA e post-hoc test di Bonferroni per variabili non parametriche (IBM SPSS 22.0 per Windows).
Risultati. Nei pazienti colpiti da Ictus si è ottenuta una riduzione
della sintomatologia algica, dopo il trattamento, a T1 (p< 0.05) e,
in misura minore, a T2 (p <0.05). Mentre la riduzione della spasticità e di conseguenza il miglioramento delle performance funzionali, si è ottenuta solo dopo il trattamento, a T1 (p< 0.05). Tale
miglioramento si perde completamente o quasi a T2. Nei pazienti
affetti da Sclerosi Multipla abbiamo osservato una riduzione della sintomatologia algica dopo il trattamento a T1, che era ancora
presente, anche se in misura minore, a T2 e una riduzione della
spasticità dopo il trattamento a T1. Tale miglioramento era presente anche a T2.
Conclusioni. Nel nostro campione il trattamento con Tossina
Botulinica (TBA) ha sostanzialmente modificato positivamente la
spasticità ed il dolore associato e ciò ha comportato una maggiore
compliance della persona al protocollo riabilitativo individuale. La
riduzione percentuale della spasticità è maggiore rispetto a quella
della sintomatologia algica, dal momento che per quest’ultima la
multifattorialità delle cause concorre a renderne difficile il trattamento. La persistenza di una riduzione del dolore più a lungo
dell’effetto antispastico della tossina potrebbe essere legata a più di
un motivo, ma sempre inerente ad un riarrangiamento della maladattatività basato sulla modifica del quadro motorio o per azione
retrograda comunque ha reso più efficace l’intervento riabilitativo.
Bibliografia
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2.
3.
Michael Costigan, Joachim Scholz, and Clifford J. Woolf. A Maladaptive Response of the Nervous System to Damage. Annu Rev Neurosci. 2009; 32: 1–32
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Dong-Wan Kim, Sun-Kyung Lee, and Joohong Ahnn. Botulinum Toxin as a
Pain Killer: Players and Actions in Antinociception. Toxins 2015, 7, 24352453
154
TOSSINA BOTULINICA DI TIPO A NEL
MANAGEMENT DELLA SCIALORREA IN
PAZIENTI CON SCLEROSI LATERALE
AMIOTROFICA (SLA)
Riccardo Marvulli1, Giancarlo Ianieri1, Daniela Canniello1,
Maria Dargenio1, Lucia Mastromauro1, Ersilia Romanelli1,
Grazia De Venuto1, Rosanna Lerario1, Giulia Alessia Gallo1,
Rocco Cortese1, Pietro Fiore1, Marisa Megna1
U.O.C. Medicina Fisica e Riabilitazione ed U.S.U., Università degli Studi di
Bari “A. Moro”-Policlinico, Bari, Italia1
Introduzione. La Sclerosi Laterale Amiotrofica (SLA) è una malattia neurodegenerativa progressiva del sistema nervoso centrale a
patogenesi sconosciuta. Clinicamente è caratterizzata da un graduale
coinvolgimento sia del I che del II motoneurone a livello della corteccia cerebrale o del tronco cerebrale e spinale. I criteri diagnostici
si basano sulla valutazione clinica del deficit del I o II motoneurone
in diverse regioni del corpo, sulla indagine elettroneuromiografica,
sull’utilizzo dei PEM (potenziali evocati motori) col supporto della
PET (Tomografia ad Emissione di Positroni) e della morfometria
voxel-based. La Risonanza Magnetica Nucleare encefalo e midollo
è utile per la diagnostica differenziale. Clinicamente, nella maggior
parte dei casi si hanno segni di danno del II motoneurone con paralisi flaccida (segno della mano dell’artiglio), areflessia, atrofia muscolare e fascicolazione. L’interessamento dei nervi cranici comporta
disfagia, disartria e disfonia. L’evoluzione della patologia può portare ad una progressiva perdita delle capacità di movimento fino alla
completa immobilità. Anche la masticazione, la deglutizione e la
capacità di fonazione possono essere compromesse come anche la
funzione respiratoria con progressiva paralisi e necessità di ventilazione meccanica. La gravità della disfagia è alla base della comparsa
di un sintomo molto fastidioso per i pazienti, quale la scialorrea.
La perdita di eccessiva saliva dal cavo orale è infatti direttamente
proporzionale alla gravità del disturbo deglutitorio in questi pazienti. I pazienti spesso riferiscono difficoltà respiratorie notturne e/o
senso di imbarazzo nell’incontro con altre persone. Il trattamento di
tale sintomo è dunque spesso necessario. Nel caso di fallimento di
trattamento farmacologico orale, si può ricorrere al trattamento locale con tossina botulinica di tipo A. Scopo di questo studio è stato
quello di valutare l’efficacia del trattamento con tossina botulinica di
tipo A in pazienti con SLA e marcata scialorrea.
Materiali e metodi. 8 pazienti (6 maschi e 2 femmine) affette da
SLA bulbare con marcata scialorrea. I pazienti non avevano tratto alcun beneficio dal precedente trattamento farmacologico orale. Sono
stati trattati sotto guida ecografica la ghiandola parotide (dosaggio
medio di 18,7±5,8 per ciascuna ghiandola) e le ghiandole sottomandibolari (dosaggio medio di 8,2±2,3) con incobotulinumtoxinA (Xeomin®, Merz). I pazienti sono stati sottoposti alle seguenti
valutazioni: test della garza (valutazione dell’aumento del peso di
una garza dopo 1 minuto di permanenza nel cavo orale), test della
zolletta di zucchero (valutazione del tempo necessario a sciogliere
una zolletta di zucchero) e scala VAS per capire la gravità oggettiva
della scialorrea. I pazienti sono stati valutati al momento del reclutamento (t0), dopo 1(t1), 3 (t2),4 (t3) e 5 mesi (t4).
Risultati. L’analisi dei dati ha dimostrato che il trattamento locale
di tossina botulinica di tipo A è efficace in questi pazienti per circa
5 mesi. Infatti i valori ottenuti con il test della garza (t0=2,1±0,6
gr, t4=2,2±0,2 gr), il test della zolletta di zucchero (t0=16,3±3,9 secondi, t4=17,1±2,5 secondi) e la VAS (t0=8,75±1,1, t4=8,64±1,02)
erano ridotti in modo statisticamente significativo fino al tempo t4
(p<0,005).
Conclusioni. Il nostro studio dimostra che il trattamento con tossina botulinica di tipo A è efficace nel trattamento della scialorrea in
Vol. 30 - N. 2/3 - GIORNALE ITALIANO DI MEDICINA RIABILITATIVA - MR
131
44° CONGRESSO NAZIONALE SIMFER
pazienti con SLA che hanno avuto scarsi benefici dalla terapia orale.
Il trattamento è sicuro; nel nostro studio non ci sono stati eventi
avversi quali un peggioramento della disfagia o dispnea. In modo
semplice e poco invasivo i pazienti hanno risolto per oltre 4 mesi un
importante disturbo clinico che li impacciava nella loro vita sociale
con ricadute positive anche sul loro tono fondamentale dell’umore.
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Tiigimae-Saar J., Taba P., Tamme T. Does Botulinum neurotoxin type A treatment for sialorrhea change oral health? Clin Oral Investig. 2016 Apr 26
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2.
155
EFFETTI DEL TRATTAMENTO COMBINATO
DI RADIOFREQUENZA RAFFREDDATA E
FISIOCHINESITERAPIA IN PAZIENTI CON
GONARTROSI GRAVE NON OPERABILE:
RISULTATI PRELIMINARI
Enrica Scalisi1, Elisa Bettoni1, Carlo Mariconda1
Ospedale Gradenigo Humanitas, S.C. Recupero e Rieducazione Funzionale, Torino, Italia1
Introduzione. La gonartrosi è una patologia cronico-degenerativa
che coinvolge tutte le componenti articolari. Il dolore e la limitazione funzionale conseguenti a gonartrosi determinano una significativa disabilità, una riduzione della qualità di vita e un aumento
del rischio di comorbilità in circa il 10% della popolazione di età
superiore ai 55 anni. Il gold standard terapeutico nella gonartrosi
grave è l’intervento chirurgico di sostituzione protesica, talvolta controindicato a causa della complessa comorbilità, dell’età avanzata o
di una grave obesità. Un’opzione terapeutica alternativa è rappresentata dalla neurolisi con radiofrequenza dei nervi genicolati. Questo
trattamento di elettroterapia antalgica è in grado di interrompere
le vie nocicettive di trasmissione del dolore attraverso l’ablazione
delle terminazioni nervose periferiche sensitive del ginocchio. La
denervazione si ottiene applicando onde elettromagnetiche con voltaggio controllato tramite un ago elettrodo su un target definito.
Recentemente si è sviluppata una nuova tecnica, la radiofrequenza
raffreddata, che consente di incrementare il rilascio di energia e il
tempo di esposizione, evitando il surriscaldamento eccessivo del tessuto e producendo un’area lesionale nettamente maggiore rispetto
alle radiofrequenze standard. Obiettivo dello studio è valutare l’efficacia di un trattamento combinato di radiofrequenza raffreddata
e fisiochinesiterapia, in termini di controllo del dolore e miglioramento della funzionalità articolare in pazienti con gonartrosi grave
non operabile.
Materiali e metodi. Trattasi di uno studio osservazionale prospettico aperto iniziato nel gennaio 2014 e ancora in corso presso il servizio di Recupero e Riabilitazione Funzionale dell’Ospedale Gradenigo Humanitas di Torino. Tutti i partecipanti vengono sottoposti a
trattamento di neurolisi dei genicolati mediante radiofrequenza raffreddata e a successivo programma riabilitativo. Sono inclusi nello
studio pazienti affetti da gonartrosi grave, certamente chirurgica, ma
non operabile. Conditio sine qua non per l’indicazione all’utilizzo
della neurolisi con radiofrequenza è un pain relief > 50% al blocco
diagnostico anestetico. L’intera procedura viene condotta sotto guida fluoroscopica nelle proiezioni antero-posteriore e laterale. Il target anatomico è rappresentato dai nervi genicolato supero-mediale,
supero-laterale e infero-mediale. Si procede con l’inserimento dell’ago-elettrodo e, una volta verificata la corretta posizione, introdotta
la sonda collegata al generatore di radiofrequenze. Il campo elettrico
è erogato per 180 secondi e la temperatura tissutale non supera i
60°C. Segue breve ciclo di kinesiterapia e counselling. Il dolore e
la funzionalità del ginocchio sono valutati con scale standardizzate
132
e validate, NRS, DN4, Oxford Knee Score e Lequesne Index. Il
follow-up si estende dal tempo 0 (prima del trattamento), a 4 (T1),
a 12 (T2), a 24 (T3) e a 48 (T4) settimane dal trattamento.
Risultati. Dall’analisi preliminare dei dati ottenuti finora su un
campione di 12 casi, si può dire che dopo 4 settimane dal trattamento con RF si è avuto un marcato miglioramento all’NRS
(p<0,05), al DN4 (p<0,05), al Lequesne Index (p<0,05) e all’OKS
(p<0,05). I miglioramenti si sono mantenuti anche a distanza di
24 settimane.
Conclusioni. I dati preliminari sono incoraggianti e sovrapponibili ai risultati sinora pubblicati dalla letteratura internazionale, in
termini di riduzione del dolore, ripristino della mobilità articolare
e miglioramento della qualità della vita a breve termine. Non sono
descritte complicanze. L’utilizzo di una innovativa elettroterapia
antalgica a somministrazione percutanea integrata in un progetto
riabilitativo sembra rappresentare l’unica alternativa terapeutica
efficace in pazienti affetti da gonartrosi grave non operabile.
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156
ICT e riabilitazione dei disturbi
cognitivi : il progetto “Casa Amica”
dell’A.S.O. di Alessandria
Salvatore Petrozzino1, Roati Gianfranco2
SC di Neuroriabilitazione - Ospedale Borsalino - Dipartimento di Riabilitazione - A.S.O. Alessandria1
INSIS S.p.A. Head Office - R&D Compound - La Spezia2
Introduzione. Nel corso degli ultimi anni la medicina ha sviluppato uno stretto rapporto di collaborazione con l’area informatica
e ingegneristica nel campo specifico dell’Intelligenza Artificiale
(IA). Le tecnologie dell’informazione e della comunicazione (Information and Communications Technology, ICT), che realizzano
i sistemi di trasmissione, ricezione ed elaborazione di informazioni
digitali sono diventate una risorsa essenziale anche per le organizzazioni sanitarie, all’interno delle quali diventa sempre più importante riuscire a gestire in maniera rapida, efficace ed efficiente
un volume crescente di informazioni. per questo motivo le ITC
sono strategiche poiché, grazie alle diffusione della tecnologia e
dell’interconnettività, mettono a disposizione dati e informazioni
qualitativamente migliori. Alcune aree mediche tra cui quella riabilitativa hanno avviato numerose forme di utilizzo di ICT nella
pratica clinica. I recenti progressi nella embedded computing e comunicazioni wireless permettono di iniziare concepire e a realizzare un ambiente intelligente nelle corsie degli ospedali e delle case.
Materiali e metodi. Il progetto Casa Amica nasce nell’ambito di
una partnership tra ASO Alessandria e Insis Spa ed è frutto della
sinergia tra l’esperienza riabilitativa e il know-how tecnologico. Il
problema a cui vuole dare risposta è il reinserimento sociale delle
persone con disabilità cognitiva e comportamentale a seguito di
GCA. La soluzione proposta è un nuovo modello di supporto e
di assistenza alle persone con disabilità cognitiva, attraverso l’implementazione di tecnologie innovative in grado di apprendere il
comportamento dei pazienti e comunicare tempestivamente con il
care-giver. Casa Amica è inserita all’interno del Presidio Ospedaliero Riabilitativo “T. Borsalino” dell’ASO di Alessandria, in un’area extra-degenziale dedicata. Casa Amica si sviluppa su 85 m2 ed
Vol. 30 - N. 2/3 - GIORNALE ITALIANO DI MEDICINA RIABILITATIVA - MR
44° CONGRESSO NAZIONALE SIMFER
è costituita da ingresso, soggiorno-cucina, camera, servizi e terrazzo. I terminali degli impianti sono posizionati ad altezza accessibile, anche se la maggior parte delle funzioni e delle attrezzature
sono comandabili vocalmente o con telecomando. Il sistema Casa
Amica è stato progettato per funzionare su più livelli. Intelligent
Building Automation: L’automazione dei dispositivi di uso quotidiano per facilitare la gestione dell’ambiente domestico. L’intensità dell’illuminazione degli ambienti, la temperatura, l’apertura
di porte, finestre e tapparelle, la presenza di acqua e fumo nelle
stanze sono controllabili attraverso strumenti di uso comune come
cellulari, tablet e tv. Il sistema registra gli eventi e trasmette avvisi
agli operatori sanitari o al caregiver in caso di situazioni anomale.
Sicurezza attiva: Il sistema registra gli eventi e trasmette avvisi agli
operatori sanitari o al caregiver in caso di situazioni anomale. L’azione combinata dei sensori e localizzatori consente di monitorare
la persona ospite dell’appartamento nel rispetto della sua privacy.
Il sistema rileva la presenza e il tempo di permanenza dell’ospite
nelle stanze, registra il numero di spostamenti fra le stanze, memorizza la frequenza di utilizzo degli elettrodomestici. Controllo
attivo e inter-attivo: Il sistema interagisce con l’ospite: richiama
attività e tempistiche; verifica il corretto svolgimento delle azioni.
Al presentarsi di situazioni di potenziale pericolo per l’ospite o per
l’ambiente, il sistema innesca allarmi che automaticamente mitigano il rischio e attivano un collegamento audio e/o video con il
caregiver o con il personale sanitario. (Controllo Intelligente). Tutti i dispositivi di automazione sono controllabili sia all’interno di
Casa amica dall’ospite stesso , sia dall’esterno, rendendo possibile
l’assistenza a distanza. Assistenza avanzata: Attraverso la raccolta
di dati, il sistema impara a riconoscere i gesti quotidiani della persona, interagisce con lui, lo istruisce sulle procedure e verifica il
corretto svolgimento delle azioni.
Risultati. L’ Information Technology attraverso l’archiviazione,
l’elaborazione e la rappresentazione delle informazioni con l’aiuto
di computer e delle tecnologie a esso connesse, ha permesso in ambito riabilitativo l’analisi e lo studio dell’attività degli utenti in un
ambito protetto (casa Amica) al fine di comprendere e realizzare
una eventuale progettazione e realizzazione dei sistemi informativi
e di telecomunicazione computerizzati anche a casa dell’utente.
L’ospite acquista una maggiore indipendenza nel rapporto di assistenza; Gli Operatori sanitari e il caregiver possono comunicare
con l’ospite di casa Amica e verificare anche a distanza quanto avviene nell’ambiente.
Discussione. Uno dei principali obiettivi del Progetto Riabilitativo di una persona affetta da GCA è il reinserimento socio-familiare. Per le persone che hanno difficoltà a muoversi e spostarsi con
concomitanti problemi di memoria, di pianificazione delle attività
quotidiane, di non riconoscimento del pericolo nelle azioni che
compiono, non sempre la propria abitazione rappresenta un ambiente sicuro e stimolante. l’integrazione con alcuni ambiti dell’IA
(agent-based technology) si rivela utile per governare quelle situazioni complesse, come nel caso della gestione delle persone con
prevalente disabilità cognitiva. La tecnologia che riduce il bisogno
di assistenza, consente di valorizzare le abilità residue e svilupparne
nuove. Casa Amica ha portato una serie di innovazioni: Tecnologica: è tra i primi esempi di appartamento domotico pre-dimissioni
per persone con disabilità cognitiva e comportamentale. Culturale:
la tecnologia è accessibile, ha un prezzo etico, è replicabile in ogni
ambiente. Relazionale: innesca un percorso educativo per il disabile e la sua famiglia, cambiando l’approccio mentale nei confronti
della disabilità.
Conclusioni. La IA personalizzata è una nuova frontiera per la riabilitazione. Quasi certamente potrà in un futuro prossimo fornire
un supporto non solo alla persona con prevalente disabilità motoria ma anche cognitiva e comportamentale. La IA appare un vero
gate per la realizzazione di un più completo reinserimento socioambientale della persona disabile e apre l’orizzonte a nuovi scenari.
Bibliografia
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3.
Ulises Cortés, Roberta Annicchiarico, Javier Vázquez-Salceda, Cristina Urdiales, “Assistive technologies for the disabled andfor the new generation of senior
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157
L’utilizzo del 6MWT come misura
dell’impatto cardiorespiratorio
nel paziente con GCA in trattamento
riabilitativo intensivo
Salvatore Petrozzino1, Rosario Baio1, Michela Bolla1,
Giulia Spiotta1, Valeria Ogliaro1, Francesca Di Rovasenda1,
Cristiana Bacchetta1, Arianna Mazzeo1
SC di Neuroriabilitazione - Ospedale Borsalino - Dipartimento di Riabilitazione - A.S.O. Alessandria1
Introduzione. È stato osservato che ben il 25-50% dei pazienti
con esiti di stroke richiede un minimo di assistenza nelle attività
basali della vita quotidiana (ADL) e che tutti hanno come caratteristica principale una ridotta tolleranza allo sforzo . Le limitazioni
nelle ADL sono relazionate, ma non completamente dipendenti
dal livello di menomazione. Questa ridotta tolleranza allo sforzo
può essere spiegata solo per 1/3 come secondaria al danno neurologico; nei rimanenti 2/3 deriva da patologie cardiache associate
che aggravano la situazione e dalla aumentata richiesta energetica
per la deambulazione e per le altre attività funzionali. Numerosi
AA affermano che la misurazione del VO2 durante un esercizio
submassimale (6MWT, test submassimale su treadmill o su cicloergometro) rappresenta un ottimo indicatore per monitorare i progressi riabilitativi del paziente con stroke al pari delle valutazioni
relative al VO2 max indicando quindi una correlazione significativa tra 6MWT e VO2max. A seguito dell’ evidente significato
clinico e funzionale dell’ l’applicazione del test del cammino dei
sei minuti nei pazienti affetti da stroke , abbiamo esteso il 6MWT
anche a pazienti con esiti di GCA al fine di monitorare e valutare
la loro performance cardiorespiratoria.
Materiali e metodi. Il 6MWT è stato effettuato in corso di riabilitazione intensiva in pazienti affetti da GCA seguendo le linee
guida dell’ American Thoracic Society del marzo 2002. Il test è
stato somministrato a 7 pz affetti da GCA in corso di riabilitazione intensiva e prevedeva un percorso di 30 metri delimitato da
due coni in un’area appositamente destinata e dotata di indicazioni metriche alle pareti in un corridoio rettilineo, pianeggiante e
privo di ostacoli. I pazienti sono stati accuratamente istruiti sulle
modalità di svolgimento del test. Sono stati registrati i valori basali
di pressione arteriosa (PA) e frequenza respiratoria(FC), somministrata la scala di Borg ed infine collegati per tutta la durata del
test e per 5 minuti successivi a pulsiossimetro portatile registrante
saturazione periferica di O2 e FC. Al termine del test i pazienti
sono stati invitati a sedere su carrozzina e sono stati rilevati PA,
FC e somministrata la scala di Borg CR10. Ai pazienti è stato permesso l’utilizzo di ausili e/o ortesi per il cammino. Per la sicurezza
dei pazienti con disturbi di equilibrio o insicurezza nei cambi di
direzione, un secondo operatore ha seguito la prova senza influire
sul ritmo e sulla velocità del loro cammino.
Risultati. Dei sette pazienti oggetto del nostro studio, tutti sono
riusciti a portare a termine la prova senza manifestare sintomi neurovegetativi quali sudorazione eccessiva, capogiri, cefalea, perdita
di equilibrio, dispnea, tachicardia, dolore agli arti inferiori, etc.
Vol. 30 - N. 2/3 - GIORNALE ITALIANO DI MEDICINA RIABILITATIVA - MR
133
44° CONGRESSO NAZIONALE SIMFER
Una paziente durante e dopo il test ha riferito dolore di lieve entità
in regione dorso lombare, tuttavia tale disturbo non sembra aver
influito sulla corretta esecuzione del test. Un pz ha eseguito il test
con l’ausilio di due canadesi, di un tutore al ginocchio sinistro
. Un pz ha eseguito il test con l’ausilio di un deambulatore per
esterni e molla di Codivilla. Per un pz con disturbo afasico si è
reso necessario applicare strategie alternative per spiegare la procedura del 6MWT e per la somministrazione della scala di Borg
CR-10. Il disturbo afasico non ha influito sulla somministrazione di scale di valutazione né nella spiegazione delle istruzioni di
esecuzione del test. Età minima: 36 anni; Età massima: 68 anni (
media 52); Media BMI:25,9; Distanza minima percorsa: 137m;
Distanza massima percorsa: 435m ( media 299 m) Valore predetto
da Enright per un ipotetico soggetto avente le caratteristiche della
media del nostro campione:634m; Rapporto tra distanza percorsa
e valore predetto per il soggetto di cui sopra espresso in percentuale: 49,3%; Il paziente che ha percorso la distanza minore (137m,
27% del predetto da Enright) è il più anziano tra i soggetti dello
studio (68 anni). I dati della letteratura relativi a pazienti affetti da
stroke riportano una distanza percorsa media al 6MWT di 309 m.
Tale valore è del tutto sovrapponibile ai 299m percorsi dal nostro
campione di pazienti affetti da GCA.
Discussione. I risultati ottenuti con il nostro studio riflettono
quanto già affermato da Guralnik (1989) e Murene per i pazienti
affetti da stroke, ovvero che la capacità funzionale di un soggetto è
positivamente correlata con il risultato ottenuto al 6MWT. La distanza percorsa dai pazienti , come per i pz affetti da stroke, sembra
essere anche per il paziente affetto da GCA un buon indicatore del
suo grado di autonomia che si correla ai punteggi delle scale FIM
e Barthel. Il consumo di energia durante la deambulazione, in tali
pazienti, è condizionato da diversi fattori quali l’entità della paresi,
la presenza di spasticità, la coordinazione motoria e l’equilibrio e di
capacità aerobica (Waters, Mulroy 1999); la forza dei muscoli degli
arti inferiori (prevalentemente estensore di ginocchio dell’arto paretico) e la capacità aerobica di pazienti con stroke, sono correlate
alla performance al 6MWT (Severinsen 2011). In generale la spesa
energetica è il 150-200% rispetto alle persone abili e il camminare
lentamente provoca una spesa ancora maggiore arrivando ben al
75% della loro capacità cardiovascolare (Macko 2001).Nelle GCA
gli effetti della paralisi, incoordinazione, spasticità, perdita di sensibilità, disturbi dell’equilibrio inducono un rimaneggiamento
delle fibre muscolari e un a modifica del metabolismo. Tutti questi
fattori possono contribuire a realizzare uno stato di decondizionamento. Infine, la valutazione della capacità di percorrere, camminando, una certa distanza rappresenta anche una misura rapida ed
economica della qualità della vita; essa infatti riflette la capacità di
svolgere le normali attività quotidiane o, di converso, il grado di
limitazione funzionale del soggetto Guralnik (1989)
Conclusioni. Alla luce dei risultati ottenuti è doveroso sottolineare come il 6MWT si sia dimostrato un valido strumento per
la valutazione funzionale cardiorespiratoria del paziente con grave
cerebrolesione acquisita dimostrando di essere somministrabile in
tutta sicurezza. Esso per la semplicità può essere effettuato anche
da pazienti anziani, fortemente limitati e con disturbi associati .
Bibliografia
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134
158
LE STORIE DELLE PERSONE CON LESIONE
MIDOLLARE E CEREBRALE. L’ESPERIENZA
DEL D-H RIABILITATIVO
Salvatore Petrozzino1, Manuela Marchioni1, Gabriella
Schierano1, Monica Mantelli1, Patrizia Valorio2
SC di Neuroriabilitazione - Ospedale Borsalino - Dipartimento di Riabilitazione - A.S.O. Alessandria1
SS di Psicologia - A.S.O. Alessandria2
Introduzione. L’obiettivo del lavoro è stato quello di raccogliere
il vissuto delle persone che, dopo aver trascorso un periodo di riabilitazione prolungato presso l’unità riabilitativa, proseguono il
percorso di cura attraverso delle visite regolari di follow up nella stessa struttura. Parallelamente alla riabilitazione, tali persone
tornando a casa vivono anche la ripresa della loro quotidianità,
con conseguenti cambiamenti della loro vita famigliare, sociale e
lavorativa. Le giornate di follow up sono dei momenti importanti
per monitorare il percorso riabilitativo, ma spesso non viene dato
spazio all’ascolto del vissuto dei pazienti con la loro condizione di
disabilità, acquisita più o meno recentemente. La comprensione
attraverso l’ascolto può essere un input non solo per migliorare la
relazione medico-paziente, ma anche per umanizzare l’organizzazione.
Materiali e metodi. Nel periodo aprile-ottobre 2014 sono state
raccolte 22 narrazioni durante le visite di follow up delle persone
con lesione midollare o cerebrale in cura presso il D-H dell’Presidio riabilitativo Borsalino dell’ASO di Alessandria . Per tale attività si è predisposta una traccia semi-strutturata che potesse guidare
le narrazioni su specifici macro temi ritenuti di interesse. Le modalità di raccolta sono state due e hanno pertanto previsto due fasi
di svolgimento: in una prima fase le tracce sono state distribuite ai
pazienti e scritte direttamente da chi di loro si è reso disponibile a
fornire la propria testimonianza. La seconda fase ha invece previsto
una raccolta orale delle storie, attraverso un operatore della struttura che ha condotto le interviste e trascritto fedelmente quanto
riportato. In tal modo si è cercato di verificare quale fosse il metodo migliore per ottenere delle narrazioni il più possibile aperte a
considerazioni sul vissuto non solo riabilitativo.
Risultati. Una prima considerazione è che non sono emerse particolari differenze di tipologie di storie tra le due modalità di raccolta adottate. In entrambi i casi, infatti, si evidenzia certo la disponibilità delle persone al dialogo, ma l’aspetto narrativo non sempre
emerge e i contenuti e il linguaggio restano molto legati all’aspetto
strettamente riabilitativo e funzionale più che a considerazioni più
ampie sul vissuto quotidiano della propria disabilità. Ciò può significare quanto per questi pazienti sia ancora molto importante il percorso riabilitativo e la ripresa delle proprie funzionalità
motorie, prima di impostare il ritorno alla quotidianità. Storie di
disease:Il linguaggio individuato nelle storie è prevalentemente
focalizzato sulla disease, ovvero sulla descrizione delle condizioni
motorie e funzionali del corpo, indipendentemente dalla modalità
di raccolta utilizzata. Anche dal punto di vista dello stile linguistico, la maggior parte delle storie utilizza un linguaggio piuttosto
asciutto e sintetico, che si apre poco ad argomentazioni più ampie
e narrative. Talvolta emergono aspetti di illness alternati a quelli di
disease, e in pochi casi la persona apre il racconto a considerazioni
più inerenti il proprio vissuto emozionale. Ci sono anche dei cenni
di sickness – espressione del percepito della malattia da parte della
società – nelle storie in cui si fa riferimento alle difficoltà incontrate nella ricollocazione professionale con la nuova condizione di
disabilità, e alla barriere architettoniche, responsabili a volte della
ridotta mobilità della persona. A conferma di tutto ciò, inoltre,
utilizzando la classificazione di Frank, la componente di restitution – ovvero del vissuto della propria condizione come qualcosa
Vol. 30 - N. 2/3 - GIORNALE ITALIANO DI MEDICINA RIABILITATIVA - MR
44° CONGRESSO NAZIONALE SIMFER
da “riparare” e ristabilire il più possibile alla situazione originaria
- è rilevata nel 32% delle storie. Tale aspettativa di recupero è più
presente nelle storie scritte direttamente dai pazienti, che insistono
molto sulla loro attività di fisioterapia e sullo stato del loro recupero
Discussione. Per quanto l’intervallo di inizio dei percorsi riabilitativi in oggetto siano collocati tra il 2005 ed il 2014, sono maggiormente rappresentate le situazioni più recenti di lesioni sviluppate negli anni 2013 e 2014 (54% delle storie). Si tratta quindi
in molti casi di situazioni ancora in divenire nelle quali le persone
sono ancora molto focalizzate sul loro recupero funzionale. Sono
comunque molti gli aspetti che emergono da questo lavoro e che
potrebbero essere di utilità per comprendere le aspettative dei pazienti nei confronti della struttura, una volta terminata la fase di
ricovero, ed eventualmente individuare spazi di miglioramento
organizzativo e comunicativo, per venire maggiormente incontro
alle richieste talvolta inespresse. Rispetto alle metodologie di raccolta delle storie adottate, potrebbe essere di utilità illustrare più
approfonditamente ai pazienti che cosa si intende ottenere dai loro
racconti, per stimolarli maggiormente alla narrazione. In alcuni
casi infatti si ha l’impressione che le persone siano state sintetiche
o per ragioni di tempo – e allora si potrebbe considerare l’ipotesi
di lasciare loro il tempo di scrivere quando tornano a casa – o
perché abbiano vissuto l’attività come una sorta di questionario.
Essendo loro infatti particolarmente incentrati sulla riabilitazione,
forse hanno bisogno di un po’ più di tempo per fare delle riflessioni più ampie che riguardino anche il loro vissuto più emotivo e di
quotidianità. lo studio delle narrazioni nel campo delle relazioni
di cura, (B.Hurwitz e T.Greenalgh del King’s College di Londra)
ha confermato come la scrittura sia “forma fenomenica in cui il
paziente sperimenta la salute; incoraggia l’empatia e promuove la
comprensione tra il medico e il paziente.
Conclusioni. È sempre difficile accostare un termine come “narrativa”, facilmente associabile a sensazioni positive quali calore,
emozione e rilassamento, a un altro quale la “medicina” che porta
la nostra mente dritta verso il concetto di malattia, verso parole
e nomi solitamente incomprensibili all’utenza. La scrittura è una
“radura”, uno spazio libero in cui trovare conforto attraverso la
riflessione – che nella comunicazione verbale manca - l’introspezione, una presa di consapevolezza del proprio percorso. È anche
una importante occasione di condivisione e scambio delle esperienze e queste ultime possono essere messe a disposizioni di molti.
Migliorando la comprensione possiamo migliorare la nostra organizzazione dei servizi.
Bibliografia
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2.
3.
Greenalgh T. Narrative based medicine in an evidence based world . BMJ 1999
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practice, 2013 London, Wiley-Blackwell
159
GLI SPAZI VERDI COME CRITERIO DI
ECCELLENZA IN RIABILITAZIONE
Salvatore Petrozzino1, Fabrizio Bologna1, Franca Bozzetto1,
Alessandra Vaglienti1, Rosa Perini1, Laura Accornero1, Silvia
Pagetti1
SC di Neuroriabilitazione - Ospedale Borsalino - Dipartimento di Riabilitazione - A.S.O. Alessandria1
Introduzione. In ambito sanitario, i criteri di eccellenza possono
essere tanti e molto diversi tra loro, afferendo ai vari aspetti del processo di cura, riabilitazione ed assistenza. Un criterio “strutturale”
che è tra i meno considerati è la presenza di “verde”. Attualmente
per l’accreditamento non sono previsti dei requisiti strutturali legati alla presenza degli spazi verdi nelle aree ospedaliere. Eccezione
la Regione Lombardia, dove esiste un “requisito minimo” che prevede una “dotazione a verde minima pari al 20% della s.l.p.”, senza
specificare la sua , distribuzione, accessibilità, qualità, fruibilità,
etc. Segno questo,di un approccio culturale ormai “vecchio” nel
nostro paese, che interpreta la cura-riabilitazione-assistenza relegate solo all’interno della struttura e affidati principalmente (se
non esclusivamente) ad aspetti tecnologici ed organizzativi. Nel
resto del mondo è invece sempre più riconosciuta che il verde può
recitare un ruolo importante (se non fondamentale) nel processo
di cura e influisce grandemente sullo stato di benessere degli uomini, non solo pazienti, quindi, ma anche staff e visitatori. Tale
evidenza è mostrata non solo dall’esperienza ma anche dalla ricerca
scientifica.
Materiali e metodi. Il parco dell’Ospedale T.Borsalino, presidio
riabilitativo dell’A.S.O. di Alessandria, si estendeva per una superfice di 3 ettari dedicati ad area verde, ben visibile da ogni stanza di
degenza ma non particolarmente usufruibile dai pazienti: difatti
queste aree erano ampiamente sottoutilizzate. Con un architetto
del paesaggio abbiamo cercato di interpretare da un lato quei sentimenti e quei desideri che esistono nell’ intimo di ciascuna persona e danno perciò vita alla prima esigenza dell’ uomo: la riconciliazione con il proprio ambiente; dall’altro lato abbiamo considerato
la tipologia d’utenza diversificando alcune aree di attività con un
indirizzo riabilitativo. Il progetto che è emerso si proponeva di
stimolare le capacità residue, di migliorare la socializzazione, di
migliorare il benessere psico-fisico. Per raggiungere questi obiettivi
è stato realizzato un progetto di fruizione del verde, non solo nella
realizzazione di un healing garden, aperto a tutti, che si sviluppa
attraverso percorsi, aree di sosta ed aree a verde, ma anche attraverso la realizzazione di aree specifiche dedicate ad attività orticolturale indoor e outdoor e ad attività sportiva. Il progetto è stato quindi
proposto alla Fondazione Borsalino 2000, alla Fondazione onlus
Uspidalet dell’ASO di Alessandria ed a privati . Dall’accoglimento
del progetto è partita la raccolta di fondi e nell’arco di 2 anni è
stato realizzato il progetto che si è realizzato nella realizzazione
del Giardino Sensoriale Borsalino, della Pista d’Atletica Rinaldo
Borasio, e del Campo all’Orto dedicato all’Orticoltura.
Risultati. Ne sono derivate 3 opere che hanno arricchito il Parco
, destinate ad utenti e personale : 1- Giardino sensoriale collocata nella zona sud del parco area di circa 2000 m2 costituito da
una piazza centrale (Agorà), da cui si diramano tre vie identificate
attraverso i colori: rosso, grigio ed azzurro e attraverso i diversi
materiali di posa: sassi, porfido, autobloccanti. 3 aree di sosta principali a pergolato adatte alla socializzazione con diverse esposizioni
cardinali. Creazione di n. 5 aree verdi che stimolino i cinque sensi
sebbene la natura, per le sue stesse caratteristiche, non permette
una estrema divisione sensoriale, tenendo conto del cromatismo
dei colori, della creazione di aree con alberi e cespugli da frutto,
e dell’inserimento di alcuni elementi artificiali (quali casette in legno per gli uccelli, campanellini che fanno rumore al sorgere della
brezza che stimolino maggiormente l’udito. Pista d’atletica Rinaldo Borasio collocata nella zona nord del parco: estensione totale
circa 120 m x 35 m, larghezza della pista di 4,50 m, n. 3 corsie regolamentari di 1,50 cm, sviluppo in lunghezza della corsia centrale
m 267 per giro completo. Campo all’Orto: area dedicata all’Orticoltura collocata nella zona ovest del parco, costituita da una serra
e da un campo adibito ad orto e a frutteto perché permetta di
svolgere l’attività prevalentemente all’aria aperta, che si caratterizza
per un impegno sia manuale che cognitivo per i pazienti, permette
di stabilire un rapporto di cura e responsabilità verso organismi
viventi (che hanno un proprio ciclo di vita in quanto nascono,
crescono, producono e muoiono) e si presta al lavoro di gruppo.
Discussione. l’esperienza e la ricerca scientifica hanno evidenziato che il verde specificamente progettato per una struttura sanita-
Vol. 30 - N. 2/3 - GIORNALE ITALIANO DI MEDICINA RIABILITATIVA - MR
135
44° CONGRESSO NAZIONALE SIMFER
ria può avere un ruolo importante come parte attiva di un vero e
proprio processo di cura; ed influire sullo stato di benessere degli
uomini (non solo pazienti, quindi, ma anche staff e visitatori). L’utilizzo e lo sviluppo delle aree verdi in ambienti sanitari di riabilitazione è ancora poco comune nel nostro paese. Per una razionale
realizzazione di simili progetti occorre abbattere I luoghi comuni
del ‘Conformismo verde’ (Prato all’inglese, Alberi “controllati”, Il
giardino all’ultimo grido). Le aree verdi, inserite in un Progetto riabilitativo di struttura, permettono un senso di estraniazione dalla
routine giornaliera (being away che impone un bisogno d’attenzione diretta), di ricevere molti stimoli estetici piacevoli (colori,
forme, ecc.) che incoraggiano i processi di esplorazione e comprensione; e di permettere in spazi adeguati la intima riflessione
(parte fondamentale del processo di guarigione).
Conclusioni. Le capacità ristorative e le capacità di migliorare il
benessere sono dunque una importante funzione degli spazi verdi.
Le caratteristiche di naturalità delle aree verdi ospedaliere appaiono essere correlate positivamente con il benessere psicologico degli
utenti. Riteniamo sia giunto il momento di sperimentare un nuovo criterio di “eccellenza”, legato alla qualità e fruibilità degli spazi
verdi annessi alle strutture di cura, assistenza e riabilitazione.
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Borghi, C. “Il giardino che cura. Il contatto con la natura per ritrovare la salute
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Petrozzino S, Accornero L., Bozzetto F., Perini R. , Vaglienti A. “ il giardino
sensoriale come progetto riabilitativo di struttura: l’esperienza del’A.S.O. di
Alessandria”. giorn ital med riab vol. 28, suppl al 2;98, n.1, 2014
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3.
160
STUDIO RETROSPETTIVO NELL’AREA DEL
PIEMONTE ORIENTALE SULLA DISABILITÀ
SECONDARIA A LESIONE SPINALE ACQUISITA
IN ETÀ EVOLUTIVA. DATI PRELIMINARI
Salvatore Petrozzino1, Luca Perrero, Monica Mantelli,
Patrizia Valorio*, Miriam Meloni, Valeria Busto, Manuela
Moretti
SC di Neuroriabilitazione - Ospedale Borsalino - Dipartimento di Riabilitazione - A.S.O. Alessandria1
SS di Psicologia - A.S.O. Alessandria2
Introduzione. La disabilità secondaria a lesione midollare in ambito evolutivo è caratterizzata da un gruppo ampio e variegato di
disturbi che si differenziano per tipologia, prognosi e comorbilità.
L’elemento unificante è l’ età di esordio che interferisce con lo sviluppo biopsicosociale del bambino e ne condiziona il divenire adolescente e poi adulto. La presenza di criticità in una o più aree dello
sviluppo richiede un intervento sollecito al fine di evitare conseguenze che si ripercuoterebbero su altre aree funzionali e sullo sviluppo in epoche successive. I dati epidemiologici sono piuttosto
esigui. Da uno studio effettuato in 19 paesi Europei sull’incidenza
della lesione spinale in età infantile (Augutis, Abel & Levi, 2005)
è emerso che non ci sono conoscenze certe in molti paesi presi
in considerazione, seppur i dati emersi lo identifichino come un
disturbo raro. Gli unici dati certi riguardano la Spagna dove l’incidenza è di 4,6 bambini/milione di bambini/anno e il Portogallo
dove l’incidenza è di 27 bambini/milione di bambini/anno. Il tipo
di lesione spinale che si osserva nei bambini varia in relazione agli
aspetti evolutivi correlati all’età, ad aspetti comportamentali e alle
caratteristiche anatomiche del rachide. La limitatezza attuale dei
dati nazionali non permettono di conoscere né di comprendere i
bisogni dei pazienti e delle loro famiglie ai fini di una appropriata
programmazione sanitaria.
