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Il Volontariato in Sicilia. Riflessioni a partire da una ricerca dei Comitati di
Gestione e dei Centri Servizi Volontariato siciliani
Pietro Fantozzi
CULTURA E SOCIETA’
Si presentano alcune considerazioni su una recente indagine condotta sul tema del volontariato in Sicilia
1. Le categorie interpretative per studiare il volontariato
Quasi tutti gli studi sul terzo settore esplicitano, o comunque tengono conto, di un paradigma
interpretativo per cui conoscere, ad esempio, una realtà di volontariato significa analizzare il modo
attraverso il quale si combinano identità e servizio (Ranci 2006). Dove per identità si intende il quadro
dei valori e delle motivazioni che fanno nascere e vivere, in forma volontaria e gratuita, una
associazione di volontariato. Servizio è invece l’organizzazione delle attività che l’associazione svolge e
tutto ciò che concerne le competenze necessarie e i bisogni strutturali ed economici connessi a tali
attività. Nella particolarità dell’esperienza italiana questo modo di leggere le associazioni di volontario è
stato prezioso perché ha aiutato ad uscire dalla logica del dono come beneficenza (Hill 2000). Tuttavia
oggi, a mio avviso, questo paradigma, pur continuando ad essere necessario, non è più sufficiente a
spiegare le profonde trasformazioni avvenute in questi ultimi decenni, dove convivono associazioni e
volontari con motivazioni e condizioni diverse. Le trasformazioni della società, la rottura dei processi
d’integrazione, il cambiamento dei rischi sociali, il moltiplicarsi dei meccanismi di degrado e di
emarginazione, la stagnazione, prima, e la regressione economica, poi, hanno favorito la nascita di
molte associazioni di volontariato il cui senso dell’agire non è quasi mai uniforme.
In questa cornice, per poter fare un’analisi adeguata delle associazioni di volontariato, è
necessario prendere in considerazione anche altri aspetti come i modi di stare sul territorio, la natura dei
legami verso cui l’agire associativo orienta, la gratuità effettiva che ispira i volontari, la capacità di
coesione sociale che viene generata, lo sviluppo civile che si promuove, la dimensione politica verso cui
si è indirizzati. In altri termini è sempre più importante analizzare il tipo di radicamento territoriale che
l’Associazione sceglie, i legami che promuove, le simmetrie che riesce a costruire, le dipendenze che
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riesce a superare, le reti all’interno delle quali si colloca. Insomma, una realtà associativa va studiata non
solo nella propria identità e nella sua organizzazione, ma anche nelle sue capacità generative. Il
problema è quello di verificare se l’agire associativo è orientato a produrre solidarietà verticali o
solidarietà orizzontali, se promuove il dono come beneficenza, il dono come reciprocità o se è
preminentemente interessato a concorrere ad un arricchimento del mercato dei servizi. Il tema che
soggiace e di cui dovremmo prendere coscienza è quello di favorire l’integrazione tra vecchie e nuove
solidarietà avendo come riferimento una idea di sviluppo umano legata alla vita sociale nei territori a
partire da quelli più deprivati e marginali e rapportata ai diritti e alla costruzione di simmetrie. In breve
bisognerebbe verificare se le norme e i valori che l’agire volontario produce comportino anche una
capacità regolativa della vita sociale sui territori e la diffusione di una coscienza solidaristica tra i
cittadini.
Un altro elemento che deve essere preso in considerazione nello studio delle associazioni di
volontariato in Italia sono le profonde trasformazioni istituzionali che sono intervenute negli ultimi
decenni e che hanno riguardato soprattutto il quadro normativo, le politiche pubbliche e le azioni di
alcune importanti istituzioni economiche e finanziarie come le banche. Ovviamente in questa
brevissima riflessione non avremo lo spazio per affrontare un tema così rilevante e l’impatto sociale,
economico e politico di tali trasformazioni sul volontariato italiano. Allo stesso tempo non è possibile
portare avanti questa breve nota senza tener conto della rilevanza che ha avuto l’istituzione dei CO.GE
(Comitati di Gestione) e dei CSV (Centri Servizi Volontariato).
