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Giovedì 27 Ottobre 2016
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Che diventeranno incontrollabili. Il problema è: cosa facciamo di 100 mila immigrati l’anno?
Prediche che suscitano proteste
Il buonismo è un modo per non assumersi responsabilità
DI
MARCO BERTONCINI
È
sempre un errore
trarre conclusioni generali da un episodio
limitato. Dieci persone che contestano Matteo
Renzi o che contestavano
Silvio Berlusconi in una
piazza ottengono un rilievo
mediatico quasi che mezza
popolazione italiana si fosse
scatenata. Dunque, i fatti di
Goro non vanno generalizzati. Tuttavia, è un errore,
un grave errore, liquidarli
come una faccenda sgradevole, circoscritta e degna
di riprovazione, assumendo toni moralistici più da
predica ecclesiastica che
da politici che reggono uno
Stato.
C’è un clima, di cui la
micro rivolta ferrarese
è sintomo: contrarietà alla
politica di accoglienza. Non
è appannaggio di sparuti leghisti, perché ha una presa
popolare estesa. Lo dimostrano reazioni sia italiane
sia estere.
Bisogna andare oltre
l’esasperazione, che può anche essere limitata e magari
artatamente gonfiata, per
comprendere che il sistema
finora adottato dal governo
non è il più apprezzabile. In
estrema sintesi, si sono favoriti in ogni maniera gli arrivi (seguendo in ciò l’azione intrapresa dal pontefice,
da Lampedusa in avanti), si
sono innalzati continui appelli agli altri Paesi, si sono
improduttivamente susseguiti stereotipi verbali,
non si è vista alcuna azio-
ne concreta fuori dei confini nazionali, tanto che resta
splendidamente immutato
e vigente il cosiddetto trattato di Dublino, mentre in
parecchi Stati si afferma la
voglia dei muri.
È poi suicida il costante richiamo al numero dei
clandestini (tali sono da
giudicarsi in maggioranza i migranti, stando alle
percentuali comunicate in
Parlamento) come inferiore, prima, all’anno scorso, pari, poi, lievemente
superiore, ora: e alla fine
dell’anno? Infatti, i nuovi arrivati si aggiungono
a quelli precedenti: certo,
non li sostituiscono.
Si pongono problemi
concreti di finanziamento
per l’accoglienza, ma, soprattutto, c’è la questione
principale.
Qual è il destino di questi
ben oltre centomila profughi annuali? La stragrande
maggioranza fra loro dovrebbe venire rispedita in patria.
Viceversa tale destino tocca
a pochissimi. Dunque, circolano per l’Italia extracomunitari in numero indefinito
di cui nulla si sa, salvo che
sono arrivati e che da qualche parte si trovano, anche
se non si sa né dove siano né
come vivano. Non v’è alcuna
certezza per loro.
Ecco: l’episodio di Goro
dovrebbe sollecitare il governo a uscire dal buonismo
genericamente pontificio e
dagli appelli all’Europa che
si riducono a emissioni vocali cui, quando va bene, si
risponde con promesse, as-
sicurazioni, impegni destinati a rimanere altrettanto
verbali. Se, invece, si continuerà a esaltare le magni-
fiche sorti dell’accoglienza
indiscriminata, redarguendo gli egoismi di una parte
(consistente) dei connazio-
nali, si può star sicuri che
sorgeranno altre reazioni
ancora.
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SEMPRE FEDELE A SE STESSO, IL CAPROTTI. ANCHE COI 75 MLN ALLA SEGRETARIA
Un testamento a metà tra un diario
di bordo e una lettera canzonatoria
N
elle ultime 48 ore l’italiano medio si è ridestato: la segretaria
di messère Caprotti (divenuta
poi dirigente, nonché custode di
vicende pecuniarie e personali del buon vecchio imprenditore) ha ricevuto in eredità
75 milioni di euro. Boom baby, ce ne siamo
accorti e ora via di titoloni. Dopo il «Vendetela a tutti, ma non alla Coop», il pubblico
ha insomma trovato nuovo pane per i suoi
denti. «Oh, a saperlo, anche io facevo la segretaria»: questa la frase più quotata sulla
mia bacheca Facebook. Credete davvero
sia stato così facile? Ah no, è vero, siete
dei burloni. Cercando di capire se chi sta
parlando abbia effettivamente idea di cosa
significhi non avere un confine tra vita
privata e lavoro, ripropongo un trafiletto
scritto per piacere personale il giorno della
pubblicazione del testamento (badate bene:
in esso non troverete roba da titoloni, ma,
al limite, il pensiero di una nipote innamorata, amante degli stacanovisti).
Lo leggo, lo rileggo. Mi concentro sulle ultime pagine e le leggo ancora. Una, due
volte.
È come se ce l’avessi lì, davanti, il Signor
Esselunga.
Sarà che mi ricorda così tanto mio
nonno. Sarà che aveva la stessa età di mio
nonno e che, in gioventù, non so quale strano destino ne abbia unito le mani in qualche progetto. Sarà che quelli del ‘25 sono,
erano, fatti di una pasta diversa. Sarà che,
e poi la smetto con la retorica, ancora ieri
«È andato anche il Bernardo» mi ha detto.
«Restiamo in pochi...».
Un testamento da manuale, a metà tra un
diario di bordo e una lettera canzonatoria.