136
Materiali e metodi. Scopo di questo lavoro è stato analizzare
descrittivamente caratteristiche e bisogni di una popolazione di
utenza in età evolutiva così da favorire il processo di conoscenza/
intervento. Lo studio è stato realizzato dall’Unità Spinale Borsalino dell’ASO di Alessandria nel contesto di un Progetto per la
riabilitazione e l’inclusione sociale delle persone con lesione midollare. Sono stati intervistati tutti i pazienti afferenti presso la SS
di Urologia pediatrica del Presidio Infantile C.Arrigo dell’ASO di
Alessandria. L’ obiettivo era di fare emergere le criticità relative
alla disabilità secondaria a lesione spinale acquisita in età evolutiva
nell’area del Piemonte Orientale. La raccolta dei dati ha previsto
la somministrazione di un questionario rivolto al bambino e alla
sua famiglia con domande chiuse e domande aperte e un’intervista semi-strutturata, con approfondimento degli aspetti emotivorelazionali. L’indagine ha previsto la realizzione di un questionario che indagasse la storia dei pazienti, l’ anamnesi, gli aspetti
clinici, emotivo-relazionali, familiari e socio-ambientali. In sede
di colloquio sono stati approfonditi i gli aspetti relativi a ausili,
domotica e autonomie;scuola e attività extra-scolastiche;rapporto
con i pari; eventuale presenza di aspetti di possibile sviluppo di
psicopatologia;percezione del caregiver del supporto ricevuto dai
servizi socio-sanitari. È stato misurato il disagio della famiglia mediante una scala visuo-analogica.
Risultati. Sono stati intervistati 21 pazienti, di cui 13 maschi e 8
femmine, di età compresa tra i 5 e i 17 anni, la cui zona di residenza comprendeva prevalentemente il territorio dell’alessandrino, ma si estendeva anche a province limitrofe, prevalentemente
del Piemonte Orientale. Tipo di lesione: la prevalenza dei pazienti
intervistati presenta una paraplegia incompleta; in 1 caso una tetraplegia completa. Età di insorgenza: la patologia è prevalentemente presente dalla nascita; in 1 caso la lesione era insorta all’età
di 7 anni a seguito di incidente stradale. Ricovero: tutti i soggetti
del campione sono stati ricoverati presso l’ospedale Cesare Arrigo
– Presidio Infantile per una durata di tempo variabile, a seconda
della gravità del quadro clinico, e hanno subito ricoveri successivi. Dati sociosanitari: Le famiglie sono prevalentemente composte
da 4 e 3 componenti: mamma, papà e fratello/sorella. Il caregiver
prevalente in tutti i casi ad eccezione di 1 è la mamma. Le altre
figure che si occupano del bambino sono il papà e i nonni. In 6
casi la famiglia ha utilizzato il supporto di una Rete formale o
informale presente sul territorio, soprattutto per avere assistenza
domiciliare o per il trasporto. Per quanto riguarda l’utilizzo della
Legge 104, prevalentemente sono le madri ad usufruirne. Ortesi,
ausili e domotica:Tutti i pazienti utilizzano ortesi per la stabilità
vertebrale; tutti ad eccezione di 1 fanno uso della carrozzina e di
ausili per la casa. Nessun soggetto utilizza il computer per fini di
controllo dell’ambiente. E tutti i soggetti ad eccezione di 2 fanno
uso di ausili per la deambulazione. Autonomie: I pazienti possono muovere le braccia per compiere un gesto funzionale e tutti,
tranne uno, possono utilizzare la motricità fine residua. Attività
scolastiche:Tutti i pazienti (tranne uno poiché allettato per gran
parte della giornata)frequentano la scuola. Solo 3 di essi mostrano
difficoltà nello studio. La totalità dei ragazzi si recano a scuola
accompagnati dalla mamma/genitori, solo in un caso si usufruisce
del servizio di trasporto. La classe è collocata al piano terra dell’edificio o al primo piano. Attività extrascolastiche: La maggioranza
dei ragazzi intervistati pratica uno sport: in particolare il nuoto,
l’equitazione e il ping pong. Solo 8 di loro non praticano alcuno
sport. Gli hobby principali:a seconda dell’età, sono il computer e i
video giochi (nintendo o play station); in un caso il pianoforte e in
un altro la lettura. Alcuni ragazzi non hanno individuato particolari interessi, anche se hanno riferito di giocare al pc come passatempo prevalente. Nell’indagare la percezione del caregiver è stato
chiesto quale fosse stato per loro il momento peggiore: quest’ultimo è stato individuato in 3 momenti: la nascita, la diagnosi o
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la prognosi. Ciò che è maggiormente servito al caregiver per affrontare i momenti iniziali, ma anche successivamente, è stato il
supporto della famiglia, degli amici o del personale della struttura
di riferimento. Il disagio attuale, misurato su una scala da o a 10, è
in tutti i casi, anche quando la qualità di vita appare soddisfacente,
come alto o medio/alto.
Discussione. Alcune peculiarità relative a ragazzi con lesione midollare possono essere così riassunte: Il ruolo dell’ambiente (famiglia, scuola, contesto di vita), che risulta essere determinante per
lo sviluppo del bambino; avere una prospettiva a lungo termine è
fondamentale, per chi si occupa del bambino con lesione spinale;
essere cioè in grado di anticipare e tenere in considerazione le necessità del bambino che diviene adolescente e poi adulto. Tenere
conto dei diversi compiti evolutivi che il bambino deve affrontare
nel corso della sua vita permette, da una parte, di valorizzare aspetti importanti come la famiglia, la scuola, l’ambiente extra-scolastico, l’educazione sentimentale, la sessualità e, nel lungo periodo,
il lavoro; dall’altra di evidenziare le criticità delle diverse fasi di
sviluppo, come la transizione dalla famiglia alla scuola, il passaggio
da un ciclo scolastico a quello successivo, il passaggio dall’infanzia
all’adolescenza.
Conclusioni. La disabilità in età infantile secondaria a lesione spinale acquisita necessita che ci si faccia carico della persona e della
sua famiglia nella sua complessità bio-psico-sociale; In età evolutiva, più di quanto succede per l’adulto, sono fondamentali insieme alla coesistenza di interventi di carattere psicologico, quelli di
carattere pedagogico-educativo e di tipo sociale. Nel momento in
cui si conoscono i bisogni del bambino nelle diverse fasi, diviene
anche più agevole strutturare un progetto di intervento identificando via via le priorità dei diversi ruoli e servizi, al fine di meglio
indirizzare gli interventi e, quando possibile, trasformare i fattori
di rischio in fattori evolutivi e protettivi.
Bibliografia
1.
2.
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161
EVOLUZIONE DELLE CAPACITÀ COGNITIVE
E DELLA DISABILITÀ IN SOGGETTI CON
MALATTIA DI PARKINSON DOPO DIECI ANNI
DI STIMOLAZIONE CEREBRALE PROFONDA
DEL NUCLEO SUBTALAMICO
Valentina Bartolini1, Martina Pigliapoco1, Elisa Andrenelli1,
Riccardo Antonio Ricciuti2, Massimo Scerrati3, Maria
Gabriella Ceravolo1, Marianna Capecci1
Clinica di Neuroriabilitazione, Dip. di Medicina Sperimentale e Clinica, Università Politecnica delle Marche, Ancona, Italia1
Divisione di Neurochirurgia, Ospedali Riuniti di Ancona, Ancona, Italia2
Clinica di Neurochirurgia, Dip. Medicina Sperimentale e Clinica, Universià Politecnica delle Marche, Ancona, Italia3
Introduzione. L’evoluzione delle abilità cognitive in soggetti esposti a Stimolazione Cerebrale Profonda del Nucleo Subtalamico
(STN-STIM) per il trattamento della Malattia di Parkinson (MP),
è un argomento dibattuto in letteratura: le ipotesi riguardo ad un
possibile effetto diretto sulle funzioni cognitive sono controverse e
gli studi con un follow-up a lungo termine sono scarsi. L’obiettivo
primario dello studio è stato quello di valutare l’outcome cognitivo
dei pazienti affetti da MP a 10 anni dall’intervento di STN-STIM,
tramite uno studio osservazionale prospettico. Come obiettivo secondario è stata indagata la relazione tra l’evoluzione delle capacità
cognitive e l’evoluzione della disabilità.
Materiali e metodi. In uno studio prospettico di coorte, con
follow-up a 10 anni, sono stati inclusi soggetti affetti da MP consecutivamente sottoposti, dal 2005, ad intervento di STN-STIM
bilateralmente presso un centro di riferimento regionale di neurochirurgia funzionale. I pazienti sono stati sottoposti ad un protocollo di valutazione, prima dell’intervento ed annualmente dopo
l’impianto, che comprendeva la scala malattia-specifica di monitoraggio clinico globale e selettivo (UPDRS), il bilancio strutturato
delle abilità cognitive, nonché la verifica della finestra terapeutica
dei parametri di stimolazione e della terapia farmacologica antiparkinsoniana. I seguenti test sono stati usati come misure di outcome cognitivo: MiniMental State Exsamination (MMSE), Frontal Assessment Battery (FAB), Test Delle Parole di Rey, Test di
Corsi (CS), Digit span (DS), Matrici colorate progressive di Raven
(RPCP), Matrici Attentive (AM), Trail Making A/B (TMA-B),
Test di Stroop (ST), Test di Weigl (WT), copia di disegni (prassia
costruttiva-CA), Test delle figure sovrapposte (VST-visuospatial
test), fluenza fonemica (PF), fluenza semantica (SF); l’outcome
funzionale è stato valutato mediante UPDRS parte II (ADL).
Risultati. Il campione studiato è composto di 30 soggetti, non
dementi al momento dell’impianto, i quali si caratterizzavano per:
età media 60.0 [SD6.4], anni di malattia 11.8 [SD3.4], scolarità 7.4 [SD 3.9], UPDRS parte II 15.9[SD5.6], LEDD 1055[SD
353]mg. Dopo dieci anni di follow-up, la memoria per materiale
verbale e non verbale è rimasta invariata; si è osservato un peggioramento statisticamente significativo (p<0.1) nelle funzioni esecutive (ST, TMB) e nella fluenza verbale: in particolare, si è osservata
una riduzione del 25% delle parole al test di fluenza semantica e
del 19% al test di fluenza fonemica. Inoltre, dieci pazienti (33%)
hanno presentato un declino cognitivo globale di grado moderatosevero ed hanno raggiunto punteggi al MMSE inferiori a 20/30.
Infine, i punteggi dell’UPDRS parte II hanno subito un’evoluzione significativamente migliorativa nei primi cinque anni di osservazione, per poi tornare lentamente ai valori pre-impianto al
decimo anno di follow-up (p <.0001). L’evoluzione della disabilità
misurata con UPDRS parte II non è apparsa correlata con l’evoluzione delle abilità cognitive (punteggio MMSE).
Conclusioni. Soggetti, non dementi, affetti da MP in fase avanzata ed esposti a neuromodulazione cronica del n. subtalamico
mostrano un rischio di sviluppare demenza a 10 anni sovrapponibile a quello stimato nella popolazione di pazienti con MP con
caratteristiche cliniche analoghe e in trattamento tradizionale. La
compromissione progressiva delle abilità esecutive e, in particolare, della fluenza verbale rappresentano una caratteristica peculiare
del profilo cognitivo di questi soggetti. Il contributo conoscitivo
originale di questa ricerca, nel panorama degli studi sull’efficacia
della STN-STIM cronica, consiste nell’aver studiato nel lungo termine la relazione tra compromissione cognitiva ed autonomia dei
pazienti ed evidenziato un andamento complesso e multimodale
che non permette una relazione lineare tra le due variabili.
Bibliografia
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3.
Alfonso Fasano, Luigi M. Romito, Antonio Daniele, Carla Piano, Massimiliano Zinno, Anna Rita Bentivoglio Alberto Albanese “Motor and cognitive outcome in patients with Parkinson’s disease 8 years after subthalamic implants”,
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Vol. 30 - N. 2/3 - GIORNALE ITALIANO DI MEDICINA RIABILITATIVA - MR
137
44° CONGRESSO NAZIONALE SIMFER
162
KINESIO-TAPING NEL TRATTAMENTO DELLA
LINFOSCLEROSI E DEL DOLORE ALL’ARTO
SUPERIORE DOPO CHIRURGIA ONCOLOGICA
DELLA MAMMELLA
Sofia Cimarelli1, Manuela Marchegiani1, Rachele Segretti1,
Alice Chiarici1, Luca Latini1, Cristina Cameli1, Francesco
Maracci1, Elisa Andrenelli1, Maria Gabriella Ceravolo1,
Marianna Capecci1
Clinica di Neuroriabilitazione, Dip. di Medicina Sperimentale e Clinica, Università Politecnica delle Marche, Ancona, Italia1
Introduzione. La linfosclerosi è una delle complicanze più frequenti e disabilitanti nelle donne sottoposte a linfoadenectomia
ascellare nel corso di interventi di oncochirurgia senologica. Determina dolore locale e limitazione funzionale della spalla, riducendo
l’uso dell’arto e peggiorando la qualità di vita. Il trattamento riabilitativo convenzionale, basato sulla terapia manuale e su esercizi di
stretching, è indicato per favorire il recupero. I tempi della presa in
carico riabilitativa fanno i conti con l’elevata incidenza della malattia di base e delle complicanze iatrogene. L’obiettivo del lavoro è
dimostrare, tramite uno studio randomizzato-controllato, l’efficacia del taping nel trattamento della linfosclerosi ascellare rispetto
alla sola terapia manuale convenzionale.
Materiali e metodi. Sono state selezionate per lo studio 40 pazienti (51,7 anni di età media) consecutivamente afferite all’ambulatorio fisiatrico della Clinica di Neuroriabilitazione dedicato
alla “Breast Unit” degli Ospedali Riuniti di Ancona dal Gennaio al
Giugno 2015, ad un mese di distanza dall’intervento di oncochirurgia per carcinoma mammario (quadrantectomia: 30, dissezione
ascellare: 2, mastectomia: 8). I criteri di inclusione erano: presenza
di almeno una complicanza del sistema linfatico (linfosclerosi, sdr
Mondor, linfedema) ad 1 mese dall’intervento, età inferiore a 70
anni, asportazione di almeno un linfonodo ascellare. Le pazienti sono state randomizzate in due gruppi di egual numero (20):
al gruppo sperimentale veniva applicato un TAPE (T), mentre al
gruppo di controllo (CT) veniva proposto un trattamento riabilitativo manuale/chinesiterapia. La pazienti del gruppo T ricevevano in maniera randomizzata un kinesiotaping (Tk) (10 casi) o un
taping ipoelastico (Tt) (10 casi), entrambi applicati in modalità
drenante sull’arto affetto, al momento del riscontro della complicanza, a 1 mese dall’intervento. Il taping veniva sostituito a 5-7
giorni di distanza e, alla rimozione dopo due applicazioni, veniva
proposto trattamento manuale in caso di non completa risoluzione
del disturbo o in caso concomitassero altre complicanze; la scelta
del tape era casuale. Le pazienti CT venivano inserite in lista d’attesa per eseguire rieducazione funzionale della spalla e trattamento
manuale della linfosclerosi. La valutazione dell’ outcome è stata
effettuata mediante la misura delle seguenti variabili cliniche e gestionali: ROM della spalla in elevazione, abduzione intra/extra-rotazione, dolore (NRS) all’arto superiore, circonferenza braccio ed
avambraccio, l’intervallo di tempo trascorso prima del trattamento
e numero di sedute totali per la risoluzione degli obiettivi clinici.
Tra le variabili esplicative sono state considerate la complessità delle complicanze (linfosclerosi isolata (LS) o linfosclerosi associata a
aderenze cicatriziali, dolore, limitazione funzionale, problematiche legate all’intervento di ricostruzione (LS+)), tipo di intervento
chirurgico, età. La valutazione è stata condotta a T0= 30 giorni
dall’intervento e T1= fine trattamento.
Risultati. Non si evidenziano differenze tra gruppi al T0, per le misure di outcome e l’età. Il ROM in elevazione della spalla migliora
al T1 significativamente (F=67.3; p<.0001) in tutti i soggetti senza
differenze tra gruppi/sottogruppi, così come il ROM in abduzione
138
(F=46.5; p<.0001) ed extra-rotazione (F=10.8; p=.002), il dolore
(NRS) al movimento (F=54.5; p<.0001) e la differenza di circonferenza tra braccio lato operato/controlaterale (F=9,2; p=.004).
L’avvio al trattamento riabilitativo avviene in media a 29 giorni
dall’intervento per il gruppo T e 44 per il gruppo CT (F=46.5;
p<.0001). La durata del trattamento consiste in 7 sedute in media
per il gruppo T (2 per applicare il taping e 5 di terapia manuale) e
13 per il gruppo CT (F=13.5; p<.0001). Il numero di sedute è più
elevato nei soggetti LS+ (F=18.6; p<.0001), indipendentemente
dal trattamento/età. La tipologia di taping influenza la durata del
trattamento: inferiore nel sottogruppo Tk (5,5 sedute) rispetto al
Tt (8 sedute)(p=.01). Solo in un caso si è osservata intolleranza
cutanea al taping (gr Tk).
Conclusioni. Il taping drenante risulta uno strumento pratico ed
efficace di supporto alla riabilitazione manuale nel trattamento di
alcune precoci complicanze linfatiche del trattamento chirurgico
del tumore mammario: ha contribuito ad ottimizzare i tempi di
presa in carico riabilitativa e ridurre il numero di sedute di trattamento per raggiungere il miglior outcome funzionale. In particolare, il kinesiotaping, rispetto all’applicazione del tape ipoelastico, è
risultato il supporto più efficiente a parità di risultati clinici.
Bibliografia
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2.
Martins Jde C, Aguiar SS, Fabro EA, Costa RM, Lemos TV, de Sá VG, de
Abreu RM, Andrade MF, Thuler LC, Bergmann A. Safety and tolerability of
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Taradaj J, Halski T, Rosinczuk J, Dymarek R, Laurowski A, Smykla A. The
influence of Kinesiology Taping on the volume of lymphoedema and manual
dexterity of the upper limb in women after breast cancer treatment. Eur J Cancer Care (Engl). 2015 May 12. doi: 10.1111/ecc.12331
163
ELABORAZIONE DI UN TRATTAMENTO
INTENSIVO INDIVIDUALE DI
STABILIZZAZIONE VERTEBRALE (CORE
STABILITY ) PER I PAZIENTI LOMBALGICI
CRONICI
Mauro Casaleggio1, Giorgio Zanasi2, Andrea Casaleggio3
ASL3, Polo Riabilitativo Levante, Genova, Italia1
ASL3, Polo Riabilitativo Levante - Università di Genova, Genova, Italia2
ASL3, Polo Riabilitativo Levante-Università di Genova, Genova, Italia3
L’atteggiamento più frequente che si riscontra nei pazienti affetti da
lombalgia cronica nei confronti della fisioterapia è quello di un approccio di tipo “passivo”,ovvero la tendenza a curarsi esclusivamente
in presenza del riabilitatore, sia in ambito ospedaliero che ambulatoriale, ma senza la disponibilità necessaria ad eseguire a casa esercizi
o mettere in pratica i consigli dati sulla gestione quotidiana della
propria colonna vertebrale. Questo è un problema che coinvolge in
modo diretto gli operatori della riabilitazione perchè risulta evidente
da tutta la pubblicistica,che questi pazienti non necessitano di una
“cura Miracolosa”, ma dovrebbero ricercare un attento e progressivo recupero delle principali funzioni della “buona regolazione”
dell’apparato locomotore e della colonna vertebrale in particolare.
In quest’ottica abbiamo cercato di realizzare un programma di esercizi che cerchi di ottenere il massimo risultato con il minimo sforzo quotidiano da parte del paziente. Partendo dagli studi del Dott.
Pavel Kolar di Praga integrati dai lavori del Prof. Lewit ,del Dott.
Cuzzolin e del Dott. Brugger abbiamo focalizzato la nostra attenzione sul recupero della corretta stabilità automatica del tronco ed in
particolare sul contributo dato dal diaframma. Questo ,infatti, deve
attivarsi in modo preciso e continuativo durante sia la postura eretta
che durante la locomozione.
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164
DATI DI INCIDENZA ED OUTCOME DI
PAZIENTI PORTATORI DI GERMI MDR IN UN
REPARTO DI RIABILITAZIONE INTENSIVA
Maurizio Massucci1, Antonello Nocella2, Giuliana Orecchini2
UOC Riabilitazione Intensiva Ospedaliera - USL Umbria1, Ospedale Passignano
sul Trasimeno (PG), Italia1
UOC Riabilitazione Intensiva Ospedaliera - USL Umbria1, Ospedale Passignano
sul Trasimeno (PG) , Italia2
Introduzione. I germi multiresistenti agli antibiotici (MDR) sono
in grado di causare le stesse infezioni sostenute da germi antibiotico
sensibili. Essi possono colonizzare l’ospite senza causarne un’infezione conclamata e non richiedendo di norma trattamento specifico. In
un report recente National Healthcare Safety Network of the CDC,
il 17,8% ospedali dedicati a cure a lungo termine dichiarano una o piu
infezioni dovute alle entrobacteriaceae resistenti ai carbapenemi. Le
“KPC-positive K pneumoniae” si sono diffuse rapidamente in Italia con
un incremento della resistenza ai carbapenemi pari al 30% nel 2011 in
Italia, come descritto dall’ EARS-Net sistema di sorveglianza per le batteriemie isolate. Il numero crescente negli ultimi anni di questi pazienti
ricoverati in reparti di riabilitazione e la necessità di attuare per loro procedure di isolamento da contatto costituisce un importante problema
organizzativo. Scopo dello studio è analizzare la casistica di un reparto
di riabilitazione intensiva per valutare l’incidenza dei pazienti portatori
di germi MDR ed il loro outcome funzionale.
Materiali e metodi. È stato effettuato uno studio osservazionale retrospettivo nella UO “Centro Ospedaliero di Riabilitazione Intensiva
(C.O.R.I.)” di Passignano sul Trasimeno (USL Umbria 1). Sono stati
ricercati i pazienti con germi multiresistenti ricoverati in regime di degenza ordinaria dal 1/01/2015 al 31/12/2015 valutandone la frequenza
rispetto al totale dei ricoverati e confrontando l’andamento di alcuni
indicatori di esito e processo rispetto a quelli dei pazienti non portatori
di germi MDR.
Risultati. Dei 326 pazienti ricoverati in riabilitazione intensiva in
regime di degenza ordinaria dal 1/01/2015 al 31/12/2015, 178 sono
stati sottoposti ad esami colturali su campioni biologici. Le colture
sono state fatte di routine all’ingresso in reparto in pazienti portatori di catetere vescicale a permanenza (urinocolture) e cannula
tracheostomica (tracheoaspirato). Per pazienti con storia di pregressa
contaminazione con germi MDR nel precedente ricovero in reparto
per acuti, è stato eseguito tampone rettale. Sono risultati positivi a
germi MDR 14 casi su 178 (7,86%). Nello specifico, sono risultati
positivi: 7 pazienti per Kl pneumoniae, 3 per Acinetobacter baumanii, 2 per Clostridium difficilis, 1 per Enterococco VRE e 1 per
MRSA. Per tali pazienti sono state adottate procedure di isolamento
da contatto e percorsi riabilitativi dedicati all’interno del reparto.
È stato inoltre effettuato un confronto statistico tra il gruppo dei
pazienti portatori di germi MDR (casi) ed il resto dei pazienti ricoverati (controlli) per: durata degenza, FIM ingresso e FIM dimissione, FIM gain. I risultati sono stati, rispettivamente per i casi ed i
controlli, i seguenti:
• Età, anni: 74,64±11,82 vs. 69,55±13,68, N.S.
• Durata degenza: 47,14±13,36 vs. 32,67±21,07, p<0,0007
• FIM ingresso: 46,78±19,69 vs. 69,28±21,70, p<0,0003
• FIM dimissione: 58,85±23,66 vs. 89,61±20,81, p<0,0001
• FIM gain: 12,07±7,79 vs. 20,33±13,25, p<0,01
Conclusioni. L’incidenza di casi di portatori di germi MDR è stata
del 7,86%, inferiore a quella espressa da letteratura confrontabile per
casistica. I pazienti portatori di germi MDR rimangono più a lungo
ricoverati, sono funzionalmente più gravi all’ingresso e recuperano
di meno al termine della riabilitazione. Può essere tuttavia possibile
che, per rispettare le procedure di isolamento da contatto, i pazienti
non abbiano potuto beneficiare di programmi di riabilitazione di
uguale intensità rispetto agli altri pazienti ricoverati. Sono necessarie
procedure specifiche per i reparti di riabilitazione per ottimizzare
i programmi riabilitativi pur garantendo l’isolamento da contatto.
Bibliografia
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Munoz-Price et al. Clinical epidemiology of the global expansion of Klebsiella
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Fondazione Santa Lucia di Roma. Roma: Istituto Superiore di Sanità; 2007.
(Rapporti ISTISAN 07/54).
165
TELECONSULTO E GESTIONE DELLA
COMPLESSITÀ DEL PAZIENTE POST ICTUS
CEREBRI IN MEDICINA RIABILITATIVA
Franco Molteni1, Marina Gaffuri1, Maurizio Lanfranchi1,
Maurizio Cazzaniga1, Giulio Gasperini1, Mario Guidotti2,
Nicoletta Checcarelli2
Ospedale Valduce, Centro di Riabilitazione Villa Beretta, Costa Masnaga, Italia1
Ospedale Valduce, Stroke Unit, Como, Italia2
Introduzione. La Medicina Riabilitativa si trova ad affrontare
quotidianamente problemi a complessità crescente nella gestione
del percorso del paziente post stroke dall’acuzie alla riabilitazione
intensiva. Si richiede efficienza ed efficacia di intervento, qualità
del processo strettamente legate a timing di interazione clinica e
competenze che si mettono in campo. L’ICT ha radicalmente modificato le possibilità di generare interazione video di alta qualità
e la gestione a distanza delle telecamere[1] [2]. Contestualmente
è possibile che i contenuti video vengano in real-time interfacciati
con immagini radiologiche, ECG, cartella elettronica. Il Centro di
Riabilitazione Ospedale Valduce Villa Beretta di Costa Masnaga
ha introdotto il teleconsulto per la gestione del percorso del paziente post Ictus Cerebri della Stroke Unit presso la sede Ospedale
Valduce di Como.
Materiali e metodi. In 50 pazienti post stroke si è utilizzato il sistema InTouch AbMedica , sistema certificato per diagnosi a distanza,
che ha consentito con le infrastrutture Internet - WiFi- ADSL già
presenti nelle strutture ospedaliere di generare una interazione diretta fra Neurologo e Fisiatra real-time con collegiale decisione in
merito ad opportunità e tempi di trasferimento del paziente
Risultati. Obiettivi realizzati sono stati: 1) riduzione di almeno 12
ore del tempo intercorrente fra richiesta di visita a parere da parte del Neurologo e valutazione Fisiatrica; 2) riduzione di almeno 1
giorno del tempo intercorrente fra valutazione Fisiatrica e trasferimento dalla Stroke Unit al centro di Riabilitazione. Collateralmente si è rilevata sostanziale assenza di trasferimenti di pazienti con
problemi di instabilità clinica non concordata circa le modalità di
gestione nel post acuzie. Inoltre è iniziata una attività di consulenza
a distanza dall’Ospedale Valduce Como verso centro di Riabilitazione Villa Beretta di specialisti quali Neurologo, Nutrizionista, Vulnologo, Infettivologo precedentemente operativi con la tradizionale
presenza in loco.
Conclusioni. Il miglioramento dell’efficienza di processo è stato
quindi ottenuto con una significativa ottimizzazione dell’utilizzo
delle risorse cliniche con ricadute positive sia sulla tempestività di
inizio del processo riabilitativo complesso intensivo, sia di liberazione di risorse della Stroke Unit per affrontare la richiesta di presa in
carico dei pazienti nella fase di emergenza/urgenza dell’ictus cerebri,
che di utilizzo delle competenze interdisciplinari.
Bibliografia
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139
44° CONGRESSO NAZIONALE SIMFER
166
167
LA VALUTAZIONE POSTURALE CON
SPINOMETRIA:NOSTRE ESPERIENZE
CLINICHE
FREQUENZA E FATTORI PREDITTIVI DI
CADUTA IN SOGGETTI CON MALATTIA DI
PARKINSON
Giancarlo Pancucci1, Alfredo Zambuto1
Lorenzo Latini1, Francesco Maracci1, Elisa Andrenelli1, Maria
Gabriella Ceravolo1, Marianna Capecci1
UOC Medicina Fisica e Riabilitativa, PO San Giovanni di Dio - Dipartimento
di Riabilitazione e Cure intermedie, Agrigento, Italia1
Introduzione. La Spinometria è una rilevazione ottica tridimensionale non invasiva, sia in statica che in dinamica, dell’intera
colonna vertebrale e del bacino. L‘Esame Spinometrico effettua
un’acquisizione volumetrica, tramite 10.000 punti di misura, basandosi sul principio di funzionamento della video-raster-stereografia, che consente di rilevare anche piccole variazione morfologiche corporee, annullando l’errore umano di posizionamento dei
markers e l’errore di rilevazione dovuto allo spostamento della cute
durante movimenti corporei. La Spinometria costruisce un modello tridimensionale morfologico dell’intera colonna vertebrale e
della posizione del bacino, visualizzabile nelle diverse angolazioni,
calcolando automaticamente, quale referto dell’analisi numerosi
parametri:
• lunghezza tronco e posizionamento degli apici dorsale e lombare e dei punti di inversione cervico-dorsale, dorso-lombare
e lombo-sacrale
• flessione antero-posteriore e laterale del tronco
• deviazione laterale (valori massimi e media quadratica)
• gradi di rotazione vertebrale (valori per sezione, massimi e
media quadratica)
• inclinazione pelvica e antero-retroversione del bacino e dei
due emibacini angoli lordotici e cifotici, freccia cervicale e
lombare.
Materiali e metodi. Dal giugno del 2009 ad oggi, abbiamo trattato 419 pazienti di età compresa tra 6 e 72 anni, ambisesso, affetti
da scoliosi idiopatica ed acquisita, dismetria agli arti inferiori, cervicalgia, dorsalgia e lombalgia. I pazienti hanno effettuato preventivamente una radiografia del rachide in toto in ortostatismo con
calcolo dell’angolo di Cobb e della dismetria agli arti inferiori.
Sono stati sottoposti ad un esame clinico con valutazione funzionale sia posturale che antropometrica e hanno quindi effettuato
un esame spinometrico, coadiuvato da un esame baropodometrico
con stabilometria e podoscanalyzer.
Risultati. Lo studio è attualmente ancora in itinere, con dati in
continuo aggiornamento per le verifiche semestrali sui pazienti,
specialmente coloro i quali hanno avuto una prescrizione per corsetto ortopedico o plantari ma possiamo già affermare che, dai risultati preliminari ottenuti, la spinometria può essere considerata
un valido strumento di integrazione alla metodica tradizionale di
valutazione posturale.
Conclusioni. L’esame spinometrico, permettendo una corretta definizione dell’assetto posturale globale, verifica in maniera obiettiva se la terapia fisiatrica risulti efficace non solo da un punto di
vista antalgico ed antiinfiammatorio, ma anche sulla correzione
dei paramorfismi e dei dimorfismi a tutte le età.
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140
Clinica di Neuroriabilitazione, Dip. di Medicina Sperimentale e Clinica, Università Politecnica delle Marche, Ancona, Italia1
Introduzione. I disturbi del cammino, del controllo dell’equilibrio
e un elevato rischio di cadute sono disturbi ricorrenti nella Malattia
di Parkinson (MP). L’epidemiologia ed i fattori predittivi di cadute
sono, tuttavia, poco noti e molto discussi. Gli obiettivi di questo
studio osservazionale trasversale controllato sono definire il rischio e
identificare i fattori clinici associati alle cadute nella MP.
Materiali e metodi. 40 soggetti con MP Idiopatica (70.2±7.1 anni;
F =17) e 40 soggetti, appaiati per età e sesso, esenti da malattie neurologiche (69.8±7.2 anni, F=18) sono stati sottoposti ad un protocollo
di valutazione mutidimensionale comprensivo di: indagine anamnestica, comprensiva di questionari autosomministrati sulla ricorrenza
di cadute, nonché di Activities specific Balance Confidence (ABC),
Falls Efficacy Scale (FES) , analisi dei disturbi dell’umore e cognitivi
(Beck Depression Inventory (BDI); Beck Anxiety Inventory (BAI);
esame clinico neurologico e generale (comprensivo di misura della
PA in ortostatismo e clinostatismo e del Body Mass Index-BMI),
analisi quantitativa di cammino ed equilibrio (Self-paced velocity
(10 meter walking test - 10MWT); Timed up and go test (TUG);
Tandem Walking (10 passi) (TW); valutazione delle competenze
cognitive: Clinical Dementia Rating Scale (CDR); Frontal Assessment Battery (FAB);Montreal Cognitive Assessment (MoCA)). Ai
soggetti MP venivano somministrati anche test malattia-specifici:
Unified Parkinson Disease Rating Scale (UPDRS); Freezing of gait
questionnaire (FOGQ) e PD-QoL Questionnaire-8 (PDQ-8).
Risultati. Il 52,5% dei pazienti MP riferiva almeno un episodio di
caduta nell’ultimo anno (la frequenza cresce dal 27.8%, al 53.8%,
all’88.9% nei sottogruppi rispettivamente in stadio II, III e IV di
Hoehn &Yahr - Chi2: 7.44 p:.02 ). Solo il 15% dei soggetti sani
riferiva almeno una caduta (chi2 =12.6, p.004). L’Odds ratio del
rischio di caduta nei soggetti MP è pari a 6.2 (95% limiti di confidenza : 2,15 – 18,2). I soggetti (MP + controlli) caduti (FALLERS),
rispetto ai NONFALLERS, hanno una maggiore paura di cadere
(chi2:20.0 ; p=.0002), un ΔPAS inferiore (t= -2.5, p = .01), un
10MTW peggiore (t= -2.3, p = .02), un punteggio minore alla scala
ABC (t= 2.6, p = .01) e un profilo cognitivo peggiore ( FAB (t= 2.7,
p = .008), CDR (t= - 2.98, p = .004), MOCA (t= 2.6, p = .009)). I
soggetti MP differiscono dai controlli esclusivamente per aumentata
ricorrenza di ipotensione ortostatica (t= 4.4 ; p:.03) e lentezza della
deambulazione (TUG: t=2.1, p=.04; 10MWT: t= 3.98, p=.0002).
I predittori indipendenti del rischio di caduta nei soggetti MP sono
le prestazioni al 10mwt (F to remove: 10.75), al FOG (F to remove:
31.64), al BAI (F to remove: 9.52) e al CDR (F to remove: 26.14)
(Adj R2: 73%; F = 13.2; p = .0001).
Conclusioni. Le cadute nella MP sono frequenti più che nella popolazione generale, dipendono dalla progressione di malattia, potendo, tuttavia, ricorrere anche in fase iniziale, e sono associate ad un
peggioramento delle disabilità. I sintomi motori e non-motori (sia
autonomici che cognitivi) rappresentano fattori predittivi di caduta.
Bibliografia
1.
2.
3.
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Vol. 30 - N. 2/3 - GIORNALE ITALIANO DI MEDICINA RIABILITATIVA - MR
44° CONGRESSO NAZIONALE SIMFER
168
EFFETTO DELLA STIMOLAZIONE
TRANSCRANICA A CORRENTE DIRETTA SUL
FREEZING DELLA MARCIA IN SOGGETTI CON
MALATTIA DI PARKINSON
3.
Francesco Maracci1, Elisa Andrenellli1, Chiara Orni1, Maria
Gabriella Ceravolo1, Marianna Capecci1
169
Clinica di Neuroriabilitazione, Dip. di Medicina Sperimentale e Clinica, Università Politecnica delle Marche, Ancona, Italia1
Introduzione. Metodiche di stimolazione transcranica non invasiva si stanno diffondendo in riabilitazione per l’efficacia dimostrata
nel modulare l’attività cerebrale corticale, cosa che permette di facilitare il movimento e supportare l’apprendimento esercizio-dipendente e promuovere le funzioni cognitive. Tra di esse la stimolazione transcranica a corrente diretta (transcranial Direct Current
Stimulation - tDCS) è sicura facile da applicare e poco costosa:
nella Malattia di Parkinson (MP) si è dimostrata possibilmente
efficace nel migliorare i sintomi segmentari (bradicinesia e rigidità)
se erogata sulle cortecce motorie primarie e le funzioni esecutive
se applicata sulla corteccia frontale dorsolaterale (CFDL). Tuttavia
non ci sono evidenze in merito all’effetto su un sintomo assiale
frequente, invalidante e resistente a terapie farmacologiche e chirurgiche nella MP: il Freezing della Marcia (Fr). Scopo di questo
studio è osservare l’effetto, motorio (in particolare su Fr) e cognitivo, di una singola seduta di stimolazione transcranica a corrente
diretta (tDCS) condotta bilateralmente sulla CFDL e sulla corteccia parietale posteriore (CPP) di soggetti con MP, mediante un
protocollo cross-over che prevede il controllo sham (stimolazione
placebo).
Materiali e metodi. 10 pazienti con MP idiopatica (Probabile sec
i criteri di Gelb) non dementi (età media: 67.6±8.3; 4 donne; durata di malattia: 14.5±5.2; Hoehn & Yahr = 4; LEDD 971±529
mg; UPDRS II: 16.6±6.1; FOG=15.6±5.1;FAB:12.7±3.1) sono
stati sottoposti a tre sedute di stimolazione di tDCS anodica a
2mA della durata di 20 minuti ciascuna e distanziate l’una dall’altra di un mese. Ogni seduta prevedeva la stimolazione di un’unica
area corticale bilateralmente (CFDL, CPP, o stimolazione “sham”
(placebo) su CFDL), randomizzando l’ordine delle procedure di
stimolazione. Sono state utilizzate a T0 (pre-stimolazione) e a T1
(post-stimolazione) misure di outcome motorio(UPDRS parte III,
TUG Test semplice e con doppio compito motorio (MTUG) e
cognitivo (CTUG), tempo totale di freezing) e misure di outcome
cognitivo (Span di Corsi, Digit Span Forward e Backward, Fluenza
Verbale Fonologica e Semantica, Stroop Test).
Risultati. Dopo stimolazione della CFDL è stato riscontrato un
significativo miglioramento del punteggio UPDRS III (Z=-2.1;
p=.03) e del tempo di esecuzione (Z=-2.6; p=.007) ed una riduzione del numero di errori nello Stroop test (Z=-2.0; p=.04). La stimolazione della CPP induceva un significativo miglioramento dei
tempi di esecuzione del MTUG Test (Z=-2.5; p=.01) e del tempo
di freezing (Z=-2.1; p=.03). La sessione sham non si associava ad
alcuna variazione apprezzabile delle misure di outcome.
Conclusioni. I risultati suggeriscono la possibilità che la tDCS
CPP bilaterale riduca il sintomo freezing nella MdP e che quella
sulla CFDL migliori l’attenzione. I risultati ottenuti sono in linea
con le evidenze scientifiche in merito ad un coinvolgimento della
CPP nella genesi del Fr.
Bibliografia
1.
2.
Valentino F, Cosentino G, Brighina F, Pozzi NG, Sandrini G, Fierro B, Savettieri G, D’Amelio M, Pacchetti C. Transcranial direct current stimulation for treatment of freezing of gait: a cross-over study. Mov Disord. 2014
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CONTROLLO ASSIALE E CADUTE IN
SOGGETTI CON MALATTIA DI PARKINSON
DOPO STIMOLAZIONE SUBTALAMICA
BILATERALE: STUDIO LONGITUDINALE
STRUMENTALE CON FOLLOW-UP A 4 ANNI
Renato Rossi1, Federica Giacomini1, Anna Maria Monsù1,
Elisa Andrenelli1, Riccardo Antonio Ricciuti2, Massimo
Scerrati3, Maria Gabriella Ceravolo1, Marianna Capecci1
Clinica di Neuroriabilitazione, Dip. di Medicina Sperimentale e Clinica, Università Politecnica delle Marche, Ancona, Italia1
Divisione di Neurochirurgia, Az. Ospedaliero-Universitaria Ospedali Riuniti di
Ancona, Ancona, Italia2
Clinica di Neurochirurgia, Dip. di Medicina Sperimentale e Clinica, Università
Politecnica delle Marche, Ancona, Italia3
Introduzione. I disturbi del controllo assiale sono patognomonici
della Malattia di Parkinson (MP) e ne caratterizzano l’evoluzione
della disabilità. Essi sono scarsamente responsivi alla terapia dopaminergica mentre l’effetto della deep-brain stimulation a livello subtalamico (DBS–STN) è ancora un argomento ampiamente dibattuto.
L’obiettivo dello studio è valutare l’evoluzione delle misure cliniche
e strumentali posturografiche relative al controllo posturale e alle
cadute prima e dopo l’impianto bilaterale di elettrodi per la DBSSTN e valutare i fattori predittivi di cadute. Soggetti. 26 pazienti affetti da Malattia di Parkinson sottoposti ad impianto di Deep Brain
Stimulation (DBS) a livello del nucleo subtalamico presso la clinica
di Neurochirurgia dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Ospedali
Riuniti di Ancona in base ai criteri di inclusione secondo protocollo
di valutazione internazionale (CAPSIT del 1999) e aventi 4 anni di
follow-up clinico al dicembre 2015
Materiali e metodi. Studio longitudinale osservazionale. Valutazione condotta in assenza di terapia farmacologica, dopo l’intervento con stimolatore acceso: clinica mediante UPDRS e strumentale
mediante analisi posturografica statica e dinamica ad occhi aperti
e chiusi (OA ed OC) (sistema SATEL (Blagnac, France)). Misure
di esito: punteggio totale della UPDRS parte II, III e parziale degli items per cadute, instabilità posturale, cammino e freezing della
marcia; Area e velocità media di spostamento del Centro di Pressione (CdP) per ogni prova. Tempi di valutazione. Tpre= valutazione
pre-impianto DBS-STN, T3m= 3 mesi dall’impianto, T1= un anno
dall’impianto, T2= due anni dall’impianto, T3= tre anni dall’impianto, T4= quattro anni dall’impianto.