La legge n. 266 del 1991 disciplina i caratteri delle associazioni di volontariato e nell’articolo 15
impone alle Fondazioni di origine bancaria di prevedere nei loro statuti che almeno 1/15 dei proventi
debba essere destinato a costituire Fondi speciali presso le regioni e gli enti locali per favorire la nascita
di Centri di Servizio, la cui funzione dovrebbe essere quella di rafforzare e qualificare l’agire delle
associazioni di volontariato. Tali Centri dovrebbero essere gestiti dalle stesse organizzazioni di
volontariato. Il punto è molto interessante perché il legislatore non solo disciplina una istituzione
sociale, ma si preoccupa di reperire risorse per le attività delle associazioni di volontariato creando una
interazione tra due mondi apparentemente molto diversi: il sistema bancario e quello dell’impegno
sociale gratuito ed organizzato. Bisogna dire che questa legge nasce non solo sulla base di un disegno
istituzionale innovativo, ma è anche il frutto di una vera e propria lotta condotta quasi per un decennio
da diverse organizzazioni di volontariato a forte dimensione politica. Don Giovanni Nervo, uno dei
fondatori della Caritas italiana, usava dire che questo provvedimento legislativo doveva essere inteso
come un atto di restituzione ai poveri. I Comitati di Gestione (CoGe) sono l’organismo che amministra
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i fondi speciali per il volontariato nell’ambito di ogni regione o provincia autonoma. Per completare la
cornice che porta alla nascita di questi organismi (Co.Ge e CSV) è importante ricordare che il rapporto
tra mondo del volontariato e sistema bancario ha avuto diverse evoluzioni non sempre lineari, dovute
ad oggettivi problemi di integrazione tra questi due mondi.
Oggi i CSV ed i Co.Ge hanno una grande rilevanza, essi hanno dato, in questi anni, un
importante contributo al sostegno e alla crescita dell’associazionismo volontario, nonostante le
associazioni si siano dovute misurare con un crescente processo di “economizzazione”. E’ bene chiarire
che quando si parla di tale processo si intende, nella sua forma più radicale, l’istituzione e la
valorizzazione di una iniziativa associazionistica spinti dal possibile vantaggio economico e non dalla
rilevanza sociale. La cultura utilitarista ha investito tutto il terzo settore e spesso anche settori del
volontariato. Questi ultimi anni abbiamo assistito alla decostruzione della forte natura innovativa che
alcuni filoni del volontariato avevano avuto in Italia alla fine degli anni settanta e negli anni ottanta e
novanta. L’indebolimento della dimensione politica e la crescita delle culture utilitaristiche hanno
sicuramente favorito un cambiamento adattivo, anche nel mondo del volontariato, rispetto allo
sviluppo di capacità di innovazione sociale che era stato tipico dello “stato nascente” (si pensi alle
esperienze di Mons. Nervo, Don Italo Calabrò, Don Tonino Bello, Luciano Tavazza, Mons Pasini,
Maria Eletta Martini ecc…). In questi ultimi decenni poche volte si è riusciti a elaborare una riflessione
ed un progetto su come radicarsi socialmente su un territorio, su che cosa era più importante che il
volontariato facesse all’interno di una città, invece è cresciuta la disparità dei diritti in termini di
famiglia, di casa e di lavoro, ed è proprio la crisi dei processi di integrazione che ha sicuramente favorito
la cultura utilitarista. In questa cornice, parlare di gratuità è difficile, prevale molte volte il bisogno di
procurarsi le risorse per vivere e soprattutto nel Sud, specie quando si coinvolgono i giovani, tale
problema condiziona fortemente l’agire delle organizzazioni di volontariato (OdV ). Nonostante tutto
ciò, i CoGe e i CSV hanno comunque sostenuto la conoscenza di queste forme di associazionismo ed
hanno sollecitato e finanziato studi sull’agire del volontariato organizzato nei singoli contesti regionali e
provinciali.
Questo preambolo è stato necessario per introdurre una recente indagine condotta in Sicilia da
una equipe di ricerca di grande prestigio accademico e professionale e commissionata unitariamente dal
Comitato di Gestione della Regione e dai CSV di Palermo, Messina e Catania.
Il punto di vista che verrà in seguito esplicitato è quello di un osservatore esterno all’indagine
che ha avuto la possibilità di leggere il report e sul quale ha maturato alcune riflessioni.
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Il lavoro di cui parliamo è una ricerca complessa sui bisogni delle Organizzazioni di
Volontariato (OdV) siciliane, “lo scopo… è quello di disegnare una mappa territoriale e cognitiva dei
bisogni organizzativi, sociali e culturali…. e delle risorse del volontariato organizzato attualmente
disponibili” (Report, Segni di VOLO, 2016 pag.3).
