Rapporti tra Coniugi con diverse cittadinanze

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RAPPORTI TRA CONIUGI CON DIVERSE CITTADINANZE
Per i rapporti personali tra i coniugi, la norma di cui all’articolo 29 dip (Rapporti personali tra
coniugi) prevede: “1. I rapporti personali tra coniugi sono regolati dalla legge nazionale comune.
2. I rapporti personali tra coniugi aventi diverse cittadinanze o più cittadinanze comuni sono
regolati dalla legge dello Stato nel quale la vita matrimoniale è prevalentemente localizzata.”
Quanto ai rapporti patrimoniali tra i coniugi, l’articolo 30 dip (Rapporti patrimoniali tra coniugi)
così dispone: “1. I rapporti patrimoniali tra coniugi sono regolati dalla legge applicabile ai loro
rapporti personali. I coniugi possono tuttavia convenire per iscritto che i loro rapporti patrimoniali
sono regolati dalla legge dello Stato di cui almeno uno di essi è cittadino o nel quale almeno uno di
essi risiede. 2. L'accordo dei coniugi sul diritto applicabile è valido se è considerato tale dalla legge
scelta o da quella del luogo in cui l'accordo è stato stipulato. 3. Il regime dei rapporti patrimoniali
fra coniugi regolato da una legge straniera è opponibile ai terzi solo se questi ne abbiano avuto
conoscenza o lo abbiano ignorato per loro colpa.
Relativamente ai diritti reali su beni immobili, l'opponibilità è limitata ai casi in cui siano state
rispettate le forme di pubblicità prescritte dalla legge dello Stato in cui i beni si trovano.”
Il concetto di base che si rinviene dall’articolo 30 dip è che i rapporti patrimoniali tra i coniugi siano
sottoposti in linea di principio alla stessa legge applicabile ai loro rapporti personali; la quale, nel
caso in cui i coniugi possiedano una sola cittadinanza comune a entrambi, a tenore dell’articolo 29
dip è la legge nazionale comune.
Viene ribadito qui il principio della cittadinanza come criterio applicativo principale adottato dal
sistema italiano (contrariamente al sistema svizzero, che adotta quello del domicilio) in mancanza di
fattispecie o scelte particolari.
Si applicherà invece la legge dello Stato nel quale la vita matrimoniale è prevalentemente
localizzata, nel caso in cui i coniugi abbiano differente cittadinanza o più cittadinanze comuni; in tal
caso però, e solo per quanto riguarda il regime patrimoniale, i coniugi possono convenire per
iscritto (optio legis, o optio iuris, o professio iuris) che i loro rapporti patrimoniali siano regolati
dalla legge dello Stato di cui almeno uno di essi sia cittadino o nel quale almeno uno di essi risieda.
Sorge il dubbio se, nel caso in cui tra le cittadinanze comuni dei coniugi sussistesse la cittadinanza
italiana, oppure nel caso in cui solo uno dei coniugi fosse anche cittadino italiano, oltre a possedere
una o più cittadinanze comuni con l’altro, e non fosse fatta professio iuris, la cittadinanza italiana
prevalga ai sensi dell’articolo 19 comma 2 secondo periodo dip1; un riconoscimento della
prevalenza della cittadinanza italiana, in tal caso, porterebbe: nel primo caso (cittadinanza italiana
tra le cittadinanze comuni) all’applicazione della legge italiana, ovunque sia localizzata la vita
matrimoniale; nel secondo caso (cittadinanza o cittadinanze comuni tra le quali non vi sia quella
italiana, ma cittadinanza italiana in possesso di uno solo dei coniugi) a considerare i coniugi quali
aventi diversa cittadinanza.