Risultati. Prima dell’intervento il 36% dei soggetti cade. Dopo l’intervento i soggetti presentano, rispetto al Tpre, un miglioramento
di circa il 40% della UPDRS III stabile nel tempo (p=.0001). Il
punteggio alla UPDRS II si riduce del 25% ad 1 anno, del 10% a
4 anni Il cammino, l’equilibrio, il disturbo del freezing migliorano
nel primo anno per tendere alla condizione pre-intervento a 4 anni
(p<.001). Le cadute si riducono nel primo anno (n.s.). L’area e la
vel. media di spostamento del CdP migliorano dopo l’intervento
nel primo anno significativamente (p=.01) per poi tornare ai valori
preintervento fino al 4 anno. All’analisi univariata, i fattori che correlano con le cadute nella fase pre-intervento sono: UPDRS III, età,
durata malattia, vel. media CP OA in dinamica. Dopo l’intervento:
UPDRS III.
Conclusioni. Nella storia clinica dei pazienti affetti da MdP, le cadute rimangono un rischio frequente e non modificabile mediante
Vol. 30 - N. 2/3 - GIORNALE ITALIANO DI MEDICINA RIABILITATIVA - MR
141
44° CONGRESSO NAZIONALE SIMFER
la terapia farmacologica o chirurgica. Nonostante un globale e stabile miglioramento dei sintomi motori segmentali ed assiali a 4 anni,
le cadute si ripresentano nel tempo. La posturografia statica non è
predittiva di cadute, pur essendo in grado di misurare i cambiamenti
nell’evoluzione del controllo assiale. La posturografia dinamica potrebbe altresì fornire indicazioni utili. Uno studio controllato potrebbe essere utile a confermare questa ipotesi.
Bibliografia
1.
Collomb-Clerc A., Welter M.L. Neurophysiologie Clinique/Clinical Neurophysiology 2015;45:371-388.
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3.
170
LA VALUTAZIONE FUNZIONALE E LA
PRESCRIZIONE DELL’ATTIVITÀ FISICA
NELL’ANZIANO
Lisa Berti1, Daniela Platano1, Silvia Muscari1, Laura Di
Gianni1, Cecilia Sedioli1, Giada Lullini1
Istituto Ortopedico Rizzoli, Università di Bologna, Bologna, Italia1
Introduzione. Con l’invecchiamento della popolazione le problematiche cliniche e riabilitative degli anziani rappresentano un
preponderante aspetto sanitario e socio-economico. L’attività fisica
rappresenta per questa parte della popolazione un elemento di prima medicina con ripercussioni terapeutiche e preventive. Per la definizione del progetto riabilitativo le precise condizioni in cui questa attività fisica si esplica sono fondamentali nel condizionarne gli
effetti. La giusta dose di attività fisica (75 minuti/settimana secondo le linee guida OMS) è associata ad una sostanziale riduzione del
rischio cardio-vascolare e di tutte le cause di mortalità, comprese
quelle tumorali, con positive ripercussioni anche sul rischio di
osteoartrosi, disabilità ed insufficienza respiratoria. L’attività fisica
in carico dimostra un riconosciuto effetto sulla riduzione del rischio di osteoporosi e di sarcopenia. Nella prescrizione dell’attività
fisica, è necessario definire tutte le condizioni in cui queste si esplica per agire in sicurezza: dal momento che il piede riceve elevate
sollecitazioni durante l’esercizio con il rischio di sovraccarico, va
protetto con la scelta delle calzature adeguate. La riduzione della
mobilità articolare con l’invecchiamento ha sicuramente un ruolo
chiave in questo processo di sovraccarico correlato all’attività fisica. Alcuni studi hanno mostrato i vantaggi nell’utilizzare calzature
biomeccaniche con suola semirigida in pazienti condizionati da
una limitata escursione articolare (Brown et al., Forghany et al.).
Lo scopo di questo studio è di paragonare i dati della gait analysis e
della baropodometria di soggetti anziani attivi con scarpe biomeccaniche a suola semirigida e con calzature normali.
Materiali e metodi. Sono stati valutati 10 soggetti anziani (5 maschi, 5 femmine, età media 71 ± 5) praticanti attività fisica di cammino con deficit di articolarità del complesso tibio-tarsica piede.
I pazienti sono stati esaminati durante il cammino alla propria
velocità normale con un minimo di tre ripetizioni. Gli interi cicli di cammino sono stati registrati lungo un percorso di 15 m,
mentre indossavano scarpe normali e poi mentre indossavano le
scarpe biomeccaniche (Activity, Podartis, Treviso, Italy). L’analisi
del cammino è stata eseguita utilizzando un sistema stereofotogrammetrico con 8 telecamere (Vicon 612, Vicon Motion Capture, Oxford, UK), due piattaforme dinamometriche (Kistler Instrument; Einterthur, Switzerland) ed un protocollo standardizzato
(Leardini et al. 2007). I dati pedobarografici sono stati ottenuti
usando il sistema Pedar® (Novel GmbH, Munich, Germany).
Risultati. Riguardo i parametri spazio-temporali della gait analysis,
sono stati osservati dei miglioramenti con l’utilizzo delle scarpe
biomeccaniche: un aumento della velocità media da 108 ± 9 cm/s
con le scarpe normali a 119 ± 10 cm/s con le scarpe semirigide,
142
un aumento della cadenza media da 55 ± 6 a 59 ± 6 passi/min ed
un lieve aumento della lunghezza del passo da 118 ± 11 cm a 121
± 12 cm. Per quanto riguarda i dati cinematici è stato riscontrato
un leggero aumento dell’escursione articolare media della caviglia
sul piano sagittale da 17° ± 5 con le scarpe normali a 23° ± 6 con
le scarpe biomeccaniche. I dati provenienti dall’analisi pedobarografica hanno mostrato una riduzione del picco di pressione dell’avampiede da 510 ± 98 Kpa con le scarpe normali a 290 ± 39 KPa
con le scarpe biomeccaniche. La superficie di appoggio del piede
risulta essere aumentata da 117 ± 10 cm2 con scarpe normali a 124
± 15 cm2 con scarpe biomeccaniche.
Conclusioni. Per ciascun soggetto anziano che svolga attività fisica
occorre scegliere in maniera personalizzata la calzatura più adatta in considerazione del rischio di sovraccarico. Per gli individui
con ridotta mobilità articolare può essere indicata l’attività fisica adottando una scarpa biomeccanica con suola semirigida che,
supportando i rotolamenti del ciclo del passo, determina minori
sollecitazioni a livello articolare ed evidenzia una migliore distribuzione delle pressioni plantari. Il miglioramento delle abilità del
cammino comportano una maggiore stabilità con probabile riduzione del rischio di caduta, una delle principali cause di disabilità
nell’anziano.
Bibliografia
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171
CAMBIAMENTI DEL PATTERN
NEUROMUSCOLARE DEGLI ARTI
INFERIORI INDOTTI DALL’UTILIZZO
DI UN ESOSCHELETRO ROBOTIZZATO
INDOSSABILE IN SOGGETTI EMIPARETICI IN
ESITI DI STROKE
Franco Molteni1, Giulio Gasperini1, Marina Gaffuri1, Maria
Colombo1, Chiara Giovanzana1, Nico Farina1, Chiara
Lorenzon1, Stefano Scarano1, Giovanni Cannaviello1,
Eleonora Guanziroli1
Ospedale Valduce, Centro di Riabilitazione Villa Beretta, Costa Masnaga, Italia1
Introduzione. L’intensità e il timing di reclutamento dei muscoli
degli arti inferiori, analizzabile dinamicamente con elettromiografia di superficie (sEMG), sono compromessi in pazienti post stroke, con conseguente incapacità di coordinazione inter-segmentaria
degli arti inferiori necessaria per generare una fisiologica deambulazione. L’utilizzo di esoscheletri robotizzati per il training overground per il recupero della capacità di cammino post stroke è
una procedura riabilitativa di recente introduzione. La definizione
del pattern sEMG spontaneo di deambulazione del paziente e dei
parametri di regolazione del ciclo del passo dell’esoscheletro indossabile sono nodi cruciali per l’ottimizzazione dell’interazione paziente-esoscheletro e sono essenziali per ottimizzare l’efficacia del
trattamento. Scopo del lavoro: valutazione dei cambiamenti indotti dall’uso di un esoscheletro robotizzato indossabile (EksoTM) sul
pattern neuromuscolare degli arti inferiori in soggetti emiparetici
in esiti di stroke sia in fase acuta che cronica.
Materiali e metodi. Sono stati reclutati 51 pazienti con stroke, 25
acuti (distanza dall’evento acuto < 6 mesi) e 26 cronici (distanza
dall’evento acuto > 6 mesi). Le lesioni cerebrali di ciascun paziente
sono state classificate usando lo Oxfordshire Community Stroke
Project (OCSP). È stata registrata la sEMG dei muscoli retto femorale, semimuscoli, tibiale anteriore e soleo dell’arto inferiore
destro e sinistro in due diverse condizioni: a) cammino spontaneo
Vol. 30 - N. 2/3 - GIORNALE ITALIANO DI MEDICINA RIABILITATIVA - MR
44° CONGRESSO NAZIONALE SIMFER
(CS) e b) cammino con esoscheletro indossabile Ekso. Ekso è un
esoscheletro indossabile robotizzato dotato di 4 motori per la mobilizzazione di anca e ginocchio, che permette l’alzata, la seduta e
la deambulazione. Ogni singolo passo è innescato dal soggetto tramite il trasferimento di carico da un arto al controlaterale, secondo
una modalità personalizzata in fase di settaggio iniziale del dispositivo. Il pattern neuromuscolare di entrambi gli arti inferiori è stato
classificato sia in termini di presenza/assenza di timing (prossimale
e distale) sia con la scala di Knutsson. La classificazione di Knutsson permette di definire 3 tipi di attivazione patologica: Tipo I,
caratterizzata da una precoce attivazione del tricipite surale nella
fase di stance; Tipo II caratterizzata da una ipoattivazione di 2 o
più distretti muscolari; Tipo III caratterizzata da una patologica
coattivazione muscolare. L’analisi statistica è stata effettuata con il
test di Mc Nemar.
Risultati. In condizione standard 4 pazienti acuti (16%) e 3 cronici (11%) non sono stati in grado di camminare; tutti i pazienti
sono stati in grado di deambulare con Ekso. Classificazione in termini di timing di attivazione muscolare:
• Pazienti acuti in CS: presenza di timing prossimale nel 4% dei
soggetti sia per il lato affetto che non affetto, presenza di timing
distale nel 24% di soggetti per il lato non affetto e nel 34% per
il lato affetto.
• Pazienti acuti in Ekso: presenza di timing prossimale nel 64%
di soggetti sia per il lato affetto che non affetto, presenza di
timing distale nel 44% di soggetti per il lato non affetto e nel
54% per il lato affetto.
• Pazienti cronici in CS: presenza di timing sia prossimale che
distale nel 27% dei soggetti per il lato non affetto, presenza di
timing prossimale nel 24% dei soggetti e di timing distale nel
35% per il lato affetto.
• Pazienti cronici in Ekso: presenza di timing prossimale nel 81%
di soggetti e distale nel 50% per il lato non affetto, presenza
di timing sia prossimale che distale nel 54% dei soggetti per il
lato affetto.
• Classificazione secondo Knutsson
• Pazienti acuti in CS: classificazione di Tipo I nel 12% del lato
non-affetto e nell’8% del lato affetto; Tipo II nel 16% del lato
non-affetto e nel 60% del lato affetto; Tipo III nel 56% del lato
non-affetto e nel 16% del lato affetto
• Pazienti acuti in Ekso: classificazione Tipo II nell’84% del lato
non-affetto e nel 96% del lato affetto; Tipo III nel 16% del lato
non-affetto e nel 4% del lato affetto
• Pazienti cronici in CS: classificazione Tipo l nel 31% del lato
non-affetto e nel 12% del lato affetto, Tipo II nel 27% del lato
non-affetto e nel 62% del lato affetto, Tipo III nel 31% del lato
non-affetto e nel 15% del lato affetto.
• Pazienti cronici in Ekso: classificazione Tipo II nel 73% del lato
non-affetto e nel 75% del lato affetto, Tipo III nel 27% del lato
non-affetto e nel 15% del lato affetto.
Conclusioni. La deambulazione con esoscheletro robotizzato indossabile induce una modulazione del pattern neuromuscolare sia
in termini di timing che di intensità di attivazione muscolare degli
arti inferiori in pazienti in esiti di stroke sia acuto che cronico. La
neuromodulazione indotta è da ritenersi essenziale per la riacquisizione di pattern di movimento più efficaci ed efficienti e per ridurre la possibilità di sviluppo di mal-adaptive plasticity. Ulteriori
studi sono necessari per dimostrare gli effetti sul lungo periodo.
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172
MODIFICAZIONE DELLA CAPACITÀ DI
DEAMBULAZIONE INDOTTA DA TRAINING
CON ESOSCHELETRO ROBOTIZZATO
INDOSSABILE IN SOGGETTI EMIPARETICI IN
ESITI DI STROKE
Franco Molteni1, Giulio Gasperini1, Marina Gaffuri1, Maria
Colombo1, Chiara Giovanzana1, Nico Farina1, Chiara
Lorenzon1, Stefano Scarano1, Giovanni Cannaviello1,
Eleonora Guanziroli1
Ospedale Valduce, Centro di Riabilitazione Villa Beretta, Costa Masnaga, Italia1
Introduzione. Lo stroke rappresenta una delle principali causa di disabilità; i soggetti colpiti da stroke presentano delle alterazioni della
capacità di deambulazione con conseguente limitazione delle capacità,
delle performance e della partecipazione sociale. Il recupero della deambulazione, terapeutica o funzionale, rappresenta pertanto uno dei
principali obiettivi del percorso riabilitativo del paziente. Un precoce
intervento, immediatamente dopo la fase acuta, o un training intensivo e task oriented, eseguito a distanza dall’evento acuto, potrebbero
indurre un miglioramento della capacità deambulatoria in soggetti post stroke. L’utilizzo di esoscheletri robotizzati indossabili per il
training overground finalizzato al recupero della capacità di cammino post stroke è una procedura riabilitativa di recente introduzione.
Scopo del lavoro è la valutazione delle modifiche delle strutture, delle
funzioni, e delle performance indotte dall’uso di un esoscheletro robotizzato indossabile (EksoTM) in soggetti emiparetici in esiti di stroke
sia in fase acuta che cronica.
Materiali e metodi. Sono stati reclutati 23 pazienti con stroke, 11
acuti (distanza dall’evento acuto < 6 mesi) e 12 cronici (distanza
dall’evento acuto > 6 mesi). I soggetti sono stati sottoposti a 12 sedute
riabilitative della durata di un’ora ciascuna (3 sedute settimanali) con
Ekso, un esoscheletro indossabile robotizzato dotato di 4 motori per
la mobilizzazione di anca e ginocchio, che permette l’alzata, la seduta
e la deambulazione. In Ekso ogni singolo passo è innescato dal soggetto tramite il trasferimento di carico da un arto al controlaterale,
secondo una modalità personalizzata in fase di settaggio iniziale del
dispositivo. All’inizio (t0), a metà (t1) e alla fine del trattamento (t2)
i soggetti sono stati valutati con le seguenti scali cliniche: Ashworth
(anca, ginocchio e caviglia), Motricity Index (MI), Trunk Control
Test (TCT), Functional Ambulation Scale (FAC), Walking Handicap Scale (WHS), test dei 10 metri (10mWT) e test dei 6 minuti
(6minWT). L’analisi statistica è stata effettuata usando il test di Wilcoxon per campioni appaiati.
Risultati. A t0 7 pazienti acuti (64%) e 7 cronici (58%) non sono
stati in grado di camminare; a t2 2 pazienti acuti (18%) e 3 pazienti
cronici (33%) non hanno ripreso la capacita di deambulazione. Da
un confronto tra le 3 condizioni t0, t1, t2, nessuna differenza statisticamente significativa è stata riscontrata in termini di Ashworth sia a
livello di anca, ginocchio e caviglia sia per il gruppo di pazienti acuti
che cronici. L’analisi del MI ha evidenziato un miglioramento tra t0t2, t0-t1, t1-t2 per il gruppo di pazienti acuti (p<0,01), e tra t0-t2
(p<0,01) e tra t0-t1 (p<0,05) per il gruppo di pazienti cronici. Il TCT
ha mostrato un significativo incremento tra t0-t2 per il gruppo di pazienti acuti (p<0,01), mentre nessuna differenza è stata riscontrata nei
pazienti cronici. Da un confronto tra t0-t2 e t0-t1 l’analisi della FAC
ha mostrato un miglioramento (p<0,01) per il gruppo di pazienti acuti, mentre i pazienti cronici hanno mostrato significatività (p<0,05)
tra t0-t2. Un significativo aumento nei valori della WHS (p<0,05) è
stato osservato per il gruppo di pazienti acuti tra t0-t2, mentre nessuna differenza statisticamente significativa nelle diverse condizioni
è stata riscontrata nel pazienti cronici. Si è rilevato un significativo
miglioramento in termini di velocità calcolata sui 10 m (p<0.05) tra
t0-t2 e tra t1-t2 per il gruppo di pazienti acuti, mentre per il gruppi di
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143
44° CONGRESSO NAZIONALE SIMFER
cronici in tutte le tre condizioni analizzate (p<0,05). Il 6minWT ha
mostrato un incremento (p<0,05) sia per il gruppo di pazienti acuti
che cronici in tutte le condizioni analizzate.
Conclusioni. Il training della deambulazione per 4 settimane con
esoscheletro robotizzato indossabile induce significativi miglioramenti del controllo motorio selettivo degli arti inferiori, del tronco e della
capacità di deambulazione in pazienti post stroke sia in fase acuta che
cronica. Ulteriori studi sono necessari per verificare effetti determinati
da un periodo di training prolungato oltre le 4 settimane e la persistenza dei miglioramenti funzionali indotti al termine del periodo di
training.
Bibliografia
1.
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Total (First-Ever and Recurrent) Stroke. Stroke. 1999;30:2523–8.
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3.
173
EFFICACIA DEL TRATTAMENTO CON ACIDO
R-TIOCTICO NEL PAZIENTE VASCULOPATICO
DIABETICO AMPUTATO DI COSCIA: CASE
REPORT
Alain Rocco1, Gaetano Rinaldi1, Rossano Di Donna1,
Luigina Misiti1, Carmela Selvaggi1, Domenico D’Errico1,
Simonetta Massafra1, Jessica Veronica Faroni1
INI Divisione Villa Dante, INI divisione Villa Dante, Guidonia Montecelio (Roma), Italia1
Introduzione. Negli ultimi venti anni le aspettative di vita, grazie alla
medicina preventiva, si sono allungate e le persone oltre i 65 anni sono
progressivamente destinate ad aumentare; inoltre il miglioramento
delle tecniche chirurgiche vascolari (bypass, angioplastica, ecc.) ha
contribuito a ridurre i decessi per conseguenze di vasculopatia diabetica e aterosclerotica e ciò ha comportato un incremento degli interventi di amputazione agli arti inferiori. L’amputazione crea problemi fisici
(disabilità funzionale), psichici (il paziente vede nell’amputazione “l’inizio della fine”), e di dolore (PLS phantom limb sensation e RLP residual limb pain). Il dolore che può comparire dopo un amputazione,
viene definito dolore dell’arto fantasma (phantom pain) e può essere
trattato associando, alla terapia riabilitativa, l’Ipnosi. L’ipnosi è una
procedura/tecnica che coinvolge processi cognitivi, in cui lo psicoterapeuta (Ipnologo) dopo avere indotto uno stato di trance nel soggetto,
lo guida a rispondere alle suggestioni tese a produrre cambiamenti di
sensazioni, di percezioni, di pensieri, di sentimenti e comportamenti
al fine di modificare la percezione e il vissuto relativo alla sintomatologia algica. Altresì nella peculiare modalità di funzionamento cerebrale
della trance è possibile utilizzare in immaginazione guidata delle tecniche fisiche di comprovata efficacia per il trattamento della condizione in oggetto quali la “Mirror Box” di Ramachandran. Scopo del
presente lavoro è stato quello di proporre, e, contestualmente valutare,
mediante scale di valutazione, l’efficacia di un percorso riabilitativo
(programma motorio, programma fisioterapico-mezzi fisici, programma idrokinesiterapico, programma psicoterapico con trattamento
ipnotico, integrazione con acido r-tioctico e programma ortesico) finalizzato alla gestione ed al recupero del deficit motorio, sensitivo e
psicologico del paziente vasculopatico diabetico amputato di coscia.
Materiali e metodi. Hanno partecipato allo studio due pazienti affetti
da disabilità per vasculopatia diabetica con amputazione di coscia. Per
ciascun paziente, al fine di valutare lo stato clinico-riabilitativo, è stata
effettuata una visita fisiatrica integrata da una valutazione psicologica
e da una successive valutazione occupazionale ed ortesica. I pazienti sono stati sottoposti ad un progetto riabilitativo che prevedeva un
percorso identico per ciò che concerneva il programma motorio, il
programma idrokinesiterapico, il programma mezzi fisici (TENS), il
144
programma psicoterapico con ipnosi ed il programma ortesico, con la
sola eccezione che in un paziente è stata integrata la somministrazione
di 600 mg/die di acido R-tioctico. I pazienti sono stati seguiti e valutati in regime di ricovero ordinario per 30 giorni e successivamente in
day hospital per 60 gg.
Risultati e conclusioni. I pazienti valutati con rivermead mobility
index, barthel index e Scala del Dolore Neuropatico (SDN), a 15,
30, 60 e 90 giorni dall’ inizio del percorso riabilitativo, hanno presentato un recupero funzionale (con ripristino della stazione eretta e
della deambulazione in autonomia con ausilio) ed ad una progressiva
riduzione al disturbo del dolore dell’arto fantasma (SND); tuttavia va
segnalato che il paziente trattato con integrazione di acido R-tioctico
ha evidenziato una più veloce risposta alla riduzione del disturbo neuropatico (SND).
Bibliografia
4.
Cochrane Database Syst Rev. 2010 May 12;(5):CD007264. doi:
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174
OUTCOME VALUTATIVO IN PAZIENTI AFFETTI
DA LOMBALGIA DA ERNIA DISCALE TRATTATI
CON OSSIGENO-OZONO TERAPIA
Alain Rocco1, Rossano Di Donna1, Luigina Misiti1, Carmela
Selvaggi1, Domenico D’errico1, Simonetta Massafra1, Jessica
Veronica Faroni1
INI Divisione Villa Dante, INI divisione Villa Dante, Guidonia Montecelio (Roma), Italia1
Introduzione. Per lombalgia si intende un dolore localizzato al rachide lombare (tra L1 e L5) che ne limita il movimento e rappresenta
uno dei sintomi della discopatia lombare; rappresenta il risultato di
una degenerazione del disco vertebrale che, per usura o invecchiamento, perde il suo contenuto idrico, “si abbassa”, diminuisce cioè di spessore e di turgore. Quando l’anulus deborda oltre i margini vertebrali,
la protrusione nel canale vertebrale può diventare un’ernia discale con
la fuoruscita di materiale normalmente contenuto nel disco intervertebrale (nucleo polposo), che facendosi spazio tra le fibre lesionate
dell’anulus viene a contatto con le strutture nervose contenute nel
canale spinale, la dura meninge e/o le radici.
L’ernia del disco lombare si verifica 15 volte più spesso rispetto a quelle cervicali, ed è una delle più comuni cause di dolore lombare. Il
dolore quando è presente, può essere percepito come sordo e costante
o può manifestarsi come improvviso, acuto e lancinante, può durare
da pochi giorni ad alcune settimane, rendendo difficili i movimenti;
non di rado a tale quadro clinico può associarsi un disturbo di tipo
sensitivo (ipoestesie e iperestesie) e/o un deficit motorio a carico degli
arti inferiori, disturbi sessuali, disturbi sfinterici. Scopo del presente
lavoro è stato quello di valutare l’effetto del trattamento iniettivo di
una miscela di ossigeno-ozono a livello del rachide lombare (L1-L5)
in pazienti affetti da lombalgia da ernia discale diagnosticata con risonanza magnetica.
Materiali e metodi. Hanno partecipato allo studio sessanta pazienti
affetti da lombalgia, da ernia discale, giunti alla nostra osservazione attraverso visita ambulatoriale effettuata c/o l’Ambulatorio di Medicina
Fisica e Riabilitativa. Per ciascun paziente è stata effettuata una visita
fisiatrica al fine di valutare lo stato clinico (valutazione del ROM, test
di LSR, test di Wasserman, prova di valsalva, ROT, prove di forza
Vol. 30 - N. 2/3 - GIORNALE ITALIANO DI MEDICINA RIABILITATIVA - MR
44° CONGRESSO NAZIONALE SIMFER
dei muscoli target) valutazione funzionale (scale di valutazione NRS,
scala di valutazione Backill, ed esami di laboratorio, VES, PCR, emocromocitometrico, protidogramma elettroforetico). Tutti i pazienti
sono stati sottoposti ad iniezione di 20 cc di miscela gassosa costituita
da ossigeno-ozono alle concentrazioni di 6-8 mcg/mL. La procedura
è stata ripetuta una volta a settimana per sei settimane consecutive.
Risultati e Conclusioni. I pazienti trattati con ossigeno-ozono terapia hanno mostrato, statisticamente, una significativa riduzione del
dolore (NRS) ed un recupero allo svolgimento delle attività di vita
quotidiana (scala backill).
Bibliografia
1.
2.
3.
Rheumatol Int. 2008 Dec; 29(2):141-6
Emerg Med 2008 Apr; 34(3):315-8
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175
RUOLO DEI FATTORI PREDITTIVI DI
RECUPERO DELL’ARTO SUPERIORE
NELL’OUTCOME DEI SOGGETTI POST
STROKE: STUDIO LONGITUDINALE
OSSERVAZIONALE PROSPETTICO
Jula Laura De Sanctis1, Nicoletta Cinone2, Giovanni Valeno2,
Raffaele Beatrice2, Luca Spaziante2, Gianmichela Iamele2,
Raffaella Armiento2, Pietro Fiore2, Maurizio Ranieri3, Andrea
Santamato3
Scuola di Specializzazione Medicina Fisica e Riabilitazione, Foggia, Foggia, Italia1
Scuola di Specializzazione Medicina Fisica e Riabilitazione, Foggia, Foggia, Italia2
S.C. Medicina Fisica e Riabilitativa Universitaria, OO.RR., Foggia, Italia3
Introduzione. Il notevole impatto socio-sanitario della presa in carico degli stroke survivors ha indotto la comunità scientifica a indagare sull’identificazione di fattori predittivi che possano indirizzare
l’outcome dei pazienti ictati e la pianificazione di trattamenti riabilitativi sempre più mirati ed efficaci. In letteratura, numerosi studi
avevano già identificato come indicatori prognostici negativi l’età
avanzata, la presenza di incontinenza sfinterica, la coesistenza di deficit visuo-spaziali (tipo il neglect) e la presenza di precedenti stroke,
la severità della paralisi, la coesistenza di deficit sensitivo e la compromissione dello stato di coscienza in fase acuta. Negli ultimi anni
l’interesse si è spostato verso la ricerca di fattori prognostici positivi,
predittivi di recupero, quali, ad esempio, la mobilizzazione precoce
e la presenza entro 72 ore dall’insorgenza di ictus di alcuni segni clinici, quali l’elevazione e l’abduzione dell’articolazione scapolo-omerale, l’estensione attiva delle dita della mano e la dorsiflessione attiva
dell’articolazione tibio-tarsica [1,2,3]. Lo scopo del presente studio
è verificare il ruolo dei fattori predittivi clinici di recupero dell’arto
superiore, in particolare la presenza dell’estensione attiva delle dita
(Active Finger Extension-AFE) nei primi 7 giorni dall’evento, e del
trattamento riabilitativo nell’outcome dei soggetti colpiti da ictus,
prendendo in considerazione l’impairment motorio globale, la funzionalità dell’arto superiore, la comparsa di dolore e di spasticità,
l’autonomia nelle ADL, la disabilità e la qualità di vita.
Materiali e metodi. Nel periodo compreso tra dicembre 2014 e
giugno 2015 presso la S.C. di Medicina Fisica e Riabilitativa Universitaria degli OO.RR. di Foggia è stato condotto uno studio longitudinale prospettico osservazionale su 10 soggetti (5 donne e 5
uomini) di età media 61,7 anni (range 43-79). Sono stati considerati
criteri di inclusione: età > 18 anni, prima diagnosi di ictus (ischemico o emorragico, inclusa l’emorragia sub aracnoidea) confermata
da esami strumentali (TC o RMN), mobilizzazione precoce (entro
14 giorni dall’evento), capacità di rispondere a semplici comandi
(GCS>14). Sono stati considerati criteri di esclusione: ictus recidivante, condizioni cliniche generali scadenti, instabilità cardiovasco-
lare, eminegligenza spaziale unilaterale, afasia sensoriale o globale,
altre condizioni neurologiche o psichiatriche, patologie ortopediche
e/o dolorose che limitano i movimenti dell’arto paretico, declino cognitivo (incomprensione verbale). Tutti i soggetti in esame sono stati
valutati al baseline, ovvero entro 7 giorni (T0), a 30 (T1), a 90 (T2)
e a 180 giorni (T3) dall’evento mediante esame obiettivo fisiatrico,
con ricerca dell’Active Finger Extension (AFE), misurata con la scala
Medical Research Council (MRC). In base alla presenza dell’AFE al
baseline, i soggetti in esame sono stati suddivisi in 2 gruppi: gruppo A, in cui era apprezzabile l’AFE (MRC > 0); gruppo B, in cui
era assente l’AFE (MRC = 0). La valutazione comprendeva, inoltre,
l’utilizzo di scale di valutazione per l’impairment motorio globale
(European Stroke Scale e Canadian Neurological Scale), la funzionalità dell’arto superiore (Fugl-Meyer Assessment Upper Extremity
(FM-UE) e Motricity Index), il dolore (Numeric Rating Scale), la
spasticità (Modified Ashworth Scale), la disabilità e autonomia nelle
attività di vita quotidiana (Indice di Barthel e Scala ADL di Katz)
e la qualità della vita (Stroke Specific Quality of Life Scale). Tutti i
pazienti sono stati sottoposti a trattamento riabilitativo nel periodo
preso in considerazione.
Risultati. Nel gruppo A c’è stato un notenole miglioramento
dell’impairment motorio globale, della funzionalità dell’arto superiore, della disabilità e della qualità di vita. non si sono riscontrate
differenze statisticamente significative per quanto riguarda la comparda di dolore e l’autonomia nelle ADL. Solo 4 pazienti hanno
sviluppato ipertono a carico di alcuni muscoli.
Conclusioni. L’estensione attiva delle dita (active finger extension
o AFE) è un fattore predittivo clinico semplice da valutare e che
correla con un migliore outcome funzionale nel paziente ictato. In
un’ottica sempre più diffusa di riabilitazione outcome-oriented, può
rappresentare un valido aiuto nella valutazione funzionale predittiva
del soggetto emiparetico per consentire una riabilitazione individuale su misura, una migliore gestione delle aspettative del paziente e
del terapeuta, e un utilizzo più efficace delle risorse sanitarie tramite
interventi riabilitativi sempre più mirati ed efficaci.
Bibliografia
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3.
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176
DAL SHARED CARE ALLA COSTRUZIONE DI
STRUMENTI CONDIVISI DI PASSAGGIO DI
CONSEGNA UN INTERVENTO FORMATIVO
MULTIDISCIPLINARE ALLA CASA DI CURA
PRIVATA DEL POLICLINICO DEZZA
Raffaella Balestrieri1, Annalisa Corbo2, Giulia Chiocchi3,
Annarita Marturano4, Giovanni Borri3
Dipartimento di salute mentale, Università degli studi di Milano, Dipartimento
di salute mentale, Università degli studi di Milano, Milano, Italia1
Dipartimento di salute mentale, Università degli studi di Milano, Dipartimento
di salute mentale, Università degli studi di Milano, milano, Italia2
Casa di Cura Privata del Policlinico Dezza Milano, Casa di Cura Privata del
Policlinico Dezza Milano, Milano, Italia3
Casa di Cura Privata del Policlinico Dezza Milano, Casa di Cura Privata del
Policlinico Dezza Milano, milano, Italia4
Introduzione. Nell’ambito delle helping profession e in particolare
nelle professioni di aiuto nell’ambito medico e infermieristico dell’intervento riabilitativo, il concetto di centralità della persona necessita di una gestione condivisa degli interventi assistenziali da parte di
équipe multidisciplinari. Una buona interazione tra operatori profes-
Vol. 30 - N. 2/3 - GIORNALE ITALIANO DI MEDICINA RIABILITATIVA - MR
145
44° CONGRESSO NAZIONALE SIMFER
sionali è strettamente correlata ad una migliore presa in carico del
paziente(1). In quest’ottica di shared care (condivisione della cura),
le prestazioni professionali tendono all’integrazione dei saperi e delle
competenze. Tale integrazione può essere garantita se esiste la consapevolezza da parte dei sanitari, che la professionalità sia un “attributo”
comune condivisibile anche grazie ad un reciproco riconoscimento
dei ruoli professionali e delle competenze specifiche (2). l’intreccio di
“pluri competenze” è la base un’efficace lavoro di équipe. In letteratura
tale condizione sembra ancora abbastanza lontana dalla sua piena realizzazione (3). È tuttavia noto che la strategia maggiormente utilizzata
dalle varie professioni per la conquista del proprio spazio d’azione è
quella della cosiddetta doppia chiusura: usurpazione verso l’alto ed
esclusione verso il basso (4) ed è altrettanto consolidato che i membri
di un gruppo multidisciplinare debbano possedere competenze relazionali, fondamentali nella gestione della relazione terapeutica per un
efficace coinvolgimento attivo del paziente e per un’ottimale gestione
dei conflitti nel team lavorativo. (5). Alla luce di queste considerazione
nel 2012 è stato svolto un primo corso formativo rivolto al personale
sanitario della Casa di Cura Privata del Policlinico Dezza dove multidisciplinarietà e interdisciplinarietà professionale sono da tempo un
valore aggiunto molto significativo. Il corso era finalizzato al riconoscimento dei ruoli professionali presenti nei reparti della struttura al
fine migliorare l’integrazione delle competenze e la condivisione della
cura. L’obiettivo del presente lavoro è quello di presentare ed illustrare
tale corso pilota ed in particolare riflettere sui meccanismi che hanno
fatto da stimolo nel progettare i successivi corsi formativi.
Obiettivi. Presentare i risultati e gli effetti in termine di progettualità
del corso pilota: “Metodologie di organizzazione del lavoro assistenziale nell’equipe multiprofessionale” orientato al miglioramento della
qualità assistenziale del paziente in carico al fine di evidenziare metodologie e strumenti condivisi e partecipati di passaggi di consegna
efficaci e funzionali.
Materiali e metodi. Il primo percorso formativo era rivolto ad una
équipe multidisciplinare della Casa di Cura Privata del Policlinico
Dezza la cui attività clinica è focalizzata a pazienti particolarmente
complessi in ambito neurologico. Il team di conduzione era composto
da due psicologhe psicodrammatiste. L’aspetto innovativo di tale corso è stata l’assenza di frontalità a favore di un utilizzo delle metodologie attive al fine di indagare e condividere i propri ruoli professionali.
In particolare per evidenziare punti di forza e debolezza nella pratica
multidisciplinare è stato utilizzato il dossier fotografico Photolangage
(6). Al termine del corso, che prevedeva crediti ECM, è stato somministrato un questionario di gradimento.
Risultati. Il corso “Metodologie di organizzazione del lavoro assistenziale nell’equipe multiprofessionale” è stato seguito da un totale di 58
partecipanti: 15 infermieri ,21 oss,1 ausiliario,2 terapisti occupazionali,12 fisioterapisti, 3 logopedisti, 2 neuropsicologi e 2 medici. La
percezione del clima gruppale è sempre stata molto positiva, i partecipanti hanno dimostrato entusiasmo, autocritica e spirito propositivo.
Durante l’attività del photolangage, l’utilizzo di materiale stimolo di
tipo fotografico ha facilitato in breve tempo il crearsi di un clima gruppale utile per raccontarsi e mettersi in gioco fin dal primo momento.
Ogni partecipante ha potuto condividere in plenaria la propria visione
di equipe multidisciplinare e riflettere sui bisogni formativi emergenti. Tale attività ha permesso la programmazione di successivi percorsi
formativi orientati al miglioramento delle competenze comunicative
relazionali e alla gestione dei conflitti all’interno dei team multidisciplinari. La media del gradimento di tutti i corsi svolti dal 2012 ad oggi
è di 3,5 in una scala di punteggio 0 -4.
Conclusioni. L’itinerario formativo proposto presso la Casa di Cura
sottolinea l’importanza della centralità del paziente e dimostra la fattibilità di eventi formativi che facilitano la gestione condivisa degli
interventi assistenziali da parte di équipe multidisciplinari. Il concetto
di shared care fortemente sentito e caldeggiato dalla realtà clinica della
struttura suggerisce la necessità di riflettere sull’ opportunità di attuare
strumenti procedurali assistenziali di equipe efficaci per un passaggio
146
di consegna multidisciplinare. Tale riflessione rappresenta il bisogno
formativo per i corsi futuri.
Bibliografia
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Baptiste A, Belisle C. Dossier Photolangage “Prevention et Santè”. Paris : Editions de Organisation, 1994
177
ANALISI DELLA COMPLIANCE AL
TRATTAMENTO ORTESICO NEGLI
ADOLESCENTI AFFETTI DA SCOLIOSI
IDIOPATICA: L’ESPERIENZA DELLA
RIABILITAZIONE ORTOPEDICA
DELL’AZIENDA OSPEDALIERA – UNIVERSITÀ
DI PADOVA
Leila Bakdounes1, Irene Maghini1, Giulia Bellon1, Andrea
Pignataro1, Mario Ermani2, Marta Rossella Valent1, Stefano
Masiero1
UOC di Riabilitazione Ortopedica, Azienda Ospedaliera Universitaria di Padova, Dipartimento di Neuroscienze, Padova, Italia1
Clinica Neurologica, Azienda Ospedaliera Universitaria di Padova, Dipartimento di Neuroscienze, Padova, Italia2
Introduzione. La scoliosi idiopatica dell’adolescente (AIS) è sostanzialmente una diagnosi clinica, confermata quando, all’esame radiografico eseguito in ortostatismo, in proiezione AP si evidenzia una
curva maggiore di 10° Cobb. Nonostante la prevalenza della AIS sia
di circa il 0.9-12% nella popolazione generale, solamente il 10% dei
pazienti con AIS necessita di trattamento conservativo e lo 0.1% di
intervento chirurgico. Per scoliosi di gravità intermedia, che all’esame
radiografico presentano un angolo di Cobb compreso tra 20 e 40°,
secondo le Linee Guida della Società Italiana di Medicina Fisica e Riabilitativa (SIMFER), è indicato l’utilizzo di un corsetto. È importante
sottolineare che la progressione della AIS è molto più frequente nel
sesso femminile e che il rapporto femmine:maschi si aggira intorno
all’1:1 per curve dai 6 ai 10° Cobb, 5.4:1 per curve maggiori di 20° e
raggiunge il 10:1 per curve sopra i 40° Cobb. Tipicamente, la AIS non
causa problemi di salute durante la crescita (eccezion fatta per alcuni
casi estremi), ma le deformità sul piano frontale e sagittale che ne derivano possono avere un impatto negativo sulla qualità di vita (QoL)
degli adolescenti e, nei casi più severi, portare a disturbi psicologici.
Poiché si è osservato come l’outcome sia direttamente proporzionale
al tempo di utilizzo dell’ortesi, la determinazione dell’adesione al trattamento ortesico risulta di cruciale importanza. Lo studio in oggetto
si prefiggeva di analizzare la compliance al trattamento ortesico nei
pazienti trattati con bustino per scoliosi idiopatica, ricercando i vari
fattori che possano influire sull’adesione al trattamento in soggetti in
età evolutiva seguiti presso l’ambulatorio specialistico per i disturbi del
rachide del servizio di Riabilitazione Ortopedica dell’Azienda Ospedaliera - Università degli Studi di Padova.
Materiali e metodi. Sono state analizzate le 2375 cartelle cliniche
dell’archivio cartaceo dedicato ai soggetti in età evolutiva seguiti presso l’ambulatorio specialistico dedicato alle patologie del rachide della
nostra UOC, dal 2000 ad aprile 2016. Sono stati esclusi dalla selezione i pazienti affetti da scoliosi secondaria ed i soggetti le cui cartelle
cliniche risultavano essere incomplete o non leggibili. Dalle cartelle
Vol. 30 - N. 2/3 - GIORNALE ITALIANO DI MEDICINA RIABILITATIVA - MR
44° CONGRESSO NAZIONALE SIMFER
cliniche sono stati raccolti i seguenti dati clinici e radiografici puntualmente riportati nelle visite consecutive effettuate a cadenza periodica: data della prima visita e giorni trascorsi da questa alle successive
valutazioni, sesso, familiarità, età ad ogni visita, età alla comparsa del
menarca (per le femmine), altezza, ore praticate di attività sportiva,
ore effettuate di ginnastica medica, tipologia di corsetto in uso, ore
di prescrizione, ore di utilizzo riferito, inquadramento della scoliosi
(sede, lato, grado) e Risser test alla radiografia (quando richiesta). La
compliance al trattamento ortesico era calcolata come percentuale di
ore quotidiane di utilizzo del corsetto (dato anamnestico riferito dal
paziente e/o dai genitori) rispetto alle ore quotidiane di prescrizione
specialistica.