Un testamento che fa uscire la rabbia rassegnata di chi se l’è sentita sotto pelle, con
una classe che molti, in questa società moderna, non assaporeranno mai.
Rileggo un’altra volta e so che non
sarà l’ultima. Sento la gratitudine, la riconoscenza, la passione di un uomo che ha
vissuto d’entusiasmo. Sento il sacrificio, la
frustrazione, la dolcezza che il sapore di
vittoria ti lascia in bocca. Sento tutto quello
che si avverte quando si vince e quando
si perde. Quando si resta da soli di fronte
a tutti e quando si è in esubero di persone nel momento in cui le cose iniziano ad
ingranare, specie economicamente. Sento
indirettamente, o per lo meno credo, la sensazione di quando, dopo esserti costruito un
impero partendo dalle macerie, cominci a
sentire sul collo l’invidia altrui. I soldi hanno un profumo straordinario, quasi come il
sangue per i vampiri, specie per chi non ha
voglia di sudarseli.
Nonno, domani vengo lì a mangiare e
parliamo dei progetti che hai ancora in
ballo e per i quali «Mi ci vorrebbero ancora una decina d’anni per finire tutto, forse
venti».
Grandi uomini da cui attingere spunti di
determinazione, esempi di successo.
Esselunga nel cuore, come il Bernardo.
Gloria Grigolon
IL PREMIER PARLA DI ACCOGLIENZA A GORO E GORINO, MA IN TOSCANA NON VOGLIONO ALTRI PROFUGHI
Anche la Toscana chiude ai migranti
Il sindaco Pd di Firenze, Nardella, mette il prefetto sul chi vive
DI
U
FILIPPO MERLI
n uomo parla alla folla con
un piccolo megafono. «Qui
non vengono, neanche per
un’ora». È una delle immagini delle barricate degli abitanti dei
comuni ferraresi di Goro e Gorino:
persone in piazza, strade bloccate
notte e giorno per impedire l’arrivo
di 12 migranti. Il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, ha affrontato
la questione a Porta a Porta: «L’Italia
che conosco li accoglierebbe», ha detto il capo del governo. Renzi conosce
bene anche la Toscana e, soprattutto, Firenze. Eppure, proprio dalle sue
parti, e dall’ala renziana del Pd, è
arrivato un altro stop ai profughi.
Meno eclatante di quello di Goro e
Gorino, ma comunque deciso.
Il sindaco di Firenze e successore di Renzi, il dem Dario Nardella, e il primo cittadino di Prato e
presidente dell’Anci Toscana, il ren-
ziano Matteo Biffoni, hanno scritto
al prefetto di Firenze, Alessio Giuffrida, per scongiurare l’approdo di
altri 600 richiedenti asilo sul territorio. «La situazione è ormai oltre la
saturazione e l’apertura di ulteriori
strutture genera complessità», hanno sottolineato Nardella e Biffoni.
«La Toscana ha una presenza
di richiedenti asilo del 12% superiore rispetto alle quote dovute,
mentre varie regioni sono sotto la soglia. Questo può comportare il serio
rischio di tensioni sociali, fenomeno
che è nell’interesse di tutti scongiurare, perché comporta un aggravio
che mette in difficoltà le amministrazioni comunali». I due esponenti dem
hanno chiesto al prefetto Giuffrida
«d’intervenire al ministero dell’Interno perché, valutata la situazione,
blocchi nuovi arrivi in territorio toscano, riequilibrando le presenze a
livello nazionale e considerando il
criterio di ripartizione dei migranti
non solo in base alla popolazione».
Pochi giorni fa, un altro sindaco Pd, Cristiano Benucci, primo
cittadino di Reggello (Firenze), ha
annunciato che non avrebbe più partecipato ad alcuna riunione sull’accoglienza «sino a quando non si anteporranno i problemi delle comunità
locali alla collocazione effettuata
in modo frettoloso e sconsiderato
dei migranti». Gli appelli a Palazzo
Chigi sull’eccesso di richiedenti asilo
arrivano proprio da casa di Renzi. E
da più parti.
Nardella e Biffoni, secondo FirenzeToday, alla lettera inviata al
prefetto hanno allegato un grafico
nel quale si evidenzia che i migranti, sul territorio toscano, sono più di
12mila. Per il governatore dem della
Regione, Enrico Rossi, la situazione
è comunque sotto controllo. «Stiamo
parlando di 11mila persone su 3,750
milioni di toscani», ha precisato. «Se
lo Stato non è in grado di far fronte
in modo civile e intelligente a 11mila
persone... Nell’immediato dopoguerra ci furono i profughi che vennero
in Toscana da diverse altre parti.
Erano in un certo numero anche loro
e avevamo i nostri genitori ai quali
mancava una fetta di pane. Eppure,
con qualche problema, riuscirono lo
stesso a far fronte alla situazione».
Per l’opposizione, l’appello di
Nardella e Biffoni «sa tanto di
mossa elettorale in vista del referendum del 4 dicembre», ha attaccato il coordinatore fiorentino di Forza
Italia, Marco Stella. «I sindaci del
Pd sanno che, sul territorio, il loro
partito sta perdendo consensi proprio sul tema dell’immigrazione e
corrono ai ripari, ma non sono credibili». L’Italia che conosce Renzi
avrebbe accolto i migranti di Goro
e Gorino. I sindaci renziani, però,
hanno detto stop all’accoglienza nella sua Toscana.
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