Deve ritenersi, con la migliore dottrina2, che la prevalenza della cittadinanza italiana quale elemento
1qualificante, nel caso in esame, non sia compatibile con la ratio della norma dettata dall’articolo 29
dip, e che pertanto, anche in caso di possesso da parte dei coniugi in comune, o singolarmente da
parte di uno dei coniugi, della cittadinanza italiana, quest’ultima non prevalga sulle altre al fine
dell’individuazione della legge applicabile al loro rapporto, dovendosi invece comunque tener
conto, per l’individuazione della legge applicabile, della prevalente localizzazione della vita
matrimoniale della coppia; va da sé che, se la prevalente localizzazione della vita matrimoniale
fosse situata in Italia, si applicherebbe comunque la legge italiana.
La legge dello Stato nel quale la vita matrimoniale è prevalentemente localizzata, nel caso in cui
fosse applicabile per la normativa di diritto internazionale privato italiano, potrebbe però operare un
rinvio.
Il rinvio di cui all’articolo 13 dip è operativo, in questi casi, tranne che non sia stata esercitata una
professio iuris come è visto al paragrafo 1.3; ragion per cui, in assenza di professio iuris e in
presenza dei fattori qualificanti indicati sopra, c’è il concreto rischio che l’ordinamento designato
come “legge applicabile” operi un rinvio indietro (alla legge italiana) o un rinvio altrove (alla legge
di un terzo ordinamento), vanificando la designazione fatta dal primo ordinamento e, in alcuni casi
limite, complicandola.
. La prevalente localizzazione della vita matrimoniale e la professio iuris italiana
L’articolo 29 comma 2 dip prevede che i rapporti personali (quindi anche quelli patrimoniali) tra
coniugi aventi diverse cittadinanze o più cittadinanze comuni sono regolati dalla legge dello Stato
nel quale la vita matrimoniale è prevalentemente localizzata.
È di grande importanza comprendere che cosa si intenda per prevalente localizzazione della vita
matrimoniale, non senza precisare in via preliminare che è alla vita matrimoniale vera e propria
(regime personale), e non al mero regime patrimoniale, che deve farsi riferimento per delimitare
tale concetto di localizzazione prevalente, stante il disposto della legge, che sottopone il secondo al
primo.
La dottrina in generale tende a svincolare il criterio di prevalente localizzazione dalle figure della
residenza, del domicilio e della residenza familiare di cui agli articoli 43 e 144 cc, nonostante nella
assoluta maggioranza dei casi, corrispondendo almeno una di tali figure all’effettiva localizzazione
della vita matrimoniale della coppia, ciò aiuti nella determinazione; viene privilegiata l’abitualità
della residenza, senza chiamare in causa criteri strettamente legati alla normativa prevista dal codice
civile.
Ma in quei casi in cui neanche un esame di questo genere possa aiutare a superare un’obiettiva
incertezza di fatto, occorrerà un’indagine più approfondita che esuli da un mero criterio giuridico e
prenda in considerazione elementi e connessioni di tipo sociologico, quali la lingua utilizzata,
l’ambiente sociale, la residenza abituale di eventuali figli minori e altri fattori simili.
Nella prassi notarile, il criterio raccomandato, per quanto non risolutivo del problema, è quello di
ricevere un’apposita dichiarazione (preferibilmente giurata) dalle parti interessate sulla prevalente
localizzazione della loro vita matrimoniale, in modo da assumere tale dichiarazione alla base della
determinazione del diritto applicabile al loro regime patrimoniale.
L’articolo 30 dip detta, come si è visto, anche una importante norma, molto innovativa rispetto al
sistema precedente, la quale consente che i coniugi possano, solo per quanto riguarda il regime
patrimoniale, convenire per iscritto (optio legis, o optio iuris, o professio iuris) che i loro rapporti
patrimoniali siano regolati dalla legge dello Stato di cui almeno uno di essi sia cittadino o nel quale
almeno uno di essi risieda.
Stipulare una convenzione in tale ambito di applicazione, altrimenti sfuggente quando ci si riferisca
in sua mancanza a criteri opinabili e variabili nello spazio e nel tempo (come la prevalente
localizzazione della vita matrimoniale), può rappresentare per molti coniugi un punto fermo di
riferimento per la definizione univoca, e tendenzialmente stabile, del loro regime patrimoniale; non
a caso entrambi gli ordinamenti di riferimento, svizzero e italiano, riconoscono alla convenzione
regolatrice dei rapporti patrimoniali tra i coniugi la capacità di superare tutti gli altri criteri di
collegamento, e soprattutto di resistere al variare di essi (articoli 53 comma 3 LDIP, 15 comma 2
LDIP, 30 comma 1 dip, 13 comma 2 lettera a dip).