Risultati. Dai 301 pazienti presenti nel database iniziale sono stati
selezionati 68 pazienti (61 femmine e 7 maschi) di età media 12,5
anni, che avessero effettuato almeno 3 visite di controllo, oltre a quella
a t0 in cui veniva prescritto il corsetto; al tempo t1, 19 ragazzi usavano
il corsetto di Agostini, 21 il corsetto Chêneau, 22 il corsetto Lionese
e 6 il corsetto Milwaukee. Analizzando la compliance al trattamento
ortesico espressa per i diversi tipi di corsetto, in relazione al parametro
temporale possiamo notare come l’andamento dell’adesione al trattamento ortesico nel tempo sia estremamente simile per coppie di corsetti: corsetto di Agostini e di Milwaukee ed corsetto di Chêneau ed
il Lionese, con la differenza che per il corsetto Lionese la percentuale
di utilizzo è maggiore. In accordo con quanto afferma la letteratura
internazionale, si conferma che la compliance al trattamento ortesico
è inversamente proporzionale all’età dell’adolescente. Analizzando la
compliance in relazione al tipo di corsetto emerge che il 63,64% dei
ragazzi in trattamento con corsetto Lionese è sempre compliante alle
indicazioni fornite.
Conclusioni. Da quanto emerso, si conferma che la compliance al
trattamento ortesico è inversamente proporzionale all’età dei pazienti
all’atto della prescrizione. Vi è altresì una stretta correlazione tra adesione e tipologia di ortesi utilizzata; in particolare si è osservata una
maggiore compliance nei pazienti in trattamento con corsetto Lionese, nonostante l’età media dei pazienti di questo gruppo sia lievemente
superiore rispetto ai restanti. Contrariamente a quanto ipotizzabile a
priori, trattandosi quest’ultimo di un’ortesi rigida e che esercita una
forte azione di spinta, i pazienti in trattamento con tale ortesi sono
risultati i più aderenti alla prescrizione; ciò potrebbe essere spiegato da
un maggior tempo dedicato al counseling.
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178
VALUTAZIONE CLINICA E FUNZIONALE
DEL PIEDE REUMATICO:APPROCCIO
RIABILITATIVO CON PRESCRIZIONE DI
ORTESI
Giada Lullini1, Laura Di Gianni1, Silvia Muscari1, Lisa Berti1
Laboratorio di Analisi del Movimento, Istituto Ortopedico Rizzoli, Università di
Bologna, Bologna, Italia1
Introduzione. Il piede rappresenta uno dei distretti maggiormente interessati da patologie reumatiche che possono colpire
una o più strutture anatomiche quali articolazioni e tessuti molli
a seconda del tipo, fase e aggressività della patologia di base. I
meccanismi patogenetici sono di tipo infiammatorio con dolore,
tumefazione, tenosinoviti, borsiti etc. e meccanico, con deformità
articolari, retrazioni tendinee,etc.. Le patologie reumatiche hanno
spesso un interessamento sistemico perciò la gestione del paziente
deve essere di tipo multidisciplinare. In questo contesto, il fisiatra
ha il compito di valutare il paziente dal punto di vista funzionale prendendo in considerazione la biomeccanica del cammino,
valutando le deformità del piede e prescrivendo l’ortesi adatta.
Èdunque importante associare alla valutazione clinica una valutazione biomeccanica-funzionale da eseguire tramite Gait Analysis.
Inoltre, considerando che il piede reumatico è spesso un piede
con un’alterata distribuzione dei picchi di pressione plantare e un
volume globale aumentato a causa dell’infiammazione, è importante associare anche uno studio baropodometrico per valutare la
presenza di anomalie, individuare le condizioni biomeccaniche determinanti, prescrivere il trattamento ortesico adatto, e verificare
l’efficacia del trattamento nel tempo. Lo scopo di questo studio è
quello di valutare l’efficacia di un trattamento ortesico costituito
da calzature biomeccaniche con suola semirigida e plantare su misura in un soggetto affetto da piede reumatico
Materiali e metodi. Una donna di 64 anni affetta da artrite reumatoide con interessamento del piede è stata valutata presso il Laboratorio di Analisi del Movimento dell’Istituto Ortopedico Rizzoli. La paziente è stata sottoposta a valutazione clinica del piede e
valutazione funzionale tramite gait analysis e baropodometria. La
paziente è stata valutata durante il cammino alla propria velocità
normale con un minimo di tre ripetizioni. Gli interi cicli di cammino sono stati registrati lungo un percorso di 15 m, indossando
scarpe normali e successivamente indossando calzature biomeccaniche (Activity, Podartis, Treviso, Italy)e plantare su misura. L’analisi del cammino è stata eseguita con un sistema stereo fotogrammetrico ad 8 telecamere (Vicon 612, Vicon Motion Capture, Oxford, UK), due piattaforme dinamometriche (Kistler Instrument;
Einterthur, Switzerland) ed un protocollo standardizzato (Ior Gait
Leardini 2007)I dati pedobarografici sono stati ottenuti usando il
sistema Pedar Insole System (Novel GmbH, Munich, Germany).
Risultati. Riguardo i parametri spazio-temporali della gait
analysis, sono stati osservati dei miglioramenti con l’utilizzo delle
scarpe biomeccaniche e plantare su misura: un aumento della velocità media da 108 ± 9 cm/s con le scarpe normali a 119 ± 10 cm/s
con le scarpe semirigide e plantare su misura, un aumento della
cadenza media da 55 ± 6 a 59 ± 6 passi/min ed un lieve aumento
della lunghezza del passo da 118 ± 11 cm a 121 ± 12 cm.Per quanto riguarda i dati cinematici è stato riscontrato un leggero aumento
dell’escursione articolare media della caviglia sul piano sagittale
da 17° ± 5 con le scarpe normali a 23° ± 6 con le scarpe biomeccaniche e plantare su misura. Infine i dati provenienti dall’analisi
delle pressioni plantari hanno mostrato una riduzione del picco di
pressione dell’avampiede da 510 ± 98 Kpa con le scarpe normali
a 290 ± 39 KPa con le scarpe biomeccaniche e plantare su misura.
La superficie di appoggio del piede risulta essere aumentata da 117
± 10 cm2 con scarpe normali a 124 ± 15 cm2 con scarpe biomeccaniche e plantare su misura.
Conclusioni. L’utilizzo di una calzatura biomeccanica con suola
semirigida associata ad un plantare creato su misura sulla base di
una corretta analisi baropodometrica mostra parametri del cammino più fisiologici con miglioramento dei dati spazio-temporali,
cinematici e barobopometrici se confrontati con i dati ottenuti indossando calzature normali senza plantare. Pertanto il trattamento
ortesico scelto si è rivelato idoneo ad alloggiare le deformità del
piede e riequilibrare le pressioni plantari, alterazioni caratteristiche
dei soggetti affetti da piede reumatico.
Bibliografia
1.
2.
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Leardini et al., A new anatomically based protocol for gait analysis in children.
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147
44° CONGRESSO NAZIONALE SIMFER
179
LA GAIT ANALYSIS NEL DOLORE CRONICO
LOMBARE: SINERGIA TRA TRATTAMENTO
ANTALGICO CON RADIOFREQUENZE SULLA
BRANCA MEDIALE DELLE ZYGOAPOFISI
VERTEBRALI E VALUTAZIONE FISIATRICA NEL
PLANNING RIABILITATIVO
Angela Lopopolo1, Vita Palmisano1, Ersilia Romanelli1,
Angela Dantone1, Pietro Fiore1, Marisa Megna1, Sabino
Mennuni1, Filomena Puntillo1, Giuseppina Lelli1
Università degli Studi di Bari, Azienda Policlinico, Bari, Italia1
Introduzione. Le faccette articolari sono i principali generatori di
dolore lombare (1-2) e rappresentano tra il 15% ed il 45% dell’eziopatogenesi del LBP.La degenerazione delle zygoapofisi consta in
ipertrofia faccettale, impacchettamento dei tessuti molli e formazione di osteofiti (3). Comune denominatore è il dolore cronico,
uno dei più emergenti e dispendiosi problemi della sanità, per la
sua difficoltà di gestione clinica, che risulta in un aumento della disabilità ed una riduzione della qualità della vita inversamente proporzionale ai costi di trattamento.La terapia antalgica si avvale di
tecniche chirurgiche a minima invasività, come le radiofrequenze
sulla branca mediale del nervo faccettale, il cui obiettivo è la neuroablazione e la neuromodulazione. L’induzione di un’ipoestesia è
il target su cui agire a livello periferico. Valutare il miglioramento
clinico funzionale di questi pazienti risulta altrettanto complesso,
in mancanza di un metodo univoco di misurazione oggettiva del
dolore. Negli ultimi anni, la ricerca si è dotata di strumenti clinici
capaci di oggettivare dati relativi alla funzionalità deambulatoria e
posturale, capaci di coadiuvare l’attività di inquadramento clinico
del medico, prima e dopo l’intervento terapeutico: la gait analysis.
Scopo del seguente studio osservazionale prospettico è osservare
il comportamento dei parametri biomeccanici, temporali, spaziali e cinematici forniti dalla gait analysis, verificando il grado di
correlazione con le scale di quantificazione del dolore (NRS), della disabilità (Oswestry Disability Index) e della qualità della vita
(SF 16), prima (T0) e dopo (T1)l’esecuzione di RF sulla branca
mediale delle zygoapofisi vertebrali in soggetti affetti dal dolore
lombare cronico. Sono stati perseguiti come obiettivo primario la
valutazione della qualità di tali parametri nell’oggettivazione del
dolore e del miglioramento ottenuto, tramite la correlazione con
gli indicatori di disabilità e dolore soggettivo; secondariamente è
stato possibile dimostrare quali adattamenti posturali e biomeccanici cinetici permangono alterati, quindi non sono suscettibili
al fattore algico, e meritevoli di eventuale intervento riabilitativo.
Materiali e metodi. Sono stati reclutati 4 pazienti di 10 afferenti consecutivamente all’U.O. di Anestesia e Rianimazione (Amb.
Terapia del dolore), rispondenti ai seguenti criteri di inclusione:
età compresa tra 50 e 70 anni,patologia certa del rachide, documentata da neuroimmagini, dolore lombare cronico da almeno
3 mesi,riferito all’inguine,alla coscia,agli arti inferiori,raramente
al gluteo,pregresso intervento chirurgico sulla colonna
vertebrale,risposta positiva al blocco anestetico della branca
mediale,possedere la capacità di deambulare autonomamente o con
necessità di minima supervisione,possedere sufficienti abilità cognitive e di linguaggio per comprendere le istruzioni dell’operatore.
Sono stati esclusi i pazienti secondo i seguenti criteri: pazienti con
deficit cognitivi, disturbi della coagulazione, gravidanza,risposta
negativa al blocco anestetico della branca mediale,patologia neoplastica metastatica, patologia neurodegenerativa,paraparesi, pazienti in corso di trattamento riabilitativo per il LBP. Sono stati
osservati con gait analysis, (protocollo Davis), somministrazione
di scale cliniche (NRS, ODI, SF16) e valutazione fisiatrica prima
e dopo l’intervento con RF. L’analisi dei dati temporali, spaziali e
148
degli indici di disabilità, dolore e qualità della vita, è stata condotta
tramite analisi descrittiva (boxplot), correlazione (Pearson), regressione lineare tramite Stepwise, test T di Student sulla significatività
delle singole variabili nella regressione.
Risultati. Dallo studio effettuato emergono notevoli correlazioni
tra parametri posturali temporo-spaziali e grado di disabilità e miglioramento soggettivo del dolore, con indice di Pearson > 0,7 per
NRS con 1 variabile correlata; Sf16psiche ha 4 variabili correlate.
Sf16 motorio non ne ha nessuna. L’ODI ne ha 4 maggiori di 0.7
di cui 2 >0.8; dunque l’indice di disabilità è maggiormente correlata ai parametri posturali rispetto alla NRS, benchè entrambi gli
indici siano altamente correlati ai parametri posturali. Le correlazioni più forti risultano essere tra Cadenza ed ODI, rapporto fase
di appoggio/fase di volo ed ODI, appoggio in secondi ed ODI.
Dall’osservazione delle modificazioni cinematiche emerge la presenza di specifici comportamenti biomeccanici,riconducibili all’adattamento posturale antalgico,in particolare l’alterazione del tilt
pelvico e dell’obliquità, che in tutti i pazienti si normalizza dopo
la procedura antalgica. Permangono invece l’intra-extrarotazione
delle anche ed il ritardo di flesso-estensione di ginocchio e tibiotarsica.
Conclusioni. La gait analysis risulta essere un efficace mezzo di
misura della disabilità e del dolore, nonostante l’esiguo campione
preso in esame. Sarà necessario ampliare il campione per creare
un modello matematico affidabile per risalire al grado di disabilità
partendo dai dati posturali.Il trattamento antalgico non modifica
tutte le alterazioni posturali sottostanti, lasciando una serie di alterazioni posturali sulle quali poter indirizzare un programma riabilitativo individuale, studiato sulla base della gait analysis,al fine
di consentire un prolungato periodo di benessere, sinergicamente
alla terapia antalgica.
Bibliografia
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180
IMPATTO SULLA QUALITÀ DI VITA
DELL’APPROCCIO RIABILITATIVO
INTEGRATO NEL LINFEDEMA DA CHIRURGIA
ONCOLOGICA MAMMARIA
Irene Maghini1, Simonetta Patrizia Ruaro1, Antonio
Carbone1, Lia Zanetti1, Stefano Masiero1
UOC di Riabilitazione Ortopedica, Azienda Ospedaliera Universitaria di Padova - Dipartimento di Neuroscienze, Padova, Italia1
Introduzione. Il tumore della mammella rappresenta una delle
malattie più importanti sia in termini di frequenza che di mortalità. Una complicanza frequente della terapia chirurgia del tumore
mammario, quando questa contempla l’asportazione dei linfonodi ascellari, è il linfedema, la cui incidenza è stimata fra il 7% e
l’82%. Ad oggi la terapia di elezione è la Fisioterapia Decongestiva Complessa, che include il Linfodrenaggio Manuale (LDM)
ed il bendaggio elastocompressivo, esercizi muscolari, norme igienico-comportamentali, contenzione elastica su misura (bracciale
elastocompressivo ed eventuale guanto). Numerosi studi hanno
dimostrato un impatto negativo sulla Qualità della Vita (Quality of Life - QoL) e sul Benessere Psicologico nelle pazienti con
linfedema post mastectomia. Lo scopo di questo lavoro è valutare
in che misura il trattamento riabilitativo possa incidere sulla QoL
Vol. 30 - N. 2/3 - GIORNALE ITALIANO DI MEDICINA RIABILITATIVA - MR
44° CONGRESSO NAZIONALE SIMFER
e sul Benessere Psicologico in questo campione di pazienti, afferenti all’UOC di Riabilitazione del Dipartimento di Neuroscienze
dell’Università degli Studi di Padova.
Materiali e metodi. Abbiamo seguito nel tempo 40 pazienti affette da linfedema post trattamento chirurgico di tumore mammario,
trattate con un ciclo di LDM. Le pazienti sono state sottoposte a
visita fisiatrica, nella quale venivano registrati i parametri clinici relativi al linfedema (terapie pregresse, Delta, Consistenza, presenza
di Fovea, Articolarità, VAS). Alle pazienti sono stati somministrati
due questionari per la QoL (EORTC QLQ-C30, EORTC QLQBR23) ed un questionario per il Benessere Psicologico (PGWBI).
Tutti i questionari sono autosomministrabili, validati ed internazionalmente riconosciuti. Le valutazioni sono state effettuate nei
tempi: T0 (prima del LDM), T1 (subito dopo l’ultima seduta di
trattamento, durato 10 giorni lavorativi), T2 (a 3 mesi di distanza
dal termine del trattamento) e T3 (a 6 mesi di distanza). In ogni
tempo sono stati registrati i suddetti parametri clinici. Il protocollo di studio è stato approvato dal Comitato Etico dell’Azienda
Ospedaliera di Padova. Ogni paziente ha redatto in forma scritta
il consenso informato.
Risultati. Nel tempo si è osservato un miglioramento significativo
di tutti i parametri medici, marginalmente significativo per il parametro Delta. Si assisteva inoltre a un miglioramento significativo
di alcuni parametri di QoL misurati con il QLQ-C30 e di tutti i
parametri del QLQ-BR23 considerati nell’analisi statistica. Si assisteva inoltre al miglioramento statisticamente significativo di due
parametri del PGWBI: “Salute in generale” e “Vitalità”. Alcuni
parametri di tutti i questionari cambiavano in modo significativo
solo nel passaggio fra i diversi tempi di studio. È stata poi studiata
la correlazione fra i parametri medici (Delta, VAS, Articolarità) e
gli indici di QoL e Benessere Psicologico in ciascun tempo. Dai
dati si documenta un miglioramento anche in parametri come
nausea/vomito e stipsi, non strettamente correlati con l’arto superiore. Questo può spiegarsi con un effetto benefico generale del
LDM, ma anche con la disomogeneità del campione per quanto
riguarda i trattamenti oncologici. Migliorava inoltre il funzionamento emotivo delle pazienti e la propensione all’attività fisica.
Questo potrebbe dipendere dai consigli dietetici dati alle pazienti,
ma anche da un miglioramento della percezione di sé e quindi
del ruolo sociale. Miglioravano altresì le funzioni cognitive. Tutte
le funzioni indagate dal QLQ-C30 che sono migliorate significativamente, messe in relazione ai parametri medici, dimostrano
correlazioni diverse nei diversi tempi. Per quanto riguarda il QLQBR23, si osserva paradossalmente che la scala relativa all’immagine corporea non correla significativamente con alcun parametro
clinico. Si assisteva inoltre al miglioramento degli effetti legati alla
terapia sistemica. Sono migliorati poi tutti i sintomi legati al seno
ed al braccio ed abbiamo visto una correlazione negativa di questi
sintomi con VAS ed articolarità. Per quanto riguarda il PGWBI, il
punteggio globale è migliorato benché in modo non significativo
nel tempo, ma correlava negativamente con Articolarità e VAS.
Conclusioni. Il miglioramento osservato nella QoL e nel Benessere Psicologico sembra quindi esser legato anche alla presa in carico
complessiva della paziente, oltre che al miglioramento dei singoli
parametri clinici.
Bibliografia
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Michelini S, Campisi C, Ricci M, Gasbarro V, Cestari M, Mattassi R, Molisso
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181
ANALISI BIOMECCANICA DEL PIEDE
DIABETICO: CONFRONTO CLINICO FUNZIONALE TRA PAZIENTI AFFETTI
DA DIABETE MELLITO CON E SENZA
NEUROPATIA
Giada Lullini1, Claudia Giacomozzi2, Paolo Caravaggi1,
Alberto Leardini1, Lisa Berti1
Laboratorio di Analisi del Movimento, Istituto Ortopedico Rizzoli, Università di
Bologna, Bologna, Italia1
Isituto Superiore di sanità, Istituto superiore di sanità, Roma, Italia2
Introduzione. La crescita del diabete mellito ha raggiunto proporzioni epidemiche e tra le varie complicanze associate lo sviluppo di
ulcere a livello del piede è e continuerà ad essere uno dei principali
problemi sanitari. L’insorgenza di ulcere è determinata dalla combinazione di zone di iperpressione associate a neuropatia periferica, nel contempo la rigidità articolare e la comparsa di deformità
sono alterazioni molto frequenti nel piede diabetico e conducono
ad un alterato pattern del cammino. Risulta quindi chiaro come
per studiare in modo completo le alterazioni che portano allo sviluppo di ulcere plantari sia necessario integrare i risultati ottenuti
dallo studio baropodometrico con quelli cinematici consentendo
una valutazione innovativa e più adeguata della biomeccanica del
piede diabetico in relazione alle pressioni plantari, permettendo
di trovare soluzioni idonee da applicare alla clinica per la corretta
prevenzione di tali complicanze. L’obbiettivo del presente studio è
quello di dimostrare la possibile correlazione che esiste nel piede
diabetico tra la mobilità alle articolazioni del piede e i pattern di
carico delle pressioni plantari.
Materiali e metodi. Sono stati reclutati 55 pazienti (età 58,9±10,8;
BMI 27,6±5,2)affetti da diabete tipo I e II con alterazioni morfologiche e/o funzionali a carico dei piedi provenienti dal reparto di
Malattie del Metabolismo dell’Ospedale Sant’Orsola di Bologna.
Sono stati inoltre inclusi 25 soggetti sani comparabili per età e
BMI come gruppo di controllo. I soggetti diabetici sono stati suddivisi in due sottogruppi in base alla presenza di neuropatia. Tutti
i soggetti sono stati sottoposti a raccolta dei principali dati anamnestici e valutati clinicamente (presenza di eventuali deformità del
retropiede e/o dell’avampiede, particolarità della tibiotarsica, impronta plantare tramite podoscopio)e tramite questionari clinici
validati quali Manchester Oxford Foot Questionnaire (MoxFQ)
e Scala Analogico Visiva (VAS)del dolore a carico dei piedi. Successivamente i soggetti sono stati sottoposti a gait analysis presso
il Laboratorio di Analisi del Movimento dell’ Istituto Ortopedico Rizzoli con un sistema stereofotogrammetrico ad 8 telecamere (Vicon 612,UK), due piattaforme dinamometriche (Kistler,
Switzerland)applicando il protocollo Rizzoli Foot Model. Inoltre
si è registrata l’attivazione dei principali muscoli dell’arto inferiore
tramite sEMG e grazie alla collaborazione con l’Istituto Superiore
di Sanità, sono state valutate le pressioni plantari dei soggetti tramite pedana NOVEL(Novel gmbh, Munich, Germany)
Risultati. Da un punto di vista clinico, 43 dei pazienti diabetici
mostrano alluce valgo e 50 mostrano valgismo del retropiede senza
differenza significative tra il gruppo neuropatici e non neuropatici.
Il punteggio medio al questionario MoxFQ è 13,9±16,5 nei non
neuropatici e 18,8±17,6 nei neuropatici. Alla scala VAS il 42% dei
pazienti diabetici afferma di non avere alcun dolore senza differenze tra i due gruppi Dai parametri spazio-temporali emerge una
riduzione della lunghezza del passo nei pazienti diabetici rispetto
al gruppo di controllo senza differenze statisticamente significative
tra i due gruppi (121±16.4 cm non neuropatici e 120±25.9cm
Vol. 30 - N. 2/3 - GIORNALE ITALIANO DI MEDICINA RIABILITATIVA - MR
149
44° CONGRESSO NAZIONALE SIMFER
neuropatici ).La cadenza del passo risulta ridotta solo nel gruppo
diabetici neuropatici (50.4±7.21 steps/min vs 55.0±5.73 steps/
min del gruppo di controllo e gruppo non neuropatici).È presente una riduzione della velocità del passo in entrambi i gruppi
di pazienti diabetici con una maggiore riduzione nel gruppo con
neuropatia (126±19.8 cm/s nel controllo, 111±17.7 cm/s nei non
neuropatici e 102±32.0 cm/s nel gruppo neuropatici). I dati di
cinematica mostrano a livello del Rom della tibiotarsica sul piano sagittale, un minor picco di dorsi-flessione e una riduzione in
plantarflessione nei diabetici rispetto al gruppo di controllo. Sul
piano saggitale, tra calcagno e mediopiede, i pazienti diabetici presentano un aumento della dorsi-flessione, mentre tra mediopiede e
metatarsi si ha una maggiore flessione plantare. Sul piano frontale
tra calcagno e metatarsi in entrambi i gruppi di pazienti diabetici
vi è una riduzione del movimento rispetto al gruppo di controllo.
Sul piano trasversale, tra il primo metatarso e l’alluce, si registra
in entrambi i gruppi di pazienti diabetici una maggiore abduzione
rispetto al gruppo di controllo.
Conclusioni. Il set up integrato cinematica-forza-pressione associato a valutazione dell’attivazione muscolare degli arti inferiori
utilizzato in questo studio si è mostrato idoneo per valutare in
modo completo e specifico i meccanismi eziopatogenetici alla base
delle alterazioni tipiche del piede diabetico. I dati analizzati mostrano come i pazienti affetti da diabete abbiano parametri clinici
e funzionali significativamente alterati rispetto ai soggetti normali
con alterazioni più marcate anche se non in modo significativo nei
soggetti con neuropatia rispetto ai pazienti senza neuropatia.
Bibliografia
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Deschamps K. et al. Comparison of foot segmental mobility and coupling
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2.
3.
182
MODALITÀ DI INFUSIONE COMPLESSA
NELLA TERAPIA AL BACLOFEN INTRATECALE
PER LA GESTIONE DELLA SPASTICITÀ
GENERALIZZATA: RACCOLTA DATI
MULTICENTRICA RETROSPETTIVA
Nico Farina1, Giulio Gasperini1, Maurizio Cazzaniga1,
Franco Molteni1
Ospedale Valduce, Centro di Riabilitazione Villa Beretta, Costa Masnaga, Italia1
Introduzione. La spasticità è una tra le più disabilitanti conseguenze della sindrome del motoneurone superiore (gravi cerebrolesioni
acquisite, lesioni midollari di origine traumatica o neurodegenerativa, ictus cerebri, sclerosi multipla, paralisi cerebrali infantili, patologie neurodegenerative) ed è caratterizzata da un incremento del tono
muscolare a distribuzione focale, regionale o generalizzata (1). È una
condizione dinamica con sintomi fluttuanti che si modificano in relazione alla postura, ai ritmi circadiani al dolore ed alle infezioni (2).
Sebbene nella terapia al Baclofen intratecale (ITB) la modalità di
infusione continua semplice sia la più diffusa, la modalità di infusione complessa nel trattamento della spasticità generalizzata potrebbe
migliorare la personalizzazione del dosaggio, migliorare l’outcome,
ridurre la necessità di incrementi progressivi di dosaggio e gestire in
modo più adeguato i diversi pattern di spasticità (3). In una raccolta
dati multicentrica abbiamo valutato la diffusione nella comune pra150
tica clinica della modalità di infusione complessa e come l’utilizzo
di una modalità di infusione complessa possa migliorare l’efficacia
dell’ITB.
Materiali e metodi. È stato creato un database per raccolta dati
che prevedeva il reclutamento di pazienti al primo impianto negli
ultimi 7 anni. Sono stati presi in considerazione dati del paziente
relativi alla storia clinica (anagrafica, evento acuto, tipo di patologia), dati del TEST (modalità, dose, tempo durata della risposta),
dati dell’impianto (dose e concentrazione iniziali del farmaco), dati
relativi ad ogni modifica di dosaggio, concentrazione e modalità di
somministrazione dall’impianto ad oggi.
Risultati. È stata fatta un’analisi retrospettiva di 43 pazienti (età media 46 ±14 anni, distanza test-evento acuto 15 ± 31 mesi, distanza
test-impianto 80± 95 giorni) impiantati negli ultimi 7 anni reclutati
in 4 diversi centri in Italia. Eziologia: traumi cranici 8 pazienti, lesioni midollari 21 pazienti (15 traumatici, 6 non traumatici), sclerosi
multipla 3 pazienti, stroke 9 pazienti, altri 2 pazienti. Dei pazienti
reclutati 6 erano deambulanti e 37 non deambulanti. Al momento
dell’impianto il 100% dei pazienti utilizzava una modalità di infusione semplice con dose media di 75±25 mcg/die. Al momento
della raccolta dati 27 pazienti su 43 utilizzavano una modalità di
somministrazione complessa ed in particolare 16 pazienti utilizzavano la modalità flex (7 lesioni midollari, 2 traumi cranici, 4 stroke e
2 sclerosi multipla), 9 pazienti la modalità bolo (2 lesioni midollari,
4 traumi cranici, 3 stroke), 2 pazienti la modalità flex + boli (1 lesione midollare, 1 trauma cranico). Il 60% dei pazienti è passato da
modalità di infusione semplice a modalità di infusione complessa
ad un dosaggio medio di 250± 20 mcg/die. In tutti questi pazienti
la modalità di somministrazione complessa è stata impostata dopo
il 2012, probabilmente in seguito all’incremento della curva di apprendimento di utilizzo della metodica.
Conclusioni. Vista la recente diffusione dell’utilizzo della modalità
di somministrazione complessa si rende opportuna una riesamina
delle linee guida sull’ITB in particolare per quanto riguarda criteri
di inclusione, indici di outcome, dosaggi e modalità di infusione
ed una revisione della letteratura in merito all’efficacia della terapia
con ITB.
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48, 483–486
184
STRESS PERCEPITO DAGLI OPERATORI IN
MEDICINA FISICA E RIABILITAZIONE
Irene Carnino1, Gianluca Rosso2, Marco Demasi3, Giuseppe
Maina2, Giuseppe Massazza1, Federica Gamna3
Scuola di Specializzazione in Medicina Fisica e Riabilitativa, Università degli
Studi di Torino, Torino, Italia1
S.C.D.U. Psichiatria, Dipartimento di Neuroscienze, A.O.U. San Luigi Gonzaga di Orbassano, Università degli Studi di Torino, Orbassano, Torino, Italia2
S.C.D.O. Medicina Fisica e Riabilitativa, A.O.U. San Luigi Gonzaga, Orbassano, Italia3
Introduzione. I ricoveri in Riabilitazione sono classificati mediante un sistema che considera la diagnosi della patologia che ha
dato origine alla disabilità e il tempo intercorso dall’evento acuto.
Non vengono considerati quei fattori in grado di determinare il
reale bisogno delle prestazioni clinico-riabilitative e assistenziali
necessarie. Nei Reparti di Riabilitazione la durata della degenza è
Vol. 30 - N. 2/3 - GIORNALE ITALIANO DI MEDICINA RIABILITATIVA - MR
44° CONGRESSO NAZIONALE SIMFER
maggiore poiché vi è una presa in carico globale del paziente con
le sue pluricomorbidità croniche e disabilità secondarie. La complessità in riabilitazione è strettamente correlata alla gestione di
un paziente cronicamente critico e alla presa in carico sempre più
precoce, risulta perciò fondamentale il lavoro in equipe. Tutto ciò
contribuisce in modo importante a incrementare il livello di stress
degli operatori sanitari. In letteratura sono stati effettuati pochi
studi sull’argomento e principalmente legati allo stress dei chirurghi in sala operatoria. La scale proposte per quantificare il livello
di stress percepito sono state la VAS e l’acute stress questionnaire,
in associazione alla rilevazione della frequenza cardiaca. Lo scopo
della nostra ricerca è valutare lo stress percepito negli operatori
sanitari in un Reparto di Medicina Fisica e Riabilitazione ad alta
intensità di Cura e evidenziare una correlazione tra stress e livello
di complessità nel Reparto.
Materiali e metodi. Lo studio è stato svolto presso la S.C.D.O.
Medicina Fisica e Riabilitazione in collaborazione con la S.C.D.U.
Psichiatria dell’A.O.U. San Luigi Gonzaga di Orbassano. Sono
stati reclutati 36 operatori operatori sanitari che lavorano presso il
Reparto di Riabilitazione (Medici Fisiatri, Fisioterapisti, Logopedisti, Infermieri, OSS), di cui il 60% di sesso femminile. Lo studio
ha avuto una durata di 12 settimane. Ciascun partecipante, previa
adeguata informazione sullo studio e firma del consenso informato
alla partecipazione, in modo anonimo ha compilato:
• una scheda comprendente dati socio-demografici tra cui sesso,
età, altezza, peso corporeo, scolarità, occupazione, anzianità
di servizio, attività fisica, fumo di sigaretta;
• scala di autovalutazione dei sintomi ansiosi (Zung Self-Rating
Anxiety Scale) e scala di autovalutazione sintomi depressivi
(Zung Self-Rating Depressive Scale) una volta a settimana;
• scala di autovalutazione stress percepito una volta al mese
(Perceived Stress Scale – PSS);
Ciascun partecipante, per tutta la durata dello studio, è rimasto ‘cieco’ rispetto al livello di complessità del Reparto misurato tramite la
RCS-E (Rehabilitation Complexity Scale). Tale scala è stata compilata da un medico del reparto che è stato escluso dal campione in
studio ed è rimasto ‘cieco’ rispetto ai dati dei partecipanti per tutta
la durata dello studio. Dallo stesso medico, sono stati anche raccolti altri parametri potenzialmente correlati alla complessità: numero
di pazienti in isolamento da contatto per infezioni multiresistenti,
numero di pazienti clinicamente instabili, numero di nuovi ricoveri settimanali, numero di giorni festivi. È in corso l’inserimento
dei dati raccolti in un database per l’elaborazione statistica (IBM
SPSSStatistics 20)
Risultati. Saranno presentati i dati ottenuti con particolare riferimento alla correlazione tra livello di complessità misurato tramite RCS-E e punteggi alle scale di autovalutazione dell’ansia, della
depressione e dello stress percepito. Saranno presentate sub-analisi
riguardanti i livelli di stress a seconda delle caratteristiche socio-demografiche dei soggetti coinvolti nello studio.
Conclusioni. I risultati ottenuti saranno commentati focalizzando
la discussione sulle variabili che influenzano maggiormente il livello
di stress dei partecipanti. Saranno discussi gli aspetti dell’ attività di
reparto potenzialmente modificabili al fine di ridurre lo stress degli
operatori.
Bibliografia
1.
2.
3.
F. X. Lesage,S. Berjot Validity of occupational stress assessment using a visual
analogue scale Occupational Medicine 2011;61:434–436 Advance Access publication on 19 April 2011 doi:10.1093/occmed/kqr037
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Rehabil Med 2015;51:439-46
185
ANZIANI ULTRAOTTANTENNI
OSTEOPOROTICI. ANALISI DEI FATTORI
DI RISCHIO DI CADUTE: UNA CASISTICA
AMBULATORIALE
Domenico Maria Carlucci1, Marcello Acciaro2, Anna Rita
Storelli3
Amb. Specialistico, ASST della Valcamonica (BS), Esine (BS), Italia1
*Direttore Sanitario ASST della Valcamonica (BS), Ospedale-Esine, Esine (BG),
Italia2
Congreg. Ancelle ‘Divina Provvidenza, Unità Riabilitativa Opera Don Uva Bisceglie, Bisceglie (BT), Italia3
Introduzione. L’osteoporosi si può definire come un disordine delle ossa scheletriche caratterizzato dalla compromissione della robustezza dell’osso che predispone ad un aumento del rischio di frattura
(1). L’osteoporosi insieme all’osteoartrosi costituiscono vere e proprie
emergenze sanitarie dal punto di vista epidemiologico, clinico e sociale e sono considerate la maggior causa di disabilità in Italia e in
Europa. L’incidenza aumenta con l’età fino ad interessare la maggio
parte delle persone al di sopra degli 80 anni. Tra le varie fratture, le
fratture femorali hanno importanti implicazioni sociali, economiche
e sanitarie (2). Il 20 – 30% delle persone cadute ha sequele invalidanti
che si traducono in una riduzione della mobilità, dell’autonomia ed
un aumento del rischio di morte prematura. Si stima che ogni anno
in Italia tali incidenti prevalentemente domestici interessino oltre 3,5
milioni di persone (3).
Obiettivo. Identificare i numerosi fattori predittivi intrinseci ed ambientali di rischio di caduta, correggibili, più facilmente identificabili
nella pratica clinica e inoltre di modificare tali fattori predittivi con
una implementazione di interventi e strategie multidisciplinari come
semplici cambiamenti dello stile di vita, e una sorveglianza clinica con
un follow-up ambulatoriale o domiciliare ogni 6 mesi. Un ulteriore
obiettivo è stata la scelta di uno strumento di rilevazione del rischio
di caduta da applicare al momento della visita ambulatoriale specialistica.
Materiali e metodi. Sono stati selezionati su 500 pazienti ambulatoriali, 60 anziani osteoporotici, (BMD T-Score < -2,5 DS ( tra -2,5 e
-2,8 DS ) a livello del collo femorale, di età superiore ai 80 anni, di
entrambi i sessi, 45 femmine (75 %) e 15 maschi (25 %) con ipovitaminosi D > 10 ng/ml. Abbiamo valutato i fattori intrinseci correggibili, predittivi di rischio di caduta (stato fisico, funzionale, psicologico,
terapie psicotrope, valutazione antropometrica, valori serici di vitamina D) mediante valutazioni clinico-stumentali di rapida misurazione
e poco costose (VAS Dolore, Scala di Womac, Timed Up and Go
Test, 30 Second Chair Stand Test, Scala di Hausen, Life Satisfaction
Index, LSI, valori sierici di 25(OH)D ) al momento dell’arruolamento e dopo 6 mesi. A tutti è stato consigliato un protocollo di esercizi
domiciliari autogestito giornaliero della durata di 20 minuti (previo
addestramento con supervisione dei parenti). Inoltre hanno ricevuto
una supplementazione di colecalciferolo per os, un bolo da 25.000UI
ogni 15 giorni per 6 mesi. Per i fattori estrinseci sia domestici che
ambientali, una volta individuati, abbiamo cercato di ridurli mediante
raccomandazioni specifiche di educazione sanitaria scritte sul referto
specialistico e ricorrendo alla collaborazione dei familiari. I dati ottenuti sono stati analizzati statisticamente e confrontati utilizzando il T
Test di Student per dati appaiati, con significatività al 5%.
Risultati. Al follow-up a T6 in tutti i pazienti i valori medi di
25-idrossivitamina D risultavano essere > di 30 ng/ml. Il protocollo
ha garantito un incremento significativo dei fattori di protezione per
le cadute, riduzione del dolore, miglioramento nella deambulazione,
nell’equilibrio e nella coordinazione con una variazione in positivo
significativa dei punteggi delle scale a T6 VS T0. Nei primi 6 mesi di
sorveglianza con la riduzione dei fattori correggibili di rischio di caduta si sono verificate 3 cadute a domicilio senza frattura, solo lesioni
contusive. Interventi multidisciplinari sono in grado di produrre sia
Vol. 30 - N. 2/3 - GIORNALE ITALIANO DI MEDICINA RIABILITATIVA - MR
151
44° CONGRESSO NAZIONALE SIMFER
un enorme risparmio di risorse per il Sistema Sanitario sia una diminuzione del rischio di non autosufficienza, di peggioramento della
qualità di vita e di mortalità. Lo stile e le abitudini di vita in questi
ultimi decenni hanno subito un cambiamento, condizionati principalmente dall’invecchiamento della popolazione e da una riduzione
fisiologica dell’attività fisica, entrambi problemi rilevanti in tema di
sanità pubblica. Il rischio di caduta non può essere completamente
eliminato nei pazienti con poli-patologie croniche, ma può essere ridotto attraverso l’attuazione di appropriati programmi di prevenzione
personalizzati mirati a migliorare la forza, la deambulazione e l’equilibrio. Particolarmente efficace è risultata l’azione di rivalutare e sospendere con la dovuta gradualità eventuali terapie psicotrope (benzodiazepine, antidepressivi, tranquillanti). Particolarmente importante è il
ruolo del medico di MG sia nel ridurre i fattori di rischio di cadute nei
pazienti seguiti al domicilio, dove anche il coinvolgimento familiare
può migliorare la struttura dell’unità abitativa , sia nel provvedere a
sorveglianza periodica domiciliare. Sarebbero utili l’uso di alcuni strumenti di rilevazione del rischio di caduta da applicare al momento
della visita ambulatoriale specialistica come: VAS Dolore, Timed Up
and Go Test e il 30 Second Chair Stand Test.
Conclusioni. Interventi multidisciplinari sono in grado di produrre
sia un enorme risparmio di risorse per il Sistema Sanitario sia una diminuzione del rischio di non autosufficienza, di peggioramento della
qualità di vita e di mortalità. Lo stile e le abitudini di vita in questi
ultimi decenni hanno subito un cambiamento, condizionati principalmente dall’invecchiamento della popolazione e da una riduzione
fisiologica dell’attività fisica, entrambi problemi rilevanti in tema di
sanità pubblica. Il rischio di caduta non può essere completamente
eliminato nei pazienti con poli-patologie croniche, ma può essere ridotto attraverso l’attuazione di appropriati programmi di prevenzione
personalizzati mirati a migliorare la forza, la deambulazione e l’equilibrio. Particolarmente efficace è risultata l’azione di rivalutare e sospendere con la dovuta gradualità eventuali terapie psicotrope (benzodiazepine, antidepressivi, tranquillanti). Particolarmente importante è il
ruolo del medico di MG sia nel ridurre i fattori di rischio di cadute nei
pazienti seguiti al domicilio, dove anche il coinvolgimento familiare
può migliorare la struttura dell’unità abitativa , sia nel provvedere a
sorveglianza periodica domiciliare. Sarebbero utili l’uso di alcuni strumenti di rilevazione del rischio di caduta da applicare al momento
della visita ambulatoriale specialistica come: VAS Dolore, Timed Up
and Go Test e il 30 Second Chair Stand Test.
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National Guideline Clearinghouse 2006.
2.