Il suo apparato metodologico è molto articolato e riguarda percorsi fortemente integrati sia di
analisi qualitativa, “focus group”, che quantitativa, somministrazione di un questionario ed elaborazioni
statistiche. Il report pubblicato a cui faremo riferimento (Segni di Volo, 2016) si sofferma
esclusivamente sui dati statistici frutto dell’elaborazione dei risultati del questionario.
La struttura del Report è composta da una breve introduzione che ha lo scopo di presentare i
protagonisti, il CoGe, i CSV, e l’equipe di ricerca; vengono inoltre specificati in modo chiaro l’oggetto
dell’indagine, il disegno e gli obiettivi. La parte centrale del report sono 10 punti significativi per la
conoscenza delle associazioni e per individuare, o almeno ipotizzare, il senso dell’agire delle OdV
siciliane. Vi è infine una lunga appendice che viene denominata “Customer Satisfaction” dalla quale si
possono ricostruire non solo gli indici di gradimento, ma molta parte dei modi di relazioni tra CSV e
associazioni.
Questo è un ottimo lavoro di ricerca, ovviamente con un grado di elaborazione ancora limitato
rispetto alle potenzialità che l’indagine mostra. Non è la tipica analisi fondata sull’autorappresentazione
delle associazioni, come spesso accade in rilevazioni di questo tipo, ma vi è il tentativo di andare oltre il
pur essenziale rapporto tra “identità e servizio” che tende a dare rappresentazioni identitarie che
corrono il pericolo di essere chiuse, celebrative o deformate da logiche utilitaristiche e propagandistiche.
2. Le OdV e la loro distribuzione sul territorio siciliano e i processi di istituzionalizzazione
L’oggetto della ricerca ovviamente sono le OdV siciliane iscritte e non iscritte ai registri
regionali. “Tale universo è stato stimato, sulla base dei dati in possesso dei CSV, in circa 2200
organizzazioni disseminate nelle 9 province e nei 55 distretti socio-sanitari della Sicilia” (Report, Segni
di Volo, pag 5). Hanno risposto al questionario 1168 realtà associative, di queste 862 (73,8%) sono
socie del CSV e le altre 296 (25,3%) non lo sono. Ci troviamo pertanto di fronte ad un tentativo di
studiare non solo le realtà con cui si hanno relazioni, ma anche quelle comunque impegnate sul
territorio.
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Il processo di distribuzione delle organizzazioni nelle varie provincie mette immediatamente in
luce come vi siano squilibri territoriali con province a forte densità, come Catania (310) ed altre a bassa
presenza come Caltanissetta (58). L’impressione è che tale distribuzione sul territorio sia legata alla
localizzazione dei Centri di Servizio: infatti se si esclude Messina (88) che ha una presenza di realtà
associative quasi esclusivamente provinciale, il CSV di Catania è quello che accoglie nell’ambito della
propria provincia il maggior numero di associazioni (309); fanno riferimento a questo centro anche le
associazioni di Siracusa (109) e quelle di Enna (85) e di Ragusa (77).
Insomma vi è una oggettiva polarizzazione sulla provincia catanese, ma si nota una presenza
significativa anche negli altri territori provinciali e, se si pensa alla differente distribuzione della
popolazione, lo squilibrio tra provincie non è rilevante. Al CSV di Palermo oltre al capoluogo regionale
(235), fanno riferimento realtà provinciali come Trapani (79), Caltanissetta (58) ed Agrigento (79):
questo centro di servizi è costretto a misurarsi con un territorio dove gli aspetti di perifericità sono più
evidenti e dove la distribuzione tra provincie appare più squilibrata. Il quadro generale mostra come
l’urbanizzazione dei territori, la localizzazione dei CSV, nelle sue dinamiche di centro e periferia, e
probabilmente anche il grado ed il tipo di sviluppo economico, sociale ed istituzionale dei territori
influiscono sia sulla presenza di organizzazioni di volontariato che sulla loro distribuzione.
Uno degli aspetti centrali del volontariato organizzato e di tutto il terzo settore è
l’istituzionalizzazione. Questo termine richiama concetti e modi di analisi di grande importanza nelle
scienze sociali; qui ci limiteremo a considerare una procedura istituzionale prevista da una norma ( L.R
n 22 del 1994 ), cioè l’iscrizione al “Registro generale regionale” delle organizzazioni di volontariato alle
quali sono chiamati ad iscriversi le OdV interessate ad un accreditamento pubblico. Il dato che ci viene
fornito dal Report è interessante: 933 associazioni tra le 1168 censite dall’indagine dichiarano di essere
iscritte e 218, poco meno del 20%, danno risposta negativa (tav.3, Report, Segni di Volo). Al Registro
della protezione civile sono iscritte, invece, 271 organizzazioni. Dalla somma degli iscritti ai due registri
viene fuori che il numero di associazioni è maggiore del campione preso in considerazione
dall’indagine, questo vuol dire che vi sono gruppi presenti in entrambi i percorsi di istituzionalizzazione.