La professio iuris è ammissibile solo per quanto riguarda il regime patrimoniale; essa va enunciata
per iscritto, secondo il dettato della norma, ma è preferibile ritenere che, se l’accordo sia fatto in
Italia, esso debba rispettare le forme di cui agli articoli 162 comma 1 cc (atto pubblico) e 48 della
legge notarile (assistenza di due testimoni)12; nulla vieta che la scelta, nel rispetto delle forme di cui
sopra, sia contenuta in un atto pubblico di compravendita o di altra natura.
Come si è visto, la professio iuris di diritto italiano deve condurre all’applicazione della legge di
uno Stato di cui almeno uno dei coniugi sia cittadino o nel quale almeno uno di essi risieda13; se la
legge di tale Stato facesse rinvio ad altra legge, tale rinvio non opererebbe, a termini dell’articolo 13
comma 2 lettera a dip, in quanto la designazione della legge applicabile deriva da “scelta effettuata
in tal senso dalle parti interessate”.
Si discute se tale scelta decada o meno nel caso in cui l’elemento di collegamento di cui sopra
(cittadinanza o residenza) venga a cadere, e ciò in analogia con l’altra professio iuris dettata in tema
di successioni (articolo 46 comma 2 dip); deve ritenersi preferibile la teoria secondo la quale,
caduto l’elemento di collegamento, non cada anche la convenzione14, e ciò sia per il mancato
richiamo fatto dall’articolo 30 dip al perdurare nel tempo dei requisiti di residenza o cittadinanza,
contrariamente a quanto invece espressamente previsto dall’articolo 46 comma 2 dip (ubi lex voluit,
dixit), sia anche per la ratio stessa della norma, volta a privilegiare la volontà delle parti rispetto al
mero criterio oggettivo (e quindi la stabilità del regime patrimoniale e dei conseguenti assetti anche
in presenza di una variazione dei fattori soggettivi che ne hanno permesso la convenzione), sia
infine per l’esame letterale della norma, dal quale si ricava che il momento qualificante della
fattispecie è quello della stipula della convenzione15, così come avviene nel diritto svizzero (articolo
52 LDIP, riportato al paragrafo 4.1).
Si discute inoltre sulle differenze tra la presente professio iuris di cui all’articolo 30 dip e la
pattuizione di cui all’articolo 161 cc16, quest’ultima di rarissima applicazione nella prassi; le
differenze tra le due figure andrebbero individuate nel fatto che: la prima è una scelta derivante da
norma strumentale e la seconda una scelta fatta sulla base di norma materiale di diritto italiano, la
quale è ammissibile solo e in quanto sia applicabile alla fattispecie il diritto materiale italiano17; la
prima fa un rinvio c.d. formale alla legge applicabile, mentre per la seconda il rinvio formale è
inibito, richiedendo la norma che l’enunciato dei patti regolatori del rapporto patrimoniale avvenga
in maniera concreta (realizzando quindi un rinvio c.d. recettizio, il quale come è noto persiste nella
sua interezza anche se la norma di riferimento venisse in seguito modificata o abrogata, in quanto
assunto direttamente a far parte integrante della fattispecie nella sua consistenza a quel momento).
4.5. L’opponibilità in Italia del regime patrimoniale regolato da legge straniera
Per concludere, si deve esaminare lo spinoso problema della limitata opponibilità a terzi del regime
patrimoniale regolato da una legge straniera (sia tale regolamentazione volontaria o no), che si
trasforma persino in inopponibilità dello stesso qualora si verta di diritti reali su beni immobili e il
regime straniero non sia stato oggetto di pubblicità legale nello Stato che sia locus rei sitae; ciò
risulta piuttosto importante, specie nei casi di acquisto o vendita di beni immobili in Italia, intestati
a persona o persone il cui regime patrimoniale sia regolato da una legge straniera e risulti di incerta
definizione (anche se l’incertezza della definizione non è fattispecie rilevante ai fini
dell’inopponibilità).