3.
maniera precisa la sede del dolore, di discriminarne e descriverne
le caratteristiche e di identificare le sue variazioni nel corso della
giornata o in relazione alle diverse azioni svolte dal paziente. L’ipotesiè che il dolore possa essere interpretato come conseguenza e
non come causa. Il dolore, a causa della discoerenza informativa,
assumerebbe il ruolo di richiamare l’attenzione del soggetto verso il corpo e le alterazioni a carico della percezione. Non sarebbe
pertanto il dolore a impedire di percepire il corpo, ma sarebbe il
fatto di percepire male il corpo a provocare il dolore. Il dolore
neuropatico si connoterebbe quindi come una “malattia del corpo”
che si svilupperebbe in uncontesto di alterazione della relazione
mente-corpo.Solo il recupero di una corretta e coerente informatività corporea in una ritrovata unità mente-corpo può permettere
di superare questo tipo di dolore. Questa ipotesi di lavoro è stata
messa alla prova con numerosi pazienti affetti da dolore neuropatico di diversa origine (lesioni del sistema nervoso centrale, CRPS,
fibromialgia, amputazioni, …) con ottimi risultati. In questi casi,
il dolore è scomparso o si è ridotto in maniera drastica e la modificazione ottenuta si è mantenuta nel tempo. I soggettihanno
potuto ridurre o eliminare l’assunzione di farmaci e riprendere una
normale vita sociale e lavorativa. Gli esercizi neurocognitivi consistono in problemi conoscitivi posti al paziente il quale, con la
guida del terapeuta, li risolve attraverso l’attenzione, la percezione
e la frammentazione del corpo. In questi esercizi si riduce il ricorso
alle informazioni visive, già ampiamente utilizzate dal paziente in
senso compensatorio e in maniera distorta, per recuperare ed enfatizzare le informazioni somestesiche (tattili, cinestesiche, pressorie,
ponderali, di attrito, di relazioni spaziali e di integrazione multisensoriale) che il paziente ha perduto con l’evolversi del dolore
cronico.Gli strumenti che il riabilitatore neurocognitivo utilizza
(per questo definiti Strumenti Neurocognitivi) oltreall’attenzione,
alla memoria, alla percezione e al linguaggio, sono, dal 2011, il
Confronto tra Azioni e le Connessioni. È la necessità di conoscere
e di confrontare tra loro azioni senza dolore (l’esperienza vissuta
dal malato prima della lesione e l’esercizio) che modifica il sistema
permettendo la costruzione delle corrette informazioni, il recupero
della loro coerenza e la loro integrazione. Ciò permette un recupero fisiologico della conoscenza e della rappresentazione del corpo
e una naturale riduzione del dolore che, una volta ristabilita la
normale unità mente-corpo, non ha più motivo di essere.
Bibliografia
1.
2.
3.
4.
186
5.
IL DOLORE NEUROPATICO COME PROBLEMA
RIABILITATIVO
6.
Donatella Schettino1
Clinic Center SPA, Casa di Cura, Napoli, Italia1
La Teoria Neurocognitiva ritiene che il dolore neuropatico sia il
risultato di una “discoerenza” (neologismo introdotto dal Prof.
Perfetti per indicare i fenomeni disfunzionali che soggiacciono
a questo tipo di patologia), informativa che si concretizza nella
incapacità di percepire correttamente e coerentemente, di prestare attenzione e di immaginare il corpo e le sue azioni senza che
compaia dolore. Tali fenomeni testimoniano le alterazioni a carico della rappresentazione corporea avvenute a livello delle diverse
strutturecerebralia causa difenomeni plastici di tipo maladattivo. I
segni dellacronicizzazione del dolore, secondo la visione neurocognitiva, sono l’impossibilità, da parte del malato,di identificare in
152
7.
8.
Pantè F. (2007) Il dolore come problema riabilitativo: dall’osservazione all’esercizio, Riabilitazione Neurocognitiva anno 3 n.2
Perfetti C. (2007) Il dolore come problema riabilitativo-promemoria e suggerimenti per il “ritiro” di studio, Riabilitazione Neurocognitiva anno 3 n.1
Perfetti C., Pantè F., Rizzello C., Zernitz M., Cracchiolo M., De Patre D.,
Ferrer Davesa M., Piquè Batalla M., Rigoni M., Rizzo C. (2015) Il dolore come
problema riabilitativo, Piccin Editore
Perfetti C. e Chiappin S. (2008) Un’emozione chiamata dolore, Grafiche Turato Edizioni
Rizzello C. (2007) La pianificazione dell’intervento riabilitativo nelle sindromi
dolorose Riabilitazione Neurocognitiva anno 3 n.2
Rizzello C. (2007) Il dolore e la costruzione dell’informazione, Riabilitazione
Neurocognitiva anno 3 n.3
Zernitz M. (2007) Considerazioni per la stesura di una cartella riabilitativa per
il dolore, Riabilitazione Neurocognitiva anno 3 n.1
Zernitz M. (2011) Il dolore neuropatico e la riabilitazione neurocognitiva:
un’esperienza di lavoro, Riabilitazione Neurocognitiva anno 7 n.2
187
PDTAR NELL’OBESITÀ COMPLICATA
Paolo Capodaglio1
Istituto Auxologico Italiano, Ospedale S Giuseppe, Piancavallo, Italia1
Introduzione. La logica, i tempi ed i modi della medicina riabilitativa ben si applicano alla storia naturale dell’Obesità caratterizzata
da comorbosità, cronicità e disabilità con gravi ripercussioni sulla
qualità di vita.. Nella fase diagnostica del paziente obeso, è neces-
Vol. 30 - N. 2/3 - GIORNALE ITALIANO DI MEDICINA RIABILITATIVA - MR
44° CONGRESSO NAZIONALE SIMFER
sario effettuare una valutazione della qualità di vita, della disabilità,
della funzionalità motoria (forza muscolare, equilibrio, tolleranza
allo sforzo) e delle problematiche osteo-articolari (dolore, limitazioni articolari). Il percorso terapeutico-riabilitativo del paziente obeso
deve essere caratterizzato dalla integrazione di interventi nutrizionali, riabilitativi (recupero e rieducazione funzionale, ricondizionamento fisico allo sforzo, attività fisica adattata), psico-educazionali
(educazione terapeutica e interventi psicoterapeutici brevi focalizzati) e di nursing riabilitativo. L’accesso al percorso di riabilitazione
intensiva residenziale o semiresidenziale deve poter avvenire anche
in assenza di un episodio acuto in base agli indici di disabilità e di
appropriatezza clinica per il trattamento riabilitativo, specifici per il
soggetto obeso.
Materiali e metodi. Gli obiettivi della RMNP nel soggetto obeso
possono riassumersi in:
A) obiettivi a breve termine:
• a. aggiungere una perdita di massa grassa che permetta un miglioramento dei fattori di rischio e un controllo delle patologie
associate;
• b. ottimizzare le capacità funzionali residue e le autonomie di
base della vita quotidiana/sociale per ridurre le disabilità presenti;
• c. correggere l’atteggiamento del paziente nei confronti dell’alimentazione e dell’attività fisica; curare eventuali disturbi clinici
del comportamento alimentare (p.e. BED, NES);
• d. rivalutare le patologie mediche e psichiatriche associate e
mettere a punto un trattamento coerente con le linee-guida
correnti e adeguato alle risposte cliniche del soggetto;
B) obiettivi a lungo termine:
• a. mantenere un corretto stile di vita: alimentazione adeguata
per apporti di energia e nutrienti ai propri fabbisogni con adozione di un modello alimentare mediterraneo;
• b. regolare attività fisica di almeno 2 ore/settimana, a carico
medio-basso (50% della massima frequenza cardiaca);
• c. mantenere la perdita di massa grassa raggiunta nel tempo per
controllare i fattori di rischio associati;
• d. mantenere le autonomie di base della vita quotidiana/sociale
e ridurre le disabilità presenti;
• e. mantenere un buon compenso glicemico, un corretto assetto
lipidemico e protidemico;
• f. ridurre PA e FC in presenza di parametri metabolici e di rischio cardiovascolare alterati;
• g. ridurre la terapia farmacologica per ipertensione arteriosa,
diabete mellito, dislipidemia ecc.
• h. adeguare le eventuali terapie psicofarmacologiche in base
all’efficacia terapeutica e agli effetti sul peso corporeo e sul
metabolismo (è noto che la maggior parte degli psicofarmaci favorisce aumenti del peso corporeo e complicanze obesità
correlate).
Conclusioni. La presenza di manifestazioni cardiovascolari, respiratorie, osteoarticolari, endocrino-metaboliche e psico-sociali spesso
associate all’obesità impongono che l’approccio terapeutico-riabilitativo sia complesso (interdisciplinare e integrato. Il trattamento
delle disabilità obesità-correlate deve passare attraverso la cura della
patologia di base Disabilità e deficit funzionali sono fattori di rischio importanti per l’Obesità e per il suo aggravamento progressivo: la spirale “obesità-complicanze-disabilità-aumento ponderale
ulteriore” provoca costi elevatissimi sia sanitari che sociali. I dati
della letteratura dimostrano anche che i migliori risultati si ottengono nei soggetti informati sulla patologia, in grado di gestire meglio
le oscillazioni del tono dell’umore, le fluttuazioni dei livelli di ansia
o di stress, che sono passati attraverso un percorso caratterizzato dalla declinazione, nell’ambito di un Progetto Riabilitativo Individuale
integrato, di:
• intervento nutrizionale
• programma riabilitativo motorio/funzionale (rieducazione fun-
zionale, ricondizionamento fisico, riabilitazione motoria)
• educazione terapeutica e interventi psicoterapeutici brevi focalizzati: interventi psico-pedagogici e psicoterapeutici, condotti da
operatori abilitati e formati
• nursing riabilitativo, interventi svolti da infermieri e diretti a:
• migliorare le risposte dei pazienti a malattie croniche, disabilità
e stili di vita patogeni;
• potenziare i supporti ed i compensi ambientali e sociali;
• proteggere e stimolare le capacità funzionali e relazionali al fine
di migliorare la partecipazione alle attività riabilitative ed ai
programmi assistenziali.
In casi selezionati risultano utili, sempre nell’ambito di un percorso
riabilitativo, interventi farmacologici, psicofarmacologici e psicoterapeutici strutturati (psicoterapie a orientamento psicoanalitico,
cognitivo-comportamentale, relazionale-sistemico, interpersonali,
motivazionali, brevi focalizzate etc.).
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188
LA RIABILITAZIONE RESPIRATORIA: STATO
DELL’ARTE E CASISTICA PERSONALE
Enio Giuseppe Mantellini1
ASO Alessandria, Ospedale, Alessandria, Italia1
Introduzione. Sebbene la riabilitazione abbia una storia antica, la
sua applicazione pratica alle malattie respiratorie è abbastanza recente: solo negli ultimi 30 anni infatti ha presentato una diffusione
progressivamente più estesa grazie all’ evidenza scientifica che i programmi di Riabilitazione Polmonare (PRP) migliorano la dispnea,
la tolleranza allo sforzo e la qualità della vita nei soggetti affetti da
broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO). La riabilitazione
respiratoria è stata definita infatti dalla European Respiratory Society (ERS) e dall’AmericanThoracic Society (ATS) come “un intervento basato sull’evidenza, multidisciplinare e globale, destinato
aipazienti con patologia respiratoria cronica che siano sintomatici
e abbiano frequentemente diminuito le loro attività nella di vita di
tutti i giorni. La riabilitazione respiratoria ha lo scopo di ridurre i
sintomi, ottimizzarelo stato funzionale, aumentare la partecipazione
e ridurrei costi dell’assistenza sanitaria, stabilizzando e facendoregredire le manifestazioni sistemiche della malattia”.
Materiali e metodi. Un programma di riabilitazione respiratoria
comprende una valutazione all’ingresso, il riallenamento all’esercizio fisico con varie tecniche (eventualmente anche con supporto di O2 e/o di ventilazione meccanica), una serie di sessioni di
formazione educazionale (per esmpio ai fini dell’abolizione del tabagismo) ed una valutazionedei risultati raggiunti al termine del
programma. Nella pratica clinica gli indicatori più frequentemente
utilizzati sono: 6MWT, grado di dispnea, valori ricavati dalla spirometria (FEV1) ed indice di massa corporea; questi indici, compresi
anche nel Bode Index, oltre che fornire informazioni sull’ efficacia
del trattamento riabilitativo, costituiscono anche un indicatore prognostico di mortalità per malattie respiratorie croniche. Presso la
SSD di Riabilitazione Cardiorespiratoria dell’Azienda Ospedaliera
di Alessandria sono stati valutati nell’anno 2015 n° 139 pazienti affetti da BPCO ed altre patologie respiratorie provenienti da reparti
per acuti. Come indicatore di risultato del trattamento riabilitativo
Vol. 30 - N. 2/3 - GIORNALE ITALIANO DI MEDICINA RIABILITATIVA - MR
153
44° CONGRESSO NAZIONALE SIMFER
abbiamo utilizzato il 6MWT confrontando la differenza di metri
percorsi prima e dopo il trattamento ponendoci l’obiettivo di un miglioramento di almeno il 10% in una percentuale superiore al 70%
dei casi trattati. Nel follow up del paziente sono stati poi valutati a
distanza di 3 mesi anche gli altri parametri del bode index (FEV1,
MMRC Dyspnea Scale, BMI). Nei pazienti non idonei all’esecuzione del 6MWT con FIM < 80 l’indicatore utilizzato è stato un
miglioramento della FIM di almeno 20 punti in una percentuale
superiore al 60% del campione.
Risultati. I risultati ottenuti hanno evidenziato un miglioramento
del 6MWT nel 75% dei casi ed un miglioramento della FIM di
almeno 20 punti nel 77.7% del campione.
Conclusioni. I risultati ottenuti sono in linea con i dati della letteratura internazionale ed hanno sostanzialmente dimostrato che il riallenamento allo sforzo nel paziente affetto da patologia respiratoria
cronica determina un miglioramento della dispnea e della tolleranza
all’esercizio fisico, mentre non abbiamo rilevato significative variazioni della funzionalità respiratoria.
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2.
3.
189
I METODI ATTIVI NELLA SUPERVISIONE
MULTIDISCIPLINARE IN RIABILITAZIONE
UN’ESPERIENZA PILOTA IN NEURO
RIABILITAZIONE PEDIATRICA DELLA CASA DI
CURA PRIVATA DEL POLICLINICO DEZZA
Raffaella Balestrieri1, Annalisa Corbo1, Giulia Chiocchi2,
Annarita Marturano2
Dipartimento di salute mentale, Università degli studi di Milano, Dipartimento
di salute mentale, Università degli studi di Milano, Milano, Italia1
Casa di Cura Privata del Policlinico Dezza Milano, Casa di Cura Privata del
Policlinico Dezza Milano, Milano, Italia2
Introduzione. La sindrome del burn-out è stata identificata come
specifica malattia professionale degli operatori dell’aiuto. È rappresentata da un insieme di sintomi che testimoniano la evenienza di
una patologia comportamentale a carico di tutte le professioni ad
elevata implicazione relazionale. Nell’ambito delle helping profession l’implicazione relazionale inficia la qualità assistenziale del paziente. È noto che l’esperienza di stress lavorativo è stata associata
a malessere fisico e psicologico ed assenteismo, a problemi relativi
ad autostima e spiritualità, a una scarsa soddisfazione lavorativa e a
dimissioni lavorative (1). I professionisti sanitari, specie quelli che
lavorano “in prima linea” (reparti di rianimazione, pronto soccorso,
patologie cronico degenerative), hanno inoltre un costante contatto
con la sofferenza. Allo stress lavorativo si aggiunge quindi anche un
coinvolgimento emotivo molto forte che in particolari condizioni
diviene insostenibile (2). Nell’ambito degli interventi riabilitativi
che richiedono un team multidisciplinare, la domanda di supervisione è di conseguenza individuata come una modalità elettiva di
intervento preventivo e, talvolta, riparativo dove per supervisione
si intende un processo di conoscenza, comprensione e valutazione
degli elementi emotivi, cognitivi e relazionali implicati nella pratica
clinica. Le dinamiche che caratterizzano il rapporto con i pazienti
adeguatamente elaborate, consentono di agevolare la relazione terapeutica ed un contenimento rispetto a risposte emotive nei confron154
ti di pazienti complessi (3). In particolare, la supervisione gruppale
soddisfa il bisogno di confronto con altri operatori con cui collaborano sul campo e consente di stabilire dei collegamenti costruttivi
fra di esse favorendo il cambiamento (4). Alla luce di ciò la Casa di
Cura Privata del Policlinico Dezza, ha richiesto un intervento pilota di supervisione con metodo Psicodrammatico Classico, rivolto
al team multidisciplinare dell’Ambulatorio di Neuroriabilitazione
pediatrica, al fine di aiutare il team nell’elaborazione emotiva del
vissuto in reparto.
Obiettivo. Descrivere l’esperienza e gli effetti dell’intervento pilota
di supervisone clinica, illustrare come la metodologia attiva favorisca l’elaborazione di situazioni emotivamente complesse vissute in
ambito lavorativo.
Materiali e metodi. La supervisione era rivolta all’equipe sanitaria
di Neuroriabilitazione pediatrica della casa di cura Dezza. Il team di
conduzione era composto da due psicologhe psicodrammatiste. È
stata utilizzata una metodologia attiva afferente allo Psicodramma
Classico, in particolare sono state preferite tecniche sociometriche
per l’emergere delle difficoltà condivise e il debriefing, tecnica che
nasce con lo scopo di ridurre lo stress favorendo l’empowerment di
gruppo.
Risultati. Hanno partecipato 12 operatori sanitari: 1 terapista della neuropsicomotricità dell’età evolutiva, 3 fisioterapisti, 1 medici,
3 logopedisti, 1 neuropsicologo, 2 infermieri pediatrici, 1 terapista
occupazionale. Il lavoro, non frontale ma circolare, ha avuto come
risultato l’empowerment del gruppo che ha richiesto altri incontri.
Ha permesso di elaborare in primis le problematiche del gruppo ed
individuare le risorse a disposizione al fine di creare una autoefficacia
percepita collettiva. In particolare, sono emerse le seguenti difficoltà
condivise: gestire le risposte emotive nei confronti del bambino e
del genitore, in particolare la frustrazione verso i casi più complessi
e compromessi dal punto di vista clinico. Elaborare la scarsa autostima professionale che spesso deriva dal senso di impotenza difronte a
situazioni gravi, dove il controllo relazionale col paziente e i parenti
assume un carico emotivo importante. Gli operatori hanno infine
individuato le seguenti linee di lavoro collettivo che rappresentano
una sorta di risorse per fronteggiare le difficoltà discusse. In particolare è stata apprezzata e fortemente richiesta una modalità corretta di
condivisione gruppale dei casi clinici che renda possibile la valorizzazione e l’interscambio di competenze professionali e garantisca la
presa in carico del vissuto emotivo ai fini di una sempre più efficace
risposta relazionale nei confronti dei pazienti e della famiglia.
Conclusioni. L’esperienza di questo intervento rappresenta la testimonianza della possibilità di un approccio diverso dalle esperienze
precedentemente attivate nell’ambito dell’elaborazione del vissuto
emotivo in ambito assistenziale. L’utilizzo delle tecniche derivate
dallo psicodramma classico, largamente utilizzate in ambito formativo, sembra prestarsi in modo ottimale anche all’interno di percorsi
come questo descritto. Il gruppo è stato capace di nominare le emozioni derivanti dalle situazioni problematiche e fortemente impattanti e di differenziare chiaramente le difficoltà di gruppo e quelle
invece derivanti dal vissuto individuale di ogni operatore. Si rileva,
di contro, l’incapacità di legittimare il carico emotivo vissuto e la
sua origine; questo suggerisce la necessità di considerare uno spazio
permanente e costante di supervisione.
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Vol. 30 - N. 2/3 - GIORNALE ITALIANO DI MEDICINA RIABILITATIVA - MR
44° CONGRESSO NAZIONALE SIMFER
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LA PRESA IN CARICO MEDIANTE ICF DELLA
PERSONA CON VESCICA NEUROLOGICA
AVVIATA ALL’AUTOCATETERISMO
INTERMITTENTE
Vita Palmisano1, Angela Lopopolo1, Giuseppina Frasca2,
Patrizia Dicillo2, Laura Macchia2, Giuseppina Lagioia2,
Marisa Megna3, Pietro Fiore4, Luisa Depalma2
Scuola di Specializzazione Medicina Fisica e Riabilitativa di Bari, Università
degli Studi di Bari - UOC Medicina Fisica e Riabilitativa e USU - Policlinico
di Bari, Bari, Italia1
Policlinico di Bari, UOC Medicina Fisica e Riabilitativa e USU - Policlinico
Bari, Bari, Italia2
Direttore Scuola di Specializzazione Medicina Fisica e Riabilitativa di Bari,
Università degli Studi di Bari - UOC Medicina Fisica e Riabilitativa e USU Policlinico di Bari, Bari, Italia3
Policlinico di Bari, Direttore UOC Medicina Fisica e Riabilitativa e USU - Policlinico Bari, Bari, Italia4
Introduzione. L’apparato genito-urinario, per la sua complessa regolazione nervosa, risulta spesso compromesso nelle persone colpite
da disabilità neurologica e in particolare nei pazienti affetti da sclerosi multipla, mielolesioni di natura traumatica e non traumatica,
cerebrolesioni e neuropatie periferiche. I disturbi minzionali dovuti
ad una condizione di vescica neurologica influiscono sulla qualità
di vita del paziente, sulla vita scolastica e lavorativa e in generale
sulle sue relazioni sociali. Nel paziente con vescica acontrattile il
gold standard terapeutico è rappresentato dall’autocateterismo intermittente che a sua volta modifica le abitudini e la quotidianità
del soggetto. Le complesse interazioni tra la condizione di salute di
un individuo, i fattori personali e i fattori ambientali definiscono la
condizione di disabilità così come descritta dalla classificazione ICF.
Definizione questa, che ben correla al quadro clinico-sociale del
paziente con vescica neurologica. Nonostante questa perfetta corrispondenza, nell’ambito dell’ICF, i disturbi minzionali rappresentano un piccolo capitolo facente parte dei diversi core-set di malattia
ma non vengono presi in considerazione come fattore principale di
disabilità. Scopo del nostro studio è quello di sviluppare un protocollo basato sui codici ICF e cercare una correlazione tra questo e
alcuni test attualmente in uso per la valutazione dell’influenza delle
problematiche minzionali sulla qualità di vita del paziente in modo
da ottenere una metodica di valutazione efficace e completa che serva al fisiatra come primo approccio e come guida nella scelta dell’iter
terapeutico-riabilitativo da intraprendere.
Materiali e metodi. In questo studio osservazionale prospettico
sono stati arruolati 67 pazienti (29 donne e 38 uomini, età media 44,7 anni) affetti da vescica neurologica (46,1% SM; 43,8%
mielolesione traumatica; 6,2% mielolesione non traumatica; 3,9%
lesione della cauda) avviati al cateterismo intermittente dopo aver
eseguito una valutazione clinico-diagnostica ed esame urodinamico
presso l’ambulatorio di gestione dell’area sacrale dell’Unità Spinale
Unipolare del Policlinico di Bari, nel periodo compreso tra gennaio
2014 e dicembre 2015. I pazienti rispondevano ai seguenti criteri di
inclusione: età compresa tra 18 e i 70 anni; evidenza urodinamica di
acontrattilità detrusoriale primitiva o farmaco-indotta; soggetti che
venivano avviati al CISC per la prima volta, in grado di apprendere
la manovra dell’autocateterismo o presenza di care-giver in grado di
essere addestrato alla manovra; pazienti di tipo ambulatoriale; soggetti in grado di utilizzare il telefono e sostenere una conversazione
telefonica e di fornire il consenso informato al trattamento. A questi
pazienti sono stati somministrati, al momento dell’addestramento
(t0) e dopo 4 mesi (t1) le seguenti scale di valutazione: il King Health Questionnaire e la FIM. Inoltre ogni paziente è stato inquadrato secondo un protocollo di codici ICF precedentemente selezionati
sulla base dei domini estrapolati dal King Health Questionnaire. I
risultati ottenuti sono stati analizzati tramite il metodo statistico di
correlazione di Pearson e la significatività valutata tramite t-student.
Risultati. I risultati ottenuti hanno evidenziato una correlazione
positiva statisticamente significativa tra gli 8 domini del KHQ e il
protocollo ICF preparato. Inoltre abbiamo valutato quanto i fattori
ambientali possano funzionare da barriera o facilitatore nell’ambito
dei rapporti sociali del paziente e come questa relazione influisca
sulla qualità di vita. Infine abbiamo confrontato i risultati ottenuti
al follow up dividendo i pazienti in tre gruppi a seconda del grado di
autonomia alla FIM per osservare quanto l’autocateterismo influisca
sulla QoL di questi soggetti e quanto tale influenza sia diversa nei
tre gruppi.
Conclusioni. Sulla base dei risultati ottenuti possiamo concludere
che l’ICF è uno strumento utile al fisiatra per il completamento
del piano riabilitativo individuale, permettendo una idonea strategia terapeutica nei disturbi minzionali. Quando si decide di prescrivere l’uso del cateterismo intermittente bisogna tener conto della
persona nel suo complesso, delle sue capacità cognitive e motorie,
del suo ambiente familiare, della posizione e dell’attività sociale e la
classificazione ICF può aiutarci in questo processo. Ulteriori approfondimenti saranno necessari per perfezionare questo protocollo e
renderlo di più facile applicazione.
Bibliografia
1.
2.
3.
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Health (ICF) be used in a prosthetics and orthotics outpatient clinic? Prosthet
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WHO – ICF – Erickson, 2001
191
ESPERIENZA NELLA GESTIONE DEL DOLORE
NEUROPATICO PERIFERICO CON LA
BIOMESOTERAPIA
Vincenzo Cinquepalmi1, Luigi Di Bisceglie1
Casa Divina Provvidenza, Villa San Giuseppe, Bisceglie, Italia1
Introduzione. È molto tempo che esiste un dualismo tra medicina
allopatica e omopatica, negli ultimi trent’anni una parte della classe
medica ha dato vita ad una nuova medicina omeopatica, l’omotossicologia che utilizza gli stessi prodotti omeopatici ma ad una diluizione
minore e preparati composti contenenti più diluizioni della stessa sostanza ovvero, più sostanze a diverse diluizioni. Ma davvero importante è l’attivazione di questi prodotti, ottenuta mediante agitazione
cinetica e sperimentalmente dimostrata in studi scientifici recenti.
Abbiamo utilizzato tali farmaci somministrandoli mediante mesoterapia su specifici punti di agopuntura , per trattare il dolore neuropatico acuto in quattro soggetti con lombosciatalgia acuta, trattati sia
in ambulatorio sia in ricovero riabilitativo. Si è ricercato il governo
della sintomatologia dolorosa, in acuto ed in cronico, il recupero delle
capacità motorie e dell’autonomia personale e quindi il rientro all’attività lavorativa.
Materiali e metodi. Allo scopo si sono utilizzate fiale iniettabili (ev;
sc; im) dei prodotti omotossicolgici denominati “LEDUM COMPOSITUM” e “ARNICA COMPOSITUM”, somministrate con siringa sterile da 5 ml e ago da mesoterapia (4mm x 27G) in corrispondenza di alcuni punti relativi ai meridiani di agopuntura seguendo
le indicazioni della MTC. Sono state somministrate scale valutative
della capacità motoria, l’autonomia personale e il dolore.
Risultati. Sono stati trattati quattro maschi tra i 45 e 65 anni con
lombosciatalgia acuta ed impotenza funzionale, di cui uno con gli
esiti di erniectomia d’urgenza L5-S1 esitata in residua paraparesi in
fase algica. Si sono eseguite in media 8 sedute di mesoterapia con
infiltrazioni multiple su punti precisi di arti e tronco come riporta-
Vol. 30 - N. 2/3 - GIORNALE ITALIANO DI MEDICINA RIABILITATIVA - MR
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44° CONGRESSO NAZIONALE SIMFER
to dalla MTC ed infiltrazioni accessorie lungo le eventuali dermalgie
presenti dorsalmente. In tutti i casi la riduzione della sintomatologia
acuta ha avuto una durata di almeno 2 giorni, dopo singola infiltrazione, con stabilizzazione e progressiva risoluzione del dolore. Nei casi
trattati ambulatorialmente non è stata eseguita fisioterapia, benché
prescritta al termine della fase acuta, poiché i pazienti hanno ripreso
gradualmente, già in corso di trattamento, le loro attività giornaliere
con completo recupero nell’arco di tre settimane circa. Nell’unico caso
trattato in ricovero, il trattamento ha consentito una miglior gestione del dolore, assieme alla terapia orale allopatica, permettendo una
miglior adesione al trattamento riabilitativo ottenendo cosi un netto
miglioramento motorio con, nell’arco di tre settimane, il raggiungimento della verticalizzazione e inizio della deambulazione con ausilio.
Conclusioni. L’utilizzo della biomesoterapia ovvero la mesoterapia
con farmaci omotossicologici, si è dimostrata efficiente nel gestire il
dolore neuropatico da compressione meccanica almeno nei pochissimi pazienti trattati. Sicuramente gravata da alcun effetto collaterale,
sembra essere un’utile alternativa alla terapia allopatica specie in quei
pazienti con allergie, trattamento contemporaneo di pluripatologia o
semplice avversione al trattamento allopatico o in combinazione con
quest’ultimo al fine di ridurre le dosi di farmaco utilizzate. Utile compendio alla fisioterapia, i due trattamenti interagiscono positivamente
velocizzando i tempi di risposta dell’organismo riducendo i tempi di
trattamento. Naturalmente il campione esaminato è estremamente
esiguo per poter eseguire una qualsiasi statistica degna di nota ma
le indicazioni ricavate sono quelle sin qui espresse. Con un campione più ampio si potrebbero misurare sia la percentuale di risposta al
trattamento, sia la percentuale di riduzione dei tempi di recupero sia
quantificare il grado di recupero stesso. Da considerare, inoltre che
questo tipo di trattamento sia una fusione di filosofie mediche molto
differenti, quella orientale e quella occidentale, ma che hanno lo stesso
obiettivo la salute del paziente.
Bibliografia
1.
Pulm Pharmacol Ther. 2009 Dec;22(6):497-510. doi: 10.1016/j.
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2.
3.
192
STUDIO COMPARATO DI EFFICACIA DELLE
VIBRAZIONI FOCALI E DELLA TERAPIA
MANUALE NEL CONTENIMENTO DELLA
DISABILITÀ CORRELATA A NEUROPATIA
DIABETICA
Laura Di Biagio1, Davide Santini1, Emanuela Cinì1, Rita
Traversetti1, Marianna Capecci1, Maria Gabriella Ceravolo1
Clinica di Neuroriabilitazione, Dip. di Medicina Sperimentale e Clinica, Università Politecnica delle Marche, Ancona, Italia1
Introduzione. La neuropatia periferica affligge circa il 90% dei soggetti affetti da diabete mellito di II tipo. Benché in oltre la metà dei
casi la condizione resti asintomatica, in una parte di essi è causa di
severa riduzione della qualità di vita, per la ricorrenza di dolore continuo di tipo neuropatico con distribuzione simmetrica distale, che
può evolvere in disturbi della componente sensitiva per danno alle
fibre nervose di piccolo calibro nonché in deficit stenico a carico dei
muscoli della gamba. Gli approcci farmacologici hanno un’efficacia
limitata sulla sintomatologia e non sono privi di effetti collaterali.
156
L’approccio riabilitativo è mirato al contenimento del rischio di cadute e al ricondizionamento allo sforzo. Tra le terapie fisiche l’unica
il cui utilizzo è raccomandato a scopo antalgico è la TENS, ma anche
in questo caso l’effetto è parziale e limitato nel tempo. L’innovazione
tecnologica dei dispositivi strumentali dedicati alla somministrazione di onde meccanosonore a scopo antalgico consente di trattare in
modo non invasivo patologie neuromuscolari. L’obiettivo dello studio
è valutare l’efficacia comparata dell’applicazione di vibrazioni focali e
della terapia manuale sulla sintomatologia dolorosa, la performance
del cammino e la qualità di vita in soggetti con neuropatia diabetica.
Materiali e metodi. Sono stati studiati 16 soggetti con neuropatia
diabetica clinicamente manifesta e documentata elettromiograficamente. Attraverso una procedura di randomizzazione, i pazienti sono
stati avviati ad uno di due gruppi di trattamento, rispettivamente VIBRA o POMPAGE. Il gruppo VIBRA è stato sottoposto a 21 sedute
trisettimanali di 20 minuti ciascuna di stimolazione delle regioni algiche ( 6-8 siti di azione) con un protocollo che prevedeva una stimolazione a 200Hz per le prime 7 sedute, a 100 Hz dalla 7a alla 14a seduta
e 150 Hz dalla 14aalla 21a seduta; in questa ultima fase al trattamento
veniva sovrapposto l’esercizio funzionale. Il gruppo POMPAGE ha
eseguito 10 sedute trisettimanali di pompage e stretching agli arti inferiori della durata di 45 min circa. Le misure di risultato sono state
raccolte prima del trattamento e al termine dello stesso con follow up
ad un mese dal termine e comprendevano: VAS dolore, Neuropatic
Pain Scale (NPS), SF36, 6MWT.
Risultati. Al termine del trattamento si è osservato un effetto clinicamente significativo di entrambi i trattamenti sul dolore e la qualità
di vita, parzialmente mantenuto al follow up. Il gruppo VIBRA, a
differenza del gruppo POMPAGE, ha mostrato inoltre un significativo incremento della resistenza del cammino, mantenuta al follow-up.
Conclusioni. L’applicazione di vibrazione focale rappresenta un’opzione potenzialmente valida nell’approccio riabilitativo e farmacologico integrato alla neuropatia diabetica. In questo studio pilota, un
ciclo di circa 20 sedute è risultato efficace sia nel contenere la sintomatologia dolorosa sia nel migliorare la performance del cammino. I
risultati incoraggiano la realizzazione di studi su più ampia casistica
per meglio definire la dimensione dell’effetto, il profilo del paziente
con maggiore suscettibilità agli effetti terapeutici del trattamento e la
durata di efficacia nel medio periodo.
Bibliografia
1.
2.
3.
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193
EFFICACIA DELLA VIBRAZIONE FOCALE A 100
HZ SULL’IPERTONO DELL’ARTO SUPERIORE
IN SOGGETTI CON ESITI CRONICI POSTICTUS
Luca Latini1, Marzia Millevolte1, Elisa Andrenelli1, Matteo
Ferretti1, Anna Maria Monsù1, Rita Traversetti1, Elisa
Capanna1, Ilaria Barboni1, Marianna Capecci1, Maria
Gabriella Ceravolo1
Clinica di Neuroriabilitazione, Dip. di Medicina Sperimentale e Clinica, Università Politecnica delle Marche, Ancona, Italia1
Introduzione. La spasticità post ictus, con una prevalenza pari al
38-60%, provoca un peggioramento delle condizioni clinico-funzionali del paziente, un incremento della disabilità ed interferisce
con l’implementazione del progetto riabilitativo. Studi in letteratura
Vol. 30 - N. 2/3 - GIORNALE ITALIANO DI MEDICINA RIABILITATIVA - MR
44° CONGRESSO NAZIONALE SIMFER
riportano che l’assunzione di farmaci spasmolitici orali, l’infusione
intratecale di baclofen mediante pompa od il trattamento spasmolitico focale mediante tossina botulinica, permettono una diminuzione del tono muscolare dell’arto superiore spastico, con impatto
significativo sulla percezione di benessere, se non sulla autonomia.
Tutte le metodiche citato, peraltro, mostrano alcuni limiti imputabili al rapporto costo/beneficio e al rischio emergente di effetti collaterali. In letteratura scarsi ed incerti sono i risultati degli studi clinici
inerenti i trattamenti riabilitativi. Obiettivi primari di questo studio
sono valutare l’effetto di un protocollo di stimolazione mediante
vibrazioni focali, a 100 HZ (VIBRA plus_a-Circle®), sulla spasticità dell’arto superiore, in pazienti con esiti di ictus cerebrale in fase
cronica, e monitorarne la durata. Obiettivo secondario è utilizzare
i dati prodotti da questo studio pilota per futuri studi su campioni
più ampi e con un prolungato periodo di osservazione.
Materiali e metodi. Soggetti: sono stati arruolati pazienti con esiti
di ictus cerebrale, in fase cronica, afferiti ad un centro di riferimento regionale per il trattamento della spasticità, da Gennaio a Maggio 2016. Criteri di inclusione: ictus cerebrale in fase cronica (> 12
mesi), presenza di spasticità dell’arto superiore (MAS ≥2 in almeno
un muscolo), esposizione, in passato, a trattamento con tossina botulinica, con esito positivo. I criteri di esclusione: ulteriori patologie
neurologiche o neurodegenerative, patologie pregresse della spalla,
comorbidità internistiche disabilitanti, concomitante trattamento riabilitativo, recente (entro gli ultimi 3 mesi) trattamento della
spasticità con tossina botulinica. Protocollo di trattamento: 9 sedute
mediante VIBRA plus applicato ai muscoli estensori dell’arto superiore (spalla-braccio-avambraccio) a frequenza 100 HZ, ampiezza A2, frequenza trisettimanale. La prima seduta è stata preceduta
dall’applicazione di un trattamento sham della durata di 30 minuti
sul muscolo trapezio. Misure di outcome: Modified Ashworth Scale (MAS), Clinical Global Impression of Change (CGIC), Patient’s
Global Impression of Change (PGIC), Visual Analogue Scale (VAS)
per il dolore, per la rigidità e per la pesantezza. È stato inoltre eseguito studio neurofisiologico comprensivo della registrazione dei
seguenti parametri: riflesso H e onda F (latenza, ampiezza, H/M
ratio e F/M ratio) a livello dell’ Abductor Pollicis Brevis (APB) e
Abductor Digiti Minimi (ADM) del lato affetto dopo stimolazione
rispettivamente dei nervi mediano ed ulnare al polso. Tutte le misure
cliniche sono state raccolte al momento dell’arruolamento, baseline
(T0), immediatamente dopo la seduta sham (Tp), dopo la prima
seduta di trattamento (T1), 48 ore dopo la nona seduta (T4) e a distanza di due settimane dalla fine del trattamento (T5). I parametri
neurofisiologici sono stati invece misurati al T0, T4 e T5.
Risultati. Sono stati inclusi 11 soggetti (6 F/5 M) di età media pari
a 66,1 anni (DS + 7 anni), a distanza media dall’evento acuto di
91,6 mesi (DS + 50,1 mesi con range 21 – 166 mesi). Non è stata
rilevata alcuna variazione nelle misure cliniche al Tp rispetto al T0.
Una progressiva riduzione significativa del punteggio MAS, dalla
prima all’ultima seduta, è stata osservata a livello del gomito, polso
e dell’articolazione interfalangea distale in 7 soggetti; l’effetto si è
mantenuto fino a T5 a livello del polso. Sette soggetti riferiscono
una percezione di miglioramento in termini di qualità della vita
(PGIC), al termine del trattamento, persistente al follow-up. La
sensazione di pesantezza e rigidità dell’arto, valutate con la VAS,
migliora significativamente a T1 (P<,001), persiste a T4 e mostra
tendenza a tornare ai valori basali a T5. La variazione del punteggio
MAS al polso è significativamente e direttamente correlata con la
riduzione del rapporto H/M misurato all’APB (Y = ,577 + 18,414 *
X; R^2 = ,583), mentre la riduzione del punteggio VAS relativo alla
pesantezza dell’arto è direttamente correlata alla riduzione del rapporto H/M misurato all’ADM Y = 1,694 + 35,765 * X; R^2 = ,415.
Conclusioni. L’utilizzo protratto di vibrazioni focali sull’arto superiore spastico in soggetti con esiti cronici post-ictus determina una
riduzione dell’ipertono, valutabile dal clinico e percepita dal paziente. La dimensione dell’effetto è direttamente proporzionale alla mo-
difica dei parametri neurofisiologici di attività muscolare. La breve
durata dell’efficacia rappresenta un limite, che suggerisce un utilizzo
della stimolazione vibratoria come approccio integrativo, non sostitutivo, di altri approcci farmacologici invasivi e più costosi.
Bibliografia
1.
Casale R et al . Localized 100 Hz vibration improves function and reduces
upper limb spasticity: a double-blind controlled study” Eur J Phys Rehabil Med
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194
VALUTAZIONE DEL PROFILO DI SICUREZZA
DEL TRATTAMENTO INTRA-ARTICOLARE
CON OSSIGENO-OZONOTERAPIA
NELL’ARTROSI DI GINOCCHIO: STUDIO
RANDOMIZZATO CONTROLLATO
Alessio Baricich1, Davide Stagno1, Carlo Cisari1, Marco
Invernizzi1
Medicina fisica e riabilitativa - Dipartimento di Scienze della salute, Università
del Piemonte Orientale, Novara, Italia1
Introduzione. L’osteoartrosi è una patologia muscolo scheletrica
degenerativa che colpisce il 10% della popolazione oltre i 55 anni.
Il trattamento comprende interventi farmacologici e non farmacologici: le infiltrazioni intra-articolari con acido ialuronico (HA)
vengono utilizzate per il ripristino delle proprietà viscoelastiche
del liquido sinoviale; è stato inoltre suggerito che possano determinare anche una riduzione dell’infiammazione con conseguente
protezione dalla erosione cartilaginea, associata ad un incremento
della produzione endogena di HA. L’efficacia e la tollerabilità del
trattamento sono state dimostrate in vari studi. Recentemente è
stato proposto per il trattamento dell’osteoartrosi l’utilizzo dell’ossigeno-ozonoterapia (O2O3), già ampiamente utilizzata in altri
quadri come lombalgia ed ernie discali. L’effetto clinico è mediato
dalle proprietà chimiche dell’ozono (O3): in un modello animale è stato dimostrato a livello sinoviale una riduzione dei livelli
di TNF-a dopo iniezione con O3. Non sono attualmente disponibili evidenze in merito a sicurezza ed efficacia del trattamento
con O2O3, rispetto all’utilizzo di HA intra-articolare. Lo scopo
di questo studio è stata la valutazione del profilo di sicurezza delle infiltrazioni intra-articolari con O2O3 nell’artrosi di ginocchio,
confrontate con la terapia viscosuppletiva con HA. Gli outcome
secondari hanno inoltre valutato l’impatto dei trattamenti su dolore, funzione e qualità di vita.