Questo forte interesse al riconoscimento pubblico è una delle grandi questioni che interessano il
volontariato.
Questa norma regionale non fa altro che recepire le indicazioni di una legge nazionale, la 266 del
1991, meglio conosciuta come legge quadro del volontariato. L’istituzione di registri è una competenza
delegata dallo Stato alle Regioni perché svolgano una attività di regolazione su questo vasto mondo del
sociale al fine di contribuire ad evitare manipolazioni o uso improprio di risorse umane ed economiche.
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Le associazioni, in linea teorica, potrebbero decidere di non iscriversi perché contrarie ad un
riconoscimento pubblico; questo fenomeno è presente in altri paesi europei ed americani, ma quasi del
tutto assente in Italia, specie nel Sud. E’ utile a questo proposito ricordare che l’iscrizione ai registri
regionali è necessaria per quei gruppi di volontariato che intendono esercitare attività continuative e
chiedono contributi ad Enti Pubblici e privati e/o si propongono di partecipare a bandi per la gestione
di servizi sociali. La “pubblicizzazione” della propria attività consente, inoltre, alle OdV di acquisire le
prerogative ed i vantaggi fiscali delle ONLUS, nonché la possibilità di accedere al 5 per mille della
fiscalità generale. Conseguenza diretta di tale processo di istituzionalizzazione è un alto livello di
formalizzazione delle OdV, soprattutto per quanto attiene al profilo giuridico, giacché l’iscrizione al
registro regionale è subordinata alla presenza dell’atto costitutivo e all’adozione di uno Statuto da parte
dell’associazione.
Quando si assume la natura di Impresa sociale, poi, si deve ottemperare anche ad altri obblighi
di tipo economico e finanziario, un esempio tangibile sono le Onlus (Organizzazioni non lucrative di
utilità sociali).
I rapporti tra economia del dono, dove tutto è gratuito, economia umana (Polanyi 1974), dove
si cercano i mezzi per vivere, ed economia di mercato, dove gli obiettivi fondamentali e primari sono la
produttività e il profitto, sono sempre più difficili da tracciare e da rendere congruenti; c’è bisogno di
una ricerca più approfondita in riferimento a come le OdV e tutto il privato sociale vivono la politica, il
mercato e i gruppi d’interesse. Infatti non è un caso che lo stesso problema di congruenza lo cogliamo
tra regolazione pubblica statuale e regolazione sociale, per cui parlare di volontariato significa leggere
questa presenza all’interno di profonde contraddizioni generali. In Sicilia e in tutto il Sud, tali
contraddizioni sono presenti, a volte in forma radicale rispetto ad altri contesti territoriali italiani ed
europei perché viviamo situazioni di maggiore precarietà istituzionale ed economica ed una debolezza
di
regolazione
non
solo
politico-giuridica,
ma
anche
sociale
ed
economica.
Il
tema
dell’istituzionalizzazione ci permette di studiare le interazioni, le incorporazioni ed i conflitti a tutti i
livelli, comunità, politica, mercato e gruppi d’interesse. Purtroppo non abbiamo dati empirici
significativi a livello scientifico, ma i pochi studi che hanno cercato di approfondire questi aspetti ci
dicono che l’azione gratuita tende sempre più a circoscriversi a un volontariato delle relazioni e dei
legami che diventa più piccolo. Per altro c’è una crescita delle culture utilitaristiche nel terzo settore che
spesso fanno perdere le radici e le finalità solidaristiche che a livello normativo dovrebbero essere del
volontariato, ma anche del no-profit e dell’impresa sociale. L’aspetto interessante è che il
riconoscimento pubblico, dallo Stato o dalla Regione, viene ritenuto come fondamentale sia per
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l’accreditamento al dono che al mercato, questo in qualche modo richiama le forti adiacenze tra Stato e
Mercato specie nel Mezzogiorno d’Italia.