Il dettato letterale della norma riportata all’articolo 30 comma 3 dip (“Il regime dei rapporti
patrimoniali fra coniugi regolato da una legge straniera è opponibile ai terzi solo se questi ne
abbiano avuto conoscenza o lo abbiano ignorato per loro colpa. Relativamente ai diritti reali su beni
immobili, l'opponibilità è limitata ai casi in cui siano state rispettate le forme di pubblicità prescritte
dalla legge dello Stato in cui i beni si trovano”) fa comprendere che nel caso in cui si verta di
disposizione di beni immobili situati in Italia, e quivi non esista pubblicità di tale regime
patrimoniale straniero secondo le forme previste dalla legge, si genera inefficacia extraterritoriale di
tale regime patrimoniale straniero, per cui si applicherà al contraente, secondo la legge del luogo in
cui il contratto è concluso (in quanto luogo ove si trovano gli immobili), il regime patrimoniale
legale (comunione legale dei beni, per l’Italia).
Questa ricostruzione, di derivazione dottrinale e non esaminata a tutt’oggi da alcuna giurisprudenza,
sembrerebbe l’unica cui pervenire secondo il dettato dell’articolo 30 comma 3 dip18.
Infatti, va tenuto conto della possibilità, o meno, di procedere a trascrizione in Italia del matrimonio
estero, al fine di farvi la relativa annotazione “secondo le forme previste dalla legge”.
Il problema pressoché insormontabile è costituito dal fatto che i matrimoni celebrati all’estero tra
cittadini stranieri non residenti in Italia non sono trascrivibili in Italia, e quindi per essi non è
neanche pensabile un’annotazione.
I matrimoni celebrati all’estero tra cittadini stranieri, successivamente residenti in Italia, sono
invece ora (da poco più di un decennio) trascrivibili in Italia19, ma, secondo una contestata prassi
amministrativa dettata dalla circolare MIACEL n. 2/2001 del 26 marzo 200120, non sarebbero
comunque sottoponibili a successive annotazioni da parte delle autorità italiane né a rilascio di
certificazioni21, come invece avviene per tutti gli altri atti di matrimonio trascritti in Italia ai sensi
dell’articolo 69 del D.P.R. 3 novembre 2000 n. 396).
Per ovviare a questa impossibilità di annotazione, che di fatto rende inapplicabile il disposto
dell’articolo 30 comma 3 dip, un’autorevole dottrina22 ha ritenuto che, vertendosi di diritti
immobiliari, anche la mera trascrizione nei registri immobiliari di tale “regime dei rapporti
patrimoniali fra coniugi regolato da una legge straniera” sia possibile e sufficiente, costituendo anzi
una delle “forme di pubblicità prescritte”.
L’alternativa sarebbe infatti quella di ignorare in ogni caso, sempre vertendosi di diritti immobiliari,
il regime patrimoniale di tali coniugi, con un esito che certamente la legge non può aver voluto.
Un altro parere dottrinario restringe inoltre l’inopponibilità del regime patrimoniale straniero (in
relazione a beni immobili e non trascritto nelle forme “previste”) ai soli regimi convenzionali
stranieri, asserendo che “qualora invece i beni situati sul nostro territorio [Italia, n.d.a.] ricadano in
un regime legale straniero, dato che l’ordinamento italiano, nel quale vige la presunzione di
conoscenza del regime legale, non prevede che esso venga pubblicizzato, potranno ritenersi
soddisfatti dall’assenza di ogni forma di pubblicità i requisiti richiesti per l’opponibilità dall’art. 30,
comma 3; ne consegue che gli effetti del regime legale straniero sul bene in oggetto saranno in ogni
caso direttamente opponibili ai terzi”23; questo parere ha il pregio di ricondurre l’applicazione del
diritto a un principio di verità e di aderenza alla realtà dei fatti, essendo assolutamente inopportuno
che una situazione di tipo meramente formale, cui non è possibile ovviare tra l’altro, vada a tradurre
in forzosa e reiterata falsa apparenza di diritto una situazione giuridica perfettamente lecita e
consolidata.