Materiali e metodi. In questo studio randomizzato controllato
in singolo cieco sono stati inclusi soggetti affetti da osteoartrosi
cronica. I criteri di inclusione sono stati: i) età compresa tra 60
e 85 anni; ii) diagnosi radiologica di osteoartrosi di grado II-III
secondo la classificazione di Kellgren-Lawrence; iii) assenza di controindicazioni al trattamento infiltrativo intra-articolare. I criteri
di esclusione sono stati: i) presenza di infezione nell’area di infiltrazione; ii) lesioni ai legamenti del ginocchio; iii) presenza di protesi di ginocchio o altra procedura chirurgica articolare nell’ultimo
anno; iii) fratture di femore, tibia o perone nell’ultimo anno; iv)
terapia corticosteroidea nell’ultimo anno; v) comorbilità significative (ipertiroidismo, trombocitopenia, recente infarto miocardico,
patologie con sanguinamento); vi) allergia ad HA. I pazienti hanno osservato un periodo di sospensione di una settimana da farmaci analgesici e FANS prima del trattamento infiltrativo, e non è
stato loro permesso di assumere le stesse terapie nel periodo dello
studio. I pazienti sono stati trattati con O2O3 (gruppo 1) o HA
(gruppo 2). I pazienti di entrambi i gruppi sono stati trattati con
una infiltrazione alla settimana per quattro settimane consecutive.
Vol. 30 - N. 2/3 - GIORNALE ITALIANO DI MEDICINA RIABILITATIVA - MR
157
44° CONGRESSO NAZIONALE SIMFER
Una ulteriore valutazione è stata effettuata a 4 settimane dall’ultima infiltrazione. I pazienti del gruppo 1 hanno ricevuto O2O3
intra-articolare, generato al momento dell’inoculo con concentrazione 20mcg/ml; i pazienti del gruppo 2 hanno ricevuto acido
ialuronico in siringa pre-riempita (Hyalgan®, Fidia Farmaceutici).
L’outcome primario dello studio è stata la valutazione del profilo
di sicurezza del trattamento con O2O3 attraverso le registrazione di
qualsiasi effetto avverso insorto durante il trattamento. Gli outcome secondari hanno preso in considerazione il dolore, la funzione
articolare e la qualità di vita, misurate rispettivamente con VAS,
Oxford Knee Questionnaire, SF-12 ed EuroQoL. Le differenze in
ciascuna delle variabili considerate sono state valutate con il test
di Friedman associata al test di Dunn per confronti multipli. Le
differenze tra le singole variabili nei gruppi sono state valutate con
il test di Mann-Whitney. È stato scelto un valore di p< 0.05,; la
correzione di Bonferroni per confronti multipli ha portato ad un
nuovo livello di p di 0.013.
Risultati. Sono stati inclusi nello studio 42 pazienti. Non sono
state riportate differenze significative nei due gruppi in relazione
all’incidenza di eventi avversi. Nel gruppo O2O3 due pazienti hanno riferito una sensazione di gonfiore e peso a carico dell’articolazione, regredito spontaneamente nei primi due minuti; nel gruppo
HA tre pazienti hanno riferito la presenza di dolore e sensazione
di edema articolare, con risoluzione spontanea 24-48 ore dopo
l’infiltrazione. In relazione alle misure di outcome secondario non
sono state osservate differenze significative tra i gruppi, eccetto una
maggiore riduzione del dolore (VAS) al follow up nel gruppo trattato con HA.
Conclusioni. I risultati di questo studio preliminare hanno dimostrato il buon profilo di sicurezza del trattamento con O2O3 intraarticolare per l’artrosi di ginocchio. I dati preliminari suggeriscono
una minore durata di effetto della terapia con O2O3 rispetto ad HA
nella riduzione del dolore articolare. Ulteriori studi sono necessari
per valutare i profili di sicurezza ed efficacia a lungo termine.
Bibliografia
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2.
3.
195
TERAPIA OCCUPAZIONALE E RISCHIO DI
CADUTE NELL’ANZIANO
Federico Salvò1, Monica Panigazzi2, Giacomo Bazzini2, Elena
Dalla Toffola1
SIMFER Università degli Studi di Pavia, Pavia, Italia1
Fondazione Salvatore Maugeri, Fondazione Salvatore Maugeri, Pavia, Italia2
Introduzione. Secondo quanto riportato in letteratura, si stima che
circa 30% degli over 65 aa va incontro ad una caduta ogni anno, con
picchi del 42% oltre i 70 aa (1). Ogni anno, circa il 40% dei decessi
per trauma sono legati a cadute nell’anziano. I danni conseguenti
alle cadute nell’anziano, vengono considerati nel 20/30% dei casi
come medio/severi e rappresentano il 10/15% degli accessi totali in
PS in un anno. Le principali cause di ospedalizzazione conseguenti
a caduta nell’anziano sono: frattura d’anca, traumi cranici, lesioni
agli arti superiori (1). Il SINIACA stima una spesa annua a carico
158
del SSN di circa 400 milioni di euro per infortuni domestici (78%
imputabili a cadute) ed un costo medio per singolo incidente di circa 3000 € (2). L’indicazione corretta e la scelta mirata di un ausilio
alla deambulazione riduce il rischio di caduta. Il follow-up di valutazione sull’uso in particolare del deambulatore ha rilevato criticità
nel percorso di assegnazione dello stesso ausilio con problematiche
inerenti sia la personalizzazione che l’addestramento all’uso corretto.
Obiettivo dello studio è stato di valutare l’aderenza all’utilizzo del
deambulatore, il grado di soddisfazione soggettiva nell’utilizzo dello
stesso ed il rapporto cadute pre/post prescrizione dell’ausilio da parte del Medico Fisiatra prescrittore.
Materiali e metodi. Presso L’U.O. di Fisiatria Occupazione ed Ergonomia dell’Istituto scientifico di riabilitazione di Pavia della Fondazione Maugeri IRCCS nell’anno 2015-2016 sono stati selezionati
i dati relativi alla prescrizione di deambulatori mediante il sistema
Assistant@nt-RL. Ai pazienti selezionati è stato quindi somministrato il questionario Quebec User Evaluation of Satisfaction with
assistive Technology (QUEST) (3) per la valutazione della soddisfazione dell’utente rispetto all’ausilio e rispetto ai servizi. Inoltre si è
voluto indagare il numero totale di cadute del campione in esame
negli anni precedente e successivo la prescrizione del deambulatore.
Risultati. Abbiamo analizzato le prescrizioni per ausilio dominante
effettuate nell’arco di un anno. Di queste 648 prescrizioni totali 53
riguardavano un deambulatore, prescritti in 49 casi a over 65aa. 3 di
questi sono deceduti, mentre 7 non hanno mai utilizzato l’ausilio. In
29 hanno risposto alle nostre domande. I deambulatori prescritti a
questi pazienti erano 3 due ruote/2puntali, 14 quattro ruote con freno a mano, 6 quattro ruote con freno a ruota, 6 quattro ruote senza
freni. Il totale delle cadute prima della prescrizione del deambulatore ammontava a 45, dopo la prescrizione invece un solo paziente è
caduto mentre però non stava usando il deambulatore. I 29 pazienti
hanno risposto a tutte le parti del QUEST determinando un valore
medio di 4.8/5 per gli ITEM relativi all’ausilio, 5/5 per gli ITEM
relativi ai servizi, con un punteggio medio totale di 4.9/5.
Conclusioni. L’efficacia di un ausilio è strettamente dipendente al
corretto iter prescrittivo. Al centro del processo sta il paziente le
cui caratteristiche psico-fisiche, patologie e l’ambiente in cui vive
devono essere scrupolosamente valutate dal Medico prescrittore al
fine di poter identificare l’ausilio più idoneo al caso. Parte integrante
della visita è dunque la fase di addestramento. È importante testare
l’ausilio, illustrare al paziente la regolazione corretta ed insegnarne il corretto utilizzo. I dati raccolti, seppure attraverso un piccolo
campione, mostrano un alto grado di soddisfazione dei pazienti in
merito all’apparecchio e alle modalità di prescrizione, con ricadute
positive su qualità della vita e mobilità personale. Il dato relativo
alle cadute inoltre ci suggerisce come il deambulatore possa essere
considerato uno strumento utile nella prevenzione delle stesse, sia
come aiuto oggettivo nel controllo della postura sia come ausilio
indiretto, fornendo al paziente maggior consapevolezza della propria limitazione. Da qui l’importanza dell’iter prescrittivo eseguito
in un centro specializzato in Terapia Occupazionale , dalla patologia, all’addestramento, passando per la prescrizione dell’ausilio più
appropriato.
Bibliografia
1.
2.
3.
World Health Organization. Ageing, & Life Course Unit. (2008). WHO global report on falls prevention in older age. World Health Organization.
Programma nazionale per le linee guida (2009). Prevenzione delle cadute da
incidente domestico negli anziani, Linee Guida. Istituto Superiore della Sanità.
Demers, L., Wessels, R. D., Weiss-Lambrou, R., Ska, B. and De Witte, L. P.
(1999). An international content validation of the Quebec User Evaluation of
Satisfaction with assistive Technology (QUEST). Occup. Ther. Int., 6, 159–
175. traduzione: Fucelli P, Andrich R (2003). Strumento QUEST (Quebec
User Evaluation of Satisfaction with Assistive Technology) - versione italiana.
Dispense Corso di Alta Formazione “Tecnologie per l’Autonomia”. Fondazione
Don Carlo Gnocchi Onlus.
Vol. 30 - N. 2/3 - GIORNALE ITALIANO DI MEDICINA RIABILITATIVA - MR
44° CONGRESSO NAZIONALE SIMFER
196
TRATTAMENTO INFILTRATIVO IN
MONOSOMMINISTRAZIONE SINGOLA DI HA
IN PAZIENTI CON GONARTROSI: RISULTATI A
LUNGO TERMINE
Danilo Canzio1, Giusy Leone2, Filippo Leone2, Santi
Maurizio Raineri1, Claudia Paleologo1, Antonino Giarratano1
Ambulatorio di Terapia del Dolore - U.O.C. Anestesia e Rianimazione con Terapia Intensiva Polivalente - A.O.U.P. “Paolo Giaccone” dell’Università degli
Studi di Palermo1
Centro di Medicina Fisica e Riabilitativa “Dr. Leone Filippo Medicina Fisica e
Riabilitativa s.r.l”, Partanna (TP)2
Introduzione. L’osteoartrosi è una malattia caratterizzata dal deterioramento della cartilagine e delle strutture articolari, che si manifesta clinicamente con dolore ingravescente (caratteristicamente “a tre tempi”) e
conseguente riduzione della funzionalità articolare. La risoluzione della
sintomatologia algica risulta essere, ancora oggi, l’obiettivo primario nel
trattamento di tale patologia. Analgesici e FANS sono comunemente
utilizzati nella gestione dell’osteoartrosi (OA), anche se spesso non ben
tollerati dai pazienti a causa degli effetti collaterali. Altra classe di farmaci sono i SYSADOA, in grado di ritardare o stabilizzare la degenerazione cartilaginea e articolare. La terapia infiltrativa con acido ialuronico
(HA) è utilizzata da diversi anni nella pratica clinica e si è dimostrata
particolarmente efficace, in virtù delle sue proprietà di elevata viscosupplementazione con miglioramento dell’omeostasi e dell’integrità
tissutale. Il nostro studio si propone di valutare gli effetti analgesici, immediati e a distanza, ed il miglioramento in termini di aumento della
mobilità e della qualità della vita in pazienti trattati con Monovisc™
(Vita Research, Italia). Monovisc™ è un sostituto del liquido sinoviale
articolare, ad elevata concentrazione (22 mg/ml) e viscosità cinematica
(75000 centistokes), ad alto P.M. di origine non animale che, grazie alla
tecnologia Light Cross Linking, mantiene più a lungo i benefici dell’HA
e dunque adatto alla monosomministrazione.
Materiali e metodi. Presso l’Ambulatorio di Terapia del Dolore
dell’U.O.C. di Anestesia e Rianimazione con Terapia Intensiva Polivalente dell’ A.O.U.P. “Paolo Giaccone” dell’Università degli Studi di
Palermo e presso il Centro di Medicina Fisica e Riabilitativa “Dr. Leone Filippo Medicina Fisica e Riabilitativa s.r.l” di Partanna (TP) sono
afferiti complessivamente, nel periodo compreso tra Settembre 2015
e Maggio 2016, 53 pazienti affetti da gonartrosi (N° Femmine 39, N°
Maschi 14). I criteri di inclusione nello studio sono stati: età compresa
fra i 40 e gli 80 anni, con artrosi primaria sintomatica di un distretto
articolare da almeno 6 mesi. Criteri di esclusione: sintomi artrosici in
altre articolazioni che potrebbero interferire con la valutazione del dolore, altre malattie reumatiche e condizioni generali del paziente che
potrebbero interferire con la valutazione dello studio. Il trattamento
prevedeva 1 infiltrazione/anno intrarticolare di Monovisc™. Ciascun
paziente è stato valutato alla visita basale (baseline), successivamente è
stato eseguito un follow-up a 3 settimane (T1) e a 13 settimane (T2).
Sono stati raccolti e confrontati nei tre tempi i dati relativi ad: anamnesi, esame obiettivo distrettuale, valutazione del dolore utilizzando la
scala WOMAC (VAS), valutazione globale del paziente, valutazione
globale dell’investigatore.
Risultati. I dati emersi dal nostro studio osservazionale dimostrano
come la singola iniezione intrarticolare di Monovisc™ abbia consentito una riduzione del dolore in tutti i pazienti trattati, sia a riposo che
sotto carico, durante la deambulazione e nel salire e scendere le scale.
I valori medi di VAS sono stati infatti: VAS media iniziale 6.8, a T1
3.6 ed a T2 2.9. Un trend analogo si è osservato per quel che concerne
il miglioramento della funzionalità articolare. Nessuno dei pazienti
trattati ha riportato eventi avversi.
Conclusioni. Il presente studio mette in evidenza come il trattamento con Monovisc™ sia efficace nell’alleviare il dolore ed aumentare la
mobilità articolare in maniera rapida, con risultati significativamente
positivi anche a distanza di tempo.
La monosomministrazione rappresenta il punto di forza di questo
trattamento che, oltre ad essere efficace con benefici rapidi e duraturi,
riduce non solo i costi e i disagi per il paziente, ma anche i rischi connessi ad un regime di iniezioni multiple.
Bibliografia
1.
2.
Clinical Efficacy and Safety of Monovisc: a ligtly cross-linked highly concentrated hyaluronan specially formulated for single injection in osteoarthritis. White
Paper Study conducted by Michael J. Daley, PhD. 2013
Post-Approval study of Monovisc, a symptomatic treatment of osteoarthritis,
White Paper, 2012.
197
L’EDUCAZIONE TERAPEUTICA AL PAZIENTE
CON ICTUS PER MIGLIORARE IL SELFMANAGEMENT E FACILITARE IL PASSAGGIO
DALL’OSPEDALE AL TERRITORIO: DATI
PRELIMINARI DELLO STUDIO LAY - LOOK
AFTER YOURSELFRoberta Bardelli1, Stefania Fugazzaro1, Monia Allisen
Accogli1, Alessandra Altavilla1, Monica Denti1, Gennaro
Maisto1, Enrica Cavalli2, Maddalena Filippini2, Valentina
Wolenski2, Donatella Pagliacci3, Simona Calugi4, Paola
Rucci4, Laura Dallolio4, Claudio Tedeschi1, Stefano Cavazza5,
Mariangela Taricco2
IRCCS Azienda Ospedaliera Arcispedale S.Maria Nuova, Dipartimento Neuromotorio, Reggio Emilia (RE), Italia1
Azienda Ospedaliero-Universitaria S.Orsola-Malpighi, Dipartimento medico
della continuità assistenziale e della disabilità, Bologna (BO), Italia2
ASL Livorno, Distretto Val di Cornia, Livorno, Italia3
Alma Mater Studiorum, Università degli Studi di Bologna, Bologna (BO), Italia4
Nuovo Ospedale Civile S.Agostino Estense, Dipartimento di Medicina Interna e
Riabilitazione, Baggiovara (MO), Italia5
Introduzione. Le Linee Guida sull’ictus raccomandano di includere
nel processo di cura l’Educazione Terapeutica al Paziente (ETP) per
migliorare l’autogestione della disabilità, promuovere l’empowerment e il reinserimento sociale. Evidenze scientifiche mostrano che
programmi di Self Management (SM) nell’ictus possono migliorare
i principali outcomes (QoL, depressione, ADL, recupero funzionale). La capacità di individuare obiettivi (goal-setting), l’approccio individualizzato ed il supporto dei professionisti sono inoltre comuni
strategie utilizzate per realizzare il progetto riabilitativo. Esiste tuttavia in letteratura grande variabilità nella definizione e contenuto
degli interventi, nel setting e nel timing di applicazione. Scopo dello
studio: sviluppare e valutare l’impatto di un programma standardizzato di ETP su autogestione della disabilità, reintegro al domicilio, depressione, carico del caregiver e utilizzo dei servizi territoriali.
Outcome primario: auto-efficacia percepita dal paziente (SSEQStroke Self Efficacy Questionnaire) come indicatore della capacità
di autogestire la disabilità a lungo termine.
Materiali e metodi. Disegno: studio prospettico di intervento con
gruppo di controllo concorrente che coinvolge 3 UO di Riabilitazione: S.Orsola Bologna (BO), Reggio Emilia (RE) e Baggiovara
(MO), previa valutazione dell’omogeneità del percorso riabilitativo
nei 3 centri, tramite rilevazione di dati di usual care. Pazienti: 120
pazienti nel gruppo di intervento (RE-MO: programma strutturato
di ETP) e 120 nel gruppo di controllo (BO: usual care). Criteri di
inclusione: diagnosi di primo ictus, età> 18 anni, presenza di caregiver, disabilità moderata-grave (BIM-Barthel Index Modificato<70),
disabilità comunicativa assente-moderata (Scala di Disabilità Comunicativa <3), assenza di deficit cognitivo grave (Mini Mental State Examination>15). Outcomes: T0 (arruolamento): SSEQ, BIM,
Short Physical Performance Battery, Geriatric Depression Scale, SF12, Caregiver Strain Index. T1 (dimissione dalla Riabilitazione): ol-
Vol. 30 - N. 2/3 - GIORNALE ITALIANO DI MEDICINA RIABILITATIVA - MR
159
44° CONGRESSO NAZIONALE SIMFER
tre ai test del TO, soddisfazione di pazienti e familiari. T2 (60 giorni
da T1): oltre ai test del TO, percentuale di rientri al domicilio, LOS,
utilizzo dei servizi territoriali, percentuale di pazienti presi in carico
dal MMG. Programma LAY: il programma di ETP in italiano è stato messo a punto attraverso un adattamento per pazienti con ictus
del Chronic Disease Self Management Program (CDSMP) di Stanford; prevede 6 incontri di gruppo ed almeno 3 sessioni individuali,
prende avvio nelle prime fasi del ricovero riabilitativo ed è condotto
da medici, fisioterapisti ed infermieri. Fulcro del programma è il
training individualizzato su goal setting e problem solving attuato
attraverso la formulazione di Piani d’Azione settimanali. Il paziente
identifica un obiettivo realistico da perseguire e lo verifica all’interno
delle sessioni di gruppo insieme ai conduttori e agli altri pazienti/
caregivers. Sono stati messi a punto un manuale per i conduttori,
uno per i pazienti e un opuscolo informativo per i caregivers. Temi
trattati: informazioni su ictus e fattori di rischio, riabilitazione, principi di autogestione, gestione delle emozioni e utilizzo della mente,
comunicazione efficace e richiesta di aiuto, sonno di qualità, uso dei
farmaci, dolore e fatigue, corretta alimentazione, prevenzione delle
cadute ed esercizio fisico.
Risultati. La prima fase dello studio ha verificato l’omogeneità dei
3 centri riguardo l’usual care elargita: sono stati arruolati 56 pazienti
(BO: 20, RE: 21, MO: 15), rilevando un incremento statisticamente
significativo di SSEQ, BIM, SF-12 componente fisica e SPPB tra T0
e T2. Non sono state trovate differenze statisticamente significative
tra i centri. Il progetto LAY è tutt’ora in corso, al momento sono stati
arruolati 85 pazienti nel gruppo di controllo e 49 nel gruppo di intervento su 172 sottoposti a screening; 27 pazienti hanno completato lo
studio. La compliance al trattamento si attesta al 98%, dopo la dimissione si riduce al 65.5%. I Piani d’Azione vengono costruiti nell’83%
dei casi. In sede congressuale verranno presentati i dati preliminari e
si discuterà sulla fattibilità dell’intervento, sui limiti e sulle potenzialità di applicazione come parte integrante del progetto riabilitativo
individuale.
Conclusioni. Mettere a punto un programma di ETP per pazienti
con ictus è una sfida così come trasferire interventi di Self Management nella pratica clinica. Il progetto LAY si è proposto di standardizzare un intervento di ETP nella fase post-acuta precoce e di valutarne
il suo impatto in termini di partecipazione. Al momento l’intervento
appare ben accettato da pazienti e operatori ma, alla luce dei dati finali, andrà verificato quale sia la popolazione più suscettibile di beneficio, quale il setting più appropriato e quale il rapporto costo/benefici.
Bibliografia
1.
Lennon S, McKenna S, Jones F “Self-management programmes for people post
stroke: a systematic review.” Clinical Rehabilitation 2013; 27(10): 867-878
Chronic Disease Self-Management Program Stanford University
Damush TM, Ofner S, Yu Z, Plue L, Nicholas G, Williams LS “Implementation of stroke self-management program. A randomized controlled pilot study
of veterans with stroke.” TBM 2011; 1:561-572
2.
3.
198
TRATTAMENTO A LUNGO TERMINE
DELL’EMISPASMO FACIALE CON ALTE DOSI
DI TOSSINA BOTULINICA TIPO A (BTX-A)
Ersilia Romanelli1, Lucia Mastromauro1, Riccardo Giuseppe
Marvulli1, Grazia De Venuto1, Giulia Gallo1, Rossana
Lerario1, Giacomo Farì1, Antonio Turitto1, Marisa Megna1,
Pietro Fiore1, Giancarlo Ianieri1
U.O.C. Medicina Fisica e Riabilitazione e Unità Spinale Unipolare, D.A.I.
Scienze Mediche di Base, Neuroscienze e Organi di Senso - Azienda Ospedaliero
Universitaria Consorziale Policlinico di Bari, Bari, Italia1
Introduzione. Lo spasmo emifacciale (HFS) è una condizione patologica cronica caratterizzata da movimenti tonici involontari e
irregolari e da contrazioni cloniche dei muscoli innervati dal VII
160
nervo cranico. Il disturbo interessa generalmente persone con età
superiore ai quarant’anni e più frequentemente le donne; ha, nella
maggior parte dei casi, un’insorgenza spontanea. I fattori che possono peggiorare questo disturbo sono: lo stress, le emozioni, la fatica,
la guida, una luce intensa, il guardare la tv o la lettura. Le cause
più frequenti del HSF vanno ricercate a livello del tronco nervoso
del VII n.c. a livello della sua porzione intracranica; dove diverse
patologie possono indurre alterazioni a livello della membrana assonale da causare un’iperattività della fibra nervosa, che si traduce in
un aumento della contrazione muscolare. Tra le cause più frequenti
sono i cosiddetti “conflitti neurovascolari”, caratterizzati dalla presenza di un vaso arterioso (o venoso), che assume stretti rapporti
anatomici con il nervo e con il suo pulsare esercita dei microtraumi
continui al perinervio. Altre cause meno frequenti sono neurinomi
e neurofibromi del nervo faciale, tumori originati da strutture adiacenti che comprimono il VII n.c., placche di demielinizzazione in
corso di sclerosi multipla, traumi, esiti di paralisi di Bell (paralisi
a frigore del VII nervo cranico). La diagnosi può essere effettuata
mediante l´attento esame clinico con il riconoscimento delle zone
definite “trigger”. Attualmente la RM, corredata dall´ angio-RM,
rappresenta il principale strumento d’indagine per visualizzare un
eventuale “conflitto neurovascolare” a causa del nervo facciale. Ad
oggi il trattamento più efficace per Lo HSF è l’iniezione di BTX-A,
inoculata direttamente nel muscolo interessato dallo spasmo o nel
sottocute, superficialmente al muscolo. Se la terapia medica orale o
la somministrazione locale di tossina botulinica si limitano a controllare i sintomi della patologia, la terapia chirurgica può curare la
causa, anche se può comportare un rischio intrinseco di complicanze severe. Lo HFS è una condizione cronica che raramente si risolve
spontaneamente, pertanto, è importante raccogliere informazioni
concernenti la sicurezza e l’efficacia del trattamento a lungo termine.
Lo scopo di questo studio è quello di descrivere la nostra esperienza
riguardo un caso clinico di una donna di 63 anni, affetta da HSF
a sinistra da diversi anni e in trattamento con BTX da circa 4 anni
(2011-2016), non più responsiva ai dosaggi standard.
Materiali e metodi. Le valutazioni venivano effettuate al momento dell’infiltrazione, ad un mese dalla stessa e dopo altri due mesi.
Ogni controllo prevedeva un’acquisizione video, una valutazione del
tono uscolare con il dispositivo Myoton® e l’applicazione della Spasm Frequency Scale. Venivano trattati i muscoli Orbicolare dell’Occhio, Orbicolare della Bocca, Grande Zigomatico di sinistra ogni tre
mesi con Onabotulinum Toxin A a dosaggi standard. Dopo circa 2
anni alle valutazioni miotonometriche e secondo la Scala Spasm Frequency Scale l’effetto della BTX sembrava notevolmente ridotto e la
paziente riferiva assenza di beneficio. Per tale motivo veniva adottata
la Incobotulinum toxin A; nell’ultimo anno, però, veniva riscontrata una ricomparsa più precoce della sintomatologia, pertanto, la
paziente si sottoponeva all’inoculazione di dosaggi più alti (150U
Incobotulinum toxin A) sull’emivolto sinistro.
Risultati. Nei primi due anni di trattamento con Onabotulinum
Toxin A i valori della miotonometria e della Spasm Frequency Scale
mostravano un buon controllo della sintomatologia distonica e del
tono muscolare; dopo tale periodo, però, si notava una stazionarietà
degli stessi. Al passaggio del nuovo farmaco si riscontrava per 1 anno
un buon risultato, mentre successivamente si constatava una riduzione del tempo di efficacia; nell’ultimo anno con l’inoculazione di alti
dosaggi di Incobotulinum Toxin A si evidenziava nei controlli post-infiltrazione una riduzione del tono dei muscoli trattati e della frequenza
degli spasmi a carico dell’emivolto sinistro (p<0,005); inoltre, si constatava un aumento del tempo intercorrente tra un’infiltrazione e la
successiva (dal 2015 la paziente eseguiva solo due trattamenti annui).
Conclusioni. Il seguente caso clinico ha dimostrato che l’utilizzo
dell’Incobotulinum Toxin A ad alte dosi nel HSF è idoneo per la gestione di pazienti affetti da tale condizione da diversi anni; favorendo sia un ottimo risultato in termini di riduzione del tono muscolare
che della frequenza degli spasmi, sia allunga gli intervalli tra le som-
Vol. 30 - N. 2/3 - GIORNALE ITALIANO DI MEDICINA RIABILITATIVA - MR
44° CONGRESSO NAZIONALE SIMFER
ministrazioni del farmaco, garantendo una migliore compliance da
parte dei soggetti. Infine, possiamo aggiungere che è possibile utilizzare alti dosaggi di Incobotulinum Toxin A, essendo la stessa priva di
proteine complessanti, che favoriscono la formazione di anticorpi.
Bibliografia
1.
Botulinum toxin type A in the treatment of hemifacial spasm: an 11-year experience. Egberto Reis BarbosaI; Leonel Tadao TakadaI; Lilian Regina GonçalvesI; Rose Mary Paulo do Nascimento CostaI; Laura Silveira-MoriyamaII; Hsin
Fen ChienI
Botulinum toxin A treatment for primary hemifacial spasm. Defazi G, Abbruzzese G, Girlanda P et al. (2002). Arch Neurol 59: 418–420
Hsiung GYR, Das SK, Ranawaya R et al. (2002) Long term efficacy of botulinum toxin A in treatment of various movements disorders over a 10 year
period. Mov Disord
2.
3.
1.
199
EFFICACIA DI UN TRAINING DEL CAMMINO
CON TECNOLOGIA ROBOTICA PER L’ARTO
INFERIORE (G-EO SYSTEM) IN PAZIENTI
AFFETTI DA ICTUS IN FASE CRONICA:
STUDIO PILOTA
Luciano Contrino1, Nicoletta Bergaglio1, Francesco
Cardinale2, Antonella Focacci1, Greta Nunziati1, Susanna
Garbarino1, Pamela Belloglio1, Valeria Leoni1
ASL Chiavarese, S.C. Medicina Fisica e Riabilitativa, Chiavari, Italia
ASL4 Chiavarese, Direzione Medica di Presidio, Chiavari, Italia2
4
con aumento della durata della seduta e riduzione del numero di
pause, ed aumentata velocità del passo), ed è stato capace di indurre
miglioramenti nel cammino e nell’equilibrio in pazienti affetti da ictus in fase cronica. Un’analisi per sottogruppi ha inoltre dimostrato
un effetto maggiore nei pazienti più compromessi dal punto di vista
motorio e di autonomia del cammino; possiamo pertanto supporre
che la selezione del paziente candidabile al trattamento e la personalizzazione del training siano fondamentali per la realizzazione di un
trattamento da ritenersi efficace. I risultati ad oggi ottenuti sono da
considerarsi preliminari; studi su coorti più ampie di pazienti e studi
di adeguata metodologia sono pertanto necessari per approfondire
l’impatto del trattamento sull’outcome funzionale del paziente e definire un protocollo di allenamento.
Bibliografia
1
Introduzione. Il recupero del cammino è uno dei principali obiettivi dell’intervento riabilitativo in pazienti affetti da esiti di ictus. Numerosi studi hanno dimostrato i benefici derivanti dall’utilizzo dei
robot per la riabilitazione del cammino e dell’equilibrio, soprattutto
in pazienti gravemente compromessi dal punto di vista motorio e
trattati precocemente nei primi mesi dopo l’esordio dell’evento ictale. Scopo del nostro studio è verificare gli effetti di un training del
cammino con tecnologia robotica per l’arto inferiore (G-eo System)
in pazienti affetti da ictus in fase cronica.
Materiali e metodi. 20 pazienti afferenti presso la Struttura Complessa di Medicina Fisica e Riabilitativa dell’Ospedale di Sestri Levante (età media 67 anni, 12 maschi e 8 femmine) affetti da ictus in
fase cronica (> 6 mesi dall’evento) e capacità deambulatoria valutabile con FAC > 1, sono stati sottoposti a 10 sedute di trattamento
con G-eo System (frequenza bisettimanale) e a due valutazioni, a
inizio (T0) e fine (T1) ciclo. Sono state somministrate le scale ed
i test compresi nel protocollo di valutazione di minima per l’arto
inferiore proposto dal Gruppo Italiano di Neuro-Riabilitazione
Robotica (IRNRG): FAC, WHS, TUG, 10MWT, 6MWT, MAS,
MRC, MI arto inferiore. I parametri di training (durata della seduta, velocità e numero di pause) sono stati stabiliti e modificati sulla
base della capacità motoria del singolo paziente. Un solo paziente ha
abbandonato lo studio; non sono stati registrati eventi avversi.
Risultati. Alla valutazione finale è stato osservato un miglioramento
nel TUG, nel 10MWT e nel 6MWT (il 62% dei pazienti ha presentato un miglioramento in almeno uno dei tre test; durata media
della seduta 20 minuti, velocità del passo media 1.1 Km/h). Non si
sono rilevate invece variazioni alle altre scale (FAC, WHS, MAS, MI
e MRC). Una differenza statisticamente significativa è stata riscontrata nel confronto dei parametri di allenamento tra prima ed ultima
seduta: sono aumentate la durata della seduta (durata media da 18 a
26 minuti) e la velocità del passo (velocità media da 1.1 a 1.3 Km/h)
ed il numero di pause si è ridotto (da 1.55 a 0.65). Si è inoltre osservato che i pazienti che rispondono meglio al trattamento sono quelli
con FAC più bassa (2 e 3) e capacità motoria più compromessa.
Conclusioni. Il trattamento robotico con G-eo System, nella nostra
serie di casi, ha prodotto un incremento significativo della quantità
di lavoro e della prestazione motoria (maggior resistenza allo sforzo,
2.
3.
Van Kammen K, Boonstra A, Reinders-Messelink H, den Otter R. The combined effects of body weight support and gait speed on gait related muscle activity: a comparison between walking in the Lokomat exoskeleton and regular
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Cho DY, Park SW, Lee MJ, Park DS, Kim EJ. Effects of robot-assisted gait
training on the balance and gait of chronic stroke patients: focus on dependent
ambulators. J Phys Ther Sci. 2015 Oct;27(10):3053-7.
Bang DH, Shin WS. Effects of robot-assisted gait training on spatiotemporal
gait parameters and balance in patients with chronic stroke: A randomized controlled pilot trial. NeuroRehabilitation. 2016 Apr 6;38(4):343-9.
200
NOSTRA ESPERIENZA NEL TRATTAMENTO
RIABILITATIVO E FARMACOLOGICO DI UNA
SONK (OSTEONECROSI DI GINOCCHIO)
Giuseppe Falletta1, Lorenza Lauricella1, Giulia Letizia
Mauro1
UOC Riabilitazione, Università degli Studi di Palermo Policlinico P. Giaccone
Palermo, Palermo, Italia1
Introduzione. L’osteonecrosi è una condizione causata dall’interruzione temporanea o permanente dell’apporto di sangue alle ossa,
con conseguente morte del tessuto. Questo processo può aggravare
un osso già danneggiato e portarlo al collasso. Quella di ginocchio
è stata descritta per la prima volta da Ahlback nel 1968 e rappresenta dopo l’anca, l’articolazione più interessata. È possibile classificare in base all’eziologia tre categorie di osteonecrosi: 1) spontanea (SONK) o idiopatica; 2) secondaria a malattia sistemica; 3)
post- operatoria. Le cause dell’ischemia sono svariate: frattura che
causa interruzione meccanica dei vasi, alte dosi di corticosteroidi,
trombosi ed embolia, lesione vascolare secondaria a radioterapia o
vasculiti, aumento della pressione interossea con compressione dei
vasi, ipertensione venosa, malattie metaboliche quali M. di Gaucher,
abuso di alcol e dislipidemie, drepanocitosi, pancreatite cronica, neoplasie. La SONK è la forma più comune con maggiore prevalenza
in pazienti con più di 50 anni di età. Mentre la secondaria è più frequente nei giovani. La forma artroscopica infine è la più rara. I soggetti che hanno la SONK di solito hanno una insorgenza acuta di
dolore in sede prevalentemente mediale, specie notturno. L’RX non
è rilevante in fase iniziale mentre evidenzia reperti in stadio tardivo
quali l’appiattimento del condilo interessato, mentre la RMN viene
fortemente raccomandata nel sospetto di patologia, per l’elevata sensibilità nel mostrare l’edema osseo. Indipendentemente dal tipo di
osteonecrosi, il trattamento mira ad arrestare l’ulteriore progressione
di malattia; nello specifico le opzioni includono interventi conservativi integrati quali riposo, deambulazione con ausili e riabilitazione,
farmacologici (FANS e bisfosfonati) e chirurgici. A proposito della
fisioterapia studi in corso riguardano i campi elettromagnetici pulsati con riscontrata riduzione del dolore e della dimensione della lesione necrotica. In questo lavoro abbiamo voluto riportare la nostra
esperienza relativamente al trattamento conservativo di una SONK.
Materiali e metodi. Presso l’ U.O.C. di Riabilitazione dell’AOUP
Vol. 30 - N. 2/3 - GIORNALE ITALIANO DI MEDICINA RIABILITATIVA - MR
161
44° CONGRESSO NAZIONALE SIMFER
P. Giaccone di Palermo tra gennaio- maggio 2016 è stata arruolata
una paziente dell’età di 67 anni, che lamentava dolore al ginocchio
in sede mediale da diverso tempo con riacutizzazione da circa 4 settimane, specie durante l’esecuzione di attività faticose. Non riferiva
storia di trauma, assunzione di steroidi, abuso di alcool o altre malattie. Inoltre esibiva esame rx- grafico in 2 P che evidenziava segni
di artrosi. Per tale motivo eseguita visita fisiatrica e somministrate le
seguenti scale di valutazione (NRS: 7, Barthel Index: 95, Lequesne
Index 13), veniva prescritta una terapia farmacologica con Coxib
60 mg ed intraprendeva 2 cicli di riabilitazione comprendenti: Magnetoterapia a solenoide, Elettroterapia antalgica e Laser Co2. Ad
una valutazione intermedia e finale la paziente mostrava uno scarso
miglioramento. Quindi prescritte n. 3 infiltrazioni endoarticolari
con ac. ialuronico ad alto P.M., tuttavia risultate inefficaci. Per tale
ragione veniva indicata la necessità di eseguire un’ esame RMN al
ginocchio che mostrava “una diffusa area di edema osseo ipointensa
in T1 pesate ed iperintensa in T2”, quindi posta diagnosi di osteonecrosi. Conseguentemente era prescritta terapia farmacologica con
Tramadolo Cloridrato 37, 5 + Paracetamolo 325 mg, Clodronato
200 mg e Colecalciferolo 25000 UI in associazione alla riabilitazione sopra descritta.
Risultati. L’analisi dei dati durante l’esecuzione del programma riabilitativo mostrava in fase iniziale a T0 i seguenti valori: NRS 7,
Barthel Index: 95, Lequesne Index 13; ad una valutazione intermedia, T1, i valori erano: NRS 6.5, Barthel Index: 95, Lequesne Index
13; infine al termine dei 2 cicli, T2, si riscontravano: NRS 6, Barthel
Index: 100, Lequesne Index 13. In 5° settimana si intraprendeva
ciclo infiltrativo con iniziali NRS 6, Barthel Index 100 Lequesne
Index 13, che manteneva in 6° e 7° settimana. In 8° settimana non
venivano eseguite valutazioni perché il soggetto era stato sottoposto
ad RMN ginocchio. In 9° settimana alla ri-somministrazione delle
scale di valutazione si ottenevano i seguenti valori: NRS 5, Barthel
Index: 100, Lequesne Index 10; in 10° settimana: NRS 5, Barthel
Index: 100, Lequesne Index 10; in 11°: NRS 5, Barthel Index: 100,
Lequesne Index 10.
Conclusioni. Tale lavoro ha permesso di evidenziare che non bisogna lasciarsi ingannare da una banale diagnosi come l’artrosi ma
spesso è necessario ipotizzare, anche attraverso indagini strumentali,
patologie seriamente invalidanti quali l’osteonecrosi. Nel caso riportato la paziente ha eseguito diversi protocolli farmacologici e cicli di
riabilitazione per poter ridurre il problema del dolore e mantenere
la funzionalità articolare. Nonostante la riduzione della sintomatologia algica, la paziente ha accusato varie riacutizzazioni del dolore
dopo circa 2 settimane e dopo un’attenta valutazione con gli ortopedici è stato deciso l’intervento di sostituzione protesica.
Bibliografia
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Jordan et al, The importance of zpontaneus osteonecrosis of the k nee at an
early stage a case report, 2016
3.
201
TECNOLOGIE INNOVATIVE E RETE PER TELESERVIZIO DI RIABILITAZIONE: PROGETTO
HEAD (HUMAN EMPOWERMENT AGING AND
DISABILITY)
Franco Molteni1
Congregazione Suore Infermiere dell’Addolorata, Ospedale Valduce. Medicina
riabilitativa, Costa Masnaga, Italia1
Introduzione. Il programma riabilitativo per persone con problemi neuro-cognitivi-motorio in situazione cronica o che soffrono di
malattie degenerative è un processo lungo e variabile che deve tener
conto di aspetti funzionali, cognitivi ed emozionali. Il programma
162
riabilitativo definito e calibrato deve essere stabilito in accordo con
le specifiche condizioni del singolo soggetto in modo da ottenere la
massima efficacia. Il progetto HEAD si propone di implementare
una piattaforma in grado di erogare esercizi riabilitativi sia motori che cognitivi che presentino contenuti personalizzati attinenti
con il vissuto del singolo paziente. L’interazione tra il soggetto e gli
esercizi avviene mediante l’utilizzo di periferiche di rilevazione dei
movimenti sviluppate per il gaming quali Kinect e Leap Motion,
sulla base di alcuni video RAI di diverse categorie e durata. Punto
fondamentale del progetto è l’erogabilità degli esercizi sia in sede
ospedaliera che successivamente la domicilio del paziente, tramite
uno strumento che permetta di adeguare gli esercizi alle specifiche
necessità del soggetto e, nello stesso tempo, permetta all’operatore
sanitario (medico, terapista)di monitorare a distanza l’andamento della terapia. L’obiettivo generale dello studio è la definizione
e strutturazione di processi di cura riabilitativa contestualizzati,
individualizzati con i correlati di assistenza sanitaria e sociale per
condizioni di disabilità croniche determinate da lesioni congenite o
acquisite del sistema nervoso, con uso innovativo di tecnologie. Gli
obiettivi specifici dello studio sono:
1. studiare l’impatto dell’utilizzo della tecnologia su aspetti emotivi, motivazionali e sociali/relazionali del paziente;
2. valutare l’impatto degli esercizi proposti con uso innovativo
della tecnologia su:
• la percezione della qualità della vita da parte del paziente;
• la percezione della qualità della vita e del carico assistenziale
da parte del caregiver;
• sulla funzionalità degli arti superiori e inferiori;
• aspetti cognitivi quali attenzione, memoria e “mood” del
paziente;
3. valutazione del livello di accettazione e usabilità delle tecnologie proposte.