3. Attività e servizi
Il Report fornisce un quadro dei settori di attività delle organizzazioni di volontariato dal quale
traspare subito che ogni singola associazione dichiara di svolgere una molteplicità di attività (Tav.5,
Report, Segni di Volo); questo denota che negli statuti delle OdV e soprattutto nelle rappresentazioni
dei volontari non esistono sui territori condizioni per una differenziazione delle funzioni. Infatti c’è un
addensamento sulle stesse attività della stragrande maggioranza delle associazioni, favorendo, molte
volte, una crescita della competizione per l’acquisizione di risorse. I motivi che portano a una scarsa
differenziazione sono tanti: la crisi del welfare locale e regionale, la mancanza di un vero apparato di
infrastrutture sociali pubbliche, l’esistenza di risorse economico-finanziarie regionali e comunali
preminentemente orientate sulla sanità, l’assistenza sociale, l’emergenza crescente di fronteggiare alcuni
bisogni sociali (povertà e accoglienza migranti e rifugiati) e tanti altri motivi generali e specifici. Il
settore di attività più frequentemente indicato dalle OdV rispondenti è quello dell’assistenza sociale
(42,1%) a cui fa seguito quello della cultura, dello sport e della ricreazione (41%), mentre il settore della
sanità viene indicato dal 35,5% delle organizzazioni (Tav.5, Report, Segni di Volo). L’impegno elevato
nel settore socio-assistenziale ed in quello della sanità può fornire una spiegazione all’alto tasso di
“pubblicizzazione” delle OdV siciliane, perché è soprattutto in questi campi che si attivano le
collaborazioni formali con gli enti pubblici, i quali richiedono l’iscrizione al registro regionale come
requisito essenziale per poter attivare convenzioni o erogare contributi alle associazioni.
Guardando, poi, la tabella dei servizi, notiamo che il fenomeno finora evidenziato si intensifica,
come si nota dalla tav.6. Non è un caso che per meglio raffigurare i risultati del questionario,
relativamente ai servizi erogati, l’Equipe di ricerca ha raggruppato il gruppo più consistente delle OdV
siciliane sotto la denominazione “Trasversali”, cioè mettendo insieme quelle prestazioni molto variegate
riguardanti l’organizzazione e le esigenze interne del terzo settore, nonché quelle attività di
comunicazione e di riflessione delle OdV (seminari, convegni ecc.) utili a sviluppare una azione
riflessiva e stabilire rapporti con il mercato e con la politica. Per completare il quadro generale è
necessario evidenziare che i servizi sociali (34,7%) e quelli sanitari (26,1%) sono percentualmente i più
significativi dopo quelli “trasversali”. In quantità meno rilevante vi sono i servizi di protezione per
l’ambiente. Tutto il resto dei servizi appaiono insignificanti rispetto alle necessità dei territori. E’ come
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se il volontariato erogasse prestazioni non tanto sulla base dall’intensità dei bisogni, ma sulla speranza e
sulla possibilità di accesso alle risorse disponibili sia a livello politico-istituzionale che a livello di
mercato.
Dal punto di vista dell’ambito territoriale di riferimento delle attività svolte, dal rapporto emerge
la caratterizzazione prettamente locale delle OdV. Nel 59,5% dei casi le organizzazioni siciliane
individuano come ambito territoriale in cui preferiscono operare quello comunale; l’attenzione per la
dimensione sub-comunale caratterizza soltanto il 10% delle OdV che hanno partecipato alla rilevazione
(Tav. 11, Report, Segni di Volo). La platea dei destinatari dei servizi erogati dalla maggior parte delle
organizzazioni (50%) sono tutti i cittadini del territorio che esprimono un bisogno; soltanto nell’8% dei
casi l’attività svolta è di natura mutualistica ed i servizi sono erogati esclusivamente a favore dei soci
(Graf. 1, Report, Segni di Volo).
Il potenziamento della loro capacità di rispondere efficacemente ai bisogni sociali e di offrire
sempre più servizi adeguati caratterizza il percorso che intende intraprendere una vasta fetta delle OdV
che hanno partecipato alla rilevazione. Come emerge dalla ricerca, tra le OdV siciliane che hanno
dichiarato di aver programmato nel triennio successivo interventi di rafforzamento della loro
organizzazione, l’orientamento che prevale è rivolto a privilegiare la dimensione del servizio (Tav.13,
Report, Segni di Volo). I principali obiettivi indicati che intendono perseguire, infatti, sono l’incremento
del numero di volontari (45,3%), il miglioramento della quantità e la qualità del servizio (36,5%) ed il
potenziamento della formazione dei volontari (30%). Poca importanza viene data, invece, ad azioni che
consentano una migliore conoscenza dei bisogni del territorio (14,6%).