Va rilevato che, comunque si atteggi il problema, la circolare MIACEL è impeditiva, almeno a
prima richiesta (salvo quindi che si ricorra al giudice), di una qualunque forma di pubblicità a
margine dell’atto di tale matrimonio, pretesa però quale “forma di pubblicità prescritta”
dall’articolo 30 dip per l’opponibilità a terzi del regime patrimoniale, quando si tratti per l’appunto
di matrimonio contratto all’estero tra stranieri, e tra stranieri residenti in Italia.
Per quanto riguarda gli stranieri non residenti che abbiano contratto matrimonio all’estero, la
situazione è ancora peggiore, in quanto per essi non è neanche ipotizzabile, allo stato attuale della
legislazione, la trascrizione del loro matrimonio: col risultato paradossale e iniquo di dover
considerare in comunione legale dei beni tutti i coniugi stranieri non residenti, in spregio ai loro
equilibri patrimoniali familiari; argomentando dal tenore letterale della norma, si dovrebbe
concludere che tale forma di pubblicità sia “impedita”, anziché “prescritta”.
In quest’ottica di palese discriminazione, qualche autore ha ipotizzato non senza ragione anche una
violazione dell’articolo 43 t.u. immigr., almeno per i coniugi stranieri residenti in Italia che abbiano
contratto matrimonio all’estero, perché non vi è dubbio che si operi per motivi nazionali una
ingiustificata differenza di trattamento impeditiva dell’esercizio dei diritti civili nella loro pienezza,
a scapito di uno straniero, ritenendo quindi che ogni resistenza all’annotazione delle trascrizioni ai
sensi dell’articolo 19 D.P.R. 3 novembre 2000 n. 396 dei matrimoni in discorso, e al loro
trattamento alla stregua di qualunque altra trascrizione, sulla base di una circolare che di per sé non
ha forza normativa erga omnes, debba essere considerata illegittima.
Si ritiene che il notaio sia legittimato a proporre ricorso ai sensi dell’articolo 95 D.P.R. 3 novembre
2000 n. 396, in caso di denegata annotazione.
Quale dovrà essere la condotta professionale del notaio in caso di intervento in atti, aventi oggetto
immobiliare, di un soggetto coniugato in un regime patrimoniale regolato da legge straniera, per il
quale non sia (resa) possibile la pubblicità del regime “nelle forme previste”? Un’autorevole
dottrina25 distingue la fattispecie dell’acquisto da quella dell’alienazione o concessione di diritti
reali: nel primo caso, vi sarà per il notaio il mero obbligo deontologico di verificare la dichiarazione
resa in atto dal soggetto, per evitare di ingenerare erronei affidamenti nei terzi; nel secondo caso,
invece, il notaio avrà l’obbligo professionale di accertare l’effettivo regime patrimoniale del
soggetto e rogare l’atto sulla base della sostanza del diritto, alla luce dei princìpi del diritto
internazionale privato italiano.
Pertanto, anche in presenza di una eventuale dichiarazione del soggetto veritiera di per sé, il notaio
deve esaminare l’effettiva configurazione del suo regime patrimoniale alla luce del rinvio: un
soggetto, coniugato in un regime regolato da un ordinamento di common law, cui è estraneo il
concetto di comunione dei beni tra coniugi, potrebbe infatti non sapere di essere considerato in
regime di comunione legale dei beni di diritto italiano, per i beni immobili di cui sia titolare in
Italia, poiché come è noto in tal caso il suo ordinamento di riferimento, di common law, conduce
all’applicazione della lex rei sitae; il notaio dovrà pertanto esigere in tal caso la presenza e il
consenso del coniuge per alienare o ipotecare l’immobile.
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