Materiali e metodi. I partecipanti allo studio sono soggetti con disabilità cronica a variabile complessità, modificabilità ed evoluzione, secondaria a lesioni congenite od acquisite del sistema nervoso
(eventi cerebrovascolari, malattie neurodegenerative, m. Parkinson,
traumi cranici e/o midollari, sclerosi multipla, malattie neuromuscolari di origine genetica). I criteri generali d’inclusione sono:
• età compresa tra 18 e 80 anni;
• soggetti cronici in situazione stabile:
- m. Parkinson (Hoehn and Yahr scale ≤2) in terapia stabile
da almeno tre mesi;
- esiti di ictus in fase cronica (6 mesi dopo l’evento acuto)
senza compromissione del linguaggio (esclusione dell’afasia con apposito assessment clinico e neuropsicologico);
- Sclerosi Multipla (Expanded Disability Status Scale ≤5.5)
in assenza di recidiva negli ultimi tre mesi;
• assenza di dolore invalidante;
• assenza di limitazioni articolari;
• Mini Mental State Examination ≥20.
Complessivamente saranno valutati 100 soggetti ai quali sarà richiesto di eseguire un innovativo protocollo di riabilitazione neuromotoria basata sugli esercizi realizzati e inseriti nella piattaforma
HEAD. Il protocollo di riabilitazione in sede ospedaliera prevede
12 sedute con cadenza di 2-3v/settimana della durata da 60 a 120
minuti ciascuna. Ogni sessione riabilitativa viene organizzata con
diversi contenuti audiovisivi per poter, secondo un approccio personalizzato, sottoporre il paziente a differenti esercizi cognitivo-motori
veicolati attraverso la piattaforma HEAD. Un sotto campione di 10
pazienti per centro clinico (30% del campione totale) continuerà
il trattamento HEAD al domicilio con l’apposito kit HEAD dato
in dotazione dal Centro di riferimento, per un periodo di 12 settimane. In questi casi, il caregiver di riferimento del paziente sarà
addestrato all’utilizzo di HEAD in una seduta apposita.
Risultati. Attualmente lo studio è in corso e sono stati reclutati
un totale di 29 soggetti, nove dei quali hanno concluso il training
Vol. 30 - N. 2/3 - GIORNALE ITALIANO DI MEDICINA RIABILITATIVA - MR
44° CONGRESSO NAZIONALE SIMFER
ospedaliero. Sta per iniziare la successiva fase domiciliare sul sottocampione previsto. Per ottobre è previsto che almeno un terzo dei
soggetti abbia terminato lo studio. I dati preliminari raccolti evidenziano dei risultati positivi relativamente agli obiettivi specifici.
Conclusioni. Sia pure nella condizione parziale di raccolta e analisi
dei dati, è comunque positiva l’esperienza in corso e i feedback raccolti dai soggetti che hanno partecipato allo studio, dai caregivers e
dagli operatori coinvolti danno già risultanze che l’obiettivo generale
sia stato raggiunto; rimane da confermare il dato parziale finora ottenuto relativo agli obiettivi specifici.
Si ringrazia Fondazione Cariplo e tutto il team di Ospedale Valduce,
Presidio Sanitario San Camillo di Torino, l’IRCCS Fondazione Don C.
Gnocchi di Milano, Centro Ricerche e Innovazione Tecnologica (CRIT)
della RAI e la Fondazione ASPHI Onlus.
202
RUOLO DELLA RIABILITAZIONE NELLA
PREVENZIONE DELL’ARTROPATIA EMOFILICA
Dalila Scaturro1, Alice Sparacino1, Valentina Colombo1,
Carlo Costanza1, Marcello Sallì1, Lorenza Lauricella1, Giulia
Letizia Mauro1
U.O.C. Riabilitazione, Università degli Studi di Palermo Policlinico P. Giaccone
Palermo, Palermo, Italia1
Introduzione. L’emofilia A è una malattia ereditaria X-linked recessiva che comporta una grave alterazione della coagulazione del sangue dovuta alla mancanza, totale o parziale, del fattore VIII. L’emofilia di grado severo comporta episodi di sanguinamento spontaneo
o causato da traumi banali determinando la formazione di emartri,
ematomi, emorragie retroperitoneali e intracerebrali e sanguinamenti post-chirurgici. La gravità degli episodi di sanguinamento
è inversamente proporzionale al livello di fattore VIII disponibile,
che a sua volta costituisce la base per la classificazione della severità
della malattia. La diagnosi di emofilia (qualora l’anamnesi familiare sia incerta) si sospetta sulla base dei sintomi emorragici e viene
verificata mediante lo studio del profilo coagulativo del paziente.
L’approccio terapeutico ha subito una profonda e rapida evoluzione dalla seconda metà del XX secolo; la base del trattamento è la
somministrazione del fattore coagulativo carente. Assume notevole
importanza la profilassi, laddove necessario, che consiste nella somministrazione programmata dei concentrati al fine di prevenire o di
ridurre la frequenza degli episodi emorragici. Una delle complicanze
più rilevanti, in particolare per l’impatto che questa può determinare sulla qualità di vita, è l’artropatia emofilica. Èil risultato del
danno articolare progressivo ed irreversibile che si verifica come conseguenza di emartri recidivanti. Tanto più precoce è il trattamento,
tanto maggiore è l’efficacia e la rapidità della risoluzione dei sintomi.
Tuttavia parliamo ancora di artropatia emofilica nei pazienti di età
adulta in era pre-profilassi, nel trattamento on-demand e nei casi di
emartri misconosciuti e post-traumatici. La riabilitazione di questi
pazienti implica un’attenta gestione dell’artropatia non soltanto per
il corretto approccio terapeutico di emartri e/o ematomi ma soprattutto per la prevenzione dei processi degenerativi articolari conseguenti ai sanguinamenti.
Materiali e metodi. Nel nostro studio caso-controllo sono stati inclusi 26 pazienti affetti da emofilia A di grado severo (età media
34,1, max 46 e min 12) afferiti presso l’U.O.C. di “Riabilitazione” dell’A.O.U.P. “P. Giaccone” di Palermo, con recente episodio di
ematoma o emartro (5 QF dx, 3 QF sx, 3 gomito dx, 1 gomito sx. 2
caviglia dx, 1 caviglia sx, 7 ginocchio dx e 4 ginocchio sx). Sono stati
esclusi i soggetti over 50 e tutti coloro che non eseguivano profilassi
con fattore VII da almeno 10 anni. I pazienti sono stati divisi in due
gruppi in base all’adesione volontaria al progetto-programma riabilitativo proposto: gruppo A (15 così suddivisi: 2 QF dx, 2 QF sx, 3
gomito dx, 1 caviglia sx, 5 ginocchio dx e 2 ginocchio sx) e gruppo
B (11: 3 QF dx, 1 QF sx, 1 gomito sx, 2 caviglia dx, 2 ginocchio
dx e 2 ginocchio sx). Il gruppo A è stato sottoposto a 20 sedute di
trattamento riabilitativo comprendente esercizio terapeutico mirato
(stretching e mobilizzazione articolare) e laserterapia CO2 applicata
al distretto con emartro e/o ematoma, a cadenza bisettimanale. I pazienti del gruppo B hanno rifiutato il trattamento riabilitativo. Inoltre ai pazienti di entrambi i gruppi è stato consegnato un opuscolo
con la descrizione accurata di specifici esercizi ed è stata fatta una
prescrizione di ortesi di contenimento (scarpe ortopediche e plantari). Tutti sono stati valutati a T0 (visita basale), a T1 (dopo 3 mesifine trattamento gruppo A) e a T2 (dopo follow-up a 12 mesi). La
valutazione statistica è stata effettuata calcolando il t-student.
Risultati. Dall’analisi dei dati a T1 tutti i pazienti hanno mostrato
una riduzione della sintomatologia algica (A: VAS media 2 e B: VAS
media 2.8) e una bassa incidenza di recidive (A: 1 e B: 1). I valori
di Barthel Index sono rimasti mediamente invariati in entrambi i
gruppi a tutte le valutazioni (Barthel medio 95). Il gruppo A invece
ha mostrato un migliore recupero dell’articolarità (dimostrato dall’
HJHS; A medio: 2.6 e B medio: 7) e un consensuale miglioramento
della qualità di vita (SF-36, FISH) statisticamente significativi. A T2
nel gruppo A è stato osservato il mantenimento dei benefici ottenuti
sia in termini clinici che funzionali, mentre nel gruppo B si sono
verificati significativi nuovi episodi di sanguinamento (A: 1 e B: 4) e
la contestuale ricomparsa di dolore (B: VAS media 4).
Conclusioni. Il trattamento riabilitativo prescritto si è dimostrato
efficace nel recupero dell’articolarità, nel miglioramento della sintomatologia algica, nella prevenzione di ulteriori episodi di sanguinamento e nel raggiungimento di una qualità di vita più soddisfacente.
Inoltre la prescrizione di ortesi di contenimento sembrerebbe aver
avuto un ruolo determinante in entrambi i gruppi nella riduzione
sia della sintomatologia algica che delle recidive a 6 mesi. L’apparente incongruenza tra i valori di Barthel Index invariati e il miglioramento dell’ HJHS potrebbe essere correlato alla variabilità intra- ed
interoperatore, alla specificità della HJHS e alla presenza di item che
indagano in maniera più obiettivabile e riproducibile il dolore, la
tumefazione, l’articolarità e l’instabilità.
Bibliografia1.
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3.
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203
IL TRATTAMENTO RIABILITATIVO NELLA
GONARTROSI DI I-II GRADO DI KELLGREN:
NOSTRA ESPERIENZA
Giuseppe D’Angelo1, Giuseppe Falletta1, Giulia Gullo1,
Salvatore Friscia1, Dalila Scaturro1, Marcello Sallì1, Lorenza
Lauricella1, Giulia Letizia Mauro1
U.O.C. Riabilitazione, Università degli Studi di Palermo Policlinico P. Giaccone
Palermo, Palermo, Italia1
Introduzione. L’osteoartrosi (OA) è di gran lunga la malattia più
comune delle articolazioni sinoviali. È una delle maggiori cause dei
dolori muscolo- scheletrici e la principale responsabile di disabilità ed invalidità, oltre che un notevole onere per la sanità pubblica. È strettamente legata all’invecchiamento e a causa del crescente
numero di anziani nei paesi occidentali, quella delle articolazioni
Vol. 30 - N. 2/3 - GIORNALE ITALIANO DI MEDICINA RIABILITATIVA - MR
163
44° CONGRESSO NAZIONALE SIMFER
maggiori e in particolare del ginocchio rappresenterà in futuro un
fardello sempre più pesante per la sanità. Sono molti i fattori genetici, costituzionali e ambientali che possono contribuire alla comparsa
e all’esito variabile dell’OA. La gonartrosi è particolarmente diffusa
con un’evidenza radiografica specie della sezione tibio- femorale nel
5-15% delle persone di età compresa tra i 35 e i 74 anni, interessando
il 35% delle donne ed il 21% degli uomini. È il risultato dello stress
esercitato sulla cartilagine articolare ed i principali fattori di rischio
sono l’eccesso ponderale, lo sport a livello agonistico, la meniscectomia parziale o totale e le deformità del ginocchio (varismo o valgismo). La degenerazione esordisce nel compartimento cartilagineo per
poi interessare l’osso subcondrale e la sinovia. Il sintomo principale è
il dolore meccanico che compare durante la deambulazione, la salita
e la discesa delle scale e che nelle fase iniziali regredisce con il riposo.
A lungo termine compaiono ipotrofia muscolare, posizioni viziate e
limitazioni funzionali a scopo antalgico. Le raccomandazioni Eular
del 2003 indicano come trattamento ottimale la combinazione di
approcci farmacologici e non. Quest’ultimi convergono nella riabilitazione che ha come obiettivo principale la riduzione del dolore, il
recupero dell’articolarità, il rallentamento dell’evolutività. Alla luce di
ciò il nostro studio ha avuto lo scopo di valutare la concreta efficacia di
un protocollo riabilitativo che associasse la rieducazione funzionale a
varie forme di terapia fisica, diversificata in quanto personalizzata visto
il campione eterogeneo di pazienti presi in esame.
Materiali e metodi. Nel periodo compreso tra il 01 gennaio ed il 01
luglio 2015 presso l’U.O.C. di Riabilitazione dell’A.O.U.P “P. Giaccone” di Palermo sono stati arruolati 64 pazienti di cui 13 uomini e
51 donne con un’età compresa tra i 58 e i 90 anni (età media 72 anni),
sottoposti ad un protocollo riabilitativo comprendente: elettrostimolazione del quadricipite femorale, TENS, Laser Co2 e rieducazione
funzionale. Tutti i soggetti hanno effettuato due cicli di terapia, per un
totale di 20 sedute consecutive, distribuite nell’arco di 4 settimane. La
valutazione clinica e funzionale è stata eseguita alla prima visita (T0),
alla fine del primo ciclo di trattamento (T1) e al termine del secondo
(T2). La stima del dolore è stata quantificata utilizzando la Numerical Rating Scale (NRS), la funzionalità articolare è stata valutata mediante la Lequesne Algofunctional Index, infine la valutazione delle
prestazioni nelle ADL (activities of daily living) attraverso il Barthel
Index, infine applicata la Western Ontario and McMaster Universites
(WOMAC) come scala patologia specifica.
Risultati. Dall’analisi dei dati si è potuto evincere un miglioramento clinico e funzionale, come dimostrato dal decremento dei valori
delle scale utilizzate per la valutazione ed il monitoraggio. I pazienti
presentavano infatti al T0 i valori medi NRS di 6 che al termine del
primo ciclo si è ridotto a 4 per un valore di 3 ottenuto al termine
del secondo ciclo di trattamento. Abbiamo osservato inoltre, il miglioramento della funzionalità articolare, misurato con la riduzione
dell’indice di Lequesne dal valore di 10,9 a T0 a 9,8 a T1 e 8,5
al termine del secondo ciclo con lieve miglioramento anche della
qualità di vita del paziente dimostrato mediante l’indice di Barthel
con valori di 90 a T0, di 95 a T1 e 100 al T2. Per quanto concerne
la WOMAC si è potuto osservare un graduale ma non completo
miglioramento, passando da valori iniziali a T1 di 80, intermedi a
T2 di 65, finali a T3 di 32
Conclusioni. Tale studio ha permesso di sottolineare l’importanza
della terapia fisica e della rieducazione funzionale, quale approccio
efficace nella fase iniziale del trattamento della gonartrosi di I-II grado, documentando la riduzione della sintomatologia algica, il recupero dell’articolarità e di una maggiore autonomia nello svolgimento delle ADL, conseguentemente della qualità di vita dei pazienti,
aspetto non trascurabile in una patologia degenerativa cronica. Ciò
è valorizzato dai dati ottenuti nonostante il breve periodo di osservazione e trattamento. Pur tuttavia ci preme sottolineare che un pic164
cola percentuale del campione in esame, circa il 20%, che ha avuto
un minore riscontro con il protocollo sopra proposto ha eseguito
ciclo di infiltrazioni endoarticolari con acido ialuronico ad alto PM
con beneficio.
Bibliografia
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Buratti L., Ciocci A., Coari G., Serio A., Sulle localizzazioni dell’artrosi. Rilievi
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Mannon et al, Epidemiological profile of the symptomatic osteoarthritis in oldier adults: a populationbased study, Ann Rheum Dis 2003.
204
RECUPERO FUNZIONALE POST PTA: LINEE
GUIDA PER IL SET-UP DELL’ALTEZZA DELLA
STAMPELLA
Palmina Braccio1, Francesco Esposito2, Marco Freddolini1,
Leonardo Latella1, Andrea Corvi2, Massimiliano Marcucci1
Fondazione ‘In Cammino’ ONLUS, C.E.S.A.T.-Centro Eccellenza Sostituzioni
Articolari Toscana- Ospedale Fucecchio, Fucecchio (Fi), Italia1
Fondazione ‘In Cammino’ ONLUS, Università degli Studi di Firenze - Dipartimento di Ingegneria Industriale (DIEF), Fucecchio (Fi), Italia2
Introduzione. L’ausilio delle stampelle dopo un intervento di protesi totale d’anca permette sia una corretta modulazione del carico
biomeccanico sia il sostegno necessario per il ripristino della cinesi.
La modalità e la durata di impiego delle stampelle sono influenzate
sia dal tipo di intervento che dalle caratteristiche e necessità del paziente (1). Indipendentemente dalle indicazioni, un uso non corretto può favorire un’alterazione dei carichi, influire negativamente sulla deambulazione, procrastinare il recupero funzionale e non
ultimo scaturire problematiche a carico degli arti superiori (2).
Allo stato attuale dei fatti non esistono chiare indicazioni riguardo
al settaggio della stampella e come questa debba essere regolata
rispetto alla statura del paziente o al tipo di deambulazione (1,3).
Una regola uniformemente seguita è la regolazione dell’impugnatura all’altezza del grande trocantere. Lo scopo di questo studio è
stato quello di valutare, mediante l’ausilio di gait analisys, il ruolo
e l’influenza che possono avere la differente regolazione delle stampelle nella deambulazione del paziente sottoposto ad intervento di
protesi totale d’anca.
Materiali e metodi. 10 pazienti sottoposti a intervento di PTA
sono stati reclutati per questo studio. I pazienti sono stati divisi in
modalità randomizzata in due gruppi, il primo (peso 73.5 ± 16.8,
altezza 1.67 ± 0.07, età 66.6 ± 7.2) con lunghezza della stampella
regolata come la distanza fra terreno ed altezza del grande trocantere (gruppo GT) e il secondo (peso 77.4 ± 10.5, altezza 1.69
± 0.11, età 67.3 ± 2.9) come la distanza fra terreno ed altezza
del polso (gruppo PO). I seguenti criteri di inclusione: presenza
di artrosi primaria, BMI <30, prima protesi, assenza di patologie
neurologiche e agli arti superiori o di altre patologie degli arti inferiori. Dopo l’intervento tutti i pazienti hanno seguito un protocollo di riabilitazione standard. La visual analogue scale (VAS) è stata
utilizzata per la misura soggettiva del dolore da parte del paziente
mentre l’Oxford hip score per valutare la funzione dell’anca operata. Per lo studio è stata utilizzata una stampella standard regolabile
settata a seconda del gruppo di appartenenza. Al soggetto è stato
chiesto di camminare a velocità auto selezionata nel laboratorio
provvisto di sistema optoelettronico per l’analisi del movimento
e di due piattaforme di forza per l’analisi della ground reaction
force (GRF); entrambi i sistemi sono stati sviluppati dalla BTS
Bioengineering. La valutazione dei pazienti è stata eseguita a 3
giorni dall’intervento, con l’ausilio della stampella, e ad 1 mese
senza ausili. Il picco relativo alla fase di accettazione del carico e
Vol. 30 - N. 2/3 - GIORNALE ITALIANO DI MEDICINA RIABILITATIVA - MR
44° CONGRESSO NAZIONALE SIMFER
il picco relativo alla fase di propulsione sono stati misurati analizzando la componente verticale della GRF e normalizzati per il peso
corporeo. Nello stesso modo è stato analizzato il carico massimo
dell’appoggio della stampella sul terreno. I dati riportati si riferiscono alla media di tre prove per ogni soggetto. Media e deviazione
standard di ogni variabile è stata calcolata poi per i due gruppi.
Risultati. I valori di VAS e Oxford hip score sono risultati simili
per i due gruppi (gruppo GT: VAS 2.75 ± 1.26 OHS 37.00 ±3.46;
gruppo PO: VAS 2.50 ± 2.07 OHS 39.00 ± 4.05). La velocità di
camminata aumenta sensibilmente fra la prima e la seconda prova per entrambi i gruppi (da 0.53 ± 0.11 a 1.05 ± 0.28 m/s per
i pazienti GT e da 0.57 ± 0.12 a 1.02 ± 0.28 per i pazienti PO)
ma non sembrano esserci differenze fra i due gruppi sia a 3 giorni
che a un mese dall’intervento. L’analisi della GRF verticale mostra
che il picco di accettazione del carico è ridotto sull’arto operato
se confrontato con l’arto sano per entrambi i gruppi, ma questa
differenza sembra essere maggiore per il gruppo GT rispetto al
gruppo PO sia a 3 giorni (gruppo GT 0.16 ± 0.02 N/BW; gruppo
PO 0.056 ± 0.05 N/BW) che a 1 mese (gruppo GT 0.17 ± 0.11 N/
BW, gruppo PO 0.03 ±0.04 N/BW). Simili risultati si hanno avuti
anche per il picco della fase di propulsione, con differenza fra arto
sano e aro operato maggiore per il gruppo GT rispetto al PO sia a
3 giorni (gruppo GT 0.14 ± 0.06 N/BW, gruppo PO 0.07 ± 0.06
N/BW) che a 1 mese (gruppo GT 0.05 ± 0.06 N/BW, gruppo PO
0.02 ± .0.08 N/BW). Il gruppo GT mostra inoltre un aumento del
carico sulla stampella (0.17 ± 0.04 N/BW) rispetto al gruppo PO
(0.14 ± 0.01 N/BW).
Conclusioni. L’analisi preliminare dei dati sembra confermare
l’ipotesi iniziale: il cammino in pazienti con PTA risulta più bilanciato con la stampella regolata al livello della piega del polso.
Questo è avvalorato sia da una riduzione dei picchi di forza della
stampella che da una migliore ridistribuzione dei carichi fra gli
arti.
Un’analisi dettagliata e più esaustiva che terrà conto di ulteriori parametri cinematici e cinetici verrà fornita al completamento
dello studio. Si procede inoltre con l’aumento del campione di
riferimento per confermare statisticamente i dati.
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205
RUOLO DELLA TOSSINA BOTULINICA NELLA
QUALITÀ DI VITA DEI PAZIENTI DIPENDENTI
NELLE ADL E DEI CARE GIVER NELLE PARESI
SPASTICHE.
Fausto Crapanzano1, Rosario CIraulo1, Valeria Runfola1,
Alfredo Zambuto1
Simfer, ASP Agrigento Ospedale San Giovanni di DIo AG, Agrigento, Italia1
Introduzione. La patologia neurologica e in particolare l’ictus cerebri rappresenta la principale causa di disabilità a lungo termine;
in essa uno dei più frequenti quadri clinici è condizionato dalla
presenza della spasticità che condiziona la qualità dei movimenti e
in genere la qualità vita del paziente e al tempo stesso del care-giver. In questo studio si è indagata la dipendenza dei pazienti affetti
da ictus e trattati con tossina botulinca con contestuale valutazione
della qualità di vita dei pazienti e dei care-giver per capire se la
tossina e i trattamenti riabilitativi hanno la capcità di influenzare
la qualità di vita di questi soggetti.
Materiali e metodi. Sono stati reclutati i primi 8 care giver (6M
2 F) ed 8 pazienti (5M, 3F) trattati con tossine botuliniche eseguite con metodica ecoguidata nel periodo di tempo compreso tra
la fine del 2014 e il 2016 indipendentemente dai dosaggi e della
tipologia di tossina eseguita sempre per il trattamento sintomatico
della disabilità conseguente a patologia neurologica condizionante
un quadro di spasticità. I pazienti sono stati reclutati indipendentemente dal sesso o dalla diagnosi di origine, con 7 pazienti con
storia di ictus e 1 di trauma cranico ed indipendentemente dalla
distanza dall’evento indice disabilitante. Tutti i pazienti sono stati
inseriti in un progetto riabilitativo individualizzato che prevedeva
per tutti almeno la elettostimolazione dopo ogni somministrazione di tossina circa quadrimestrale con un protocollo di elettrostimolazione di 30 minuti dei muscoli trattati per tre giorni e 1 h
almeno di trattamento neuromotorio individuale per dieci giorni
complessivi dopo il trattamento. In questo studio si sono valutate
le variazioni delle qualità di vita dei pazienti affetti da spasticità e
dei care-giver nel tempo prima e dopo il trattamento con tossine
botuliniche. A tale fine è stata valutata la autonomia con scala di
Barthel da 0 a 100 e sono state somministrate delle scale SF-36
riferite al periodo pre- e post- trattamento mirato con tossina botulinica eseguita in ecoguida nell’arco di una esperienza triennale,
ma riferita a un anno di trattamento individuale dei pazienti. Il
questionario SF-36 è stato somministrato in forma retrospettiva ai
pazienti ed ai care giver indipendentemente e i risultati sono stati
messi in correlazione temporale. A 2 pazienti con franco quadro di
afasia espressiva, ma con comprensione conservata, il questionario
è stato somministrato con la collaborazione dell’esaminatore e dei
care giver. Criteri di esclusione dallo studio erano il sopraggiungere di nuovi eventi chirurgici o un nuovo ricovero in reparto in
regime di degenza per acuti tali da influenzare la scala di Barthel
iniziale.
Risultati. Tutti i soggetti hanno eseguito la valutazione iniziale.
Una coppia care-giver/paziente non ha completato la seconda parte del questionario per una recidiva ictale che ha comportato nuovo ricovero e drop out dallo studio. I valori di maggiore qualità di
vita sia in pre- che post- trattamento sono stati messi in relazione
sia per il paziente che per il care giver con i valori di scala di Barthel. Le modifiche maggiori all’SF-36 si sono registrate nei pazienti con indice di Barthel maggiore. Gli item che maggiormente si
sono modificati nei pazienti sono stati relativi alla percezione del
dolore e alla limitazione conseguente ad esso oltre che a un miglioramento delle capacità di movimento nel post-tossina. I pazienti
con Barthel peggiore hanno avuto una inferiore percezione del
loro stato di salute e della loro prospettiva di vita generale, in senso
prognostico oltre che attuale. I cambiamenti nella qualità di vita
dei care giver sono stati relativi a un peggioramento della salute
generale e dello stato emotivo che ha condizionato maggiormente
le interazioni sociali di coloro i quali presentavano un congiunto
con un Barthel peggiore.
Conclusioni. Alla luce di questo studio preliminare si può inizialmente concludere come la tossina sia in grado di interferire
parzialmente, ma favorevolmente sulla qualità di vita dei pazienti
con disabilità da spasticità, maggiormente nei pazienti con minore
dipendenza, mentre la qualità della vita dei care-giver tende a peggiorare maggiormente nei pazienti con indice di Barthel iniziale
minore anche dopo il trattamento con tossina botulinica.
Bibliografia
1.
J Rehabil Med. 2009 Mar;41(4):279-81. doi: 10.2340/16501977-0318. Short
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Vol. 30 - N. 2/3 - GIORNALE ITALIANO DI MEDICINA RIABILITATIVA - MR
165
44° CONGRESSO NAZIONALE SIMFER
206
TRATTAMENTO DEL DOLORE LOMBARE
CRONICO MEDIANTE TECNICHE
MIOFASCIALI
Carla Assenza1, Claudia Scarpini2, Eleonora Petrucci3,
Carmelo Pirri1, Concetta Ljoka4, Calogero Foti5
Scuola di Specializzazione in Medicina Fisica e Riabilitativa, Università degli
Studi di Roma ‘Tor Vergata’, Roma, Italia1 - Dottorato di Ricerca in Advanced
Sciences and Technologies in Rehabilitation Medicine and Sports, Università
degli Studi di Roma “Tor Vergata”, Roma, Italia2
Corso di Laurea in Fisioterapia, Università degli Studi di Roma “Tor vergata”,
Roma, Italia3
Dottorato di Ricerca in Medicina Fisica e Riabilitazione, Università degli Studi
di Roma “Tor vergata”, Roma, Italia4
Scuola di Specializzazione in Medicina Fisica e Riabilitativa,Dottorato di ricerca
in Advanced Sciences and Technologies in Rehabilitatio, Direttore, Università
degli Studi di Roma “Tor Vergata”, Roma, Italia5
Introduzione. Per dolore cronico si intende quell’esperienza sensitiva
ed emotiva spiacevole associata ad un effettivo o potenziale danno
tissutale o comunque descritta come tale (1) che permane con la sua
sensazione fastidiosa per almeno 3 mesi o oltre il tempo normale di
guarigione (2).
In particolare il dolore lombare cronico è un dolore di tipo nocicettivo
e ha inizio mediante l’attivazione di terminazioni nervose libere presenti nella maggior parte dei tessuti corporei; tra le strutture algogene
vertebrali troviamo il disco intervertebrale, le radici nervose, i gangli
dorsali, le faccette articolari, i legamenti, i muscoli e i tendini (3).
L’obiettivo dello studio è stato avvalorare l’efficacia delle tecniche miofasciali nella gestione conservativa del paziente con lombalgia cronica
(riduzione della sintomatologia dolorosa, delle limitazioni articolari e
funzionali).
Materiali e metodi. Lo studio è stato svolto su 26 pazienti (7 uomini
e 19 donne) di età compresa tra i 30 e i 70 anni che presentavano
dolore lombare cronico sostenuto da cause meccanico-compressive di
origine benigna.
I pazienti sono stati divisi in due gruppi:
• 15 per il gruppo sperimentale
• 11 per il gruppo controllo.
Sono stati esclusi dallo studio pazienti che presentavano dolore lombare acuto, dolore lombare cronico sostenuto da cause di origine maligna e i pazienti che hanno interrotto il trattamento per più di una
seduta. Tutti i pazienti sono stati valutati con visita fisiatrica, da un
medico osservatore esterno, con scale per la mobilità dorso-lombo-sacrale, Schober test, modified Schober test, modified modified Schober
test, Fingertip-to-floor e Lateral fingertip-to-floor al tempo T0 (prima
dell’inizio del ciclo di trattamenti), T1 (al termine del ciclo dei trattamenti) e T2 (follow up ad un mese). Il protocollo riabilitativo ha previsto l’esecuzione di 12 sedute di trattamento a cadenza trisettimanale,
ogni seduta della durata di circa 30 min. Ogni trattamento è stato
articolato in tre fasi sequenziali, la prima ha previsto l’instaurazione
di un contatto con il paziente mediante manovre di decoaptazione
dell’articolazione coxo-femorale in modo da ottenere il rilasciamento
muscolare al fine di rendere più efficace la rieducazione; seguiva una
seconda fase di maggiore durata che prevedeva la partecipazione attiva
del paziente con l’esecuzione di una corretta respirazione diaframmatica associata al pompage del sacro da parte del terapista; durante la
fase finale si eseguiva esercizio terapeutico di allungamento muscolare
delle catene cinetiche posteriori degli arti inferiori. Sono state, inoltre,
somministrate scale di valutazione quali Oswestry Disability Index,
VAS, Roland and Morris Disability Questionnaire, Backill al tempo
T0, T1 e T2.
Risultati. Per tutte le analisi è stata considerata una significatività statistica per p<0.05. Al modified Schober test (p=0,047) si è osservato
un incremento statisticamente significativo dell’escursione articolare
del tratto lombare nel gruppo sperimentale e una situazione pressoché
166
stabile nel gruppo controllo. Il miglioramento non è risultato efficacemente conservato al follow up ad un mese. Il fingertip to floor
(p>0,05) ha evidenziato un miglioramento statisticamente non significativo nel gruppo sperimentale e una situazione sostanzialmente
stabile nel gruppo controllo. Il miglioramento riportato tra la misurazione effettuata al T0 e al T1 si è mantenuto nel follow up. Nessun
significativo miglioramento, invece, è stato rilevato nella misurazione
del lateral fingertip to floor. Rispetto alle scale di valutazione l’Oswestry Disability Index evidenzia una riduzione dei valori, statisticamente
non significativa, nella rilevazione tra T0 e T1 nel gruppo sperimentale, mentre si mostra sostanzialmente stabile nel gruppo controllo.
La scala VAS (p=0,014 T0/T1) (p=0,008 T1/T2) ha mostrato una
riduzione del dolore, statisticamente significativa tra T0 e T1, che si
mantiene stabile a T2. L’evidente diminuzione del grado di disabilità
è riscontrabile anche dai risultati derivanti dall’analisi della scala Backill, che risultano statisticamente significativi a T1 (p=0,045) e al
follow up (p=0,036). Nel gruppo controllo, invece, si è riscontrata
una sostanziale stabilità dei valori al tempo T0, T1 e T2. Non si è sono
ottenuti risultati statisticamente significativi alla Roland and Morris
Disability Questionnaire (p>0,05).
Conclusioni. Nonostante non tutte le misure di outcome abbiano
dimostrato un miglioramento statisticamente significativo dei valori
presi in esame, i risultati dello studio ci inducono a pensare che, aumentando la numerosità del campione, si possa giungere a validare
l’efficacia del trattamento.
Bibliografia
1.
2.
3.
Low back pain for physical therapy and manual therapy – Staal – Jul 2014;
Linee guida, trattamento della lombalgia cronica – APTA, a cura di Negrini
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La lombalgia: valutazione e trattamento riabilitativo. P. Coliandro, G. Costanzo, S. Ferrari, M. Iocco, F. Licitra, C. Longo, M. Monticone, L. Padua, G. L. J.
E. Quattrocchi, A. Ramieri, M. Romano, C. Vanti. A cura di M. Monticone,
C. Foti. MedTutor, UTET 2010.
208
VALUTAZIONE FUNZIONALE
ELETTROMIOGRAFICA ISOINERZIALE DELLA
STABILITÀ DI SPALLA
Caterina Albensi1, Claudia Scarpini2, Antonio Giulio
Spinelli3, Concetta Ljoka4, Calogero Foti5
Scuola di Specializzazione in Medicina Fisica e Riabilitativa, Università degli
Studi di Roma ‘Tor Vergata’, Roma, Italia1
Dottorato di Ricerca in Advanced Sciences and Technologies in Rehabilitation
Medicine and Sports, Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”, Roma,
Italia2
Corso di Laurea in Fisioterapia, Università degli Studi di Roma “Tor vergata”,
Roma, Italia3
Dottorato di Ricerca in Medicina Fisica e Riabilitazione, Università degli Studi
di Roma “Tor Vergata”, Roma, Italia4
Scuola di Specializzazione in Medicina Fisica e Riabilitativa e Dottorato di Ricerca in ASTRMS, Direttore, Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”,
Roma, Italia5
Introduzione. Questo protocollo sperimentale nasce con l’intento
di valutare la stabilità della spalla in soggetti sani utilizzando l’elettromiografia di superficie. La corretta funzionalità della spalla
deriva dall’armonia tra gli extra-rotatori e gli intra-rotatori, ovvero
agonisti e antagonisti; il deficit d’azione di uno di questi due gruppi muscolari porta ad uno squilibrio meccanico capace di limitare
notevolmente sia l’articolarità sia la stabilità della spalla. Lo studio
sperimentale in oggetto, mira a fornire una valutazione funzionale
della stabilità di spalla ricorrendo all’uso dell’elettromiografia di superficie e mediante l’utilizzo dell’elettromiografo isoinerziale, uno
strumento estremamente innovativo, capace di monitorare il comportamento della prestazione muscolare durante una contrazione
di natura dinamica. L’analisi viene effettuata sulla base di tre test:
Vol. 30 - N. 2/3 - GIORNALE ITALIANO DI MEDICINA RIABILITATIVA - MR
44° CONGRESSO NAZIONALE SIMFER
Napoleon Test (Belly Press Test, Test dinamico mediante l’utilizzo
dell’Encoder-velocity e il Vibration Test.
Materiali e metodi. Lo studio è stato svolto su 10 soggetti sani tra
i 18 e i 30 anni, di sesso maschile. Criteri di esclusione. Soggetti con
patologie pregresse a carico di entrambe le spalle quali lussazioni e
tendinopatie della cuffia dei rotatori. Ai fini della sperimentazione
vengono utilizzati un elettromiografo isoinerziale (Muscle Lab-Bosco System) costituito da un sensore lineare di velocità (Encoder) e
da un microprocessore connesso a un PC, quattro elettrodi di superficie con relative placche, un manipolo vibratorio (Upper Arm) per
la stimolazione vibratoria meccanica localizzata. Il protocollo sperimentale ha previsto l’applicazione di quattro elettrodi di superficie,
di cui due in corrispondenza della regione anteriore di entrambe
le spalle del paziente, per l’attività degli intrarotatori e altri due un
paio di centimetri inferiormente alla spina della scapola per gli extrarotatori. Sono stati creati otto gruppi di due campioni secondo
determinati parametri relativi al comportamento dei singoli distretti
muscolari interessati durante la loro attività in ogni singola prova.
Per ogni gruppo sono stati calcolati i parametri di media, deviazione
standard, errore standard della media, il valore t fino ad arrivare al
valore più importante che è quello della significatività.
Risultati. Dai risultati analizzati si evince, che nel Napoleon Test
gli intrarotatori si attivano maggiormente rispetto agli extrarotatori
sia nella spalla dominante (p=0,022) che in quella non dominante
(p=0,004), mentre nel Dynamic Test, pur riscontrando sempre una
maggiore attivazione degli intrarotatori rispetto agli extrarotatori, il
dato della spalla dominante è significativo (p=0,034), mentre non lo
è quello relativo alla spalla non dominante (p=0,195) perché considerevole è la differenza fra le due medie. A seguito del confronto
delle contrazioni dei due gruppi muscolari per ciascuna condizione
di vibrazione (basale e attiva) emerge una differenza staticamente
significativa tra la contrazione in assenza di vibrazione (basale) e la
contrazione con vibrazione (attiva) per quanto riguarda gli intrarotatori, sia nella spalla dominante (p=0,004) che nella spalla non dominante (p=0,024), essendo i valori della contrazione con vibrazione
più alti di quelli senza vibrazione. Pertanto risulta che, in presenza di
vibrazione, si ha una maggiore risposta alla contrazione da parte degli intrarotatori. Per quanto riguarda gli extrarotatori, si ha una differenza staticamente significativa nella spalla dominante (p=0,039),
ma non in quella non dominante (p=0,44).
Conclusioni. Dai risulati ottenuti in questo protocollo sperimentale possiamo concludere che l’elettromiografia di superficie si è dimostrata uno strumento valido per la valutazione della stabilità della
spalla in soggetti sani. Si ritiene opportuno ampliare il campione ed
estendere l’esame anche in condizioni patologiche.
Bibliografia
1.
2.
3.
Bosco C., Cardinale M., Colli R., Introini E., Madella A., Tihanyi J., Tsarpela
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Moseley JB, Jobe FW, Pink M, et al.: EMG analysis of the scapular muscles during a shoulder rehabilitation program. Am J Sports Med, 1992, 20: 128–134.
209
ETEROMETRIA TRA TEORIE E VALUTAZIONE
STRUMENTALE VALIDA. STUDIO SUL
SISTEMA NPOS (NEW POSTURAL SOLUTION)
Asmaa Mahmoud1, Luisanna Basile2, Caterina Albensi2,
Paolo Abundo3, Morena Marasco3, Calogero Foti2
Medicina Fisica, Reumatologia e Riabilitativa, Facoltà di Medicina e Chirurgia,
Università di Ain Shams, Cairo, Egitto, Medicina Fisica e Riabilitativa, Dipartimento di Scienze Cliniche e Medicina Traslazionale, Università degli studi di
Roma Tor Vergata, Roma, Italia1
Medicina Fisica e Riabilitativa, Dipartimento di Scienze Cliniche e Medicina
Traslazionale, Università degli studi di Roma Tor Vergata, Medicina Fisica e
Riabilitativa, Dipartimento di Scienze Cliniche e Medicina Traslazionale, Università degli studi di Roma Tor Vergata, Roma, Italia2
Il Servizio di Ingegneria Medica, Policlinico Tor Vergata, Roma, Italia, Il Servizio
di Ingegneria Medica, Policlinico Tor Vergata, Roma, Italia, Roma, Italia3
Introduzione: La valutazione e il trattamento dei disturbi posturali
rappresentano questioni ancora irrisolte nelle disfunzioni dell’apparato muscolo-scheletrico, nell’ambito delle quali è inclusa l’eterometria degli arti inferiori. Per una sua corretta gestione è essenziale
discriminare tra eterometria anatomica ed eterometria funzionale.
Entrambi i tipi di eterometria hanno un’elevata prevalenza nella popolazione generale (alcune fonti la stimano intorno al 95%) (1) e
proprio per questo hanno un notevole impatto sociale ed economico-sanitario, ma i risultati relativi alla ricerca di un metodo di valutazione affidabile che permetta di distinguere un tipo dall’altro, sono
tutt’ora controversi, considerando che anche le misurazioni radiologiche presentano delle limitazioni a questo riguardo, pur essendo
ancora oggi riconosciute come il metodo diagnostico gold-standard
in associazione ad una scrupolosa valutazione clinica (2). Con la
strumentazione NPoS (New Postural Solution) di recente invenzione e grazie alla collaborazione tra il reparto di Medicina Fisica e
Riabilitativa dell’Università degli Studi di Roma Tor Vergata e la
Baro-Postural Instruments (BPI-Roma), sono stati osservati risultati
positivi in soggetti con ipotetica eterometria funzionale degli arti
inferiori per quel che riguarda la valutazione strumentale della caduta antero-mediale di un emibacino in rapporto all’intra-rotazione
femorale che può determinare l’instaurarsi dell’eterometria stessa,
attraverso le due componenti del NPoS: FIS (Foot Imaging System)
che permette l’individuazione fuori carico dell’altezza del rialzo personalizzato da applicare bilateralmente in caso di apparente differente lunghezza dei 2 arti inferiori e POS (Postural System Optimizer),
la pedana baropodometrica che valuta il riallineamento dell’assetto
dei 2 emibacini sul piano frontale e su quello sagittale e la ridistribuzione dei carichi tra avampiede e retropiede: il verificarsi di queste
condizioni confermerebbe l’esistenza di un problema esclusivamente funzionale. Ciò ha portato il nostro interesse di ricerca a studiare
la ripetibilità intra ed inter-operatore delle misurazioni effettuate
tramite la strumentazione NPoS, come passo preliminare alle eventuali possibili implementazioni diagnostiche e cliniche nell’ambito
dei disturbi posturali derivanti dall’eterometria funzionale degli arti
inferiori.