Questa tendenza al rafforzamento della funzione di agenzia di servizi, di per sé positiva perché
le OdV sono così in grado di operare meglio in quanto più strutturate ed organizzate, mal si concilia,
tuttavia, con la funzione creativa, critica e stimolatrice del volontariato, provocando un indebolimento
del suo ruolo di soggetto politico in grado di promuovere il cambiamento.
La crescita della dimensione organizzativa determina, così, la divaricazione tra “identità” e
“servizio”, tra il paradigma della gratuità e quello “gestionale” dell’azione volontaria (Devastato 1999);
vale a dire tra le motivazioni di partenza e la necessità di fornire risposte a bisogni ormai visibili e
riconosciuti.
Un altro segnale dell’indebolimento della dimensione politica dell’azione delle OdV può essere
colto anche dalla ridotta tendenza ad instaurare rapporti di collaborazione sia con le altre organizzazioni
sia con altre istituzioni, pubbliche e private. Come emerge dalla Tavola 28 del rapporto, solo il 55,7%
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(651 OdV) dichiara di intrattenere rapporti di collaborazione con altre organizzazioni, mentre soltanto il
45,8% (535 OdV) dichiara di intrattenere almeno una relazione con altre istituzioni (Tav. 29, Tav.13,
Report, Segni di Volo). Questa caratteristica delle OdV, che accresce il rischio dell’autoreferenzialità,
rende più ardua la proposizione di un’azione collettiva da parte delle organizzazioni, riducendo la forza
della capacità di proposta e cambiamento che dovrebbe caratterizzare l’azione del volontariato.
Dal punto di vista delle caratteristiche strutturali, le OdV rispondenti fanno prevalentemente
ricorso a volontari per lo svolgimento delle loro attività. Il numero medio per OdV di volontari, che
sono per metà donne, è pari a 29 (Tav.19, Report, Segni di Volo); la mediana, ossia il valore centrale
della distribuzione, evidenzia invece che metà delle OdV dispone di meno di 18 volontari. Solo il 52,6%
delle Odv (615) fa ricorso all’attività di giovani del servizio civile, che complessivamente sono 1890 (in
media 3 giovani per odv); Il 54,5% di questi giovani sono donne.
Soltanto 98 OdV (8,4%) dichiarano di ricorrere anche a lavoratori retribuiti, il cui numero
complessivamente è pari a 573 lavoratori, assunti con contratti di lavoro a tempo pieno e part-time o
con contratti di collaborazione coordinata e continuativa (Tav. 20, Report, Segni di Volo).
4. Alcune note conclusive
Il volontariato siciliano riflette le grandi tendenze di quello italiano anche se è costretto a vivere
le profonde contraddizioni tipiche del Mezzogiorno, dove l’infrastrutturazione sociale è debole. Ciò
inevitabilmente produce condizioni di grande fragilità organizzativa delle OdV siciliane e meridionali e
induce a cercare accreditamenti istituzionali. La verifica di una ricerca di questo tipo è data dagli alti
indici d’iscrizione nei registri regionali; questo è uno dei pochi parametri in cui la Sicilia e il Sud non
sono inferiori al Centro-Nord.
Il carattere fondamentale del volontariato siciliano, a mio avviso, è quello di una realtà ancora
precaria, ma che si muove con fatica verso l’impresa sociale, la motivazione non sembra il mercato, ma
quell’economia umana dove si cercano i mezzi per vivere. Il volontariato del dono, dove tutto è gratuito
è ancora presente, ma i dati lasciano ipotizzare la conferma della tendenza nazionale ad una inesorabile
crisi della gratuità. Per altro verso non sembra avere grande rilevanza nel volontariato l’economia di
mercato, quella che si sta appena ora sviluppando in altri ambiti del privato sociale.
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Riferimenti bibliografici
Devastato, Giovanni 2009
Nel nuovo Welfare Rimini, Maggioli.
Hill, Michael 2000
Le politiche sociali. Un’analisi comparata Bologna, Il Mulino.
Polanyi, Karl 1974
La grande trasformazione Torino, Einaudi.
Ranci, Costanzo 2006
Il volontariato Bologna, Il Mulino.
Segni di volo 2015
Report degli esiti della Ricerca regionale 2015 sui bisogni del Volontariato siciliano www.cesvop.org/files/Ricerca
regionale 2015 Risultati/Report...
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