Materiali e metodi. Dopo un accurato esame clinico per escludere l’esistenza di un’eterometria anatomica, 4 soggetti con ipotetica
eterometria funzionale degli arti inferiori sono stati valutati con la
strumentazione NPoS per determinare la misura del rialzo personalizzato da applicare bilateralmente ed effettuare la valutazione baropodometrica con e senza il rialzo. Nell’arco di un periodo di 2 mesi,
ogni soggetto è stato valutato 12 volte in 3 sessioni dai due operatori
medici. In ogni sessione i 2 operatori si sono alternati nell’eseguire le
4 valutazioni (ciascuno ne effettuava 2). Quindi complessivamente
sono state eseguite 48 misurazioni, 24 per ciascun operatore. I risultati ottenuti sono stati poi verificati da 2 bioingegneri che li hanno
confrontati con le misure effettuate tramite la strumentazione BTS
Gaitlab (3).
Risultati. Per quanto concerne lo studio della variabilità intra-operatore delle misurazioni, l’analisi del Coefficiente di Variazione percentuale (CV%) di ogni operatore ha mostrato nel complesso una
buona ripetibilità dei sistemi di misura. Globalmente, valutando la
media tra tutti i parametri dei CV%, si è osservato in entrambi gli
operatori un CV% ≤15 sia per i dati acquisiti con sistema FIS che
per quelli acquisiti mediante sistema POS. Per valutare la riproducibilità globale è stata messa a confronto la media di tutti i parametri
misurati dall’operatore B con la media di tutti i parametri misurati
dall’operatore A: le differenze riscontrate non sono risultate statisticamente significative, indicando dunque una buona riproducibilità
del sistema di misurazione e mostrando una minima variabilità in-
Vol. 30 - N. 2/3 - GIORNALE ITALIANO DI MEDICINA RIABILITATIVA - MR
167
44° CONGRESSO NAZIONALE SIMFER
ter-operatore. Le misure acquisite mediante sistema NPoS sono state
successivamente confrontate con quelle acquisite mediante sistema
BTS Gaitlab: la valutazione dei parametri lineari ha evidenziato una
correlazione statisticamente significativa tra i due metodi, per cui
l’analisi della variabilità inter–metodo ha mostrato un’elevata concordanza tra le due metodiche.
Conclusioni. I risultati suggeriscono che la nuova strumentazione
NPoS ha un elevato grado di ripetibilità e una minima dipendenza
dall’operatore nelle misurazioni effettuate ed inoltre queste ultime
sono in linea con quelle ricavate tramite la validata ma più complessa strumentazione BTS Gaitlab. Questi risultati possono essere
considerati una base per future implicazioni di NPoS nella valutazione dell’eterometria funzionale degli arti inferiori attraverso la
misurazione della caduta antero-mediale di un emibacino associata
all’intra-rotazione femorale sul piano trasverso.
Bibliografia
1.
Brady RJ, Dean JB, Skinner TM, Gross MT, Limb length inequality: clinical
implications for assessment and intervention, J Orthop Sports Phys Ther. 2003
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analysis. Gait Posture. 2000 Oct;12(2):156-61.
2.
3.
210
IL DOLORE MIOFASCIALE: CONFRONTO TRA
FIBROLISI, INFILTRAZIONI E DRY NEEDLING
Vittorio Marcelli1
Unità di medicina fisica e riabilitativa, Ospedale di Rieti, Rieti, Italia1
Introduzione. La sindrome miofasciale è un disturbo di tipo non
infiammatorio di origine muscolo-scheletrica; può esordire sia come
evento primario sia secondario ad altre patologie. La sindrome
miofasciale ha nei Trigger Point (TP) l’elemento qualificante; essi
verrebbero identificati come focolai di iper-irritabilità, solitamente
all’interno di una bandelletta contratta di un muscolo scheletrico o
di una fascia muscolare, dolorosi alla compressione e che possono
dare vita a caratteristici dolori proiettati, a dolenzia alla palpazione
ed a fenomeni autonomi. Obiettivo dello studio è stato quello di
confrontare gli effetti di tre trattamenti in una popolazione affetta
da sindrome miofasciale cervicale: la fibrolisi con gel all’arnica, il
trattamento infiltrativo e il dry needling.
Materiali e metodi. È stato effettuato uno studio prospettico randomizzato controllato in singolo cieco con una valutazione al tempo
zero (t0 = baseline), una valutazione al termine del trattamento (t1),
ad un mese (t2) ed a tre mesi (t3) dalla fine del trattamento. Sono
stati inclusi nello studio 42 pazienti affetti da dolore miofasciale a
livello dei muscoli posteriori del collo, con dolore irradiantesi alla
spalla, insorto da più di 6 settimane, ma meno di 6 mesi. I pazienti
sono stati suddivisi in 3 gruppi di 14 pazienti: il Gruppo 1 ha ricevuto il trattamento con fibrolisi e gel all’arnica; il Gruppo 2 il trattamento con le infiltrazioni di lidocaina; il Gruppo 3 è stato trattato
col Dry Needling. Ogni trattamento prevedeva 5 sedute di applicazione, una a settimana per 5 settimane consecutive. Tutti i pazienti
sono stati sottoposti alla compilazione di tre scale di valutazione:
VAS, NDPI (Neck Pain and Disability Index), EuroQoL (European Quality of Life). Nel corso della stessa seduta è stato valutato il
ROM cervicale nelle sei direzioni del movimento.
Risultati. Il nostro studio mette in evidenza che tutti e tre i trattamenti utilizzati determinano una riduzione del dolore già a partire
dalla fine delle 5 sedute di trattamento (t1). L’analisi dei dati relativi
al trattamento con fibrolisi e Dry Needling ha mostrato risultati significativi al tempo t2 e t3 rispetto al baseline, con una riduzione del
dolore cervicale meno evidente e con un andamento nel tempo più
168
graduale rispetto alla terapia infiltrativa con lidocaina.
Conclusioni. Possiamo concludere che il trattamento con infiltrazioni di lidocaina è efficace, a partire dalla fine delle 5 sedute di
trattamento (t1), nel migliorare la funzionalità del rachide cervicale
e ridurre il dolore, stimata tramite la NPDI, mentre il trattamento
con fibrolisi e dry needling mostra un effetto significativo nel migliorare la funzione del rachide cervicale solo a tre mesi (t3).
Bibliografia
1.
2.
3.
Niel-Asher Simeon. Trigger point-Guida pratica [Libro]. –[s.l.]: edi-ermes,
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Janet G.Travel, David G. Simons. Myofascial pain and Disfunction. The trigger
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in myofascial pain syndrome: a randomized controlled trial[Rivista]-[s.l.]:
ClinRheumatol, 2010. -Vol.29:19-23.
211
MUSICOTERAPIA E DOLORE IN ETÀ
EVOLUTIVA
Adriana De Serio1
Centro Riabilitativo “Don Orione”, Dipartimento Musicoterapia, Bucarest, Romania1
Introduzione. Nel presente studio l’Autrice espone un Piano Integrato di Musicoterapia per il dolore in soggetti in età pediatrica
(PIMtDolorPed), con l’obiettivo di elaborare lo stress associato
al dolore e promuovere strategie di coping, congiuntamente ad
abilità cognitive, sensoriali-motorie, comunicativo-relazionali e di
percezione sonora.
Materiali e metodi. Il PIMtDolorPed prevede: - idonee cornici
ambientali e temporali; - Holding e Setting musicoterapeutico, in
un’ottica d’integrazione con il team riabilitativo e le terapie mediche e farmacologiche; Scheda musicoterapeutica anamnestica (indagine sul vissuto sonoro del soggetto); Protocolli di osservazione del paziente; Produzione di Energia Sonoro-Musicale (ESM);
Monitoraggio dei Parametri Fisiologici e del PARSOM; Indici.
La produzione di ESM, da parte del sistema soggetto/musicoterapeuta, si avvale dell’uso della voce, di suoni e rumori ambientali,
strumenti musicali convenzionali e non, anche costruiti con materiali di recupero, e strumenti ritmico-sonori commestibili (ESMI),
ideati e creati dall’Autrice. Tecniche: songwriting (composizione di
canzoni), simmetria, simultaneità, similitudine, ecoizzazione, imitazione, dialogo sonoro, associazioni corporeo-sonoro-musicali,
contenimento, rispecchiamento (in imitazione e sincronizzazione), contrasto, sviluppo, dei parametri corporeo-sonori del paziente; sintonizzazione esatta, inesatta, sinestesica, supportata dall’analisi di transmodalità e qualità amodali delle modalità percettive.
L’approccio sistemico interattivo al bioecosistema paziente-musica
comporta una codificazione di scelte di (ESM)k, ove k = 1, …, k,
…, n. Ove n è il numero dei frammenti di ESM prodotti, considerando la valenza della biodiversità musicale in relazione a ritmo biopsichico e qualità dinamiche/agogiche del feedback, anche
neurovegetativo, del paziente. Ciascun parametro musicale (suono, durata, altezza, intensità, ritmo, timbro, melodia, armonia,
agogica, dinamica, pulsazione, fraseggio, silenzio) è caratterizzato
da una peculiare valenza energetica, e pertanto va monitorato, per
ciascun ESMk, anche con l’uso degli Indici di Imberty (dinamismo generale, dissomiglianza degli elementi, complessità formale).
L’Indice di dinamismo generale è definito da : D = V x I (ove:
D = Dinamismo generale; V = Velocità; I = Intensità soggettiva).
L’Indice di dissomiglianza degli elementi si valuta attraverso la Variazione media di intensità (intensità di ogni nota prodotta singolarmente nel tempo, somma di tali intensità per l’insieme del brano musicale, media di intensità per ogni nota eseguita, variazione
media rispetto ad essa nel brano), e la Variazione media di durata
(valori dei rapporti tra le figure di durata di uno stesso brano. Valo-
Vol. 30 - N. 2/3 - GIORNALE ITALIANO DI MEDICINA RIABILITATIVA - MR
44° CONGRESSO NAZIONALE SIMFER
re più frequente = 0. Es.: seminima = 0, minima = 2, ecc.). L’Indice
di complessità formale è definito da: C = (Hm x t) + (el x eR), ove:
C = complessità formale; Hm = entropia melodica; t = durata intervallo metrico; el = variazione media di intensità; eR = variazione
media di durata. Per monitorare i parametri fisiologici del paziente
l’Autrice ha creato alcuni Indici: - Indice PARSOM (Pattern Riconoscitivo Somatico semiologico e grafemico): monitora la risposta
somato-sensoriale/neurovegetativa del paziente, prima, durante e
dopo il trattamento con ESM. Algoritmo del PARSOM (“R”), rispetto al tempo tk (ove k = 1,...,n): R = f [C + MF (ω, β, ν) + MAS
(αd, αs, μd, μs ) + MAI (γd, γs)]. Ove R è funzione (f ) di: - emissione vocale (C); - mimica facciale (MF), correlata al dinamismo
oculare (ω), della bocca (β), e del viso (ν); - motricità degli arti
superiori (MAS), ove αd e αs indicano l’arto destro e sinistro; μd e
μs indicano le mani, destra e sinistra; - motricità degli arti inferiori
(MAI), ove γd, γs indicano gambe e piedi, degli arti destro e sinistro. Per C, MF, MAS e MAI, i valori sono compresi nell’intervallo
0 – 2. La scala dei valori, per R = f [C, MF, MAS, MAI], si articola
nell’intervallo 0 – 8. - Indice di Risposta (IR): insieme del numero
degli incrementi valoriali registrati per ogni parametro fisiologico preso in esame, per ogni ESMk, ove k è variabile da 1 a “n”,
e “n” è il numero, variabile per ciascun paziente, dei trattamenti
ESM. Quindi: IR = [(numero Risposte con incremento valoriale) /
(numero trattamenti ESMn)] x 100. - Indice di Fasicità pressoria
(φ): numero delle risposte con incrementi valoriali della sincronia
fasica degli andamenti delle Pressioni sistolica e diastolica, dopo
ogni ESMk. Pertanto: φ = [(numero coincidenze di incremento
dei picchi valoriali di Ps e Pd )/(numero totale trattamenti ESM)]
x 100. - Indice di Fasicità generale (Φ): valuta la caratterizzazione
della sincronia fasica delle risposte con incrementi valoriali, per
ogni ESMk, di ogni parametro fisiologico.
Risultati e conclusioni. L’analisi dei risultati evidenzia il contributo del PIMtDolorPed nell’estrapolare, nei pazienti, piacere ludico, energia e creatività, nella capacità di affrontare e allontanare
la memoria del dolore, stimolandone il dinamismo evolutivo del
bio-ecosistema, determinante positivamente ai fini della prosecuzione dell’iter recuperativo autopoietico, producendo un’efficace
modulazione dell’umore e un incremento di autostima, con favorevoli ricadute (sugli altri membri della famiglia e sull’autonomia
funzionale della coppia genitoriale, su una riduzione dei dosaggi
farmacologici, su una compliance ai trattamenti medici), codificando criteri di orientamento per il miglioramento della qualità
della vita.
Bibliografia
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212
BIOMARCATORI PROGNOSTICI PER
L’OUTCOME FUNZIONALE DOLO LESIONE
MIDOLLARE: STUDIO PRELIMINARE SU
LIQUOR CEREBROSPINALE
Rita Capirossi1
Unità Spinale, Montecatone Rehabilitation Institute, Imola, Italia1
Introduzione. Le lesioni midollari rappresentano a livello mondiale una delle principali cause di morte e di disabilità permanente, con impatto sulla qualità di vita della persona colpita. Predire
l’outcome funzionale di una lesione midollare (SCI) sulla base
del recupero neurologico atteso è essenziale per la pianificazione
dell’assistenza al paziente con danno midollare. Molti degli sforzi dei ricercatori e dei clinici sono stati orientati ad una corretta
valutazione della severità della lesione riportata e nella ricerca di
possibili predittori di potenziale recupero neurologico. Da un’analisi della letteratura, non risultano a tutt’oggi essere disponibili
sicuri marcatori biochimici prognostici dell’outcome funzionale
dopo SCI, se non in vitro in modelli animali o in pochi studi effettuati sull’uomo e comunque in un numero limitato di pazienti.
Lo scopo di questo studio è di identificare possibili biomarcatori
prognostici per l’outcome funzionale dopo lesione midollare attraverso l’analisi del liquido cerebrospinale (CSF) in pazienti con lesione traumatica acuta. L’identificazione di tali fattori faciliterebbe
la formulazione di una prognosi precoce migliorando l’organizzazione del setting clinico-assistenziale e potrebbe consentire l’individuazione di possibili strategie terapeutiche protettive da attuare
durante la fase acuta della mielolesione.
Materiali e metodi. Si tratta di uno studio sperimentale prospettico, tuttora in corso, con una durata prevista di 3 anni, che
prevede l’arruolamento di 30 pazienti con lesione traumatica del
midollo spinale cervicale o dorsale di età compresa tra i 18 ed i 75
anni, con indicazione ad intervento di stabilizzazione vertebrale.
Come controlli, vengono inclusi 4 campioni di CSF di soggetti
sani, acquistati presso centri certificati. Il CSF, ottenuto mediante puntura lombare effettuata entro le prime 24 ore dalla lesione
(prima del trattamento chirurgico) è stato analizzato utilizzando
la tecnologia di quantificazione proteica multi-parametrica . Per
l’analisi dei biomarkers sono stati utilizzati tre pannelli per lo studio di differenti analiti in modo da studiare in totale 35 marcatori
proteici: I Pannello: Citochine/chemochine; II Pannello: Malattie
Neurologiche; III Pannello: Malattie Neurodegenerative.
Risultati. Riportiamo i risultati preliminari di 8 pazienti ad oggi
arruolati. Tra le citochine/chemochine, rispetto ai valori dei controlli, abbiamo riscontrato un aumento statisticamente significativo dei seguenti marcatori: Stromal cell-derived factor (SDF-1) (pvalue=0,0121), IL-16 (p-value=0,0061), IL-18 (p-value=0,0121),
CTRACK (p-value=0,0138) e SCGF-beta (p-value=0,0242). Differenze significative tra casi e controlli si sono riscontrate anche per
i seguenti marcatori del pannello riguardante le Malattie Neurodegenerative: BDNF (p-value=0,029), RANTES (p-value=0,0242),
PDGF-AA (p-value=0,0061), MPO (p-value=0,0171), e PAI-1
(p-value=0,0061). Infine, per quanto riguarda i biomarkers relativi
alle malattie neurologiche, l’unico biomarker risultato statisticamente aumentato rispetto ai controlli è emerso essere l’NGF-beta
(p-value=0,0294). In pochi soggetti (n=3) abbiamo misurato gli
stessi marcatori nel CSF anche a 3 mesi di distanza dalla lesione
(T1): abbiamo riscontrato una significativa riduzione solo del marcatore Stem Cell Growth Factor beta (SCGF-b) (p-value=0,0263),
rispetto al momento del trauma (T0). Abbiamo, inoltre, cercato
una possibile correlazione tra i biomarcatori e la severità del danno
lesionale mettendo a confronto i markers al T0 col quadro neuromotorio rilevato al momento del trauma (utilizzando la scala ASIA
per valutare la completezza della lesione midollare). Tuttavia, i biomarkers indagati non hanno evidenziato correlazioni significative
con la gravità della lesione e non sembrano, pertanto, affidabili per
la predittività dell’outcome motorio.
Conclusioni. In letteratura gli studi clinici su possibili biomarkers
predittivi di severità in caso di SCI attraverso l’analisi del CSF nella
fase acuta della lesione traumatica sono pochi e disomogenei. I nostri risultati, seppur preliminari, così come riportato in letteratura,
evidenziano un incremento al T0 sia di biomarkers infiammatori
(citochine/chemochine come ad es. IL-16, IL-18, CTRACK), sia
di biomarkers implicati nell’ambito delle malattie neurodegenerative (es. RANTES, MPO), che di fattori di crescita (neurotrofine)
potenzialmente coinvolti nei processi di neuro-riparazione neuronale, nei processi di angiogenesi e di ematopoiesi (SCGF-beta).
Vol. 30 - N. 2/3 - GIORNALE ITALIANO DI MEDICINA RIABILITATIVA - MR
169
44° CONGRESSO NAZIONALE SIMFER
Tali dati andranno comunque avvalorati da un ampliamento dei
casi reclutati in ricerche future e potrebbero essere potenzialmente
utili per sviluppare metodiche terapeutiche.
Bibliografia
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spinal cord injury” Clin Chem Lab Med 2011;49(3): 425-433.
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2.
3.
4.
213
STATO DELL’ARTE SULLE SCALE DI
VALUTAZIONE PER IL CONTROLLO DEL
TRONCO NELLA PERSONA CON LESIONE
MIDOLLARE E PROSPETTIVE FUTURE
Ilaria Baroncini1 - Manuela Marani1 - Jessica Cambiuzzi1
- Ivo Cassani1 - Lorenzo Chiari2 - Carlo Taccone2 - Sabato
Mellone2 - Jacopo Bonavita1
Montecatone Rehabilitation Institute, Unità Spinale, Imola, Italia1
Università Bologna, Dipartimento di Elettronica - Facoltà di Ingegneria, Bologna, Italia2
Introduzione. All’interno del percorso riabilitativo che viene eseguito conseguentemente ad una lesione midollare di livello dorsale
e con derivante paraplegia, uno dei primi obiettivi è il raggiungimento della posizione seduta in carrozzina. Lo step successivo è il
miglioramento del controllo del tronco, che si ottiene attraverso
esercizi specifici finalizzati all’acquisizione di compensi sovralesionali ed al rinforzo della muscolatura residua paravertebrale ed addominale. L’acquisizione del controllo posturale da seduto in assenza
di supporti è infatti fondamentale poiché molte attività della vita
quotidiana vengono eseguite da questa posizione, quali la vestizione, prendere oggetti con gesti di reaching, il trasferimento dal letto
alla carrozzina o sul WC, l’igiene del corpo. Un aspetto carente in
letteratura è la correlazione fra una certa performance di controllo del tronco ad una data autonomia funzionale nelle attività della
vita quotidiana. Sicuramente uno dei limiti principali è la carenza
di scale di misura del livello di controllo del tronco nelle persone
con lesione midollare. Altro aspetto rilevante è la grande variabilità
di controllo del tronco stesso a seconda del livello di lesione e del
grado di completezza (in base alla scala ASIA). La Thoracic-Lumbar
Control Scale (1,2), benché sviluppata e validata per la valutazione
del controllo del tronco nel mieloleso, risulta essere in buona correlazione con la sola componente sensitiva della scala ASIA ed è stata
analizzata in relazione con la scala FIM, ma non con la SCIM III.
Più recentemente è stata validata un’ulteriore scala specifica per la
mielolesione (3) (Trunk Control Test for Spinal Cord Injury), che
stratifica i vari livelli di lesione dorsale e che dimostra inoltre un
buon livello di correlazione con la scala SCIM, ma solo nella sua
totalità, in quanto non è stata messa in correlazione con la componente più specifica “mobilità” della SCIM stessa. Tra le prospettive future vi è l’idea di stabilire in modo oggettivo nel mieloleso
la correlazione fra il grado di autonomia e il controllo del tronco
principalmente in base al suo livello lesionale. Riteniamo prioritario
stabilire il grado di correlazione soprattutto nella fase riabilitativa intensiva intraospedaliera; secondariamente, è opportuno avere indicazioni anche relativamente all’evoluzione del quadro durante la fase
successiva alla dimissione, fino al momento in cui è realistico pensare che gli esiti siano stabilizzati (situazione di cronicità). Il progetto
portato avanti nella nostra struttura ha come scopo di analizzare la
correlazione attraverso le scale di misura clinica con il livello di au170
tonomia e stiamo utilizzando sensori di movimento indossabili che
sono in grado di misurare in modo idealmente più oggettivo numerosi parametri. Tale dispositivo “pERhl” permette di rilevare misure
dell’attività motoria con sensori inerziali indossabili non invasivi, di
minimo ingombro e peso. Il dispositivo incorpora al suo interno un
accelerometro, un giroscopio ed un magnetometro triassiali.
Materiali e metodi. Lo studio è di tipo prospettico longitudinale monocentrico, considerabile sperimentale per via dell’utilizzo di
sensori di movimento indossabili, non in uso nella pratica clinica.
Per il nostro studio abbiamo impostato un protocollo valutativo
che misurerà: il livello di autonomia attraverso la parte “mobilità”
della scala SCIM III, il livello di controllo del tronco attraverso la
Thoracic-Lumbar Control Scale e il Trunk Control Test for Spinal
Cord Injury, il livello neurologico lesionale attraverso la classificazione ASIA (“gold standard” nella pratica clinica della riabilitazione
del mieloleso) e il giudizio di completezza della lesione midollare
sarà valutato attraverso l’AIS (Asia Impairment Scale). I pazienti inclusi sono di età compresa fra 18 e 70 anni, mielolesioni complete
motorie (AIS A e B), ad eziologia traumatica. Ogni paziente viene
valutato al tempo T0 (a 15 gg dal ricondizionamento alla posizione
seduta del paziente libero da ortesi), al tempo T1 (dimissione), al
tempo T2 (4-6 mesi dalla dimissione) e al tempo T3 (a 18 mesi circa
dalla dimissione). I pazienti sono stati suddivisi in 3 gruppi in base
al livello lesionale: 1° gruppo lesione T1-T4: pazienti con muscoli
addominali con forza muscolare assente; 2° gruppo lesione T5-T8:
pazienti con i soli muscoli addominali superiori con forza muscolare
attiva; 3° gruppo lesione T9-L1: pazienti con tutti i muscoli addominali con forza muscolare attiva.
Risultati. Il risultato atteso è quello di correlare in modo puntuale
un certo livello di autonomia nelle ADL (mediante la scala SCIM
III) con una corrispondente competenza di controllo del tronco.
Conclusioni. Il dato di correlazione tra livello di autonomia nelle ADL e competenza nel controllo del tronco potrebbe essere di
grande interesse nel guidare il percorso riabilitativo, focalizzandolo o
meno sul lavoro per il tronco al fine di raggiungere il massimo grado
di autonomia possibile.
Bibliografia
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3.
Atkinson D, Hale J, Feltz M, & Graves D. Scale Structure of the ThoracicLumbar control scale for use in Spinal Cord Injury Research. Abstract presented at ASIA Annual Scientific Meeting, Dallas, TX, August 2009.
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214
VALORE PROGNOSTICO DELLA CRS-R NEI
PAZIENTI CON GCA IN RIABILITAZIONE AD
ALTA INTENSITÀ
Emilio Portaccio1, Francesca Cecchi2, Roberta Boni3, Anita
Paperini4, Chiara Castagnoli3, Federica Vannetti3, Guido
Pasquini3, Claudio Macchi2
Fondazione Don Gnocchi, Fondazione Don Gnocchi, Firenze, Italia1
Fondazione Don Gnocchi, Università degli studi di Firenze, Firenze, Italia2
Fondazione Don Gnocchi, Fondazione Don Gnocchi, Firenze, Italia3
Fondazione on Gnocchi, Fondazione Don Gnocchi, Firenze, Italia4
Introduzione. Mentre sono stati sviluppati numerosi modelli per
predire l’outcome delle gravi cerebrolesioni acquisite (GCA) applicabili nella fase acuta, sono ancora limitati i dati per la previsione
dell’outcome durante la fase riabilitativa post-acuta. L’obiettivo del
presente studio è quello di identificare possibili predittori di outcome nelle prime settimane del periodo di riabilitazione ospedaliera
ad alta intensità.
Vol. 30 - N. 2/3 - GIORNALE ITALIANO DI MEDICINA RIABILITATIVA - MR
44° CONGRESSO NAZIONALE SIMFER
Materiali e metodi. Nel presente studio sono stati inclusi i pazienti
con GCA ammessi per riabilitazione ad alta intensità presso il Reparto GCA della Fondazione Don Gnocchi di Firenze dall’agosto
2012 al maggio 2016. Oltre ai dati demografici (età, sesso) ed eziologici (GCA post-traumatica, post-anossica, vascolare, altro) sono
stati raccolti i dati relativi alla somministrazione delle seguenti scale: Glasgow Coma Scale (GCS), Levels of Cognitive Functioning
(LCF) e Coma Recovery Scale-Revised (CRS-R). L’outcome alla
dimissione è stato valutato attraverso la Glasgow Outcome Scale
(GOS). Il valore predittivo delle variabili all’ingresso e del cambiamento del punteggio sulla CRS-R durante le prime 4 settimane di
ricovero è stato valutato con un’analisi lineare multivariata.
Risultati. Sono stati inclusi nell’analisi 170 pazienti (66 donne, età
media all’evento 58.9 +/- 15.9 anni). L’eziologia della GCA era posttraumatica in 56 (32.9%) pazienti, post-anossica in 33 (19.4%),
vascolare in 80 (47.1%) e di altra natura in 1 (0.6%). I valori medi
di GCS, LCF e CRS-R all’ingresso erano rispettivamente 9.2+/-3.5,
3.0+/-1.3, 14.1+/-8.0. Il punteggio GOS alla dimissione era così
distribuito: 1-2 in 47 (27.6%) pazienti, 3 in 93 (54.7%), 4-5 in 30
(17.7%). Nell’analisi multivariata includente i valori all’ingresso, un
maggior punteggio GOS alla dimissione era associato a minore età
all’evento (B=-0.007; p=0.033) e maggior punteggio sulla CRS-R
(B=0.049; p<0.001). Le altre variabili incluse nell’analisi erano il
sesso, l’eziologia, il punteggio sulla GCS e sulla LCF all’ammissione.
Considerando le prime 4 settimane di ricovero, un maggior punteggio GOS alla dimissione era associato al miglioramento sulla CRSR nelle prime 4 settimane di ricovero (B=0.105; p<0.001) insieme
al maggior punteggio CRS-R all’ammissione (B=0.053; p<0.001)
ed al sesso maschile (B=0.273; p=0.021). Le altre variabili incluse
nell’analisi erano l’età all’evento, l’eziologia, il punteggio sulla GCS
e sulla LCF all’ammissione.
Conclusioni. In pazienti con esiti di GCA che accedono alla fase
della riabilitazione ad alta intensità, il punteggio sulla CRS-R
all’ammissione e il miglioramento dello stesso durante le prime 4
settimane di ricovero sono risultati affidabili predittori di outcome
clinico alla dimissione. Pertanto, la valutazione standardizzata e seriata del paziente attraverso la CRS-R nelle prime fasi della degenza
può fornire importanti indicazioni prognostiche.
Bibliografia
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2.
Giacino JT, Kezmarsky MA, DeLuca J, Cicerone KD. Monitoring rate of recovery to predict outcome in minimally responsive patients. Arch Phys Med
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215
STUDIO COMPARATIVO TRA TRATTAMENTO
CIMT, TERAPIA ROBOTICA E FISIOTERAPIA
TRADIZIONALE NELLA RIABILITAZIONE
DELL’ARTO SUPERIORE IN UN GRUPPO DI
BAMBINI CON ESITI DI CEREBROLESIONE
ACQUISITA
Elena Beretta1, Ambra Cesareo2, Emilia Biffi2, Roberta
Morganti1, Sandra Strazzer1
IRCCS E. Medea - La Nostra Famiglia, U.O.C. Riabilitazione Specialistica Cerebrolesioni Acquisite, Bosisio Parini (LC), Italia1
IRCCS E. Medea - La Nostra Famiglia, Laoratorio di Bioingegneria, Bosisio
Parini (LC), Italia2
Introduzione. Una lesione acquisita del sistema nervoso centrale (ABI) nei pazienti in età evolutiva determina vari tipi di quadri clinici tra cui l’emiplegia; uno degli obiettivi prioritari della
riabilitazione è il recupero funzionale dell’arto superiore. Studi precedenti hanno dimostrato che le tecniche di stimolazione
sensorimotorie sono efficaci nel recupero dell’arto superiore e, in
particolare, la terapia robotica e la Constraint-Induced Movement
Therapy (CIMT) sono promettenti nei bambini con emiplegia esito di ABI. Tuttavia i dati non sono esaurienti circa la loro efficacia
nella pratica clinica e le differenze di questi trattamenti non sono
state ancora descritte in letteratura. Lo scopo di questo studio è
stato quello di eseguire una valutazione comparativa preliminare
tra trattamento CIMT, terapia robotica con Armeo®Spring e fisioterapia tradizionale (FKT) in relazione alla loro efficacia in un
gruppo di bambini dopo ABI.
Materiali e metodi. Sono stati selezionati 10 bambini con quadri
di emiparesi in esiti di ABI, età tra i 4-18 anni. I bambini sono
stati sottoposti a 2 cicli consecutivi di trattamento (4 settimane
ciascuno), cui hanno partecipato in un ordine casuale: CIMT: Il
trattamento consiste nell’immobilizzare l’arto superiore sano con
un palmare in termoplastico e contemporaneamente sottoporre
a trattamento intensivo l’arto plegico. Armeo®Spring : è un esoscheletro a 5 gradi di libertà che sostiene e guida il movimento
dell’arto, mentre un software dedicato e ambienti di realtà virtuale motivano i pazienti ad attività funzionali. Fisioterapia tradizionale: particolare rilevanza è stata data alle attività multimodali di esplorazione, attività di presa mono e bi-manuale e uso
singolo delle dita, attività di bilanciamento, supporto posturale
e abilità di vita quotidiana. I pazienti sono stati sottoposti a valutazioni prima dell’inizio del trattamento (T0) dopo il 1° ciclo
di trattamento di 4 settimane (T1) e al termine del 2° ciclo di
trattamento (T2). Valutazioni: analisi del movimento 3D; GMFM
(Gross Motor Functional Measure); Scala QUEST e scala Melbourne. L’analisi del movimento dell’arto superiore è stata effettuata
tramite il sistema optoelettronico (OEP sistema BTS Bioengineering) chiedendo al paziente di effettuare il seguente compito
• toccare il bersaglio e ritorno;
• massima precisione;
• 3 volte per ogni arto. Le variabili cinematiche (V) analizzate sono
state: - Parametri spazio temporali - Fluidità (HPR) - Movimento
del tronco - Angoli.
Risultati. 10 bambini (4 M e 6 F età media 9,96 ± 4,01 anni )
sono stati reclutati. 4 presentavano emiparesi destra e 6 sinistra.
L’età media al trauma era di 8,54 anni (± 3,57). 5 bambini presentavano esiti di trauma cranico, 1 bambino stroke, 2 encefaliti,
1 altre cause e 2 bambini esiti di tumore cerebrale. La distanza
dall’evento acuto rispetto all’inizio del protocollo è stata di 12,5
(± 20,2) mesi. In tutti i tipi di trattamento è stata evidenziato un
miglioramento in termini di durata del movimento e fluidità senza
differenze significative tra di loro. Differenze evidenti sono emerse
in termini di valori angolari a livello di gomito e spalla con miglioramenti significativi dopo trattamento CIMT e Armeo. Durante il
reaching test, il ROM della flesso-estensione del gomito aumenta
dopo CIMT (p = 0,030) e Armeo (p = 0,030), soprattutto nella
fase di ritorno L’angolo di estensione massima al gomito aumenta
dopo CIMT e Armeo, e diminuisce dopo FKT, con una differenza
significativa tra CIMT e FKT (p = 0,017) e tra Armeo e FKT (p =
0,009). L’angolo minimo al gomito (cioè la massima flessione del
gomito) durante il movimento di reaching aumenta dopo CIMT e
Armeo e diminuisce dopo FKT, con una differenza significativa tra
Armeo e FKT (p = 0,017). Anche il ROM di abd-adduzione spalla
aumenta dopo CIMT e Armeo, con una differenza significativa
rispetto al trattamento FKT. Tutte le terapie hanno evidenziato
ridotti movimenti compensatori di tronco; in particolare questo è
stato evidente dopo il trattamento mediato da Armeo .
Conclusioni. In questo lavoro, abbiamo effettuato una valutazione quantitativa delle variazioni nella funzione degli arti superiori
in un gruppo di bambini affetti da esiti di cerebrolesione acquisita dopo trattamenti CIMT, Armeo®Spring e FKT convenzionale,
per mezzo di analisi cinematica 3D e scale funzionali Abbiamo
evidenziato miglioramenti a livello del gomito e della spalla dopo
Vol. 30 - N. 2/3 - GIORNALE ITALIANO DI MEDICINA RIABILITATIVA - MR
171
44° CONGRESSO NAZIONALE SIMFER
CIMT e Armeo. Questo studio suggerisce che CIMT e trattamento robot-assistito possono portare a miglioramenti nei movimento
degli arti superiori. Inoltre, Armeo ha mostrato i risultati migliori
in termini di rotazione del tronco durante il raggiungimento del
target e maggiore selettività, misurata dall’aumento dei movimenti
indipendenti dell’arto, confermando l’ipotesi che i miglioramenti
prossimali vengono prodotti principalmente dalla terapia robotassistita.
Bibliografia
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Cimolin V, Beretta E, Piccinini L, Turconi AC, Locatelli F, Galli M, Strazzer
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27(3):177-87.
2.
3.
216
BENEFICI DELLA RIABILITAZIONE
OMNICOMPRENSIVA PRECOCE NEL
PAZIENTE CON PREVALENTE DISABILITÀ
CARDIACA
De Michelis Valter1, Ennio Mantellini1, Patrizia Valorio1,
Marco Pizzorno1, Silvia Bona1, Salvatore Petrozzino1
ASO SS Antonio e Biagio e C Arrigo Alessandria, Dipartimento di Riabilitazione
Ospedale Borsalino Alessandria, Alessandria, Italia1
Introduzione. Le malattie cardiovascolari sono la principale
causa di mortalità nei paesi industrializzati ed una delle principali
cause di disabilità in particolare per i soggetti in età lavorativa.
Intervenire sul decorso della malattia aterosclerotica è quindi
mandatorio sia in prevenzione primaria che secondaria. Autorevoli
pubblicazioni hanno dimostrato che la riabilitazione cardiologica
migliora l’outcome rispetto alla “usual care” della pratica clinica.
Tra le componenti core che contribuiscono a modificarne il
decorso, oltre al training fisico ricordiamo il controllo dei fattori
di rischio cardiovascolare e dello stress. Nella maggior parte degli
studi considerati nelle metanalisi nel post infarto la riabilitazione
inizia oltre le quattro settimane dall’evento acuto, configurando un
contesto assistenziale oggi anacronistico.
Materiali e metodi. Nel nostro centro vengono ricoverati pazienti
con prevalente disabilità respiratoria e cardiovascolare. Questi ultimi sono provenienti prevalentemente da centri di cardiologia e di
cardiochirurgia mediamente tra la sesta e la decima giornata dopo
intervento. Da Gennaio 2016 sono stati ricoverati 174 pazienti dei
quali 86 con prevalente patologia cardiaca. I pazienti afferiti al nostro centro per la riabilitazione cardiologica degenziale sono stati
sottoposti ad intervento di rivascolarizzazione miocardica mediante
by pass aortocoronarico od angioplastica coronarica, ad intervento
di sostituzione della valvola aortica, mitralica e-o tricuspidalica mediante tecnica tradizionale o sostituzione valvolare aortica mediante
tecnica percutanea transapicale o transfemorale, ad intervento di
sostituzione dell’aorta ascendente o dell’arco aortico. I rimanenti
pazienti arruolati erano affetti prevalentemente da scompenso cardiaco e/o aritmie. Tutti i pazienti arruolati che potevano eseguire il
6 Minute Walking Test hanno iniziato un percorso riabilitativo in
palestra dopo essere stati sottoposti a valutazione clinica specialistica, elettrocardiogramma, controllo della pressione e della saturazione, ecocardiogramma. Tutti i pazienti cardiooperati o affetti da altre
problematiche cardiache sono stati inoltre invitati a partecipare a
sedute educative di gruppo. Durante gli incontri tenuti da un team
multidisciplinare nel quale ci si è avvalsi anche di supporti multimediali audio e video sono state affrontate tematiche quali l’educazione
172
a corretti stili di vita e ad una alimentazione appropriata e sana, la
conoscenza ed il controllo dei principali fattori di rischio cardiovascolare, è stata sottolineata l’importanza dell’aderenza alla terapia ed
insegnate metodiche di controllo dello stress. Agli incontri hanno
partecipato anche i familiari dei pazienti in modo da sensibilizzare i
care giver a modificare proattivamente lo stile di vita dopo la dimissione e rinforzare l’aderenza alle prescrizioni farmacologiche e non
farmacologiche. Pazienti e familiari sono stati invitati a partecipare
agli incontri anche dopo il ricovero.
Risultati. I pazienti che hanno potuto eseguire il 6MWT all’ingresso e nei quali l’iter riabilitativo non è stato inficiato da complicanze
hanno mostrato un miglioramento al test pre dimissione. Nei pazienti ischemici rivascolarizzati si è spesso verificato un recupero in
termini di funzione contrattile cardiaca in predimissione o al primo
follow up. La totalità di pazienti fumatori ha interrotto l’abitudine
al tabagismo durante il periodo di degenza e si è ottenuta una buona
consapevolezza dell’importanza del controllo dei fattori di rischio e
dello stress ed una notevole soddisfazione da parte dei pazienti sulla
metodologia utilizzata (gruppi di discussione con il team di esperti
di pazienti ricoverati e pazienti dimessi e familiari degli stessi).
Conclusioni. Metodiche di riabilitazione omnicomprensiva
precoce comprendente oltre al training fisico anche incontri mirati
al controllo degli stili di vita, dell’alimentazione e dello stress
oltre alla educazione all’aderenza terapeutica apportano benefici
già precocemente alla dimissione del paziente e anche nel lungo
periodo se il paziente continua a mettere in pratica le nozioni e gli
insegnamenti appresi e se questi concetti vengono rinforzati anche
dopo il periodo di ricovero.
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217
EFFICACIA DELL’APPROCCIO STRUMENTALE
NELLA VALUTAZIONE E NEL TRATTAMENTO
DELL’IPERTONO SPASTICO CON TOSSINA
BOTULINICA DI TIPO A (BTX-A)
Grazia De Venuto1, Riccardo Marvulli1, Giulia Gallo1,
Lucia Mastromauro1, Ersilia Romanelli1, Rosanna Lerario1,
Giacomo Fari’1, Antonio Turitto1, Pietro Fiore1, Marisa
Megna1, Giancarlo Ianieri1
Medicina Fisica e Riabilitazione, Policlinico di Bari/ Università degli Studi di
Bari/ U.O.C. di Medicina Fisica e Riabilitazione U.S.U., Bari, Italia1
Introduzione. L’infiltrazione intramuscolare di Tossina Botulinica
tipo-A, è il trattamento di elezione utilizzato per modulare la spasticità. L’azione terapeutica che compare mediamente dopo 7 giorni
dall’infiltrazione, e che raggiunge il picco dopo circa un mese, dipende oltre che dal blocco presinaptico della Acetilcolina anche dal
corretto riconoscimento anatomico e dalla valutazione strutturale
del muscolo1 , dalla dose di farmaco utilizzata e dal trattamento fisioterapico effettuato. Tale approccio farmacologico ormai standardizzato da più di 20 anni si è avvalso recentemente del monitoraggio
strumentale non invasivo effettuato con l’ecografia (che permette di
valutare le modificazioni anatomopatologiche del muscolo spastico
nonché di ecoguidare la inoculazione di muscoli profondi altrimenti
non raggiungibili2 ) e con la misurazione miometrica (valutazione
Vol. 30 - N. 2/3 - GIORNALE ITALIANO DI MEDICINA RIABILITATIVA - MR
44° CONGRESSO NAZIONALE SIMFER
oggettiva di tono, elasticità e stiffness).
Materiali e metodi. MP, paziente di 14 anni, affetto dalla Sindrome
di Van Der Knapp, encefalopatia dismielinizzante su base metabolica